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17.11.23

figli del demonio ? Dunque Netanyahu paragona i palestinesi agli amaleciti. di Daniela Tuscano

   Dedico  questo post  dellamia  amica  ed  utente   decennale   del nostro blog  Daniela  Tuscano  di Diaconia "Santa Maria Egiziaca" in Bresso a   chi  (  familari  compresi ) che   parlo e  si parla   di  religione  (  argomento  purtroppo anche  alla  base   fin dall'antichità  di guerre  di odi   e  abberrazioni dei dirittti umani   condotte   dagli stati in nome  d'essa )  er descrivere   conflitti moderni  esempio la  guerra   1992\5     nella  ex Jugoslavia  ed  ora  nei conflitti   nel medioriente   in particolare    quello  israeliano  palestinese  . 

 da legge  prima   altrimenti non  si capisce  il riferimento 

Dunque Netanyahu paragona i palestinesi agli amaleciti.
L'affermazione, in Occidente, è passata inosservata, non la si è compresa o non le si è conferito il significato simbolico (potentissimo) a essa legato.
Per un'approfondita esegesi rimandiamo al post "Netanyahu e gli amaleciti", da "Oasis". Anche noi, più modestamente, ci siamo occupati di Amalek.
Amalek è, per Israele, il Nemico. Popolazione vera o manifestazione storica del male (gli Edomiti, i
Romani, Hitler...) o, ancora, metafora del peccato, Amalek evoca, comunque, guerra e distruzione. È un jihad - da cui l'Islam avrebbe poi attinto - o un piccolo jihad, dato che il grande jihad è puramente spirituale e consiste nella lotta contro le passioni malvagie. Ma "piccolo" solo di nome; in realtà foriero di morte e devastazione.
I libri "storici" della Bibbia non seguono i criteri storiografici attuali; tuttavia non v'ha dubbio che una base storica esista e se si parla di genocidio, s'intende genocidio. Saul viene punito per aver risparmiato Amalek.
Quando l'ateo Netanyahu ricorre al lessico biblico per designare i palestinesi non solo addita il nemico, ma lo demonizza, con categorie assai simili al famigerato "razzismo biologico".
Che i bimbi dell'ospedale di Shifa o altri siano figli del maligno, lo lasciamo giudicare ai lettori. Ma c'è altro: la questione della violenza nella religione.
I Carmelitani di Gerusalemme fuggirono in Europa dopo l'arrivo dei musulmani. Andò così, certo. Ma perché non si prendono in considerazione anche i passi bellicosi della Bibbia? Perché negar loro una consistenza storica, letterale? Il messaggio vero era un altro, si risponde. E poi oggi nessuno stermina in nome di JHWH. Le parole di Netanyahu smentiscono questo luogo comune.
Non stiamo minimizzando il fanatismo islamista. Ma finché non faremo seriamente i conti con la violenza nelle religioni gli usurpatori alla Netanyahu e l'antisemitismo neovoltairiano continueranno a provocar danni.

18.4.21

ecco un modo di combattere il bullismo e l'odio senza leggi eccezionali e repressione . Palermo Scuola, Arriva Il Baby Mediatore Per Le Liti Tra Compagni. E Niente Note Sul Registro

 Lo  so  che tale news  successa  in questi  giorni   farà  , come  è successo      sulla mia bacheca  deve    fra i commenti  c'erano  molti smile  sorridenti  ,  ridere  ma   secondo me  è una bella notizia   simbolo di resistenza  culturale   ,  all'odio e   alla  violenza   ancora  imperante  vedi i nuovi  fatti di Colleferro  . 

 da  https://palermo.repubblica.it/cronaca/


L'impresa più difficile è stata arrivare alla pace fra Leonardo e Marco. Si punzecchiavano sempre durante le lezioni e un giorno sono finiti a rincorrersi per tutta l'aula. A loro ci ha pensato Gioele Barletta, 13 anni, uno degli alunni mediatori dell'istituto comprensivo Antonio Ugo della Noce. "All'inizio non volevano neanche parlarsi, era un caso disperato. Poi a poco a poco ho cercato di farli calmare, mi sono fatto raccontare le due versioni dei fatti e per la prima volta si sono ascoltati a vicenda, hanno fatto pace e da allora sono amici", dice il ragazzo.



Si perché all'Antonio Ugo i litigi fra gli alunni non finiscono con una nota sul registro, un richiamo del professore o una convocazione dal preside. Vengono affrontati dagli stessi bambini alla presenza di un terzo bambino-mediatore in un'aula ad hoc riservata, appunto, alla delicata questione del superamento dei conflitti che anche fra i bambini delle elementari possono essere delle montagne invalicabili. I bambini-mediatori, una trentina in tutto l'istituto, dalle classi delle elementari alle medie, sono stati formati da tre anni a questa parte all'interno del progetto europeo "Deliberative mediator leader students" che ha visto impegnati in prima battuta i professori che poi hanno formato i ragazzi."La prima cosa che ci hanno insegnato è l'autocontrollo, molto utile in certe situazioni. A fare il mediatore si imparano tantissime cose, si ha un'arma in più rispetto agli altri. Si conosce se stessi, le proprie emozioni e si trova più facilmente una strada per risolvere i piccoli conflitti quotidiani", dice Barletta, mediatore ormai da due anni.

I casi sono tantissimi. Il compagno che rivela alla classe qualcosa che doveva restare segreta, le offese sotto voce durante le interrogazioni, la paternità di un lavoro fatto insieme conteso fra più compagni. "Agli occhi di un adulto possono sembrare piccole cose, ma per i bambini sono enormi. E può anche capitare che dietro a una sciocchezza si nasconda un disagio più grande che in molti casi i bambini riescono a risolvere da soli. Di certo è un approccio innovativo di fronte ai conflitti che aiuta gli alunni a sentirsi protagonisti e responsabili allo stesso tempo. Serve una buona dose di empatia e la capacità di capire l'altro per essere un buon mediatore e loro ci riescono", dice Maria Chiara Billa, professoressa di inglese e coordinatrice del progetto.I margini di successo, a sentire la scuola, sono enormi. "Quasi sempre se la cavano da soli, senza l'intervento dell'adulto che resta come una sorta di supervisore. Seguono delle regole precise nel processo di mediazione, attendono il turno per parlare, espongono il problema e alla fine il mediatore fa delle domande per arrivare a un accordo finale", dice Marilena Salemi, vice preside dell'Antonio Ugo. Quando il conflitto è risolto, i bambini sottoscrivono un vero "trattato" di pace. "Firmano proprio un modulo e la pace è fatta. Non c'è cosa più bella", dice Billa.

7.10.19

La Curia gli paga gli studi in teologia: a Firenze il primo imam a insegnare religione cattolica a scuola

ho  letto    l'aggregatore per  smartphone  e    news  repubblica  questa  news  tratta


Hamdan Al Zeqri, 33 anni  (  foto     sottto  )  , da 16 in Italia, il 15 ottobre discuterà la tesi e diventerà dottore in scienze religiose, titolo che lo abilita anche a insegnare la religione cattolica nelle scuole. E sarà il primo imam a farlo. "Resto musulmano, ma amo Gesù, perché Islam e Cristo sono vicinissimi", afferma l'ex profugo yemenita, attuale guida spirituale musulmana nel carcere di Sollicciano. Gli studi alla Facoltà teologica dell'Italia centrale gli sono stati pagati dalla Curia di Firenze.

 cronaca, Hamdan Al-Zeqri, imam, teologia cattolica, firenze


Mediatore culturale in tribunale e, come detto, ministro di culto presso il carcere di Sollicciano, Al-Zeqri è cittadino italiano dal 2017 e lavora in un'azienda aerospaziale del Mugello.
I suoi studi sono stati pagati dalla Curia, mentre l'iscrizione a Teologia cristiana è stata fortemente voluta dalla Comunità islamica fiorentina nell'ottica di rafforzare il dialogo interreligioso anche attraverso la conoscenza diretta della religione cristiana. Per quattro anni Al-Zeqri ha studiato a fianco di seminaristi, sacerdoti e suore. "Molti dei miei migliori amici sono preti - spiega. - E' stata un'esperienza per andare oltre gli stereotipi e i pregiudizi, per conoscere gli altri oltre i luoghi comuni. Ho scoperto che Islam e Cristianesimo hanno tantissimo in comune sul piano umano e sociale. Resto un musulmano ma sono innamorato di Gesù. Più capivo chi era Gesù, meglio vivevo il mio essere islamico".
Per Al-Zeqri, "la verità è che studiare la religione degli altri non significa affatto rischiare di convertirsi ma capire loro fino in fondo". "Sia ben chiaro - osserva ancora - la Diocesi di Firenze, a tutti i livelli, non solo non ha tentato di convertirmi. ma mi ha appoggiato in tutti i modi e cercato di farmi sentire a mio agio come islamico".
Nella comunità islamica fiorentina Al-Zeqri siede nel consiglio direttivo ricoprendo il ruolo di responsabile del dialogo interreligioso e della formazione spirituale coranica dei giovani.
Il neo dottore diventerà il primo esponente di una comunità islamica italiana, con incarichi ufficiali, a laurearsi in Scienze religiose. Titolo della tesi "Profilo e responsabilità del ministro di culto islamico in carcere". Alla discussione della tesi sono attesi sacerdoti, imam e autorità religiose islamiche da tutta Italia.

Ed    non capisco  i commenti   indignati ,   fatti  d'ignoranza   preconcetti  ,    propagandistici  

25.8.16

Cagliari, prove di integrazioneed coesistenza a Monte Claro: cristiani e musulmani pregano insieme in moschea

Questo post   è una  risposta   a    tutti  quelli che  , vedere  il miei post  sul  burquini  ,  mi dicevano che  perché  ....    ti ostini a difenderli   e  dialogare    con loro  ,    quando   ti daranno una  coltellata    gridando Allah è grande , ecc.  sarà troppo   tardi .  
Io  non sto difendendo   nessuno   ,  qualunque  condanna    verso   i  fondamentalismi   e  pregiudizi da  qualunque  tipo  di religione  \  fede  provenga  . Sono   convinto   che l'unica via contro il terrorismo religioso ,  ma  soprattutto   sottrarre  giovani  non solo islamici  all'indottrinamento  estremista sia  proprio il dialogo   e  il cercare dei tratti in comune  
Infatti ben vengano iniziative  come quelle di luglio  i mussulmani  alla funzione  cattolica  e  ora  i cattolici   che pregano   con i Mussulmani ,  o  il papa  che  visita  una  moschea  o  se mai avverrà in futuro  un iman  in  vaticano   

  da l'unione  sarda del 20\8\2016   per  la gentile concessione dell'autore 

Era scocciato, e non ha fatto niente per nasconderlo. Anzi, la discussione con l’anziano Mohamed è servita solo a richiamare l’attenzione di tutti. E lui, il giovane
arrabbiato, dopo aver fatto notare che in moschea non si entra con le scarpe e che chiunque deve avere lo stesso rispetto per un luogo di culto, alla fine è rimasto
fuori, a pregare sotto il porticato sul tappetino che si era portato da casa.
Un prologo non previsto, e subito superato, in una giornata che è stata di gioia, di pace e di tolleranza. Quella di ieri pomeriggio, appuntamento alle 13.30,
era la prima volta in cui cristiani e musulmani assistevano insieme a una salat al zuhr - la preghiera del mezzogiorno. Addirittura, quella del centro culturale nel
parco di Monteclaro, che ogni settimana si trasforma in moschea per accogliere le migliaia di fedeli della provincia, è stata la prima in assoluto in Italia.


Una sorta di scambio di cortesia dopo l’invito della Chiesa agli imam delle settimane scorse.
L’incontro, voluto e organizzato dalla comunità islamica cagliaritana, si è poi svolta nella più assoluta normalità. Così come voleva il messaggio di apertura e di  confronto tra religioni e culture diverse. Una risposta agli attentati registrati in Europa e, in particolare, all’episodio di Rouen del 26 giugno scorso, quando un sacerdote,padre Jaques Hamel, era stato sgozzato in chiesa da due giovani fanatici auto indottrinatisi su internet quali soldati del califfato dell’Isis.
«Sappiamo quante bugie si dicono in nome del nostro profeta - ha spiegato nella sua introduzione Hicham Mjidila, marocchino, in Italia da sette anni - la cui caratteristica fondamentale era l’onestà. Ed è su questa base che noi condanniamo ogni gesto di violenza perché non ci appartiene ». All’esterno della moschea una distesa di calzature, all’interno i tappeti, dove hanno preso posto un centinaio di fedeli musulmani, davanti a qualche fila di sedie per gli ospiti, tra i quali don Franco Puddu, vicario dell’arcivescovo Arrigo Miglio, e padre Stefano Messina.[  foto a sinistra   ]
Oltre, naturalmente, a una trentina di cattolici, con le donne che hanno dovuto coprirsi il capo .
Nascoste da una tenda, dietro il predicatore, le donne musulmane, anche questo fa parte della tradizione. «Dio non vuole guerra e violenza - ha ammonito Mohamed Mjidila, l’imam arrivato dal Marocco per un periodo di vacanza In Sardegna - perché queste vengono dal cuore dell’uomo non da Dio. Chi mente sulla religione non è corretto». Parole ed enunciati
che hanno trovato d’accordo don Franco: «Non c’è un Dio di odio e di vendetta. Il profeta Isaia immaginava un solo popolo per tutte le genti e il momento in
cui nessuno avrebbe alzato un’arma per rivolgerla contro qualcuno ».
Hassan Laoudini, è stato tra i promotori di un evento finora unico a livello nazionale. «Ma c’è stata la condivisione di tutta la comunità musulmana», precisa: «Mi auguro che questi incontri possano ripetersi con costanza anche in futuro». Il portavoce della comunità Omar Zaher aggiunge: «Dobbiamo lavorare per combattere i pregiudizi che ancora ostacolano i rapporti di comprensione e di fratellanza».
Insomma, il centro di Monteclaro diventerà laboratorio di idee. Qui, ogni mercoledì, i fedeli si riuniscono per la preghiera del mezzogiorno. Il locale è della Provincia ed era stata Angela Quaquero, all’epoca assessore alle Politiche sociali, ad assegnarlo, per un’ora alla settimana e a titolo gratuito, ai musulmani. Da quando gli
enti sovracomunali sono stati cancellati, e anche per esigenze di bilancio, adesso per il centro si paga un affitto da mille euro all’anno. Una cifra pressoché
simbolica che rivela disponibilità. «Questo lo avevamo capito da subito», ammette Hassan. La prima prova di integrazione religiosa sul campo è andata bene. Ne è convinto anche don Franco Puddu: «Ho apprezzato molto l’iniziativa e infatti son qui. La relazione è un dono di Dio, se non riusciamo ad accoglierla come tale è finita. Ma io sono convinto che questo di oggi sia solo il primo incontro di una serie che ci conduca a una unità di intenti nel perseguimento della pace e dell’amore. Ho pregato
con loro per la fratellanza e contro il terrorismo perché è giusto che lo si faccia insieme» A Monteclaro, giovani e meno giovani si infilano di nuovo le scarpe e prima di
incamminarsi salutano con una stretta di mano e un sorriso. Il sole del pomeriggio è caldissimo ma nessuno se ne preoccupa dopo un’ora e mezzo di preghiera. Tutti a casa o al lavoro, il sasso è stato lanciato e adesso occorre che altri lo raccolgano.

                                              Vito  Fiori.


Questo fatto non è altro  che  la continuazione  e l'applicazione   di quanto iniziato  da Giovanni paolo II  ad Assisi  e   continuato  anche   se  in un diverso contesto politico  , ma sempre   di contrasto all'odio  ed  ai pregiudizi   \ preconcetti   verso chi prega  e   crede  in maniera  diversa, della visita   di  Bergoglio  (  Francesco I  )  qualche tempo fa  in una moschea in Turchia


sempre   dallo stesso link

Dio è uno e unico, le religioni sono solo diverse strade X arrivare alla medesima cosa.
Personalmente mi fanno più schifo gli ignoranti che disprezzano il prossimo e gli eventi che dovrebbero ispirare pace e concordia o  quanto meno   una  coesistenza fra  religioni leggete  i  commenti  spesso  a  senso unico ed  ignoranti all'articolo versione web   sulla pagina fb dell 'unione sarda eccone alcuni



Mario Aresu
Ovviamente i musulmani pregano in arabo e non si capisce che minchia dicono.. vanno estinti anche quelli che ci pregano insieme.. per la loro stupidaggine..

Andrea Puddu Che onore, un medievale tra noi.

 
Mario Aresu No no è alla' e che ci rimanga..
Mario Aresu Andrea Puddu..tra noi..non credo proprio..se non ti senti onorato..prega in silenzio i tuoi feticci e non commentare..anzi porgi l'altra guancia che il musulmano evoluto che ti sta a fianco e che prega la tua morte prima o poi te la stacca..in quel momento capirai chi è veramente il medioevale

9.4.16

Dalle armi alla cattedra la scommessa di Ahmed: 'Insegno ebraico a Gaza, ora dobbiamo parlarci'»









sul sito di http://www.informazionecorretta.it leggo questo interessante articolo di REPUBBLICA del 06/04/2016, a pag. 17, con il titolo "Dalle armi alla cattedra la scommessa di Ahmed: 'Insegno ebraico a Gaza, ora dobbiamo parlarci' " di Fabio Scuto.




L'ex terrorista Ahmed Alfaleet, dopo essere stato liberato da Israele nell'ambito dello scambio di circa 1000 terroristi palestinesi in cambio della liberazione del soldato rapito Gilad Shalit, ha aperto una scuola di ebraico a Gaza. Certamente un progresso rispetto a uccidere ebrei israeliani, come ha fatto Alfaleet. Non possiamo evitare, però, di svolgere due brevi riflessioni.
1) Fabio Scuto e La Repubblica cercano, e trovano , uno dei rarissimi casi di arabi palestinesi che non lavorano, almeno apparentemente, per perpetuare la guerra contro Israele. Perché secondo informnazionecorretta non propongono articoli sui pieni diritti di cui godono gli arabi israeliani e sugli sforzi che fa ogni giorno Israele per favorire la convivenza pacifica con i palestinesi?
2) Scuto sostiene che, oggi, a Gaza "l'ebraico non è più la lingua del nemico". Discutibile, dal momento che Gaza è controllata da un movimento terrorista che si propone la cancellazione dalla faccia della terra dello "Stato sionista" e di annientare gli ebrei che vi abitano.







Secondo me sia il primo che il secondo vedono il fenomeno da un lato solo quando ci sono diversi associazioni ebrei -. palestinesi che cooperano per la pace e il dialogo ecco una guida edita dall'associazione multi confessionale E laica http://www.confronti.net/





UNA GUIDA PER ISRAELE E TERRITORI PALESTINESI
di Autori vari,
126 pagine, 13,50 euro

Visitare Israele e i Territori palestinesi oggi significa incontrare due popoli in conflitto, piegati da sofferenze troppo lunghe, legati l’un l’altro in un groviglio di torti e di ragioni che è impossibile sciogliere. Ma significa anche – ed è il filo rosso di questa guida – poter incontrare tanti laboratori del dialogo e della pace: luoghi in cui, nonostante tutto, israeliani e palestinesi, ebrei, cristiani e musulmani cercano di costruire un nuovo Medio Oriente pacificato e riconciliato




Ecco l'articolo:

Fabio Scuto

Ahmed Alfaleet

«Tov», bene, dice l’insegnante alla sua classe di studenti di varia età dopo aver spiegato alla lavagna il significato della parola “meayin” (da dove). Una classe di lingua ebraica come un’altra, ma questo non è un posto come un altro. È Gaza, il fazzoletto di terra che ha visto quattro guerre con Israele negli ultimi dieci anni. Da qui partono quasi ogni notte, uno, due razzi verso il sud d’Israele. Tanto per ricordare che la partita, gli islamisti, non la considerano chiusa, ma solo temporaneamente sospesa. Siamo al sesto piano di un palazzone sulla Talafimi Street, a quattro passi dall’Università Al Quds, che ospita il Nafha Center per lo studio della lingua ebraica. A guidarlo c’è Ahmed Alfaleet, un uomo alto per la statura media dei palestinesi, con gli occhi chiari e mani grandi. Alfaleet è un ex guerrigliero della Jihad islamica che ha passato vent’anni nelle carceri israeliane di massima sicurezza, venne liberato nel 2011 nell’ambito dello scambio di 1000 prigionieri con il soldati israeliano Gilad Shalit e dopo essere stato scarcerato ha lasciato la lotta armata e raccolto la sfida di diffondere la lingua ebraica a Gaza. È così importante, vista la prossimità territoriale, e pochi arabi la conoscono. Anche a Gaza l’ebraico non è più la lingua del nemico.
Alfaleet, che oggi ha 42 anni e ha messo su famiglia, venne condannato all’ergastolo per l’uccisione di un israeliano nelle vicinanze dell’insediamento di Kfar Darom — che un tempo era al centro della Striscia — e in ventuno anni passati in cella ha conseguito tre lauree — compresa una in Relazioni Internazionali — alla Open University di Israele e un master alla Hebrew University. Racconta del lungo sciopero della fame in cella per ottenere il permesso dall’Israel Prison Service di studiare a distanza all’università israeliana e non presso gli istituti arabi. Ma soprattutto della sua scelta di vita. «Dopo che sono stato rilasciato ho lavorato un po’ come insegnante privato di lingua ebraica, poi con qualche soldo e molti aiuti di parenti ho deciso di aprire questa scuola». Perché? «Come occupante, nemico o semplice vicino, Israele esiste accanto a Gaza. Non possiamo cambiare la Storia». «In cella», racconta Alfaleet, «c’era molto tempo e ho letto qualunque cosa, libri, giornali, riviste. Poi ho pensato che potevo mettere a frutto questo interesse e immaginare forse anche un altro futuro».
«Guardando la tv in cella mi sono reso conto che in Israele sapevano tutto di noi e noi nulla di loro, ho cambiato opinione su molte questioni, dopo aver letto Amos Oz, Avraham Yehoshua, David Grossman e altri poeti e scrittori classici in lingua ebraica: da allora le cose non sono state più le stesse». Lo spiega bene Alfaleet come, lentamente man mano che mentre studiava e leggeva, anche la visione di Israele cambiava. «Oggi mi invitano spesso come esperto di Israele in tv e alla radio qui a Gaza, ma devo stare attento a quello che dico e a come lo dico per non essere bollato come un “cattivo ragazzo” ma per me tutto è cambiato». I suoi studenti, e finora ne ha avuti oltre 1200, sono giornalisti, medici, farmacisti, avvocati e uomini d’affari che devono comunicare con gli israeliani. Ed è molto soddisfatto dei risultati ottenuti, la maggior parte dei suoi allievi adesso parla un ebraico fluente e chiaro.
«Se conosci la lingua non ci sono incomprensioni», dice sorridendo e pensando agli avvocati palestinesi che devono difendere i loro clienti davanti alle Corti israeliane dove tutto è redatto in ebraico o ai farmaci che le Ong mandano nella Striscia e che hanno il bugiardino stampato in ebraico e in russo. Infatti, spiega, «ci sono 4 canali specifici di specializzazione per i professionisti che hanno necessità e vocabolari linguistici diversi». In passato la gente di Gaza era piuttosto aperta nei confronti degli israeliani, nonostante le guerre. I canali tv israeliani — specie Channel 1 e Channel 10 — erano la stazioni più viste nella Striscia ed era quasi una tradizione ascoltare alle 6 del pomeriggio il bollettino quotidiano in arabo di Radio Israele. Migliaia di lavoratori avevano il permesso di uscire dalla Striscia ed erano una sorta di ponte fra le due comunità. Tutto è cambiato negli anni 2000 con la seconda intifada e poi l’inesorabile discesa dopo la presa del potere di Hamas e le 4 guerre (2006-2009-2012-2014) che hanno ridotto la Striscia ad una terra maledetta da dove, tutti, vogliono soltanto fuggire.
Eyad, è un ragazzo di 22 anni che studia giornalismo alla Al Quds University, dice che sta venendo a lezione per imparare l’ebraico per avere più chance per la sua carriera: «Non si può fare il giornalista a Gaza senza capire e leggere i media israeliani». Ecco, alla scuola di Alfaleet questa chance non costa nemmeno cara. Imparare la lingua del “vicino” costa 250 shekel (50 euro) per 40 ore di lezione  e 1200 per 140 ore. E allora “Be-hatzlachah” (Buona fortuna), professor Alfaleet.




e 1200 per 140 ore. E allora “Be-hatzlachah” (Buona fortuna), professor Alfaleet.

«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...