dall'unione sarda 12\1\2024 e da ( per le foto del post ) https://www.castedduonline.it/
«Lavorare non mi ha mai spaventata, ho fatto di tutto nella mia vita, oggi lo dico con orgoglio: sono stata la prima body painter sarda». Le parole di Sonia Floris risuonano con la stessa intensità dei colori
che da anni porta sulla pelle dei suoi “modelli viventi”. A sessant'anni, questa artista italo-tedesca, stampacina doc - come ama definirsi - ha trasformato una passione in un'arte pionieristica per l'isola. Arricchita da esperienze oltreoceano, dagli Stati Uniti alla Nuova Zelanda, prima di tornare a casa e fare
della Sardegna la sua tela preferita.
Gli inizi
La passione per l'arte scorre nelle vene di Sonia, plasmata dal peculiare intreccio tra il rigore materno tedesco e l'eclettica creatività del papà, antiquario, gallerista e battitore d'aste. Fu lui a dare vita alla prima galleria d'arte di Cagliari, “La Piccola Barcaccia”. «Ricordo alcune trasferte per accompagnare mio padre a cercare antiquariato, le avventure a Porta Portese a Roma, e quel viaggio in macchina fino in Germania» racconta con emozione. «L'arte era di casa, sono cresciuta respirando bellezza».
Nel Colorado
Il destino ha spesso modi imprevedibili di aprire nuove strade. Per Sonia, la svolta arriva dopo il diploma all'istituto tecnico femminile - una scelta apparentemente distante dal suo futuro artistico. A diciannove anni, l'amore la porta a seguire quello che sarebbe diventato suo marito fino a Denver, Colorado. «Fu un salto nel vuoto - racconta - per un anno intero, bloccata dal visto turistico, non potevo né studiare né lavorare. Ma ciò che sembrava una limitazione si è trasformato in un'opportunità: mi sono immersa completamente nello studio dell'inglese. Una volta ammessi a San Diego ho trovato la mia strada: mi sono diplomata in grafica e comunicazione visiva e ho frequentato un'accademia di aerografia. Tre anni intensi che hanno plasmato non solo la mia tecnica, ma anche la mia visione del mondo: la voglia di libertà, l'indipendenza, i popoli che ho conosciuto, i colori dei tramonti».
Il rientro
Il ritorno a casa non è mai semplice, soprattutto quando si porta nel cuore il sogno americano. «Negli anni '90 sono tornata nella mia Cagliari, volevo fare grafica, giravo con il portfolio sotto braccio, ma gli studi ai tempi erano solo tre, nessuno mi prese». Un rifiuto che, invece di abbatterla, la spinge a creare il suo spazio. «Aprii il mio Gap Studio in Via Napoli, facevo grafiche pubblicitarie, magliette, collaboravo con alcune associazioni d'arte. Nel '95 mi sono trasferita a Poggio dei Pini e ho spostato la mia attività qui».
La svolta
A Capoterra una nuova vita per Sonia Floris. «È stata una sorta di illuminazione. Nel 2000 mi sono resa conto che avevo dipinto su tutto, tranne che sui corpi umani. Lì è iniziato tutto. È un'arte veloce, basta una doccia e svanisce».L'inizio è stato intimo, personale: il suo stesso corpo diventa la prima tela vivente. Le collaborazioni con i fotografi l’hanno portata a esporre le sue "tele umane" in tutta Italia, a partecipare a numerosi concorsi. «Inizialmente dipingevo solo su corpi femminili, c'era scetticismo. Si parla di lavori di tre o quattro ore, non tutti sono disposti a posare».La svolta arriva grazie a Tamara Soro, la prima modella a concedersi a questa forma d'arte ancora poco conosciuta nell'isola. «Per tre estati ho dipinto lo staff di animazione del Lagoon di Villassimius, poi le cubiste di tutta l'Isola. Sono stata pioniera in Sardegna del body painting».I maori
I viaggi continuano a ispirarla. «Sono stata diversi giorni in Nuova Zelanda, ho incontrato tatuatori che mi hanno trasmesso l’antico stile maori. Mi porto dentro i loro insegnamenti e i colori contrastanti di paesaggi naturali mozzafiato».E il futuro? «È sempre una domanda difficile: vedo l’insegnamento. Sto lavorando a un progetto ancora in fase di sviluppo, ma l’idea è chiara: voglio restituire qualcosa di ciò che ho appreso in tutti questi anni, condividere la mia esperienza e ispirare chi vuole intraprendere un cammino artistico in questo campo».
Poi colendo cercare altri lavori oltre il suo fb principale e quell'altro ormai in disiuso ho trovato questainteressantissima intervista sullla nuova sardegna del 20 ottobre 2023 18:31
L’intervista
Sonia Floris, la prima body painter in Sardegna: «Il corpo nudo è la mia tela»
di Matteo Porru
Cagliaritana, si è formata negli Stati Uniti, da Denver a San Diego, ed è tornata a casa per dedicarsi alla sua arte
Sonia Floris è l’unica che riesce a fare il saluto vulcaniano di Star Trek a casa. Ha provato a insegnarlo ai figli, ma non ci è mai riuscita. Le scene della sua vita coloratissima le scorrono a scatti davanti agli occhi mentre prova a riassumerle. Scandisce le parole più importanti con l’accento di Cagliari, di Stampace, che non ha mai perso, anche se ha girato il mondo per diventare prima grafica e poi aerografa, pittrice e body painter, la prima in Sardegna. Ora è tempo di decisioni, di anniversari e di ricordi.
Immagino lei abbia fatto il liceo artistico.
«Avrei voluto, ma i miei genitori mi consigliarono un’altra strada. Dopo due mesi di studi classici, mi sono iscritta all’allora Istituto Tecnico femminile Grazia Deledda. A Cagliari accadeva di tutto, in quegli anni. Soprattutto in casa mia».
In che senso?
«Mio padre era un antiquario, un battitore d’asta, un gallerista. Nei weekend, da quando avevo 11 anni, facevo il possibile per seguirlo nei suoi viaggi. Quante volte siamo stati a Porta Portese a comprare quadri! Era una magia. Grazie al suo lavoro, da noi hanno alloggiato anche diversi attori, Ugo Tognazzi su tutti. Sono cresciuta con due culture diversissime, padre italiano, madre tedesca: questo connubio mi ha arricchito molto».
Dopo la maturità, però, attraversa l’oceano.
«Sì: un anno e mezzo a Denver. Ho imparato l’inglese sul campo. Ma soprattutto ho imparato a vivere. Ho capito cosa volessero dire l’indipendenza, la libertà, l’altruismo. La lezione più grande di quegli anni è stata dividere quello che avevo: ho aiutato tanti senza tetto, lì ho visto la povertà».
E poi ha continuato gli studi.
«Tre anni all’Ucsd di San Diego. Diploma in Grafica e comunicazione visiva. E l’Accademia di Aerografia. Vivevo davanti alle onde che ora sfidano i surfisti. Mi servivano il mare e la luce, sono fondamentali per me. E infatti a casa non ho tende».
Perché è tornata?
«Per il lavoro di mio marito. La mia idea era quella di fare illustrazione. C’erano poche possibilità a Cagliari ma nessuna faceva al mio caso. Ho incominciato collaborando con studi d’arte, dipingevo a mano magliette. Poi divento mamma e apro il GAP Studio in via Napoli. Dopo qualche anno chiudo e mi trasferisco fuori città. Metto su un B&B e continuo a sperimentare la pittura su tutti i materiali. Poi cambia tutto».
«Mai: porto nel cuore i quindici giorni in Nuova Zelanda, un viaggio su strada dove ho approfondito la cultura tribale maori. Quello è l’unico paese anglosassone che non ha messo recinti alla civiltà natia».
Che cos’è un quadro?
«Uno specchio che non riflette un’immagine, ma un pensiero».
A cosa pensa se pensa al futuro?
«Mi fa paura non vedere che ne sarà di ciò che abbiamo e che abitiamo. Sono un’amante dell’analogica ma la tecnologia è straordinaria. Resisto cercando di rimanere una bambina di quasi 60 anni: quello sguardo non l’ho perso mai».