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12.4.25

La memoria delle Resistenze per uscire dall'ombra del presente

  da HuffPost Italy

La storia non è un mausoleo di memorie spente da omaggiare con gesti rituali. Non è il riparo dei reduci, ma una sorgente viva: un repertorio di ispirazione e di possibilità. Ed è ancora più vero se pensiamo alla memoria delle Resistenze europee contro il nazifascismo.
Si è provato a disinnescarla la forza generativa di quella storia, eppure continua a premere sul presente, chiamandoci al cospetto di scelte che non sono mai state né ovvie né scontate
La stagione delle Resistenze che hanno attraversato l’Europa nel cuore del Novecento è un crocevia ancora percorso dalle vicende di uomini e donne che, spesso con discrezione e nella consapevolezza che anche il più piccolo gesto potesse fare la differenza, hanno scelto di non essere complici o spettatori. Studenti, impiegate, operai, contadini, madri, insegnanti, preti, infermiere, come Lelia Minghini, giovane infermiera dell’ospedale Niguarda, che raccontiamo nel podcast Microstorie della Resistenza.
Persone comuni che – in sella a una bicicletta, nel chiuso di una copisteria, tra i corridoi di un ospedale – hanno lottato per la loro e la nostra libertà.
Quelle lotte non furono semplicemente la reazione a un’occupazione o a una dittatura. Furono esperienze concrete di riappropriazione collettiva del destino comune, tentativi di riscrivere il patto tra cittadino e Stato, tra libertà e giustizia.
Ha scritto, molti anni fa, lo storico Lucien Febvre come sia “proprio nelle epoche di crisi e di transizione che fioriscono gli indovini e i progetti”. La Resistenza è soprattutto questo: lo sguardo puntato sul «domani», malgrado un profondo smarrimento. Ce lo dicono le parole scritte di getto da Giaime Pintor nei giorni stessi del ritorno a casa dei militari italiani che, all’indomani dell’8 settembre 1943, cercano ragioni e parole in grado di aprire i cuori e dare nuove prospettive a chi si sente naufrago nell’Italia della dittatura, ma non rinuncia a pensare e fare insieme. È la stessa condotta a cui sollecita un giovane Eugenio Curiel già alla fine degli anni ’30 e che nei mesi duri della lotta nell’inverno ’44-’45 diventa azione. Un inverno di cui Curiel non vedrà la fine, ma che è carico della consapevolezza che la liberazione è solo l’inizio di un percorso. E quel percorso sarà possibile se si vivono le scelte come bivio, come misura del prezzo da pagare, delle responsabilità da assumere senza illusioni, come scrive Leo Valiani nel 1944, ma con una grande voglia di progetto.
In Italia, in Francia, nei Balcani, nei Paesi Bassi e altrove, uomini e donne di ogni estrazione hanno rischiato la vita per affermare che nessun potere ha diritto di spogliarci della dignità, della parola, della solidarietà. Quelle scelte hanno gettato le basi delle democrazie europee, delle Costituzioni, del principio secondo cui i diritti non sono concessioni ma conquiste.
Oggi che i linguaggi dell’odio, del revisionismo e della nostalgia autoritaria tornano a farsi largo, ricordare le Resistenze non è esercizio celebrativo ma necessità civile. Le minacce alla libertà si insinuano nella diseguaglianza strutturale, nella precarietà elevata a norma, nel discredito sistematico della partecipazione, nei contrappesi democratici via via delegittimati.
Per questo, la memoria delle Resistenze è oggi una risorsa per uscire dall'ombra del presente. L’antifascismo non è un capitolo da archiviare, ma un alfabeto che oggi ci aiuta a comporre nuove parole. È la grammatica del nostro stare insieme, il collante che tiene insieme le differenze senza annullarle, che ci insegna a discutere senza annientare, a dissentire senza disumanizzare. È un impegno che si rinnova ogni volta che scegliamo il dialogo invece del dominio, la cura invece del profitto, la memoria invece della rimozione. L’antifascismo non è solo la radice della nostra democrazia: è il respiro che tiene uniti cittadini e cittadine per un futuro di libertà e di diritti, da immaginare e conquistare giorno per giorno.

26.4.16

risposta al sindaco di Corsico . La storia della Resistenza raccontata attraverso la vita di un giovane partigiano italo-somalo ed altre storie resistenti









Primna di iniziare  il post  d'oggi   aggiornamento  al  post   sul  sindaco (  ?  )  di Corsico   vedere  miei precedenti post  )




Corsico si   è  ribella al sindaco che vieta Bella Ciao alle manifestazioni del 25 Aprile






Come  ad  ad Alghero  ( dove  anni fa un sindaco di   centro destra   fece la stessa  cosa  del sindaco  di questa  cittadina  )  semplicemente non può vietarla.





 ecco adesso le storie  d'oggi 


Giorgio Marincola, il partigiano nero “morto per la libertà” La storia della Resistenza raccontata attraverso la vita di un giovane partigiano italo-somalo


“Sento la patria come una cultura e un sentimento di libertà, non come un colore qualsiasi sulla carta geografica. La patria non è identificabile con dittature simili a quella fascista. Patria significa libertà e giustizia per i popoli del mondo. Per questo combatto gli oppressori”.
Sono queste le parole che il partigiano Giorgio Marincola pronunciò ai microfoni di Radio Baita, emittente fascista torinese, prima di venire quasi ammazzato di botte dagli ufficiali che lo avevano catturato. A trasmetterla su scala nazionale sarà Radio Londra, rendendo queste parole tra le più belle e significative della Resistenza.
Giorgio MarincolaGiorgio Marincola era italiano. E somalo. Nato il 23 settembre 1923 a Mahaddei Uen, un presidio militare italiano a 50km da Mogadiscio dal sottufficiale Giuseppe Marincola e Ashkiro Hassan. Poiché esistevano leggi che impedivano il mescolamento tra italiani e somali, in quanto considerati “razza inferiore”, la loro unione non venne vista di buon occhio da nessuno. Quando arrivò il momento di rientrare in patria, fu chiaro ad entrambi che l’unica possibilità di salvezza per i bambini era quella di andare in Italia insieme al padre. Giorgio fu lasciato in custodia agli zii a Pizzo Calabro mentre Isabella, di qualche anno più giovane, andò ad abitare con il padre e la nuova moglie a Roma.
A Pizzo Giorgio si distinse per la sua intelligenza e le sue doti fisiche. Visti gli ottimi risultati ottenuti a scuola, il padre decise di portarlo con sé a Roma, per frequentare il Liceo. Fu proprio nella capitale che l’unico ragazzo di colore della scuola conobbe Pilo Albertelli, noto antifascista cattolico, che trasmise a Giorgio l’amore per la libertà e la patria. Finito il Liceo si iscrisse alla facoltà di medicina, con il sogno di diventare specialista in malattie tropicali e di tornare in Somalia.
I fatti avvenuti il 16 ottobre 1943 però, cambiarono i suoi piani: il rastrellamento del ghetto ebraico di Roma lo scioccò al punto di chiedere ad Albertelli di poter passare all’azione. Il professore lo accontentò subito, aggregandolo al gruppo partigiano della Zona Parioli. Il giovane somalo era ufficialmente diventato il primo partigiano nero d’Italia.
Tra il febbraio ed il maggio 1944 venne trasferito dal comando militare del partito nella provincia di Viterbo e partecipò alla liberazione di Roma. La sua lotta, però, non si fermò: nonostante la sua città fosse libera, Marincola decise di continuare la Resistenza arruolandosi nelle file dell’intelligence militare britannica, lo Special Operations Executive. Nell’agosto 1944, come membro della missione Bamon, fu paracadutato oltre la linea nemica con compiti di guerriglia, collegamento e addestramento delle nuove leve partigiane.
L’anno dopo, durante un rastrellamento, venne arrestato, condotto al carcere di Biella e costretto a parlare ai microfoni di Radio Baita. Non avendo letto il copione che gli era stato dato fu pestato e deportato al Polizeilicher Durchganglager di Bolzano, uno dei campi di concentramento nazisti nella penisola con l’ordine di “non ucciderlo ma farlo soffrire”. Il lager venne liberato il 30 aprile 1945, quando le ostilità erano cessate in gran parte dell’Italia. Davanti all’offerta di ritirarsi in Svizzera da uomo libero, il giovane italo-somalo preferì unirsi ad una banda partigiana della Val di Fiemme.
Il 4 maggio del 1945 un’autocolonna di SS in ritirata, dopo uno scontro a fuoco attaccò i villaggi di Stramentizzo e Molina di Fiemme, dandoli alle fiamme: questo costò la vita a 27 persone. A Stramentizzo i partigiani morti furono undici. Uno di loro era Giorgio Marincola, il partigiano nero morto per la libertà.


Il suo volto è diventato il simbolo della Repubblica, lo abbiamo visto e rivisto in tutti questi anni. Ora, questa bella ragazza sorridente ha un nome. Ecco la storia di Anna
da  https://medium.com/italia/ di Giorgio Lonardi e Mario Tedeschini Lalli


Ancora poche settimane fa, l’8 marzo, per celebrare 40 anni dell’ingresso della prima donna nel corpo della polizia locale - la prima donna “ghisa” - e insieme i 70 anni del voto alle donne, il Comune di Milano ha installato davanti al municipio un pannello con una celebre fotografia: la ragazza sorridente che sbuca dalla pagina del Corriere della Sera il giorno della proclamazione della Repubblica, nel giugno 1946.




E’ stato così per anni, per decenni. La foto di Federico Patellani è stata utilizzata per illustrare articoli e libri, mostre e manifestazioni politiche e le occasioni si moltiplicheranno avvicinandoci alle celebrazione del 70° anniversario del referendum del 2 giugno 1946: una foto-icona, una splendida ed anonima donna chiamata a impersonare la gioventù e la speranza di un Paese che guardava avanti dopo il fascismo e la guerra.
Oggi, a tanti anni di distanza, lo splendore di quel sorriso resta, il significato di quello scatto anche, ma l’anonimato non c’è più: quel simbolo ha un nome e un cognome e una storia che proponiamo alla vigilia delle celebrazioni del 25 aprile. [ ......  ] continua qui  


Canessa, l'anti-eroe partigiano che per mezzo secolo nascose le sue imprese

A distanza di un anno dalla sua morte, Livorno sembra essersi dimenticata di Mario Canessa, il Perlasca labronico, il poliziotto-partigiano che per mezzo secolo non raccontò a nessuno le sue imprese per salvare ebrei, antifascisti e soldati in fuga. Gerusalemme gli ha dato l'onorificenza più solenne, il suo nome è  scolpito nel "Giuardino dei giusti"
  

LIVORNO. Nell’era in cui anche l’ultimo tronista pretende di dirti via twitter se ha mangiato la melanzana in salmì o il politico new style fa il gigione con la sciarpa da tifoso, figuriamoci se un tipo come Mario Canessa non sembra un marziano: è stato una figura di anti-eroe che per mezzo secolo ha tenuto la bocca chiusa anche in casa, senza raccontare a nessuno delle vite di ebrei, soldati prigionieri e perseguitati antifascisti che aveva salvato quand’era stato mandato, lui giovane studente di giurisprudenza alla Cattolica, a lavorare come poliziotto in Valtellina.

  leggi anche
Mario Canessa, il poliziotto che salvava gli ebrei



ed ancora altre  storie   si potrebbero raccontare  , ma  è meglio  onde  evitare   sbadigli  e  d'annoiare , chiudere  qui  per quest'anno 



Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...