Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta fecondazione in vitro. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta fecondazione in vitro. Mostra tutti i post

6.10.25

La morte che dona la vita: nascita di un bambino da una trapiantata d'utero da donatore morto per morte celebrale

Non riuscendo a scaricare con downloahelper  il  video  delle  iene  della  puntata  del  5\10\20025    riporto qui  l'url    La morte che dona la vita: trapianto d'utero
La  storia    di Mattia è uno dei pochissimi bambini al mondo nati grazie a un trapianto d'utero da donatore con morte cerebrale. Un intervento ancora sperimentale, eseguito all'ospedale Cannizzaro di Catania, che apre nuove speranze per molte donne. Gaetano Pecoraro ha incontrato i protagonisti di questa straordinaria innovazione medica.
Ecco  quindi  che  per  approfondire      ho  cercato altri   siti    ecco  cosa  ho  trovato  


  da   https://www.panorama.it/lifestyle/salute/

Il trapianto di utero apre nuove strade alla maternità: un miracolo tutto italiano




A Catania si è concluso con successo il secondo trapianto di utero della storia italiana, che ha permesso la nascita di Mattia, dopo quella di Alessandra nel 2022. Un traguardo medico ed etico che colloca l’Italia tra i pochi Paesi al mondo capaci di trasformare un sogno impossibile in realtà.
Un bambino che nasce da un utero trapiantato non è solo il frutto di una gravidanza attesa: è il simbolo di un confine che la medicina sta lentamente spostando in avanti, là dove chirurgia dei grandi organi e medicina riproduttiva si incontrano. In Sicilia, a Catania, questo confine è stato varcato per la seconda volta: a settembre 2025 è venuto alla luce Mattia, figlio di una madre senza utero dalla nascita. E’ un lieto evento che non ha il sapore del miracolo, ma quello della scienza e della determinazione e di un’équipe di medici che ha deciso di sfidare i limiti della biologia per restituire un’opportunità negata dalla natura. In Italia il programma di trapianto di utero è attivo solo nella città etnea, presso il Policlinico “G. Rodolico” che fa parte della rete trapianti assieme all’Ismett di Palermo. Qui è stato appunto eseguito il secondo trapianto di utero nel Paese, con esito positivo e la nascita, a settembre 2025, di un neonato sano.
Al Policlinico etneo la storia è iniziata cinque anni fa, quando il Centro nazionale trapianti e il Consiglio superiore di sanità hanno autorizzato un protocollo sperimentale che consente esclusivamente il trapianto di utero da donatrici decedute. L’indicazione principale riguarda donne affette da sindrome di Mayer-Rokitansky-Küster-Hauser, una malformazione congenita che comporta l’assenza dell’utero pur in presenza di ovaie funzionanti. Si tratta di una forma di infertilità assoluta, che non può essere trattata con le tecniche di procreazione medicalmente assistita tradizionali. Il primo trapianto italiano è stato eseguito nell’agosto del 2020 e ha portato, due anni dopo, alla nascita della piccola Alessandra. Il secondo, realizzato nel 2022, si è concluso a settembre 2025 con la nascita di Mattia. Entrambi i casi confermano che, in condizioni selezionate, la procedura è in grado di restituire la possibilità di gravidanza a donne che altrimenti non potrebbero concepire. Il professor Pierfrancesco Veroux, direttore del Centro Trapianti di Catania, spiega così le caratteristiche di questa chirurgia: «Il nostro è l’unico centro in Italia e uno dei pochissimi al mondo autorizzato ai trapianti di utero. Si tratta di un intervento tecnicamente complesso: l’utero è un organo molto vascolarizzato, e l’operazione richiede oltre venti ore di lavoro e un’équipe multidisciplinare di circa 25 professionisti. A differenza di altri trapianti, inoltre, non ha finalità salvavita ma riproduttiva: si tratta di operare una donna sana che si sottopone a rischi importanti per la possibilità di avere un figlio».
Dal punto di vista clinico, la difficoltà non si esaurisce nell’atto chirurgico. Dopo l’impianto, la paziente deve seguire una terapia immunosoppressiva, con i rischi ben noti di infezioni e complicanze. Solo dopo la stabilizzazione dell’organo trapiantato è possibile procedere al trasferimento embrionale tramite fecondazione in vitro, e monitorare la gravidanza fino al parto, che avviene necessariamente con taglio cesareo. Una volta completato il percorso, l’utero può essere rimosso per interrompere la terapia immunosoppressiva e ridurre i rischi a lungo termine. L’esperienza catanese non è isolata, ma si inserisce in un contesto internazionale ancora limitato. I primi trapianti di utero sono stati eseguiti in Svezia, con nascite documentate dal 2014, seguiti da programmi negli Stati Uniti, in Brasile e in altri pochi Paesi. Le casistiche rimangono esigue, dell’ordine di poche decine di interventi, e gli esiti variano in base alla selezione delle pazienti, alla qualità dei centri e alla tipologia di donazione. In Italia, la scelta regolatoria di utilizzare esclusivamente donatrici decedute riduce i rischi per la donatrice ma aumenta le difficoltà tecniche rispetto ai trapianti da vivente, dove i vasi sanguigni possono essere preparati in condizioni più controllate. L’aspetto etico rimane però centrale. Come sottolinea lo stesso Veroux, il trapianto di utero non rientra nella logica classica dei trapianti salvavita: non serve a evitare un decesso, ma a permettere la possibilità di una gravidanza. Ciò pone interrogativi sulla proporzionalità dei rischi per la ricevente e sulla priorità nell’allocazione delle risorse sanitarie. Allo stesso tempo, però, offre a molte donne l’unica strada per una maternità biologica, senza ricorrere alla maternità surrogata, vietata in Italia. La prospettiva è ora quella di consolidare i dati clinici. Il centro di Catania ha altre sette pazienti in lista d’attesa, con richieste provenienti da tutto il Paese. Ogni nuovo caso permette di raccogliere informazioni preziose sulla durata funzionale dell’organo, sulla risposta ai farmaci e sulla gestione delle gravidanze successive. Gli studi internazionali, inoltre, indicano che la percentuale di gravidanze portate a termine dopo trapianto di utero si aggira intorno al 30-40% dei casi, un dato incoraggiante ma che richiede cautela.

-----

[....] 
La vicenda 

La persona che ha ricevuto l’utero ne era nata senza e al momento del trapianto, nel settembre del 2016, aveva 32 anni. La sua diagnosi era quella della sindrome di Mayer-Rokitansky-Küster-Hauser, una condizione genetica che colpisce una donna ogni 4.500. Causa l’assenza o lo sviluppo incompleto della vagina e dell’utero, anche se i genitali esternamente sembrano normali e le ovaie funzionano. Prima di ricevere il trapianto la donna si è sottoposta alla fecondazione in vitro, per poi congelare gli embrioni, in attesa del trapianto.La donatrice era una donna di 45 anni che è morta per un ictus. Aveva avuto tre figlie. L’operazione è durata oltre 10 ore.

La bimba è nata un anno fa

Cinque mesi dopo il trapianto, la ricevente non ha mostrato segni di rigetto e per la prima volta nella sua vita ha avuto le mestruazioni. Dopo sette mesi i medici le hanno impiantato un singolo uovo fecondato. Dopo 10 giorni la gravidanza è stata confermata. Alla fine il 15 dicembre del 2017 è nata una bimba di 2,7 chili

Perché è un trapianto rivoluzionario

L’utero trapiantato è rimasto senza ossigeno per 8 ore. Il nuovo studio prova in questa modo che può rimanere attivo. Questo caso apre alla possibilità alla donazione degli organi da donatrici morte.



Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...