Visualizzazione post con etichetta shoa. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta shoa. Mostra tutti i post

20.1.23

Benghabrit e la sua attività nella Grande Moschea di Parigi PER SALVARE GLI EBREI ALGERINI da lafarfalladellagentilezza

  A salvare    gli  ebrei  dai nazi  fascisti      furono     anche    i  mussulmani    come riporto     questa  vicenda     ripresa     dalla bellissima  pagine    Facebook

    https://www.facebook.com/lafarfalladellagentilezza
Quando Albert Assouline iniziò a raccontare la sua storia, molti non gli credettero. Ma lui si ostinava a raccontarla, perché voleva che il mondo sapesse chi gli aveva salvato la vita. Per questo, molti anni dopo, nel 1983, scrisse un articolo su una rivista dei veterani francesi, per saldare il suo debito di riconoscenza. Ma ciononostante, molti continuarono a non credergli. Però nel 2005 la sua storia fu confermata, quando il celebre cantante algerino, Salim Halali, morì all’età di 85 anni. Halali si era trasferito giovanissimo in Francia, e lì divenne famoso per la sua voce, ma pochi conoscevano il suo passato. Eppure, alla sua morte, venne fuori la sua storia di sopravvissuto durante la Seconda guerra mondiale, una storia molto simile a quella di Assouline. Erano infatti entrambi ebrei algerini, entrambi in pericolo nella Francia nazista della Repubblica di Vichy. Ed entrambi si salvarono grazie al signore nella foto a destra : Si Kaddour Benghabrit, il Rettore della grande Moschea di Parigi. Benghabrit (di origine algerina ma che da anni ormai viveva in Francia dove era molto stimato), infatti, accolse centinaia di persone in difficoltà, nei sotterranei della Moschea per nasconderli dai rastrellamenti dei nazisti. Non solo: per proteggerli e permettere loro di fuggire, Benghabrit (probabilmente aiutato da una rete di partigiani algerini) falsificò centinaia di documenti, facendo passare per musulmani molti ebrei, uomini, donne e soprattutto bambini. Grazie a questo stratagemma Assouline riuscì a fuggire e a unirsi alla Resistenza francese, e Halali potè sopravvivere agli anni della guerra.Non si sa esattamente quante persone si siano potute salvare in questo modo. Alcune fonti parlano di circa cinquecento, altri ritengono che furono circa 1600. Ma in fondo non è poi così importante tenere una contabilità precisa, perché chi salva una vita salva il mondo intero. E anche se fosse stata solo una, la vita salvata, sarebbe comunque una bella storia di altruismo e solidarietà. Ma soprattutto una storia di speranza e fiducia negli esseri umani, che in certe occasioni riescono mettere umanità e fratellanza avanti a tutto il resto.

🦋La farfalla della gentilezza 🦋
(Nel libro di Robert Satloff, “Tra i giusti. Storie perdute dell’Olocausto nei paesi arabi”, Marsilio 2008, c’è un capitolo dedicato a Benghabrit e alla sua attività nella Grande Moschea di Parigi).

10.9.22

lucy Salani: "Io trans, sopravvissuta a Dachau, chiedo a Meloni di non toglierci i nostri diritti"

 

"Non tollero che si possa agire contro delle persone come noi che hanno subito la deportazione nei campi di concentramento. Non tollero una donna che si può permettere la sfacciataggine di toglierci i nostri diritti. É una vergogna".


 Non va per il sottile Lucy Salani 98 anni, l'unica transgender italiana sopravvissuta al campo di concentramento di Dachau, quando, durante l'apertura della Festa dei Sentinelli a Milano, le chiedono cosa pensa di un'eventuale vittoria di Giorgia Meloni. "Essere trans nel Ventennio è stato terribile", ha ricordato durante l'inaugurazione della mostra Omocausto, dedicata allo sterminio dimenticato degli omosessuali da parte del nazifascismo. "L'Italia è in sospeso sul tema dei diritti, ed è quel 'sospeso' che fa paura e non vorrei che tornassimo all'era fascista", ha sottolineato con forza Salani .     

                                 di Andrea Lattanzi

Musica - "Betterdays" - bensound.com


 non sapendo niente  di lei    ecco cosa  ho trovato su wikipedia  


una scena  del documentario   della  scrittrice e regista Gabriella Romano


Lucy Salani (Fossano12 agosto 1924) è un'attivista italiana, nota come l'unica transessuale italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.Lucy Salani è nata come Luciano Salani[1] e cresciuta a Bologna come uomo omos     essualeAntifascista,
dopo aver disertato sia l'esercito fascista italiano che quello nazista, è stata deportata a Dachau nel 1944, dove è rimasta per sei mesi, fino alla liberazione del campo per opera degli americani nel 1945. In seguito è vissuta a Torino, lavorando come tappezziera e frequentando l'ambiente transessuale italiano e parigino. Di ritorno a Bologna negli anni '80, vi si è stabilita dopo la pensione.La sua storia è diventata nota negli anni dopo il 2010, grazie al lavoro della scrittrice e regista Gabriella Romano, che le ha dedicato due opere. Salani è considerata dal Movimento Identità Trans l'unica persona transessuale italiana ad essere sopravvissuta alle persecuzioni fasciste e naziste. [  segue su  Lucy Salani - Wikipedia

                    


3.6.22

I pugili di Auschwitz, veri e improvvisati: costretti a battersi nei lager per sopravvivere


  repubblica  online  

La storia di Noah Klieger, che sarebbe poi diventato scrittore, giornalista e dirigente sportivo in Israele, ha ispirato José Ignacio Perez a scrivere ''K.O. Auschwitz". Atleti nell'inferno dei campi di concentramento 


Noah Klieger ha avuto un vita lunga, dal 1925 al 2018. E’ stato scrittore, dirigente sportivo, giornalista: ha raccontato il basket in dieci mondiali e

cinque olimpiadi. Tutto o quasi passa però in secondo piano rispetto ad anni maledetti, a un maledetto: 1944, 1945, Auschwitz. “Sai fare la boxe?”. In quella miriade di porte che il destino apre e chiude, la sua vita può ruotare anche intorno  a una banale domanda. No, la boxe Noah non la sa fare, ma coglie la sfumatura, capisce che può essere una via di scampo. “Sì”, nonostante non abbia mai messo un paio di guantoni e sul ring non sia ammessa improvvisazione, perché su quel quadrato ci salgono non solo kapo fisicamente molto più in forma di lui, ma anche gente che prima di entrare nell’inferno la boxe l’ha fatta davvero.

Quel ‘Sì’ potrebbe trasformarsi in una condanna se non fosse per Jacko Razon: campione di Grecia, poi militare e fatto prigioniero dai nazisti, che lì sono intervenuti dopo l'impantanamento delle truppe italiane. Jacko, che deve affrontare Noah, ci mette poco a capire che il suo avversario di boxe sa poco. E allora gli insegna i rudimenti, come stare sul ring, la fase difensiva. Di fatto il loro incontro è una sorta di recita, ma tanto basta a Noah per prendere tempo, imparare, combattere (lo farà una ventina di volte), per salvarsi con la classica forza della disperazione. Una storia raccontata nell’ultimo anno della sua vita a José Ignacio Perez, che ne ha tratto ispirazione per scrivere ‘’K.O. Auschwitz”. E’ un libro in cui si ripercorrono le vicende di alcuni pugili, veri o improvvisati, nei campi di concentramento.

Match organizzati usando violenza allo spirito nobile della boxe, degradata a senso della sopraffazione, privata di qualsiasi significato sportivo. Eppure, sembra impossibile, anche un contesto di follia presenta delle eccezioni. Come quella di Walter Durning, un kapo meno spietato del solito: affronta Tadeusz Pietrzykowski, pugile forte e molto popolare in Polonia. Ne esce demolito, ma riconosce la grande bravura dell'avversario al punto da fargli aumentare le razioni di cibo e alleggerirgli i carichi di lavoro. Tadeusz è fortunato, non come Victor Young Perez, che invece non sopravvive alle tante marce della morte.

Un libro che ci dà lo spunto anche per ricordare tante altre storie. Quella sinti Johann Trolmann ad esempio, un ballerino del ring, forte al punto da diventare campione di Germania in anni difficilissimi per la sua etnia. Purtroppo lui sulla sua strada non trova Walter Durning, ma Emil Cornelius: è uno che non accetta di essere distrutto sul ring da un avversario che neanche riesce più a stare in piedi e si vendica a colpi di piccone.

Quella di Harry Haft: il nome è l’americanizzazione di Hertzko. Lui è un pugile vero, lo dimostrerà nel dopoguerra, quando riuscirà addirittura a ottenere una chance mondiale per il titolo dei pesi massimi contro l’immenso Rocky Marciano.  Si chiama ancora Hertzko quando mette nei suoi combattimenti ad Auschwitz una tale ferocia da venire chiamata la ‘belva giudea’. Le cicatrici nell’anima gli rimarranno, ma la sua storia è di quelle in cui tante sensazioni si confondono. Una storia diversa da quella del romano Leone ‘Lelletto’ Efrati, uno dei parecchi idoli dei ring romani degli anni Trenta. Va forte, abbatte i confini, va all’estero: in Francia e poi in America, dove arriva a battersi per il titolo mondiale fallendo di poco l’impresa. Potrebbe restarsene al di là dell’oceano, ma torna per stare vicino alla famiglia. Caduto in una retata della Gestapo, vincerà tante volte nonostante – peso piuma – venga spesso costretto a battersi contro gente fisicamente molto più grande. Non potrà farlo quando, intervenuto per difendere il fratello, la furia dei guardiani si accanirà contro di lui.

19.2.22

le foto di Whilelm Brasse ed altre storie del 900

 il ricordo di tali eventi  no  è   solo  il 27 gennaio 


Un giorno di febbraio del 1941, un giovane prigioniero polacco di nome Whilelm Brasse fu incaricato dai nazisti di fotografare, uno dopo l’altro, tutti i prigionieri di Auschwitz, di fronte e di profilo.
Quando, quasi due anni dopo, fu il suo turno, prima che la foto fosse scattata, Czesława Kwoka “si asciugò le lacrime e il sangue dal taglio sul labbro” - come ricorda lo stesso Brasse - che le aveva procurato la kapò a bastonate in faccia.
In quel momento Czesława aveva 14 anni, era appena arrivata al campo, non parlava e non capiva una
parola. Poche settimane dopo, il 18 febbraio 1943, le ammazzarono la madre, Katarzyna. Il 12 marzo fu assassinata con un’iniezione di fenolo nel cuore.

Poco prima che l’Armata rossa fece irruzione ad Auschwitz, i nazisti ordinarono a Brasse di distruggere tutte le foto insieme ai negativi, ma lui riuscì coraggiosamente a salvarne qualcuna. Tra queste, c’era quella di Czesława, che diventerà una delle fotografie più iconiche di sempre di quell’orrore, e nel 2018 fu colorata per aumentarne la vividezza.
Questo scatto è di una dignità, nello strazio, da mettere i brividi.

-----

La chiamavano affettuosamente “la biondina della Val Taleggio”. Ma lei, Piera Vitali detta Pierina, era prima di tutto una partigiana, una combattente, una donna libera.

E lo è stata sempre, fino all’ultimo istante.
È stata arrestata dai fascisti a 21 anni, mentre combatteva per la liberazione.
È stata interrogata, ma lei non ha fatto i nomi dei compagni.
È stata messa al muro davanti a un plotone armato. Ma lei non ha fatto i nomi.
È stata pestata a sangue, torturata, ma lei non ha fatto i nomi.

Hanno tentato di comprarla i nazisti. Ma anche in quel caso lei non ha fatto i nomi.
Infine l’hanno caricata su un pullman diretto ai campi di concentramento. E lei ha sfondato il finestrino e si è lanciata in corsa, tornando a fare la staffetta partigiana fino alla libertà.
Aveva 21 anni, poco più che una ragazzina.
Due anni fa esatti, Pierina se n’è andata a 96 anni. Lei, una di quelle che la patria l’ha difesa davvero, non a parole o a slogan, ma con un coraggio e una forza (e a un’età) che oggi fatichiamo anche solo a immaginare.

Ciao Pierina, ovunque tu sia. 

12.1.19

Dimenticata dai grandi statisti, dai libri di storia, perchè le persone di cuore fanno veramente paura a chi il cuore non lo sa o non lo vuole ASCOLTARE! il caso di Irena Sendler nel 2005 Irena Sendler, da nubile Irena Krzyżanowska che non ricevette il nobel per la oace ma salvo 3 mila bambini dai lager nazisti polacchi

di cosa stiamo parlando :

Come  ho  già detto  nei post  precedenti  (   trovate  gli url  all'inizio del post  ) specialmente  il primo  non riesco   forse perché  sono troppo  emotivo o poco originale  a trovare    parole  diverse  ed  originali    dalla  solita  retorica  celebrativa  \  istituzionale   e  di circostanza  come  la  giornata   del  27  gennaio   , in soma  a tirare  fuori le mie   emozioni   sui determinati fatti  Ecco    che  ,  ed qui rispondo alle Faq  per  chi trova il blog  sull'omonima pagina    o  sul mio account   oppure  sparso in vari  gruppi  , pagine     ,  di  facebook  ed  altri social  ( googleplus   \  G+  ,  twitter  ,  ecc  )  , cosa   intendo   con il tag  \  etichetta  ciclo dei vinti  ,  a  salvarmi   c'è    questa  catena  (  una  delle poche  utili  , vedere   il film  lettere  da Berlino  )    che  riporto in parte  sotto oppure  qui integralmente   presa  dal sito https://www.slideshare.net/




[---]





L'anno scorso Irena  fu proposta per ricevere il Premio Nóbel per la  pace...Ma non fu selezionataAlcuni di coloro che hanno ricevuto questo  premio sono, per esempio: I quaccheri americani e britannici, Henry a.Kissinger , Lech Walesa, Jimmy Carter, Al Gore,Barack Obama, Il dissidente cinese, Liu Xiaobo,tra gli altri… Senza commenti Grande messaggio,

specialmente nella vignetta che segue.


Sono passati più  di 60 anni daquando è finita la   2ª Guerra  Mondiale in     Europa.


Questo e-mail si sta diffondendo come una catena    commemorativa, in memoria dei 6 milioni di ebrei, 20 milioni di russi,...

Ora, più che mai, con alcuni che proclamano che              lolocausto è un mito,           è imperativo assicurarsi che ...



Non permettiamo che si dimentichi mai!Per favore, leggete attentamente la vignetta,è impressionante.Poi leggete i commenti finali.Sto portando il mio piccolo contributo inoltrando questo messaggio.pero che vogliate fare lo stesso.Unisciti a noi e sii un anello di questa catena commemorativa aiutandoci a distribuirlo in tutto il mondo.Per favore, invia questo e‐mail alle persone che conosci e chiedi loro che continuino la catena


Irena Sendler

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Jump to navigationJump to search

Irena Sendler nel 2005
Irena Sendler, da nubile Irena Krzyżanowska (Varsavia15 febbraio 1910 – Varsavia12 maggio 2008), è stata un'infermiera e assistente sociale polacca, che collaborò con la Resistenza nella Polonia occupata durante la Seconda guerra mondiale. Divenne famosa per avere salvato, insieme con una ventina di altri membri della Resistenza polacca, circa 2.500 bambini ebrei, facendoli uscire di nascosto dal ghetto di Varsavia, fornendo falsi documenti e trovando rifugi in case al di fuori del ghetto.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Gioventù[modifica | modifica wikitesto]


Irena Sendler all'età di 32 anni
Irena Sendler nacque nella periferia operaia di Varsavia, in una famiglia cattolica[1] polacca di orientamento politico socialista. Il padre, Stanisław Krzyżanowsky, era medico;[2] egli morì di tifo nel febbraio 1917, avendo contratto la malattia mentre assisteva ammalati che altri suoi colleghi si erano rifiutati di curare. Molti di questi ammalati erano ebrei: dopo la sua morte, i responsabili della comunità ebraica di Varsavia si offrirono di pagare gli studi di Irena come segno di riconoscenza. Di confessione cattolica, la ragazza sperimentò fin dall'adolescenza una profonda vicinanza ed empatia con il mondo ebraico. All'università, per esempio, si oppose alla ghettizzazione degli studenti ebrei, e come conseguenza venne sospesa dall'Università di Varsavia per tre anni.
Terminati gli studi, cominciò a lavorare come assistente sociale nelle città di Otwock e Tarczyn.

Durante la Seconda Guerra Mondiale[modifica | modifica wikitesto]

Trasferitasi a Varsavia, già da quando i nazisti occuparono la Polonia (1939) cominciò a lavorare per salvare gli Ebrei dalla persecuzione: con altri collaboratori, riuscì a procurare circa 3.000 falsi passaporti per aiutare famiglie ebraiche.

Manifesto nazista in tedesco e polacco, che minacciava di morte i polacchi che avessero aiutato gli ebrei
Nel 1942 entrò nella resistenza polacca, che al suo interno presentava forti contrasti fra la componente nazionalista e cattolica e la componente minoritaria comunista,[3] contrasti che a volte si ripercuotevano anche nelle fasi decisionali. Il movimento clandestino, in prevalenza cattolico, di cui faceva parte la Sendler, la Żegota,[4] incaricò la donna delle operazioni di salvataggio dei bambini ebrei del ghetto.
Come dipendente dei servizi sociali della municipalità, la Sendler ottenne un permesso speciale per entrare nel ghetto alla ricerca di eventuali sintomi di tifo (i tedeschi temevano che una epidemia di tifo avrebbe potuto spargersi anche al di fuori del ghetto stesso). Durante queste visite, la donna portava sui vestiti una Stella di Davide come segno di solidarietà con il popolo ebraico, come pure per non richiamare l'attenzione su di sé.
Irena, il cui nome di battaglia era "Jolanta", insieme ad altri membri della Resistenza, organizzò così la fuga dei bambini dal ghetto. I bambini più piccoli vennero portati fuori dal Ghetto dentro ambulanze o altri veicoli.
In altre circostanze, la donna si spacciò per un tecnico di condutture idrauliche e fognature: entrata nel ghetto con un furgone, riuscì a portare fuori alcuni neonati nascondendoli nel fondo di una cassa per attrezzi, o alcuni bambini più grandi chiusi in un sacco di juta. Nel retro del furgone, alcune volte aveva tenuto anche un cane addestrato ad abbaiare quando i soldati nazisti si avvicinavano, coprendo così il pianto dei bambini.
Fuori dal ghetto, la Sendler forniva ai bambini dei falsi documenti con nomi cristiani, e li portava nella campagna, dove li affidava a famiglie cristiane, oppure in alcuni conventi cattolici come quello delle Piccole Ancelle dell'Immacolata a Turkowice e Chotomów. Altri bambini vennero affidati direttamente a preti cattolici che li nascondevano nelle case canoniche. Come lei stessa ricordava
«Ho mandato la maggior parte dei bambini in strutture religiose. Sapevo di poter contare sulle religiose.»
(Irena Sendler nell'articolo: "È morta Irena Sendler: salvò la vita a 2.500 bambini ebrei" su Zenit del 13 maggio 2008[5])

Bambini ebrei nel ghetto di Varsavia
Irena Sendler annotò i veri nomi dei bambini accanto a quelli falsi e seppellì gli elenchi dentro bottiglie e vasetti di marmellata sotto un albero del suo giardino, nella speranza di poter un giorno riconsegnare i bambini ai loro genitori.
«Avrei potuto fare di più. Questo rimpianto non mi lascia mai.»
(Irena Sendler, in una conversazione con Marek Halter a proposito del suo impegno nella Resistenza polacca[6])
Nell'ottobre 1943 la Sendler venne arrestata dalla Gestapo: fu sottoposta a pesanti torture (le vennero fratturate le gambe, tanto che rimase inferma a vita), ma non rivelò il proprio segreto. Condannata a morte, venne salvata dalla rete della resistenza polacca attraverso l'organizzazione clandestina Żegota, che riuscì a corrompere con denaro i soldati tedeschi che avrebbero dovuto condurla all'esecuzione. Il suo nome venne così registrato insieme con quello dei giustiziati, e per i mesi rimanenti della guerra visse nell'anonimato, continuando però a organizzare i tentativi di salvataggio di bambini ebrei.
Terminata la guerra e l'occupazione tedesca, i nomi dei bambini vennero consegnati ad un comitato ebraico, che riuscì a rintracciare circa 2.000 bambini, anche se gran parte delle loro famiglie erano state sterminate a Treblinka e negli altri lager.

Gli anni successivi al conflitto[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la guerra, subì alcune minacce anche dal regime comunista per i suoi contatti con il Governo in esilio della Polonia e l'Armia Krajowa. Dal 1948 al 1968 la Sendler è stata iscritta al Partito Comunista polacco che abbandonò in seguito alle campagne antiebraiche condotte dallo stesso nel marzo del 1968.

La memoria storica dell'opera di Irena Sendler[modifica | modifica wikitesto]


La Sendler con alcune persone da lei salvate quando erano bambini (Varsavia, 2005)
Nel 1965, Irena Sendler venne riconosciuta dallo Yad Vashem di Gerusalemme come una dei Giusti tra le nazioni. Soltanto in quell'occasione il governo comunista le diede il permesso di viaggiare all'estero, per ricevere il riconoscimento in Israele.
La storia della vita della Sendler è stata riscoperta nel 1999 da alcuni studenti di una scuola superiore del Kansas (cfr. il progetto Life in a jar), che hanno lanciato un progetto per fare conoscere la sua vita e il suo operato a livello internazionale.
Nel 2003papa Giovanni Paolo II le inviò una lettera personale lodandola per i suoi sforzi durante la guerra. Il 10 ottobre 2003 essa ricevette la più alta decorazione civile della Polonia, l'Ordine dell'Aquila Bianca, e il premio Jan Karski "Per il coraggio e il cuore", assegnatole dal Centro Americano di Cultura Polacca a Washington D.C.[7]

Scultura in una scuola di Amburgointitolata ad Irena Sendler (2006)
Nel 2007 l'allora Presidente della Repubblica di Polonia Lech Kaczyński, avanzò la proposta al Senato del suo Paese perché fosse proclamata eroe nazionale. Il Senato votò a favore, all'unanimità. Invitata all'atto di omaggio del Senato il 14 maggio dello stesso anno, all'età ormai di 97 anni non fu in grado di lasciare la casa di riposo in cui risiedeva, ma mandò una sua dichiarazione per mezzo di Elżbieta Ficowska, che aveva salvata da bambina.
«Ogni bambino salvato con il mio aiuto è la giustificazione della mia esistenza su questa terra, e non un titolo di gloria»
(Lettera al Parlamento polacco)
Il nome di Irena Sendler venne anche raccomandato dal governo polacco per il premio Nobel per la pace, con l'appoggio ufficiale dello Stato di Israele espresso dal suo primo ministro Ehud Olmert (anche se queste nomine dovrebbero essere mantenute segrete). Alla fine tuttavia, il premio venne assegnato a Al Gore.


Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...