Il diritto all’oblio è garantito, il dovere di ricordare anche. Lo speciale Tg1 Rita Atria, la settima vittima di via D’amelio è nuovamente visibile sulla piattaforma Raiplay. Il documentario firmato dalla giornalista del Tg1 Giovanna Cucè e trasmesso in seconda serata il 17 luglio 2022 su Rai 1, era stato rimosso nelle scorse settimane a causa della minaccia di richiesta danni da parte di tre persone arrestate per mafia nel 1991 che – riconosciutesi in filmati di repertorio – invocavano il diritto all’oblio. Il caso, come il Fatto Quotidiano ha raccontato nei giorni scorsi, era stato denunciato dal sindacato Stampa romana. Oscurare uno speciale trasmesso a 30 anni dalla strage di via D’amelio dedicato a Rita Atria – la ragazza di soli 17 anni che, nata in una famiglia di mafia e ribellatasi al proprio destino, aveva collaborato con Paolo Borsellino, trovando in lui un secondo padre, al punto di suicidarsi (con ogni probabilità) soltanto sette giorni dopo la strage, il 26 luglio del 1992 – per il timore di una causa da 60 mila euro (a tanto ammontava la minaccia di richiesta danni) era infatti apparso ai più quantomeno frettoloso. Tanto più che la motivazione della lesione d’immagine avanzata dai tre ricorrenti era basata sulla rivendicazione del diritto all’oblio che, in caso di fatti di mafia (per di più, uno dei ricorrenti, risulta essere stato condannato in via definitiva per associazione mafiosa), appare potenzialmente ancor più confliggente con il diritto di cronaca di quanto non sia in generale. Alla fine la soluzione è stata la più semplice e ragionevole: i volti dei tre sono stati “blerati”, ossia resi irriconoscibili (“come l’azienda aveva subito chiesto di fare”, dichiarano fonti di Viale Mazzini). Le immagini “incriminate” erano contenute in filmati di repertorio relativi ad alcuni arresti avvenuti nel 1991, disposti dall’allora procuratore capo di Marsala, Paolo Borsellino, in relazione alla cosiddetta “faida di Partanna” (comune di origine della famiglia Atria), operazione in cui era stata decisiva la collaborazione di Rita.
Stavo finendo il post della nuova rubrica settimana incom quando alla lettura dell'orripilante notizia della censura sulla morte di Rita Atria ( vedere articolo sotto e scheda al lato entrambi presi da IFQ del 5 Jan 2023 ) mi chiedo ma il diritto all'oblio può evitare di cancellare \ rimuovere ma in questa caso si parla di censurare la storia e le storie ? Secondo me si se si fa come suggerito nell'articolo sotto o quando come nel caso della sentenza Ecn isole della rete contro Caradonna si quando si tratta di fatti storici ancora attuali come quello della coraggiosa e giovane Rita Atria
di Stefano Caselli e Maria Cristina Fraddosio
Diritto all’oblio, la Rai spegne lo speciale Tg1 su Rita Atria
Il doc di Giovanna Cucè rimosso da Raiplay. Tre arrestati per mafia negli anni 90 minacciano richieste danni per 60 mila euro
Il Fatto Quotidiano
» Stefano Caselli e Maria Cristina Fraddosio
FOTO ANSALa testimone di giustizia Rita Atria morì a soli 17 anni una settimana dopo via D’amelio
La storia, struggente e importante, è di quelle che è bene continuare a raccontare. È la storia di Rita Atria che il 26 luglio 1992, a soli 17 anni, morì cadendo da un balcone del quartiere Tuscolano a Roma. La storia di una ragazza nata e cresciuta in una famiglia di mafia della provincia di Trapani che, dopo gli omicidi del padre e del fratello maggiore, decise di tagliare quel cordone ombelicale e di collaborare con la magistratura. La storia di una ragazza che Paolo Borsellino, che raccolse parte delle sue dichiarazioni, considerò come una figlia acquisita. La storia di una ragazza, prigioniera a Roma di un programma di protezione testimoni, che non sopportò la morte di quel secondo padre e che sette giorni dopo la strage di via D’amelio cadde nel vuoto dal settima piano di viale Amelia 23 a Roma.
Una storia che rischia di non poter più essere raccontata, almeno non nella forma scelta dalla giornalista Rai Giovanna Cucè, autrice dello speciale Tg1 Rita Atria, la settima vittima, trasmesso il 17 luglio in
un frame della trasmissione in questione
seconda serata. Il programma, della durata di 58 minuti, è stato infatti rimosso da Raiplay a causa di alcune immagini di repertorio di una trentina di arresti (con manette pixelate), relativi alla cosiddetta “faida di Partanna” (di cui parlò proprio Rita Atria) su mandato dall’allora procuratore capo di Marsala Paolo Borsellino. Tre persone ritratte in questi filmati si sono sentite lese nell’immagine e hanno minacciato cause alla giornalista, alla direttrice del Tg1 e alla Rai per un totale di 60 mila euro. La Rai ha così deciso di rimuovere lo speciale in attesa del giudizio.
IL TEMA
è assai delicato perché riguarda il diritto all’oblio, civilissima e recente conquista, tuttavia in inevitabile conflitto con il diritto di cronaca. Gli arresti del novembre 1991 e del marzo del 1992 raccontano infatti una pagina importante di storia (oltre a contenere un inedito audio del super boss latitante Matteo Messina Denaro). Se aggiungiamo che uno dei ricorrenti è stato condannato in via definitiva per associazione mafiosa (il secondo è stato condannato in primo grado e assolto in appello, il terzo assolto in tutti i gradi) il tema si fa ancora più complesso. Possiamo forse immaginare un documentario sul maxiprocesso di Palermo senza le immagini dell’ucciardone?
Il rischio di creare un ingombrante precedente esiste. E una sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere come la prescrizione, che un articolo della riforma appena entrata in vigore considera titoli sufficienti per una richiesta di de-indicizzazione dei contenuto online ai motori di ricerca, può prevalere
sempre e comunque sulla cronaca e sulla storia? La Rai, nel dubbio, ha scelto la via breve. A quanto si apprende da fonti di viale Mazzini, il filmato sarebbe stato rimosso in via cautelativa poiché ritrae soggetti poi successivamente assolti (ma non solo, come sappiamo) e – soprattutto – perché per le stesse immagini (ma con manette non pixelate) l’azienda era già stata condannata alla fine degli Anni 90. UNA SOLUZIONE meno drastica come rimontare lo speciale eliminando le sequenze “incriminate” o oscurando i volti dei ricorrenti, avrebbe forse meglio conciliato il diritto all’oblio con quello di cronaca, ma per il momento non è stata presa in considerazione. Il reportage di Giovanna Cucè ricostruisce il contesto in cui Rita Atria, originaria di Partanna (Trapani), divenne testimone di giustizia. Il contesto degli arresti è quello di una faida tra due clan, gli Ingoglia e gli Accardo, questi ultimi appartenenti al mandamento di Castelvetrano, al cui vertice c’era Francesco Messina Denaro, padre del noto latitante. Borsellino indagava sui delitti che stavano insanguinando Partanna, anche grazie alle testimonianze-chiave di due donne, Piera Aiello (ex deputata 5S) e Rosalba Triolo, e della minorenne Rita Atria. Il decesso della “picciridda”, come la chiamava Borsellino, è stato archiviato nel 1993 come suicidio. A distanza di 30 anni, la sorella Anna Maria (intervistata da Cucè) ha presentato un esposto alla Procura di Roma per chiedere che le indagini vengano riaperte.
Viale Mazzini: la replica Per gli stessi frame (ma con le manette a vista) l’azienda fu condannata in passato. Nel dubbio, non si aspetta il giudizio