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8.11.25

«Ho sconfitto il cancro grazie alla ricerca e alle cure sperimentali» L’esperienza di Giovanna Manca, vent’anni, nuorese, testimonial dell’Airc: «Vorrei aiutare chi vede tutto nero»

La lotta contro i.l cancro ed i tumori non ha etàe genere . Questa storia di oggi , una delle tante , lo dimostra . Essa è anche una risposta di come le cure sperimentali non sono solo dannose . Ma soprattuytto è , anzi dovrebbe essere , una risposta a chi vede nella sperimentazioni di cure ( vedi vaccino contro il covid ) solo un qualcosa di negativo . Ma ora basta parlare io . Eccovi la storia in questione  .
                                                Sara marci  unione sarda del 7\11\2025

 «Se oggi sono viva è grazie alla ricerca». La diagnosi a sei anni: quella spietata, che ti porta via la leggerezza dell'infanzia e ti ruba i sorrisi. Intanto iniziano le trasferte da Nuoro al Microcitemico di Cagliari e l'appuntamento con la chemio. I capelli vanno via, ciocca dopo ciocca, ma i risultati non arrivano e portano Giovanna Manca e i suoi genitori a bussare alle porte del Bambin Gesù di Roma.
La svolta nella Capitale è una terapia sperimentale. Funziona. Così come funziona il trapianto di midollo che lei, allora bambina, riceve dalla sua sorellina Sofia, di appena tre anni: «Se oggi posso raccontare la mia storia è grazie ai progressi della medicina, grazie all'Airc e ovviamente a mia sorella». Una testimonianza preziosa, a ridosso dal nuovo appuntamento della Fondazione italiana per la ricerca sul cancro, che dopo la tappa al Quirinale torna in piazza ed entra anche nelle scuole con i cioccolatini della ricerca. Ultimo evento del sessantesimo anniversario e occasione imperdibile per fare in modo che le storie di chi ce l'ha fatta diventino sempre di più.
«So che la mia storia può servire a tante famiglie che oggi affrontano ciò che ha vissuto la mia. Spero possa portare un po' di luce e speranza a chi vede tutto nero». C'è la forza e la consapevolezza della malattia sconfitta, nella voce e nel racconto di Giovanna, vent'anni, nuorese, iscritta al secondo anno di Scienze Politiche. La forza di chi ha sconfitto il cancro e scoperto il gusto più amaro della vita in un'età in cui si è forse troppo piccoli per capire ma probabilmente più forti per non pensare al peggio. «Ho iniziato a star male in prima elementare. Avevo sei anni ma ero sempre triste, stanca, con un colorito grigiastro. All'inizio i medici non capirono, parlarono prima di una cistite poi si arrivò alla diagnosi: leucemia linfoblastica acuta, in una forma per quei tempi molto rara. Il giorno dopo mamma e papà mi portarono al Microcitemico». Era il 2012, la chemio e le cure non danno i risultati sperati. I suoi genitori non si rassegnano: continuano a lottare e a cercar risposte. «Mamma scoprì grazie al sito dell'Airc che erano in corso alcune terapie sperimentali. Si mise in contatto con il professor Locatelli del Bambin Gesù, si prese a cuore il nostro caso. Iniziai le cure e poi mi sottoposero a trapianto di midollo che mi donò mia sorella Sofia, risultata compatibile al cento per cento. L'anno dopo, nel 2013, sono ufficialmente guarita e poco per volta mi sono ripresa la vita messa in pausa dal cancro». Dodici anni dopo è la testimonianza vivente che la ricerca è la cura, anche per il cancro.
Quella ricerca che riporta all'Airc, principale organizzazione non profit per la ricerca oncologica indipendente in Italia, e ai sei decenni in prima linea nel rendere le patologie oncologiche più curabili. Anche grazie alla vendita dei cioccolatini, che domani vedrà impegnati migliaia di volontari in centotrenta comuni sardi, con oltre centottanta piazze, quindici scuole e diciotto plessi, dove con una piccola donazione si potrà contribuire a sposare la nobile causa di chi quotidianamente si prodiga nel cercare risposte concrete per far correre la medicina più veloce della malattia che ancora spaventa e porta a 390mila e cento nuovi casi ogni anno. Con la percentuale d'incidenza più alta del tumore al seno, seguita da quello al colon-retto e al polmone. Altra ragione per sostenere la fondazione Airc, così come ha deciso di fare anche il mondo del calcio. Con la serie A che da oggi a domenica inviterà tifosi e appassionati a sostenere il lavoro dei ricercatori. E poi sarà la volta degli Azzurri, a fianco di Airc nelle sfide con Moldavia e Norvegia per accedere ai Mondiali. E nella partita della vita, fuori campo, contro il cancro.

17.6.25

La 14enne di Sala Consilina (Salerno), che era stata insultata dagli hater perché «senza capelli» e che aveva commosso anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è guarita

 
Un anno fa ha scoperto di avere una forma rara di cancro, quello di Wilms, che la colpisce al rene sinistro. Motivo per il quale deve abbandonare anche la scuola per poter seguire ai numerosi cicli di chemioterapia all'ospedale pediatrico Santobono di Napoli.
Perde i capelli, ma non il sorriso e la sua forza. Mentre è ricoverata racconta la sua esperienza con la malattia attraverso i social. Ma, paradossalmente, anziche' trovare sostegno da chi la segue, inizia a ricevere messaggi in forma anonima da parte degli haters quali ad esempio:"Sta pelata", "Non ti odio, ma lo sai che le persone sono tue amiche solo per il cancro di Wilms o cosa hai", "Spero che ci rimani in ospedale".
Lei risponde educatamente agli haters e d'accordo con la madre, rende pubblici questi vergognosi messaggi, ricevendo un'ondata di solidarietà ed i complimenti dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Asia ha una grande passione: suonare il piano. Con la sua musica allieta chi la ascolta e le invia un messaggio la stessa Maria De Filippi, come mostrato da Le Iene, che hanno dedicato alla ragazza più di un servizio.Ma la vittoria più grande Asia la ha quando finalmente guarisce dal cancro. «I'm cancer-free». Un messaggio stringato per annunciare al mondo che Asia ha vinto la sua lotta contro il cancro. La 14enne di Sala Consilina (Salerno), che era stata insultata dagli hater perché «senza capelli» e che aveva commosso anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è guarita dal tumore. E lo ha annunciato su Instagram, proprio la stessa piattaforma che aveva catalizzato l'odio su di lei, una ragazzina che voleva solo raccontare il suo percorso sui social.LA 14enne bullizzata e malata di tumore aveva ricevuto il messaggio di Maria De Filippi: «Non farti fermare dai deficienti».Dopo l'ultimo ciclo di chemioterapia all'ospedale Santobono di Napoli che l'aveva in cura, la malattia è finalmente in remissiva.I capelli sono ricresciuri, Asia ha anche un fidanzato ora. Ma quella bandana che nascondeva la testa pelata per colpa delle cure, continua a conservarla. «La tengo nel cassetto, mi ha accompagnato in tutto questo tempo. È stata con me nei momenti sia brutti che belli», ha detto la ragazza a Le Iene. «Ho fatto i controlli, non ci sono metastasi. E ho fatto post-annuncio su Instagram per dire a tutti che si può guarire e si deve lottare». Nonostante la cattiveria delle persone. 





I capelli sono ricresciuri, Asia ha anche un fidanzato ora. Ma quella bandana che nascondeva la testa pelata per colpa delle cure, continua a conservarla. «La tengo nel cassetto, mi ha accompagnato in tutto questo tempo. È stata con me nei momenti sia brutti che belli», ha detto la ragazza a Le Iene. «Ho fatto i controlli, non ci sono metastasi. E ho fatto post-annuncio su Instagram per dire a tutti che si può guarire e si deve lottare». Nonostante la cattiveria delle persone.Ad Asia ed a tutte le persone giovani o adulte che come lei stanno lottando contro una malattia, va oggi e sempre il nostro pensiero: non mollate mai. La vita è bella e vale la pena che sia vissuta.

27.5.25

DIARIO DI BORDO N 122 ANNO III Daniela Strazzullo uccisa dalla compagna, Vannacci: «Perché quando una donna uccide una donna non si parla di femminilità tossica?», il turismo macabro a Garlasco ., Le cicliste in rosa per il quarto anno percorreranno l’isola in lungo e largo, toccando le principali strutture sanitarie, per sostenere le donne che hanno affrontato la lotta contro il cancro ., e altre storie

 da leggo.it     tramite  https://www.msn.com/it

Daniela Strazzullo uccisa dalla compagna, Vannacci: «Perché quando una donna uccide una donna non si parla di femminilità tossica?»

Le parole di Roberto Vannacci, vicesegretario della Lega e europarlamentare, tornano a far discutere. Questa volta lo fa con un post su Facebook, in cui, commentando la tragedia avvenuta il 23 maggio alla periferia est di Napoli - dove Ilaria Capezzuto ha ucciso la sua compagna Daniela Strazzullo prima di togliersi la vita - mette in discussione il concetto di “femminicidio” e propone un’inedita quanto discutibile categoria: la “femminilità tossica”.
DONNA UCCIDE COMPAGNA: FEMMINILITA' TOSSICA E MATRIARCATO.
Quando un uomo uccide una donna qualcuno lo vorrebbe chiamare femminicidio e si tira in ballo la mascolinità tossica e il patriarcato. Ma quando una donna uccide una donna a causa di una relazione sentimentale (per così dire) come mai nessuno fa paragoni e promuove l'espressione di FEMMINILITA' TOSSICA e il MATRIARCATO?
Quando io dico che una delle cause più accreditate di questo genere di crimini è l'aver educato dei giovani deboli e l'aver elevato la debolezza ad una virtù vengo confermato da queste purtroppo tragiche vicende.
no, spett Vanacci  ,perché il patriarcato è realtà, il matriarcato no. Il femminicidio è un omicidio figlio di una superiorità di genere maschile insita nella cultura e nella società. Quindi va da sé che non si possa parlare di femminilità tossica   e paragonarlo  al femminicidio.

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  corriere  della sera  

La Las Vegas della Lomellina dall'«acqua miracolosa» diventata «luogo del delitto»: quei tour dell'orrore a Garlasco come fu per Erba e Avetrana

di Giorgio Scianna

Prima dell'assassinio di Chiara Poggi Garlasco la conoscevano in pochi.

La cronaca nera ne ha trasformato completamente fisionomia e immaginario collettivo, tra curiosi, sciacalli, questuanti di selfie e personaggi in cerca di fama

 Se per un paese di meno di diecimila abitanti finire all’improvviso sotto i riflettori del circo mediatico per un fatto di sangue è un’ubriacatura dolorosa, ricaderci mani e piedi a distanza di diciott’anni è un trauma, il riaprirsi di una cicatrice che non si sa quando potrà rimarginarsi. E poi c’è il fastidio che il proprio mondo, tutto il proprio mondo, si liofilizzi in un’espressione: il luogo del delitto. È successo ad Avetrana, è successo a Erba. Nessuno vuole diventare — o peggio ancora ridiventare — una meta di horror tour. Garlasco prima del 13 agosto 2007, il giorno del delitto di Chiara Poggi, la conoscevano in pochi. Eppure non è mai stato un paese come un altro.Quando ero ragazzo lo chiamavamo la Las Vegas della Lomellina, un ossimoro bello e buono. La Lomellina significa risaie, pioppi e rane, un’area agricola piantata nel mezzo della pianura padana industriale, campagna vera, profonda che pare a mille miglia dalle grandi città. Eppure — anche se non ci sono le luci e i casinò del Nevada — la storica discoteca delle Rotonde è sempre stata lì, così come le piscine con i trampolini, le birrerie e i ristoranti.Insomma era — e un po’ lo è ancora — un cortocircuito tra mondo contadino e divertimentificio, tra pop e arcaico. A pochi chilometri da lì c’è il santuario della Madonna della Bozzola dove anni fa centinaia di persone accorrevano ogni settimana per seguire i riti di liberazione dal maligno e dalle maledizioni. Nel 2009 si è sparsa la voce che in una cascina lì vicino zampillasse una fonte miracolosa, così migliaia di persone hanno finito per paralizzare la strada provinciale con le loro taniche. Le voci incontrollate di guarigioni da malattie della pelle e dal fuoco di Sant’Antonio sono andate avanti finché non è intervenuta l’Asl dichiarando che le acque presentavano una concentrazione talmente alta di una sostanza erbicida da non essere nemmeno potabili. Bizzarrie finite nel cassetto dei ricordi e del folklore. Per lo più Garlasco è un posto tranquillo dove si è sempre vissuto bene. La cronaca nera adesso ha invaso tutto, l’unico fondale di Garlasco impresso nell’immaginario collettivo è quello delle villette di buona fattura ai lati delle strade che sono diventate luogo del delitto, fotogramma fisso alle spalle dei cronisti nei telegiornali nazionali e icone macabre dei social. Un destino strano per Garlasco, che credo abbia, come tutti i paesi intorno, una vocazione alla discrezione. La conosco quella gente — in un paese poco distante ci sono cresciuto e ora vivo a uno sputo da lì — si sente da queste parti l’aria della Lombardia che si infila nel Piemonte. A parte i protagonismi di qualche balordo, c’è poco gusto per i riflettori, c’è una tendenza piuttosto alla vita defilata, nascosta tra i pochi amici di sempre e le serate al pub quando si è ragazzi e un pendolarismo su Milano quando si diventa adulti, senza mai tagliare il cordone con il paese.Delle frasi in pubblico della madre di Chiara, anche nel momento del precipitare delle immagini, ricordo solo parole ispirate a una compostezza assoluta. A qualcuno potranno essere sembrate strane, per me era naturale, una compostezza naturale, imprescindibile anche nella tragedia. Ne conosco di donne così, e di uomini così, io stesso sono cresciuto impastato con quella pasta.Certo, questa discrezione della vita di una provincia piccolissima può essere una trappola, a volte: da ragazzi, ma anche da adulti, preferiamo vivere vizi e virtù nascostamente. Conoscere l’altro in provincia è forse più complicato — e in alcune province come la mia forse lo è ancora di più — sarà per quello che i migliori scrittori e i migliori registi imparentati col noir e col poliziesco ambientano spesso le loro storie in centri piccoli. Questo non c’entra niente con le indagini di questo caso, c’entra con la difficoltà di afferrare le storie che vivono a queste latitudini.L’altro giorno il corso di Pavia era intasato da un gran numero di curiosi davanti al Tribunale: c’era Fabrizio Corona che faceva le sue rivelazioni, c’erano le tv… Non so quanto andrà avanti tutto questo. Sarà una mia impressione, ma oggi mi sembra che il centro della questione e della chiacchiera non sia più tanto nella lotta tra le fazioni di innocentisti e colpevolisti rispetto alle persone coinvolte.Quello che sconvolge è vedere un film già visto con i giornalisti appostati ancora in quelle tre strade del paese mentre le nuove ipotesi investigative rilanciate dai media sembrano non avere confini. C’è costernazione per una parola fine che non arriva mai.C’è, più di ogni altra cosa, urgenza di sapere che giustizia è stata fatta, qualsiasi questa giustizia sia. È innegabile che intorno a noi sia scoppiata una fiammata di curiosità, tanto improvvisa quanto forse fragile, come capita a ogni fuoco che si riaccende dalla brace dopo troppo tempo.Ma alla fine c’è l’augurio di tutti di arrivare a una verità inconfutabile, e forse l’augurio di qualcuno di trovare solo un po’ di pace.


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  fonti  www. unionesarda.it ,https://www.logudorolive.it/

Pink Flamingos, sport e solidarietà con il giro della Sardegna in bicicletta

Partenza domani alle 8.30 dall’Ospedale Businco di Cagliari, arrivo sabato 31 a Molentargius



Le cicliste in rosa per il quarto anno percorreranno l’isola in lungo e largo, toccando le principali strutture sanitarie, per sostenere le donne che hanno affrontato la lotta contro il cancro.Sport e solidarietà, con tanta voglia di sano agonismo e di godersi tante splendide cartoline di Sardegna. Alla prima edizione del 2022 sono partite in 8, ma domani saranno 18 le cicliste che, alle ore 8.30, si ritroveranno davanti all’Ospedale Oncologico Businco di Cagliari per dar inizio al nuovo Tour, pronte ad accogliere lungo il percorso altre cicliste che hanno affrontato e superato un tumore o vogliono prevenire la malattia.Come si legge in un comunicato stampa, la manifestazione ciclistica a tappe organizzata dalla ASD Flamingos’s Roads ha tre forti e ambiziosi obiettivi:


1) Convincere tutte le donne che sebbene l’incontro con il cancro sia un trauma, è sempre possibile andare avanti e riprendersi pienamente, anche e soprattutto salendo in bicicletta, che si rivela un mezzo potentissimo per combattere questa terribile malattia. Pedalare sotto il sole e lungo le meravigliose strade panoramiche della nostra amata Sardegna, aiuta a contrastare la depressione e l’ansia, favorisce il recupero fisico e psicologico, migliora la qualità della vita e regala una meravigliosa sensazione di benessere;
2) Stimolare tutte le donne che, fortunatamente, la malattia non l’hanno vissuta, alla prevenzione, invitandole a seguire un’alimentazione sana e a praticare una regolare attività sportiva, in particolare il ciclismo. Pedalare permette di mantenere un peso corporeo sano,riduce i fattori di rischio per lo sviluppo di diverse tipologie di cancro, in particolare stimola il sistema immunitario, aumentando la produzione di globuli bianchi e anticorpi che aiutano a combattere le cellule tumorali; inoltre, l’attività favorisce la riduzione dei livelli di estrogeni, ormone coinvolto nello sviluppo di alcuni tumori, come quelli al seno e all’utero;
3) Incoraggiare nuove donazioni e contributi per acquistare un terzo casco refrigerante (macchinario di ultima generazione in grado di impedire la caduta dei capelli durante la chemioterapia) da donare ad un’altra struttura oncologica sarda dopo quelli già regalati all’Ospedale di Alghero (Tour del 2023) e di Lanusei (Tour 2024).

Le tappe – Domenica 25 maggio è in programma la Cagliari-Oristano di 103 km (si toccherà anche il Centro Oncologico dell’Ospedale di San Gavino Monreale).

Lunedì 26 maggio sarà la volta della Oristano-Alghero di 110 km. Sarà l'appuntamento più impegnativo della settimana perché dopo aver superato le pianure del Sinis, le cicliste affronteranno la lunga salita verso Cuglieri per poi tornare al mare di Bosa e quindi percorrere la strada litoranea con i numerosi e ripidi saliscendi fino ad Alghero.

Martedì 27 maggio poi c’è la giornata ciclistica programmata in due semitappe: la prima sarà relativamente facile e pianeggiante (Alghero-Sassari di 36 km), ma dopo i previsti incontri con le Autorità cittadine e sanitarie, di vorrà proseguire nel primissimo pomeriggio per altri 64 km ben più impegnativi che porteranno all’Ospedale di Ozieri.

Mercoledì 28 maggio c’è la Ozieri-Olbia di 70 km. Giovedì 29 maggio la Olbia-Nuoro di 108 km ha come spauracchio finale la salita finale della “Solitudine”.

Venerdì 30 maggio sarà la volta della Nuoro-Lanusei, 70 km: una tappa relativamente breve che prevede però il superamento del punto più alto dell’intera settimana, i 1.062 metri della Galleria di Correboi, tra i monti del Gennargentu.

Sabato 31 maggio è in programma l’ultima tappa, la più lunga: Lanusei-Cagliari di ben 137 km. Si dovrà affrontare la salita di Campu Omu per poi scendere verso il mare di Flumini da dove, negli ultimi quindici chilometri sul Lungomare Poetto, si potrà finalmente iniziare a vivere la soddisfazione di aver portato a termine un’impresa vissuta in un'intensa settimana di pedalate e solidarietà.
LA FINALITA’. Condividere traguardi, stimolare nuove modalità di vita quotidiana, accrescere il valore dell’attività sportiva all’aria aperta. E ancora: essere d’esempio per le altre donne vittime della malattia. Sono questi i capisaldi del progetto “Pink Flamingos”. Durante la sette giorni sarà attiva anche una raccolta fondi per l’acquisto di un ecografo portatile che possa essere trasportato nelle varie parti dell’isola. Le donazioni potranno essere fatte con bonifico bancario intestato a ASD Flamingo’s Roads APS – IBAN: IT12F0103004800000003400350 – con causale: “Pink Flamingos”. 
Il “gemellaggio” – «Sarà il quarto anno di un ideale gemellaggio tra noi e gli ospedali oncologici presenti nel territori», evidenzia Cristina Concas, presidente/ciclista della ASD Flamingo’s Roads. «Con la nostra avventura vorremmo unirli idealmente in un viaggio che dal capoluogo toccherà tutte le strutture di riferimento dell'Isola». «Arriveremo a Molentargius, tra il rosa dei fenicotteri, dove gli splendidi volatili hanno trovato la sicurezza di una casa e di ambiente ideale per la loro esistenza. Un po' come il cammino di chi è riuscito, a fatica e con grande forza d’animo, a sconfiggere il cancro».I patrocini – L’iniziativa gode del patrocinio della Presidenza della Regione Sardegna, della Città Metropolitana di Cagliari e di tutti i Comuni coinvolti. Per informazioni: 349/448.9700, pinkflamingosbike@gmail.com


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repubblica 

Aggredita con il coltello  Mustafa la salva dall’ex  “Urlava, voleva ammazzarla”

Ho sentito le sue grida mentre ero a lavoro. Urlava e chiedeva aiuto. Così sono corso da lei per salvarla». Un agguato in mezzo a un parcheggio a Prato che rischiava di essere l’ennesimo femminicidio se non fosse stato per l’intervento coraggioso di Mustafa, egiziano di 25 anni, e di altri due ventenninordafricani, un ragazzo e una ragazza, accorsi per liberare una professoressa di 52 anni dalla morsa feroce del suo ex compagno, 35 anni e residente a Pistoia, che stava tentando di soffocarla. «Lui ha cercato di ammazzarla: le voleva mettere un sacchetto attorno alla testa e l’ha picchiata: aveva il volto insanguinato quando sono arrivato» racconta ancora Mustafa, «in Italia da tredici anni, prima a Livorno e ora, da due anni, a Prato» dove lavora come dipendente di un autolavaggio in un distributore di benzina. Era lì, accanto ai rulli rotanti e alle auto in coda, quando martedì mattina, pochi minuti dopo le 9, ha sentito le grida della professoressa. Si è fiondato da lei. E non è indietreggiato neppure quando l’uomo ha brandito una lama. Poco dopo sono arrivati anche gli altri due giovani: «Aveva un coltello — aggiunge il venticinquenne — ma non ho avuto paura: in quella situazione, quello che ho fatto assieme agli altri due ragazzi è stato normale. Per fortuna siamo riusciti a liberarla, lei dopo ci ha ringraziato». Quella mattina la donna, mentre si spostava in auto, aveva notato di essere seguita dall’ex compagno. Sperando di essere al sicuro, si è fermata nel parcheggio di un centro commerciale cittadino. Ma l’uomo ha accostato, è sceso dalla macchina, ha iniziato a colpirla con un bastone e poi ha tentato di soffocarla con un sacchetto di nylon fino all’arrivo dei tre giovani che lo hanno costretto alla fuga. Più tardi è stato rintracciato al pronto soccorso di Pistoia, dopo essersi inflitto da solo alcune ferite. Il trentacinquenne, ha raccontato la donna, si sarebbe scagliato con rabbia contro di lei dopo l’ennesimo rifiuto di riallacciare la relazione. «Il coraggioso intervento dei tre cittadini stranieri, rivelatosi decisivo per salvare la vittima — sottolinea Luca Tescaroli, procuratore capo di Prato — costituisce un’icastica rappresentazione di integrazione con la comunità italiana». La docente, che ha riportato dieci giorni di prognosi, ha spiegato che la furia dell’uomo non si sarebbe fermata «fino alle estreme consegu

enze». L’aggressore è stato arrestato per atti persecutori e lesioni personali aggravate .

Ennesima dimostrazione che la bontà e la cattiveria non hanno etnia, ma albergano nell’animo umano di qualunque razza o colore. Sarebbe ora sfatare la falsa retorica che gli immigrati, specie quelli di colore, siano tutti criminali. Ringraziamo Mustafa e i colleghi qui con lui hanno evitatoquesta ennesima tragedia.

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10.10.24

«Mi rimanevano 3 anni da vivere a causa di un tumore terminale, ma una nuova passione mi ha rimesso al mondo»

 Un tumore terminale che le lasciava tre anni di vita: «Pensavo che la mia vita fosse finita», ricorda la giovane mamma con angoscia. Poi qualcosa è cambiato e una nuova passione le ha permesso di rinascere, di riprendere in mano il suo futuro e combattere per rimanere il più a lungo

possibile con la sua famiglia, per veder crescere i suoi figli e trovare la felicità, giorno dopo giorno. Ora Michelle sogna di diventare un'atleta e partecipare al triathlon, nonostante non sapesse né nuotare né andare in bici, e questo obiettivo le ha dato modo di esplorare una nuova prospettiva: «Il cancro non mi definisce».

Il viaggio di Michelle

Michelle Hughes aveva 34 anni quando, dopo la nascita del suo terzo figlio, è collassata in casa. Non ci è voluto molto per la diagnosi: numerosi tumori ai polmoni e 15 cisti al fegato. Inoperabili. I dottori le hanno detto che le rimanevano tre anni. La prima reazione è stata terribile: «Improvvisamente ho perso la vita che avevo immaginato per me e la mia famiglia». Poi un sogno l'ha fatta uscire dal tunnel e ha iniziato un percorso per diventare una triatleta, pur non essendosi mai dedicata né alla corsa né al nuoto. Eppure da allora ha preso parte a 12 eventi podistici, tra cui una mezza maratona. Ad agosto ha completato un mezzo triathlon - come riporta il DailyMail - ripercorrendo il tragitto dall'ospedale dove ha ricevuto la diagnosi fino alla sua casa estiva. Proprio quest'impresa è stata trasformata in un breve documentario. Sui social scrive: «Tenevo in braccio il mio bebè di tre settimane ed ero seduta accanto a mio marito quando l'oncologo ha detto che mi restavano cinque anni di vita, probabilmente tre. Le mie bambine avevano cinque e due anni all'epoca». La consapevolezza di non avere molto tempo a sua disposizione l'ha spinta a vivere il più intensamente possibile: «Non avevo capito, allora, che la mia vita era appena iniziata. Mi era stato fatto il dono di sapere che sarebbe stata più breve di quella di molti altri, e dovevo smettere di stare seduta ad aspettare la morte». Alla Michelle è stato diagnosticato un raro sarcoma chiamato emangioendotelioma epitelioide (EHE), che ha origine nelle cellule che rivestono i vasi sanguigni, più comune tra i giovani, gli adulti di mezza età e le donne.Oggi ha 37 anni, sono passati tre anni dalla diagnosi, e ha realizzato il suo sogno: «A tutti i miei compagni che lottano contro il cancro, ai ai sopravvissuti, ai vincitori e a quelli che il cancro ha rubato, lo faccio per voi. Per noi. Ora sono una triatleta».

18.1.23

in una regione in cui la sanità pubblica e ormai in mano ai privati Una notizia bella, da un ospedale sardo…

 da   Maria Giuseppina Careddu 


Il casco refrigerante per chi fa chemioterapia e permette di non perdere i capelli…… due pazienti sulle tante , potranno usufruirne: grazie a contributi pubblici e privati! Elogio e plauso a chi ha permesso questa opportunità. Con l’augurio che diventino di più e che tutte le donne possano usufruirne


In realtà perdere i capelli è nulla , di fronte al rischio di perdere la vita…
Ma è un trauma, perché rende visibile la fragilità della malattia a tutti…
Un trauma, pur sapendo che poi i capelli ricrescono…
🌺
Esiste ancora la generosa comprensione!
❤️❤️❤️👏🏽👏🏽👏🏽❤️❤️❤️

5.1.23

laura '75 dopo aver sconfitto un tumore ha fatto karate è arrivata a conseguire la cintura blu.

 Dall'account stesso della protagonista

Laura, classe 75, ha iniziato a praticare il Karate non più giovanissima, nonostante ciò dopo un percorso di formazione costante è arrivata a conseguire la cintura blu. Una strada non sempre facile considerando varie problematiche legate anche a problemi di salute seri a cui è dovuta andare incontro durante questo cammino. Un tragitto di grandi insegnamenti che, grazie al supporto dei due tecnici del "Martial Club Tempio Pausania" : Giuliano Addis e Pietro Manueddu, è riuscita a portare avanti nonostante le difficoltà. Questa esperienza vuole essere una testimonianza per tutte quelle persone che pensano non sia possibile seguire un percorso formativo, come quello del Karate, in età adulta e un'esortazione affinché si portino avanti i propri obbiettivi con determinazione e assiduità. Quello che sento di dire a tutte le persone che affrontano una difficoltà è di non arrendersi mai davanti ai problemi, fissare degli obiettivi e portarli a termine seguendo la propria linea di pensiero e concentrandosi sul traguardo da raggiungere.

24.12.22

la storia di Annalisa sanna Sconfigge il tumore e riprende a cavalcare l’abbraccio ai medici dalla sella di Macrusa

 Sassari «Sono qui per dimostrare alle pazienti del reparto di Oncologia che c’è sempre un domani dopo la malattia». Si asciuga le lacrime che per l’emozione le scendono sul viso Annalisa, poi con dolcezza bacia e riempie di carezze sulla criniera la sua Macrusa, la cavalla purosangue inglese che ha avuto un ruolo da protagonista nel suo viaggio di ritorno verso una vita normale, dopo l’incubo del tumore, la chemioterapia e l’intervento al seno. Ha voluto regalare a tutti un messaggio di speranza e di incoraggiamento ieri mattina Annalisa Sanna, sassarese di 41 anni, operata nel 2017 per un tumore alla

mammella dai medici del reparto di Oncologia del “Santissima Annunziata” di Sassari e ora tornata a sorridere e a cavalcare dopo la grande paura. A metà mattina insieme a tre amici della scuola di equitazione “Associazione Ippica il Monello” di Sant’Orsola la 41enne ha indossato un costume da elfo e si è diretta al trotto verso l’ingresso dell’ospedale di via De Nicola per portare un piccolo dono a chi sta affrontando le cure alle quali lei si era sottoposta cinque anni fa. Scortati dagli agenti della polizia locale i tre elfi e babbo natale a cavallo sono partiti dalla chiesa di San Pietro in Silki e hanno raggiunto al trotto - tra lo stupore de passanti - l’ingresso dell’ospedale. Ad accoglierli il direttore del reparto di Oncologia Medica Antonio Pazzona, il presidente dell’associazione “Mariangela Pinna Onlus” Antonio Contu e tutti i medici, gli infermieri e il personale del reparto. «Ho attraversato un periodo di grande difficoltà e di paura - racconta Annalisa - eppure qui in ospedale ho trovato non solo ottimi medici che mi hanno curata e che ancora seguono il mio percorso terapeutico, ma una grandissima umanità e tantissime persone speciali. Per questo - aggiunge - ho voluto riabbracciare chi mi ha restituito la speranza e dire a chi sta lottando con il tumore che c’è sempre un domani e che non bisogna mai arrendersi». Appassionata di cavalli sin da bambina, Annalisa ha vissuto un periodo della sua vita in Inghilterra e anche lì ha continuato a cavalcare. Quando nel 2017 ha scoperto di avere un tumore è stato naturale per lei cercare un supporto, anche psicologico, nel mondo dell’equitazione. «È stato proprio nell’associazione Ippica il Monello - racconta - che ho incontrato la mia Macrusa, una splendida cavalla di 17 anni che è stata sempre al mio fianco anche durante la malattia. Due mesi fa ho subito un secondo intervento per la sostituzione della protesi - spiega la donna - e anche se i medici non erano proprio favorevoli ad accelerare i tempi, dopo un mese ho ripreso ad andare a cavallo, che è un cosa che mi fa sentire bene. E anche grazie a Macrusa - aggiunge accarezzandola con amore - se oggi ho ripreso a sorridere».  Inoltre  





3.10.22

Scopre di essere incinta e di avere un tumore nello stesso giorno. Nasce la bimba, lei muore a 36 anni

 in sottofondo 
wise  one -   gli anelli del potere  Stagione 1 

 dalla  èagi.na F acebook    La sensibilità dell'anima  appendice  di https://lasensibilitadellanima.blogspot.com/

È una storia d’amore e di speranza quella di Elisabetta e di suo marito Matteo. Lei è morta di tumore lo scorso luglio a 36 anni, lui ha deciso di raccontare la loro storia per dire “a chi sta combattendo la stessa guerra di non arrendersi”. A raccogliere il racconto di Matteo Grotti è il quotidiano Ravenna Today.
Matteo Grotti, 35enne originario di Rontagnano, nel Cesenate, vive a San Zaccaria. Il 31 luglio scorso ha vissuto il giorno più brutto della sua vita: sua moglie, la 36enne ravennate Elisabetta Socci, è morta a causa di un tumore che le era stato diagnosticato un anno e 5 mesi prima. Elisabetta muore lasciando sua figlia Cecilia, di soli 10 mesi. Elisabetta – Elisa per suo marito – e Matteo si erano conosciuti nel 2015 al matrimonio di un amico in comune: si innamorano e dopo un anno e mezzo vanno a vivere insieme. Poi, nel 2018, il matrimonio. La loro era una vita tranquilla: lei lavorava come architetto a Cervia, lui come magazziniere a Pievesestina. Provano ad avere un figlio, che inizialmente non arriva. Poi nel giorno del suo compleanno, nel 2021, Elisabetta si accorge di avere un nodulo al seno. È un tumore maligno. "Ci è caduto il mondo addosso – ha raccontato Matteo – In ospedale a Forlì le hanno prescritto alcuni esami e le hanno detto di fare prima un test di gravidanza per accertarsi che non fosse incinta. Figurati, ci avevamo provato per due anni…". E invece, quello stesso giorno in cui scopre di avere un tumore, la giovane donna fa il test di gravidanza che dà esito positivo. Elisabetta viene subito operata per cercare di rimuovere il tumore. "Non ha mai vacillato un attimo, era convinta che la gravidanza fosse la luce in questo periodo di tenebre e, nonostante tutto, ha scelto di portarla a termine e di curarsi, seppur parzialmente, con terapie che non danneggiassero una creatura così intensamente desiderata. Prima dell'operazione ci hanno fatto vedere la bambina, anche se essendo a una settimana di gravidanza era appena un puntino, perché ci hanno detto che c'era la possibilità di perderla. E invece così non è stato. I medici sono stati bravissimi a trovare una soluzione per operare mia moglie salvando al contempo nostra figlia”. Ma purtroppo l’intervento non basta, il tumore c’è ancora e lei, al terzo mese di gravidanza, inizia la chemioterapia. A otto mesi nasce la piccola e poco dopo subisce la mastectomia totale. “Ma al primo esame scopriamo che la malattia era migrata: il tumore si era esteso al fegato. Ogni volta che facevamo un esame e andava male lei diceva ‘Andrà meglio il prossimo, non può sempre andare male’. Quindi abbiamo sempre vissuto nella speranza, perché si può sperare e continuare a vivere anche se poi il finale è brutto. E lei ha fatto così, sempre godendosi il presente, tutti sapevano che era malata ma ci ha fatto vivere il periodo della sua malattia come se non fosse nulla, è stata una guerriera. Elisa ha continuato con le terapie, ma il cancro non si è mai fermato. Fino a quando il 31 luglio scorso, dopo un anno e 5 mesi dalla diagnosi, si è spenta”, il racconto del marito.

Che ora si ritrova a crescere senza la sua compagna la loro bambina tanto desiderata. “A 35 anni non bisognerebbe mai vedere la morte della propria moglie, crescere una figlia da soli e sapere che non potrà mai davvero sentire l'affetto di sua madre”, le parole del giovane papà, che ha detto di voler crescere sua figlia ricordandole “sempre della madre fantastica che ha avuto e soprattutto dire al mondo intero quanto fosse speciale”.
E se oggi Matteo ha deciso di raccontare la loro storia è perché spera di aiutare le persone che stanno vivendo una situazione simile. "Non voglio raccontare tutto questo per ricevere compassione o pietà, ma solo per dire a chi sta combattendo la stessa guerra di non arrendersi. Combattete come ha fatto Elisa. Si può vivere felici anche nella malattia, provando ogni tanto a dimenticarsela, a stare bene e a fare cose normali”.

da repubblica online

RAVENNA - Una storia d'amore e di morte, di malattia e coraggio. Di speranza, nonostante tutto. E' la storia di Elisabetta Socci, morta di tumore lo scorso luglio a 36 anni, e di suo marito Matteo Grotti che ha deciso di raccontarla. Non per ricevere compassione, non per muovere a pietà. "A 35 anni non bisognerebbe mai vedere la morte della propria moglie, crescere una figlia da soli e sapere che non potrà mai davvero sentire l'affetto di sua madre - dice - Ma voglio dire  a chi sta combattendo la stessa guerra di non arrendersi. Combattete come ha fatto Elisabetta. Si può vivere felici anche nella malattia, provando ogni tanto a dimenticarsela, a stare bene e a fare cose normali. Pensare: forse questa cosa non potrò farla domani, e allora facciamola oggi". 

Elisabetta Socci e Matteo Grotti il giorno del matrimonio (da Facebook) 

La storia è stata raccolta da Chiara Tadini di Ravenna Today. Lei architetto a Cervia, lui magazziniere originario di Rontagnano, nel Cesenate. Si conoscono a un matrimonio di un amico comune, si innamorano. Una volta sposati vanno a vivere San Zaccaria nel comune di Ravenna. Sono felici, hanno la vita davanti. Poi arriva il giorno nero: la diagnosi di tumore che Elisabetta riceve nello stesso giorno in cui scopre di essere incinta. Da lì comincia la sua battaglia che combatte facendo, lei, coraggio a tutti. Al terzo mese di gravidanza inizia la chemioterapia e a otto mesi dà alla luce una bellissima bambina. Racconta Matteo a Ravenna Today: "Non ha mai vaccilato un attimo, era convinta che la gravidanza fosse la luce in questo periodo di tenebre e, nonostante tutto, ha scelto di portarla a termine e di curarsi, seppur parzialmente, con terapie che non danneggiassero una creatura così intensamente desiderata".Dopo un anno e cinque mesi, quando la piccola ha 10 mesi, Elisabetta non ce la fa. E Matteo, a 35 anni, si ritrova a dover crescere sua figlia da solo. "La crescerò raccontandole quanto sua madre fosse speciale. Abbiamo sempre vissuto nella speranza, perchè si può sperare e continuare a vivere anche se poi il finale è brutto. E lei ha fatto così, sempre godendosi il presente, tutti sapevano che era malata ma ci ha fatto vivere il periodo della sua malattia come se non fosse nulla, è stata una guerriera". Il messaggio che ora Matteo vuole dare: non arrendersi.



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