Irena Sendler all'età di 32 anni
Irena Sendler nacque nella periferia operaia di Varsavia, in una famiglia
cattolica[1] polacca di orientamento politico
socialista. Il padre, Stanisław Krzyżanowsky, era medico;
[2] egli morì di
tifo nel febbraio
1917, avendo contratto la malattia mentre assisteva ammalati che altri suoi colleghi si erano rifiutati di curare. Molti di questi ammalati erano ebrei: dopo la sua morte, i responsabili della comunità ebraica di Varsavia si offrirono di pagare gli studi di Irena come segno di riconoscenza. Di confessione cattolica, la ragazza sperimentò fin dall'adolescenza una profonda vicinanza ed empatia con il mondo ebraico. All'università, per esempio, si oppose alla ghettizzazione degli studenti ebrei, e come conseguenza venne sospesa dall'Università di Varsavia per tre anni.
Terminati gli studi, cominciò a lavorare come assistente sociale nelle città di
Otwock e
Tarczyn.
Trasferitasi a Varsavia, già da quando i nazisti occuparono la Polonia (
1939) cominciò a lavorare per salvare gli Ebrei dalla persecuzione: con altri collaboratori, riuscì a procurare circa 3.000 falsi passaporti per aiutare famiglie ebraiche.
Manifesto nazista in tedesco e polacco, che minacciava di morte i polacchi che avessero aiutato gli ebrei
Nel
1942 entrò nella
resistenza polacca, che al suo interno presentava forti contrasti fra la componente nazionalista e cattolica e la componente minoritaria
comunista,
[3] contrasti che a volte si ripercuotevano anche nelle fasi decisionali. Il movimento clandestino, in prevalenza cattolico, di cui faceva parte la Sendler, la
Żegota,[4] incaricò la donna delle operazioni di salvataggio dei bambini ebrei del ghetto.
Come dipendente dei servizi sociali della municipalità, la Sendler ottenne un permesso speciale per entrare nel ghetto alla ricerca di eventuali sintomi di tifo (i tedeschi temevano che una epidemia di tifo avrebbe potuto spargersi anche al di fuori del ghetto stesso). Durante queste visite, la donna portava sui vestiti una
Stella di Davide come segno di solidarietà con il popolo ebraico, come pure per non richiamare l'attenzione su di sé.
Irena, il cui nome di battaglia era "Jolanta", insieme ad altri membri della Resistenza, organizzò così la fuga dei bambini dal ghetto. I bambini più piccoli vennero portati fuori dal Ghetto dentro ambulanze o altri veicoli.
In altre circostanze, la donna si spacciò per un tecnico di condutture idrauliche e fognature: entrata nel ghetto con un furgone, riuscì a portare fuori alcuni neonati nascondendoli nel fondo di una cassa per attrezzi, o alcuni bambini più grandi chiusi in un sacco di
juta. Nel retro del furgone, alcune volte aveva tenuto anche un cane addestrato ad abbaiare quando i soldati nazisti si avvicinavano, coprendo così il pianto dei bambini.
Fuori dal ghetto, la Sendler forniva ai bambini dei falsi documenti con nomi cristiani, e li portava nella campagna, dove li affidava a famiglie cristiane, oppure in alcuni conventi cattolici come quello delle Piccole Ancelle dell'Immacolata a
Turkowice e
Chotomów. Altri bambini vennero affidati direttamente a
preti cattolici che li nascondevano nelle
case canoniche. Come lei stessa ricordava
«Ho mandato la maggior parte dei bambini in strutture religiose. Sapevo di poter contare sulle religiose.»
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(Irena Sendler nell'articolo: "È morta Irena Sendler: salvò la vita a 2.500 bambini ebrei" su Zenit del 13 maggio 2008[5]) |
Bambini ebrei nel ghetto di Varsavia
Irena Sendler annotò i veri nomi dei bambini accanto a quelli falsi e seppellì gli elenchi dentro bottiglie e vasetti di marmellata sotto un albero del suo giardino, nella speranza di poter un giorno riconsegnare i bambini ai loro genitori.
«Avrei potuto fare di più. Questo rimpianto non mi lascia mai.»
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(Irena Sendler, in una conversazione con Marek Halter a proposito del suo impegno nella Resistenza polacca[6]) |
Nell'ottobre
1943 la Sendler venne arrestata dalla
Gestapo: fu sottoposta a pesanti
torture (le vennero fratturate le gambe, tanto che rimase inferma a vita), ma non rivelò il proprio segreto. Condannata a morte, venne salvata dalla rete della resistenza polacca attraverso l'organizzazione clandestina
Żegota, che riuscì a corrompere con denaro i soldati tedeschi che avrebbero dovuto condurla all'esecuzione. Il suo nome venne così registrato insieme con quello dei giustiziati, e per i mesi rimanenti della guerra visse nell'anonimato, continuando però a organizzare i tentativi di salvataggio di bambini ebrei.
Terminata la guerra e l'occupazione tedesca, i nomi dei bambini vennero consegnati ad un comitato ebraico, che riuscì a rintracciare circa 2.000 bambini, anche se gran parte delle loro famiglie erano state sterminate a
Treblinka e negli altri
lager.
La Sendler con alcune persone da lei salvate quando erano bambini (Varsavia, 2005)
La storia della vita della Sendler è stata riscoperta nel
1999 da alcuni studenti di una scuola superiore del Kansas (cfr. il progetto
Life in a jar), che hanno lanciato un progetto per fare conoscere la sua vita e il suo operato a livello internazionale.
Scultura in una scuola di
Amburgointitolata ad Irena Sendler (2006)
Nel
2007 l'allora Presidente della Repubblica di Polonia
Lech Kaczyński, avanzò la proposta al
Senato del suo Paese perché fosse proclamata
eroe nazionale. Il Senato votò a favore, all'unanimità. Invitata all'atto di omaggio del Senato il 14 maggio dello stesso anno, all'età ormai di 97 anni non fu in grado di lasciare la casa di riposo in cui risiedeva, ma mandò una sua dichiarazione per mezzo di Elżbieta Ficowska, che aveva salvata da bambina.
«Ogni bambino salvato con il mio aiuto è la giustificazione della mia esistenza su questa terra, e non un titolo di gloria»
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(Lettera al Parlamento polacco) |
Il nome di Irena Sendler venne anche raccomandato dal governo polacco per il
premio Nobel per la pace, con l'appoggio ufficiale dello Stato di Israele espresso dal suo primo ministro
Ehud Olmert (anche se queste nomine dovrebbero essere mantenute segrete). Alla fine tuttavia, il premio venne assegnato a
Al Gore.