Ci sono voluti dieci anni, meno del solito visto le lunghezze bibliche ed infinite del nostro sistema giudiziario ma alla fine è arrivata la sentenza: Roberto Calderoli è stato condannato a 7 mesi per diffamazione aggravata dalla matrice razziale per aver definito l’allora ministra Cecile Kyenge “orango”. Dieci anni per 7 mesi di pena (che, per altro, non
sconterà mai purtroppo ) sono uno schiaffo a chi il razzismo lo ha subito e a chi lo combatte. Ma soprattutto per il fatto che oggi, come “premio”, Calderoli è pure diventato ministro, mentre Kyenge è scomparsa dalla vita politica. Oggi che la giustizia punisce una frase razzista, il razzismo è stato istituzionalizzato, diventato maggioranza e poi governo e i ministri parlano addirittura di “sostituzione etnica” ed e sminuiscono ed deriso i valori fondanti delle nostre istituzioni di cui essi stessi fanno parte .Ma un principio, oggi, è stato segnato, almeno quello.anche se :<< Macché condanna!! È fasulla!!! Non fa neanche un giorno di prigione e non è menzionata nella fedina penale!! Ma è membro parlamentare! Che schifo !! >> ( Da un commento sulla mia bacheca di Facebook ) .
NUORO. «Sia chiaro: nessuno ha assolto Calderoli. La frase è
evidentemente offensiva, ma non ci sono gli estremi dell’istigazione
all’odio razziale, questo no!». « Una valutazione puramente tecnica,
certamente non politica». Il senatore nuorese del Pd Giuseppe Luigi
Cucca, avvocato di professione, difende il suo voto dato nella Giunta
delle elezioni e delle immunità parlamentari che mercoledì scorso ha
dichiarato insindacabile il leghista Roberto Calderoli, vice presidente
del Senato. Sotto accusa per la frase shock che pronunciò nel luglio del
2013 nel corso di una festa della Lega a Treviglio: «Amo gli animali,
orsi e lupi com’è noto, ma quando vedo le immagini della Kyenge non
posso non pensare, anche se non dico che lo sia, alle sembianze di un
orango».
La bufera politica fu immediata, nonostante il bestiario parlamentare
sia da sempre infarcito di parole scurrili e oscene. Tanto che la
definizione di “Balena bianca” data alla mastodontica Dc è il più pulito
dei nomignoli di palazzo. Ne sa qualcosa Giuliano Amato, ribattezzato a
più riprese “Il topo”. “Topo Gigio”, del resto, è l’appellativo che il
presidente della Regione Sardegna uscente Ugo Cappellacci affibbiò
miseramente al suo rivale e successore Francesco Pigliaru. E Renato
Brunetta, per tornare in Parlamento, detto “Il nano”, non è forse una
vittima dell’infelice vocabolario della politica italiana
La Santanché si autodefinì “Pitonessa” quando tanto si parlava di
“Falchi” e “Colombe” e Berlusconi il “Caimano” (detto anche il
“Giaguaro”) era sempre vigile e in agguato.
Ma non ci sono soltanto animali nel linguaggio indecente di Roma
capitale: c’è anche “Faccia di mortadella” e Romano Prodi sa bene che ad
apostrofarlo così era stato “Nano pelato” alias Silvio Berlusconi. Ma
il verde Calderoli, evidentemente, è andato oltre ogni limite. Non gli
bastavano le uscite omofobe e la maglietta con l’effigie del profeta
Maometto, no, quella volta di due anni fa Calderoli era uscito dai
binari con gli insulti al ministro per l’Integrazione del Governo Letta,
Cécile Kyenge. Tant’è che la Procura della Repubblica di Bergamo ha
ravvisato nelle parole di Calderoli l’ipotesi di reato di istigazione
all’odio razziale. Per il parlamentare leghista si prospettava, dunque,
il giudizio immediato. Salvo essere “salvato” dai suoi colleghi di
palazzo Madama, come poi è successo dato che la Giunta delle immunità ha
negato l’autorizzazione a procedere.
«La Giunta è un organo paragiurisdizionale e la sua attività è
esclusivamente di tipo tecnico, le valutazioni politiche spettano
all’aula, che è sovrana» continua Giuseppe Luigi Cucca, classe 1957,
nato a Bosa, uno dei ventitré componenti della Giunta delle elezioni e
delle immunità parlamentari. «È chiaro che se la Kyenge avesse
presentato querela indubbiamente avremmo dovuto dare l’autorizzazione»
spiega l’avvocato-onorevole sardo. L’ex ministro di origini congolesi,
infatti, non solo non aveva presentato querela, ma non si è neanche
costituita parte civile. Anzi. La Kyenge aveva persino accettato le
scuse subito presentate da Calderoli, che già nell’immediatezza della
festa di Treviglio aveva riconosciuto di aver sbagliato, di aver
esagerato. Un mazzo di fiori alla Kyenge e «capitolo chiuso», aveva
detto l’allora ministra.
Niente affatto: il capitolo è ancora aperto. E la bufera politica è
ancora in corso, soprattutto all’interno del Pd. Anche se «non ci sono i
presupposti giuridici dell’istigazione all’odio razziale», assicura il
senatore nuorese Cucca.