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9.3.24
Vincenzo Mancina, l’artista che ha riprodotto le tavole del Liber Figurarum di Gioacchino da Fiore – di Emiliano Morrone
ne ha dipinto 13, acrilico su tela e con la traduzione in italiano dei testi latini
Pubblicato il: 08/03/2024 – 6:40
di Emiliano Morrone
Le Tavole di Gioacchino tradotte in italiano dall’IA
Dall’interpretazione ai fatti, Mancina ha quindi riprodotto le tavole del Liber Figurarum di Gioacchino da Fiore. Come amanuense mosso da forza irrefrenabile, d’impulso ne ha dipinto 13, acrilico su tela e con la traduzione in italiano dei testi latini; tranne la spirale di “Mistero della chiesa”, che per intero riporta all’esterno il XII canto del Paradiso, «quale mio omaggio – chiarisce l’artista – a Dante Alighieri». «Per le traduzioni mi sono in parte servito – racconta il nostro interlocutore, cordiale e ospitale come pochi – dell’Intelligenza artificiale, che ho messo a confronto con alcuni libri. Ora Gioacchino è intelligibile dalle persone comuni, perché in ciascuna tavola è presente in lingua italiana la spiegazione che lo stesso abate diede in latino dei propri disegni. Il mio obiettivo è tradurre in altre lingue e portare ovunque la bellezza, la significanza e l’attualità delle opere figurative di questo monaco straordinario, capace di farsi ascoltare dall’imperatrice Costanza d’Altavilla e dai Papi del suo tempo; di costruire nel concreto una comunità di persone sulla base di un modello teologico, assieme urbanistico e politico, riprodotto anche nelle Americhe; di profetizzare uno stato terreno di pace, armonia e giustizia derivato dalla propria esegesi biblica».
L’abate florense e il territorio silano
«Il punto di partenza – sottolinea Mancina – è che Gioacchino concepì qui le sue opere, e noi spesso lo dimentichiamo, presi dalla monotonia quotidiana, dall’ansia del presente, dalla cattiveria che il nuovo capitalismo invisibile trasfonde dentro le coscienze. L’abate lavorò qui, agì qui e da qui si fece conoscere nel mondo. Questa è la più grande ragione di meraviglia, se pensiamo che il suo pensiero resta oggetto di curiosità intellettuale e di studio in tutto il pianeta, mentre il nostro territorio suole mettersi ai margini, ricadere nel vittimismo e nell’autocommiserazione, volgere lo sguardo verso il basso».
Il filosofo Tagliapietra: «Gioacchino introdusse un tempo nuovo»
Che cosa fece l’abate calabrese, qual è il suo merito principale e perché in tanti si innamorano del suo linguaggio e del suo messaggio? Nell’articolo “Gioacchino da Fiore: millennio e utopia”, lo spiega in sintesi il filosofo Andrea Tagliapietra, peraltro fra gli autori della sceneggiatura del film, di Jordan River, “Il Monaco che vinse l’Apocalisse”, dedicato alla vita dell’abate. «Va sottolineato come l’apporto di Gioacchino da Fiore – scrive Tagliapietra – sia stato quello di introdurre un tempo nuovo e una nuova iniziativa storica – il terzo status, la terza età dello Spirito –, che sostituiscono all’agostiniana tensione fra la civitas Dei e la civitas terrena, ovvero fra bene e male e fra trascendenza e immanenza, un conflitto che attraversa l’ecclesia stessa (ecclesia carnalis/ecclesia spiritualis), ma che ha come suo effetto quello di rendere positivo, almeno in parte, il saeculum medesimo».
«Una risposta rivoluzionaria»
«Nell’opera di Gioacchino, nel suo pensare per figurae e nell’impegno di rinnovamento del monachesimo e di ricerca dalla vitae forma apostolica, viene tentata una risposta diversa, autenticamente rivoluzionaria – sottolinea Tagliapietra – seppur interna alla tradizione cristiana, per andare oltre il blocco teologico-politico agostiniano senza necessariamente intraprendere la via della secolarizzazione».
Cristo, Guevara, il cinema e la pubblicità sociale
Nel frattempo, Mancina mostra il suo laboratorio e si sofferma su un quadro datato: un crocifisso con il volto di Ernesto Guevara. «Due figure giganti, Cristo e il Che», commenta, «che hanno sempre ispirato i miei sentimenti e le mie scelte». È «la grande chiesa» cantata da Jovanotti? È una suggestione del globalismo? È il pensiero dell’unificazione teorizzato da Gianroberto Casaleggio nel celebre video “Gaia”? Mancina insiste sul proprio passato per leggere il presente e immaginare il futuro. Nel 1977 era un ragazzo sveglio, curioso, inquieto. Adolescente, allora incominciò a lavorare con il padre al Cinema Eden di San Giovanni in Fiore. Lì gli nacque la passione per le immagini e l’equilibrio ambientale, due caratteristiche del pensiero di Gioacchino. La Rai aveva appena iniziato le trasmissioni a colori, un operaio guadagnava più di 150mila lire al mese, il giornale costava pochi spiccioli, videogiochi e walkmann si affacciavano sul mercato e John Travolta era entrato nel grande schermo con “La febbre del sabato sera”, musiche dei Bee Gees e su tutte Stayin’ Alive. Le arti visuali erano legate all’industria e al commercio. Mimmo Rotella sperimentava frottage, effaçage e plastiforme, poi avrebbe maneggiato le «sovrapitture». Proprio nel ’77, una campagna di “Pubblicità progresso” dedicata all’acqua descriveva inondazioni, frane e smottamenti in metà dei Comuni italiani e avvertiva: «Abbiamo trasformato una fonte di vita in un nemico, che passa, distrugge, uccide».
Fra stragismo e guerra fredda
L’Italia era in mezzo al terrore, alle stragi, ai depistaggi, alle trame della mafia e del potere: dalla sparizione di Mauro De Mauro all’assassinio di Giovanni Spampinato; dall’attentato dell’Italicus all’omicidio di Aldo Moro e di Peppino Impastato; dalla bomba nella stazione di Bologna all’uccisione di Piersanti Mattarella, poi di Pio Latorre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Rocco Chinnici e così via. Questo era il quadro dell’epoca, prima che alla Casa Bianca arrivasse Ronald Reagan con il taglio delle imposte, lo Scudo spaziale per la guerra fredda, la riduzione degli armamenti atomici e, secondo alcuni storici, un ruolo rilevante nel crollo anticipato dell’Unione sovietica di Michail Gorbačëv.
La lezione di pace di Gioacchino
Mancina si formò, dunque, in un contesto di notevole sviluppo economico-sociale, di incertezza e creatività, di fatti angoscianti e massificazione cinematografica, peraltro esposta in dettaglio dal filosofo Slavoj Žižek in una celebre guida. «Lo riconosco: mi hanno molto forgiato, a livello di carattere e visione, le immagini, gli echi, gli effetti e i misteri di quegli anni – confessa l’artista calabrese – di benessere e violenza, di occupazione nell’ambito del lavoro e di precarietà internazionale. Nulla avviene per caso. Mio padre, soprannominato “Bombola nera”, portò il fornello a gas a San Giovanni in Fiore e, ricordo, insegnava a utilizzarlo. Credo che ognuno di noi sia chiamato a illuminare questioni che sembrano marginali, ad aprire argomenti negati alle masse, che seguono mode create, diffuse dal cinema e da ultimo soprattutto dal web. Oggi sono in corso guerre tremende: in Ucraina, nella sponda sudorientale del Mediterraneo e nell’area del Mar Rosso. Viviamo nel mezzo di una crisi totale che può compromettere la vita di ciascuno e la tenuta degli equilibri politici e ambientali del pianeta. È questo, credo, il momento per rilanciare il messaggio di pace e di speranza di Gioacchino, rendendolo il più possibile semplice e chiaro».
Gioacchino, Mancina e il risarcimento nei confronti del presente
«E non c’è modo migliore – conclude Mancina – che tornare ai disegni dell’abate», che, riassume Tagliapietra, sono il «mezzo per continuare a pensare ciò che strutturalmente non può essere inteso mediante concetti e detto ed espresso in parole, se non con formule oscure e da ultimo contraddittorie». Secondo Tagliapietra, «il tempo del terzo status, come mostra icasticamente la figura dei tre cerchi sovrapposti», deve intendersi «come trasformazione qualitativa di qualsiasi istante percorso dalla dialettica fra il tempo e l’eterno». «Vale a dire come tempo messianico in cui, analogamente a ciò che è avvenuto mediante l’Incarnazione, si dà una nuova iniziativa – questo è il passaggio fondamentale dell’analisi di Tagliapietra – dello Spirito nella storia, nell’ordine non solo del compimento rispetto al passato, ma soprattutto del risarcimento nei confronti del presente». (redazione@corrierecal.it)
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