SASSARI Bambini adottati che cercano la loro madre naturale e i loro fratelli. Gemelli separati alla nascita, qualcuno dato per morto e invece consegnato a un'altra famiglia. Fratellastri e sorellastre, mai riconosciuti dai genitori e spuntati per caso grazie a una fotografia ingiallita. Ancora: cugini e zii, amici d'infanzia, tate, madrine e padrini, ma anche persone conosciute per caso in circostanze particolari e di cui negli anni è rimasto un dolce ricordo e la voglia di riabbracciarle. È un condensato di speranza, amore e nostalgia la pagina
Facebook "Ti Cerco, appelli di persone che cercano le loro origini e i propri cari", un contenitore di storie, spesso molto dolorose, che cercano un lieto fine. Come l'abbraccio tra un padre e un figlio, separati all'improvviso e che grazie al tam tam sui social, alla condivisione degli appelli riescono a ritrovarsi. Questo concentrato di umanità solidale nato nel 2016 per volontà di tre amiche, una delle quali sarde, vanta oggi più di 263mila follower: persone che fanno a gara per aiutarsi a vicenda, tirando fuori indizi, ricordi, foto in bianco e nero, nomi ed eventi indispensabili per rimettere insieme i pezzi di puzzle intricati. "In quella strada abitava tizio", "a quell'indirizzo c'era un negozio di alimentari", "la signora che cerchi aveva una sorella, si chiamava Maria" , in una catena di informazioni preziose per chiudere il cerchio e centrare l'obiettivo. Tra i tantissimi appelli, molti arrivano o partono dalla Sardegna: sopra alcuni compare la parola "chiuso" e significa che il lieto fine agognato è arrivato, molti di più invece quelli ancora aperti. Vuol dire che bisogna cercare, scavare, per riuscire a riannodare i fili di storie spezzate e regalare gioia a chi aspetta con il cuore in gola.
Ecco tre vicende di cui si occupa il sito
I primi dubbi da ragazzina, le domande alla mamma, poi la scoperta: Cinzia è stata adottata quando non aveva ancora compiuto 3 anni. Oggi, che di anni ne ha 60, cerca di ricostruire le sue origini. «È un desiderio
che ho sempre avuto - Nonostante la mia famiglia non mi abbia mai fatto mancare niente, mi sento incompleta, una sensazione difficile da descrivere». E allora, per colmare il vuoto, Cinzia ha fatto un appello nel gruppo Facebook, con il prezioso sostegno di sua figlia Elena. «Mia madre è nata a Sassari in via Rosello il 9 agosto del 1961. È stata battezzata con il nome Cinzia Albani: quando i miei nonni la adottarono decisero di lasciare lo stesso nome, il suo cognome è invece Sanna. Il battesimo fu celebrato l'indomani della sua nascita nella chiesa di San Giuseppe da don Sebastiano Era. La sua madrina fu l'ostetrica. Abbiamo saputo che entrambi sono morti». Cinzia è stata adottata da una coppia di Oniferi, in provincia di Nuoro, e qui ha trascorso la sua vita. «Mia madre aveva già provato a fare delle ricerche - racconta Elena - ma si è scontrata con la resistenza di mia nonna, sua madre adottiva. Poi c'era il diritto alla riservatezza che tutelava i genitori biologici. E chi poteva fornire informazioni era già morto. Mia nonna è stata una buona madre per la mia - spiega Elena - ma non voleva che cercasse i suoi genitori biologici: mia madre ricorda di aver visto una foto che ritraeva lei da piccola all'interno dell'orfanotrofio e altri documenti che ora non si trovano più. Sicuramente mia nonna ha fatto sparire tutto. Per quanto riguarda la privacy, la legge è cambiata, abbiamo il diritto di conoscere le origini biologiche. Noi per ora proviamo tramite social, con la speranza che qualcuno si faccia sentire». Ci sono vari indizi e nomi che possono aiutare a ricostruire la storia. Una figura chiave è quella di Peppina. «Era un'amica di mia nonna, anche lei di Oniferi, ma abitava a Sassari. Fu Peppina a fare da tramite tra l'orfanotrofio e mia nonna. Peppina sicuramente sapeva tante cose, ma mantenne il segreto. Solo quando mia nonna morì, Peppina cercò mia madre: le disse che doveva parlarle. Ma morì prima di poterlo fare. L'unica cosa che mia madre riuscì ad ottenere, grazie a uno dei figli, era una lettera indirizzata a Peppina. Datata 7 gennaio 1963, c'era scritto che due famiglie di Oniferi potevano andare a vedere le bambine richieste al brefotrofio. Il cognome di una famiglia era Sanna. Il mittente della lettera era Francesco S., l'indirizzo riportato via Bellini 10». L'altra informazione è il cognome del direttore dell'orfanotrofio: si chiamava Piana. «Mia madre è stata affidata a mia nonna il 4 febbraio del 1964, fu mia nonna a raccontarlo. Andò lei a prenderla a Sassari e quel giorno nevicava: i pullman non viaggiavano, non poterono fare subito rientro in paese e le ospitò una famiglia di Oniferi residente a Sassari». Dopo la condivisione su Facebook, sono arrivati indizi importanti. «Tra i pochi appunti in mano a mia madre c'è scritto "Salette, via delle Conce". Mamma pensava fosse il nome e la via dell'orfanotrofio, invece risulta essere il nome di una signora che aveva un negozio di alimentari nella via in cui è nata mia madre (via Rosello), e viveva in via delle Conce. Il marito di Salette si chiamava Tonino faceva la guardia carceraria». Chi è la signora Salette? Potrebbe essere la madre biologica di Cinzia? O forse sa qualcosa? Lei aspetta, forse il rebus è a un passo dalla soluzione.
Anche Raimondo spera di rincontrare il suo fratello gemello dato per morto alla nascita
Era stata l'ostetrica a convincerla a non partorire in casa, perché sicuramente uno dei gemelli che aspettava sarebbe nato con gravi malformazioni, probabilmente non sarebbe sopravvissuto. Le spiegò che durante un controllo - l'ecografia al tempo non si faceva - era certa di avere procurato un danno agli occhi a uno dei bambini. Nel sentire queste parole la signora Maria Pilu, di Bono ma residente a Sassari, accettò di farsi ricoverare nella clinica privata Sant'Anna, in viale Mameli a Sassari. E lì il 29 novembre del 1959, partorì dopo il taglio cesareo due maschietti per i quali aveva già scelto i nomi: Giovanni e Raimondo, Pilo il cognome. Ma uno dei due la signora Maria non potè mai abbracciarlo, perché l'ostetrica le disse che - come lei stessa aveva previsto - era nato morto. «Non glielo fecero neppure vedere, nonostante le ripetute richieste - racconta la nuora Vilma, moglie del gemello "sopravvissuto" - mia suocera per tutta la vita pensò che le avessero detto una bugia, che il bimbo fosse nato vivo e che fosse stato affidato a un'altra famiglia. Morì nel 2013 con questo grande dolore».
Oggi Vilma, insieme al marito «ha entrambi i nomi, Raimondo e Giovanni, tutti lo conoscono come Raimondo ma in famiglia lo chiamiamo Gianni» vuole andare a fondo di questa storia «per capire se l'ostetrica e i medici della clinica dissero la verità oppure se mio marito ha un fratello gemello chissà dove». Per questo qualche giorno fa ha pubblicato un appello sul gruppo Facebook "Ti cerco", nel quale racconta la storia e chiede aiuto. I dubbi sono tantissimi. Il primo è legato «all'insistenza dell'ostetrica, che convinse mia suocera ad andare in clinica, facendo leva sulla sua ignoranza e sul fatto che in precedenza aveva già avuto un aborto e dunque era spaventata. Ma la stranezza maggiore è un'altra. Quando si risvegliò dal cesareo e la portarono in stanza, mia suocera ricevette gli auguri e le congratulazioni delle compagne di stanza. Le dissero "complimenti, hai avuto due bimbi bellissimi", aggiunsero che uno aveva pesato 3 chili e duecento grammi e l'altro 3 quattrocento. Lei era felice e rimase scioccata quando l'infermiera entrò in stanza con un solo bambino. E l'altro? «Non ce l'ha fatta. Non ci pensare, sta bene dove sta». Lei insisteva, pregava di farglielo vedere, almeno per salutarlo e accompagnarlo al cimitero: l'ostetrica e il medico scuotevano la testa «pensi a riprendersi, vada avanti». E così il marito: «Mio suocero aveva lo stesso atteggiamento. Alla moglie diceva cose del tipo "non ci pensare", "sta meglio dov'è" e chiudeva il discorso». Ma una insolita disponibilità economica nei giorni immediatamente successivi al parto, insospettì Maria: «La loro famiglia era umile, mio suocero faceva il portantino alla stazione - dice Vilma - improvvisamente iniziò ad avere soldi. Mia suocera pensò che qualcuno glieli avesse dati in cambio del bambino e che lui l'avesse dato in adozione forse per garantirgli un futuro migliore. Ma mio suocero negò sempre». Nella testa di Maria rimase un chiodo fissò «e nel 2013 chiuse gli occhi pensando a quel figlio che le era stato strappato. Anche mio marito ha sofferto molto, vive con la sensazione di essere stato privato di una parte di sé, del gemello, più di un fratello. Faremo il possibile per scoprire la verità, attraverso il Comune e gli archivi. Ma confidiamo che chiunque ricordi o sappia qualcosa di quel giorno, il 29 novembre 1959, ci aiuti»
e una storia andata a buon fine è quellla di Giancarlo riabbraccia suo figlio dopo 15 anni
Miriam prova a rintracciare il fratellastro in Sardegna. Edoardo, 78 anni, sogna di rincontrare gli amici di infanzia
SASSARI. Per quindici anni si erano persi, divisi dal tribunale e dal mare. Lui, il padre, non aveva più un lavoro e non poteva mantenere il figlio. La separazione dalla moglie aveva peggiorato il quadro già critico e un giudice aveva deciso che quel bambino aveva diritto a un futuro più sereno dal punto di vista economico e probabilmente più stabile da quello affettivo. Qualche mese fa Giancarlo, di Iglesias, aveva chiesto aiuto con un appello accorato nella pagina: «Mio figlio mi è stato portato via quando aveva 5 anni. Mi manca tanto, penso a lui ogni giorno. Vorrei sapere come sta e riabbracciarlo, se lui vorrà». Le sue parole hanno smosso il cuore della rete e il messaggio è stato condiviso da un capo all’altro d’Italia. Grazie al nome e cognome indicato dal padre e alla pubblicazione di alcune foto da bambino, il figlio di Giancarlo è stato ritrovato e ha voluto incontrare il padre: «Dopo 15 anni l’ho potuto riabbracciare – dice Giancarlo – ed è tutto merito di questo gruppo».
Spera in un lieto fine anche Miriam, che da Brescia cerca suo fratello in Sardegna. Un fratellastro, forse il frutto di una relazione extraconiugale del padre di Miriam «che però ha sempre negato, sino alla morte». La madre della ragazza, invece, ha sempre avuto il dubbio che il marito potesse avere avuto un altro figlio durante un periodo di lavoro in Sardegna e ha spinto la figlia a cercarlo, per capire come sta, che vita ha avuto, e sapere se è a conoscenza dell’esistenza di una sorella. «È chiaro che si tratta di una situazione delicatissima, innanzitutto perché mi muovo un po’ alla cieca, con pochi indizi e zero certezze. E poi perché se questo fratello effettivamente esiste, sicuramente ha una famiglia, la sua mamma e magari un altro papà che potrebbe averlo riconosciuto o adottato. Insomma, si rischia di turbare la serenità delle persone, per questo sono molto cauta. Ma spero comunque che l’appello possa smuovere i ricordi di qualcuno, così da scoprire la verità». E in molti casi donare un sorriso, un tuffo nel passato che scalda il cuore.
Come per il signor Edoardo, 78 anni, che a 14 anni ha lasciato Dolianova per trasferirsi nel Nord Italia con la sua famiglia. Ma gli amici d’infanzia non li ha mai dimenticati. E ora li cerca grazie all’aiuto della figlia, che ha pubblicato una foto in bianco e nero dei suoi compagni di classe alle Elementari e scrive: «A babbo piacerebbe fare una chiacchierata, anche telefonica, con un vecchio amico di infanzia».
Cerca invece la sua tata d’infanzia il signor Silverio: «Non ho mai potuto conoscerla ma ultimamente mi hanno mandato una foto dove lei mi tiene in braccio... era il giorno di Pasqua del 1967..eravamo sul lago Coghinas del comune di Tula, provincia di Sassari. Si chiama Francesca e allora aveva circa 16 anni». Silverio non ha tante informazioni, solo quella foto che gli trasmette un dolce ricordo della sua infanzia e di una persona che gli ha voluto bene e che ora lui vorrebbe riabbracciare.
Le protagoniste e curatrici del progetto ( ecco la loro pagina facebook di cui riporto il manifesto
Pagina creata - 12 dicembre 2016
da 3 amiche ,adesso 4 , totalmente gratuita
Questa pagina nasce dalla necessità di troppe persone di ritrovarsi... persone divise dalla vita o dall'ingiustizia...
Un opportunità per lanciare un messaggio un appello ... tra persone adulte , maggiorenni... quindi in grado di poter decidere se rispondere o meno... non ha altro scopo che dar voce a chi soffre ...
Chiediamo un favore a tutti , per far sì che riusciamo a gestire al meglio la pagina...
Quando volete pubblicare un appello cercate sia comprensibile a tutti e mettete tutto quello che sapete , il nome, la città, la provincia ,la data di nascita , diventa un problema per noi dover stare a chiedere ogni cosa e poi rimetter insieme l'appello.
Poi quando invece ci contattate per dare informazioni per an appello, inviateci il link dell'appello a cui vi riferite , con nome o iniziali e data di pubblicazione sarà più semplice per noi contattare chi lo ha messo...
Naturalmente torniamo ancora a chiedervi di segnalarci commenti sgradevoli e fuori luogo, come avete sempre fatto...
Sono piccole cose, ma considerando che siamo solo 3 e che gli appelli sono centinaia ci aiuterete a riuscire a gestire
Grazie di cuore a tutti
ATTENZIONE NOI ABBIAMO SOLO QUESTA PAGINA... DIFFIDARE DI CHI HA COPIATO E MESSO COME DESCRIZIONE DI UN GRUPPO QUESTE NOSTRE PAROLE
I POST VANNO CONDIVISI NON COPIATI E é VIETATO SCARICARE LE FOTO!
Esse sono Una sarda, le altre di Firenze e Milano: sono le ideatrici del gruppo con più di 260mila followers
Tante amiche che chiedono aiuto, stanno cercando fratelli, sorelle, in moltissimi casi figli, e non sanno bene che fare. La legge è cambiata, la blindatura di un tempo non c’è più anche se resta altamente tutelato il diritto alla riservatezza. ( vedere screenshot sempre dalla nuova Sardegna del 24\1\2022 al lato ) Ma l’ostacolo maggiore è lo scarso numero di informazioni da cui partire per riuscire a individuare chi si sta cercando.
L’unione mai come in questi casi fa la forza, anzi le condivisioni di informazioni. Ecco allora l’idea, come raccontano le tre creatrici della pagina Facebook “Ti Cerco, appelli di persone che cercano le loro origini e i propri cari”, nata nel 2016. «Siamo tre amiche, tutte mamme e una di noi anche nonna, una delle tre è sarda, le altre di Firenze e di Milano. Ci siamo conosciute tramite un gruppo facebook che parla di bambini presi ingiustamente dalla giustizia. I casi di bambini fatti sparire erano talmente tanti che ci è sembrato giusto, invece di fare singoli appelli che si perdono nella rete, realizzare una sola pagina che li mettesse insieme». È stata Rossana a dare l’input, coinvolgendo le altre due amiche che hanno subito aderito con entusiasmo. «E così siamo arrivate ad avere 263mila follower e tantissime persone che si cercano. E molte si trovano, questa è la più grande vittoria». Già, perché tra un sos e l’altro, grazie alla rete che amiplifica i messaggi e li trasporta in tutta Italia, è sempre più frequente che l’appello arrivi alle orecchie del diretto interessato che decide di farsi avanti per conoscere chi lo cerca e rimettere insieme una storia che si era spezzata, spesso per i casi della vita, altre volte in maniera non voluta e dolorosa. «Spesso le ingiustizie dividono chi si ama, noi li aiutiamo a ritrovarsi», dicono le tre amiche. Il loro impegno è tanto, verificano tutti i messaggi, stanno attente che non contengano offese e non violino la privacy. E lo fanno a titolo gratuito: l’alto numero di follower fa gola agli inserzionisti, ma loro rifiutano pubblicità. «Per noi è importante che intorno a questo gruppo non giri un centesimo, sono storie dolorose e non sarebbe giusto guadagnare sul dolore. A ripagarci è la felicità di chi riesce a trovare chi sta cercando, regalare un sorriso a chi soffre è per noi la più grande gratificazione».
Dobbiamo fare di tutto per aiutare ed incentivare queste persone a parlare ed a raccontare le loro storie. Sembra che vicende simili se ne siano verificate moltissime: molto probabilmente, queste signore soltanto adesso, leggendo le altre storie simili, stanno cominciando a maturare la consapevolezza di essere state ingannate o, quantomeno stanno cominciando a nutrire dubbi. Se facciamo commenti un pò inopportuni, giudicando con i mezzi ed il metro di oggi fatti di 50 anni fa, facciamo sentire stupide queste persone e le disincentiviamo a raccontare, così contribuendo al mantenimento dell'omertà e, indirettamente, a rendere un buon servizio ai delinquenti di allora ed un danno alla verità. Aiutiamo queste persone a parlare: qualcuno potrebbe potrebbe ricordare male, qualcuno potrebbe sbagliarsi, ma, nel mazzo, qualcuno potrebbe far emergere qualcosa e speriamo sempre in qualche ricongiungimento.
poichè mi farebbe piacere ritrovare alcuni vecchi amici che avevano splinder che non sono iscritti a facebook e non usano i social fb compreso , sto usando l'Rss https://www.feedelissimo.com
a chi mi accusa di riportare solo o per la maggior parte storie del nord est ecco una storia sarda
la nuova sardegna del 19\3\2017
da la nuova sardegna
L’amara “festa” del papà di chi cerca il corpo del proprio figlio Il disperato appello del padre di Stefano Masala e la sua rabbia all’udienza per l’imputato accusato di avere ucciso il giovane di Nule
di Gianni Bazzoni
marco masala
Si può stare in silenzio, lontano da tutti. Sbattere ogni cosa che ti capita per le mani e considerarsi devastato in maniera così violenta da sentire troppo fragili le fondamenta umane. Oppure si può decidere di non contenere la rabbia, di non fermarsi e parlare sempre. Anzi, di urlare il nome del proprio figlio, reclamare giustizia in ogni posto, anche nelle aule dei Tribunali dove periodicamente passano coloro che possono sapere qualcosa e - con la loro testimonianza - restituire a un padre almeno il diritto di dare sepoltura a quel figlio che nessuno sa più dove sia. Marco Masala, padre di Stefano, il giovane di Nule scomparso nel nulla il 7 maggio del 2015, ormai ha deciso di andare avanti così. Puntando il dito e urlando, lanciando sfide a chi - secondo lui - non ha detto la verità e può chiarire il mistero che lega la sparizione di Stefano all’omicidio di Gianluca Monni, il 19enne ammazzato a Orune. Due vite cancellate in un vortice di follia che è impossibile persino raccontare perché la trama è un buco nero. E le sentenze ancora non ci sono. É rimasto solo Marco Masala dopo la morte della moglie, la signora Carmela, che ha atteso fino all’ultimo istante il ritorno di Stefano a casa. Oggi è la festa del papà, ma per chi ha perso un figlio è un giorno triste. Ancora di più per chi, come Marco, non sa neppure dove si trovino i resti di Stefano. E anche nel giorno della festa dei babbi, ha diritto di urlare con la forza che ancora gli resta. «Ditemi dov’è mio figlio», l’ha detto e ripetuto senza abbassare lo sguardo, con il coraggio e la fierezza di chi porta nel cuore e nella mente il sorriso di quel ragazzo buono, indifeso, incapace di intuire il benchè minimo pericolo. La morte di un figlio è la prova più dura che un genitore possa essere chiamato ad affrontare nella sua vita, un padre e una madre non si aspettano di sopravvivere ai propri figli, e quando succede mancano le parole per dirlo, si perde la dimensione di se stessi, ci si muove persi nel nulla, quasi senza nome. Marco Masala oggi non festeggia il 19 marzo perché tutto si è fermato a quella notte del 7 maggio, quando Stefano è uscito sorridente come sempre, ingenuo e felice. E non è più tornato. In tanti in questi lunghi mesi hanno chiesto “che cosa possiamo fare?”, senza avere risposta. Perché il conforto, gli abbracci e la solidarietà sono atti che possono aiutare quando è possibile condividere il proprio dolore per una storia che è finita. Invece la vicenda di Stefano è ancora aperta, una ferita profonda che fa troppo male, e questo padre - oggi più degli altri giorni - ha il diritto di urlare con tutta la rabbia che si porta dentro: «Dite dov’è mio figlio». Chi lo sa parli, che sia un figlio o un padre poco importa. Gli altri stiano in silenzio.
Questa è l'ultima storia per oggi . Lo so che molti ( soprattutto le ragazze ) mi dicono ma non è che stai diventando romantico come noi ? . No sto diventando vecchio . E poiessendo cresciuto con le nonne e prozie che leggevano e guardavano le telenovele .certe cose mi appassionano , se ben raccontante .
Ma qui non si tratta solo dis torie da romanzo rosa , ma storie di sofferenza e magari sìdi sensi di colpa .
Viene stuprata e dà la bimba in adozione Madre e figlia si incontrano dopo 35 anni
le due protagoniste
La storia di Kathy Anderson commuove gli Stati Uniti.
Quando
aveva solo 15 anni era stata stuprata da un amico di famiglia. Una
violenza in seguito alla quale era rimasta incinta. Non volendo
abortire, decise dunque di dare in adozione la bimba che portava in
grembo. Dopo 35 anni, ha potuto riabbracciarla. Commuove gli Stati Uniti
la storia di Kathy Anderson, che oggi ha 50 anni e si è rifatta una
vita in Texas, sposandosi e mettendo al mondo altre due figlie. "Per
anni mi sono domandata che fine avesse fatto quella bimba, che avevo
deciso di chiamare come me e che avevo dato alla luce in segreto, anche
all'insaputa dei miei genitori, cui non ero riuscita a confessare la
violenza che avevo subito". E piano piano la curiosità si è trasformata
in una sorta di bisogno, di rincontrare quella piccola creatura da cui
era stata costretta a separarsi. Finché un giorno, Kathy si è imbattuta
in un sito web, specializzato proprio nel riunire amici e congiunti che
la vita ha allontanato. E dopo alcune ricerche i "cacciatori di parenti"
sono riusciti a risalire a Kathy junior, residente in Arizona e
anch'essa desiderosa da sempre di conoscere chi l'avesse messa al mondo.
Mamma e figlia hanno così potuto ritrovarsi. "Abbiamo legato
immediatamente – hanno raccontato dopo l'incontro - ed è come se non ci
fossimo mai separate. Adesso viviamo assieme e vedo le mie sorelle
spesso. È bellissimo. Stiamo cercando di costruire ricordi, di
recuperare il tempo perduto".
La scoperta avvenuta per caso dopo le reciproche confidenze.
"Un filo invisibile collega chi è destinato a incontrarsi, al di là del tempo, dello spazio e delle circostanze". E' la frase che Mikayla Stern ha scritto su Facebook per spiegare quanto le è accaduto. La giovane, 19 anni, ha scoperto che la sua migliore amica, Emily Nappi, 18 anni, conosciuta alla Tulane University, è in realtà sua sorella, perché entrambe sono nate dallo stesso padre, un donatore anonimo.
La foto che le ragazze hanno pubblicato su Facebook
Le ragazze, prima di arrivare al campus, quando nemmeno sapevano una dell'esistenza dell'altra, hanno fatto una ricerca sui social network per trovare una compagna di stanza. Hanno letto i reciproci messaggi e si sono messe d'accordo per convivere. Quando si sono incontrate hanno notato subito entrambe una profonda somiglianza fisica, poi la routine ha preso il sopravvento, l'amicizia è diventata sempre più forte fino a quando sono iniziate le confidenze: entrambe senza padre, nate da una madre che aveva ricevuto lo sperma di un donatore anonimo di nazionalità colombiana. Molte le coincidenze, tanto da convincerle a raccontare la storia alle reciproche madri durante le vacanze di Natale. Ed è stata proprio Heidi, la mamma di Mikayla, ad avere l'intuizione: ascoltata la vicenda, ha chiesto alla figlia di chiedere alla sua migliore amica il codice del padre biologico. Si è così scoperto che si trattava dello stesso numero impresso sui documenti di Mikayla.
Ora le due ragazze, scopertesi sorelle oltre che amiche, sono diventate inseparabili.