Oggi 10 febbraio giorno del ricordo si celebra giustamente le foibe e l'esodo \ sradicamento delle polazioni italiane o miste vista la situazione tipica di confini come quelli dove convivevano tra alti e bassi e si mescolavano \ contaminavano etnie diverse fino all'esplodere \ all'esacerbarsi ne nazionalismi ed arrivare alle brutture delle pulizia etnica . Ma che altro dire su tali eventi che non sia già stato detto o scritto , che non sia solo retorica nazionalista \ patriottarda ? Io nel mio piccolo posso solo ripetere quanto già detto , da quando ho messo su il blog ( prima con splinder poi con blogger ) ed in particolare in quest'ultimo post scritto di qualche fa , quello che da fastidio a coloro che vogliono celebrando tali eventi a senso unico e solo in parte , sminuendo e accusando chi fa il contrario di negazionismo \ giustificazionismo oscurando il resto delle vicende Quindi posso lottare finchè sia ricordato tutto la pulizia etnica e l'italianizzazione forzata e la cancellazione etnica e le brutalità con i nazisti
non solo i crimini del foibe e del regime di Tito .Per e per parafrasare la mia patria di Sabina Guzzanti ( qui il testo integrale ) le vele al vento del mio pensiero al finche' quel vento resisterà' e soffierà ancora ( canzone di Pierangelo Bertoli ) lottare affinché non si speculi con la scusa di trovare una memoria condivisa su tali vicende cosi dolorose e " divisive " e ancora per la politica della guerra fredda \ congiura del silenzio e degli italiani brava gente ( url ) . Ma sopraqttutto non siano ogetto propagandistico e usato cone speculazione politica contro gli avversari ( destra ) e negazionista e giustificazionista con distruzione e deturpamento di monumenti e sacrari con vergognose scritte
Quindi ho già detto tutto quello che dovevo dire . Che altro aggiungere quindi ? se non
oppure visto che zitto non riesco a stare segnalando ( è dell'anno scorso ma l'ho scoperto solo oggi ) un ottimo lavoro letterario e musicale scevro quasi del tutto dalla retorica patriottarda e nazionalista ma carico di nostalgia esodo
di Chiara atzeni qui la sua pagina facebook o con una bellissima testimonianza da sinistra perché l'esodo e lo sradicamento da quelle terre riguarda tutti e non guarda in faccia nessuno
da
Il Fatto Quotidiano
» Adriano Sansa
Foibe, la memoria sia almeno giusta: tutto va ricordato e nulla giustificato
Il Fatto Quotidiano
» Adriano Sansa
Sono nato a Pola; il nonno era medico a Dignano: morì d’infarto in quei giorni tremendi. Fummo costretti dalle minacce e dal terrore di Tito a lasciare la nostra terra. Passammo tempi di angustie. Poi i miei genitori ricominciarono, senza troppi lamenti. Si riunivano con altri esuli ogni anno a cantare il “Va pensiero”. Ma ancora dopo decenni altri profughi meno fortunati vivevano in squallide caserme fra corde tese a separare con qualche coperta le famiglie.
Al principio l’italia non fu sempre generosa. Il Partito comunista subiva l’egemonia sovietica, simpatizzava per Tito; gli esuli furono stoltamente chiamati fascisti, talvolta insultati e molestati. Paradossalmente il fascistume seguace del corresponsabile del loro dramma fece mostra di difenderli. Per molti anni non si parlò onestamente della tragedia istriana e dalmata.
Tuttora, nonostante il Giorno del ricordo, e anzi proprio in questa occasione, certe analisi sono inquinate dall’ideologia. I crimini del fascismo, la persecuzione della popolazione slava richiedono giustamente una memoria e possono spiegare in parte la ferocia dei titini, le foibe, la sostituzione etnica che ne seguì. Ma non le giustificano. Gli eventi pur connessi della storia esigono uno ad uno un giudizio. Gli istriani patirono tremende crudeltà, violenze, sevizie di ogni sorta.
Le ultime parole di mia madre furono “perché devo morir cussi’ lontan?”. Nata a Lussino, cresciuta tra Trieste e Pola, aveva insegnato nella minuscola isola di Unie. Per tanti esuli il Giorno del ricordo arriva tardi: che sia almeno giusto.
a freddo dopo la sbornia retorico celebrativa sia del 27 gennaio sia di quella del 10 febbraio pubblico questo interessante articolo di Massimo Castoldi
Il giorno della liberazione di Auschwitz è la data simbolo per non
dimenticare lo sterminio degli ebrei per mano di nazismo e fascismo. Ma
occorre evitare la vuota ritualità e restituire complessità ai fatti.
Ridestando interesse e sgomento
Il giorno della Memoria — 27 gennaio, in ricordo del
27 gennaio 1945, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz — non
è una festa nazionale come sono il 25 aprile, festa della Liberazione, e
il 2 giugno, festa della Repubblica, ma un giorno di lavoro, di studio,
che dovrebbe essere pretesto per cercare di comprendere le ragioni
storiche di quanto è avvenuto nel nostro Paese e in Europa tra anni
Venti e anni Quaranta del secolo scorso. La legge del 2000 che lo
ha istituito invita a riflettere «su quanto è accaduto al popolo ebraico
e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti [...] affinché simili eventi non possano mai più accadere».
Ho sempre trovato molto velleitaria questa proposizione finale, la
quale presuppone che possa crearsi una consapevolezza così diffusa di
quanto avvenuto, che le aberrazioni del passato non possano ripetersi. La
storia conferma che non è così e la cronaca lo rende tragicamente
tangibile. Ciò non toglie opportunità e necessità all’operazione della ricostruzione storica delle dinamiche che
hanno consentito l’affermazione di quelle dittature, fascista e
nazista, delle quali lo sterminio di massa organizzato è stato la più
macroscopica conseguenza. Mi chiedo, tuttavia, se e fino a qual
punto questa riflessione sia stata fatta fuori dall’ambiente degli
specialisti, o se invece ci siamo il più delle volte limitati a una narrazione rituale,
nell’inesorabile affermarsi di “Un tempo senza storia”, come Adriano
Prosperi ha intitolato un suo libro recente (Einaudi, 2021).I
dati che l’Eurispes ci fornisce sono eloquenti. Se nel 2004 il 2,7 per
cento della popolazione italiana credeva che la Shoah non fosse mai
esistita, nel 2020 questa percentuale è salita al 15,6. Se dovessimo
estendere l’inchiesta dalla Shoah alla deportazione politica, che
peraltro in Italia è fenomeno più rappresentativo (circa 24.000
deportati politici, circa 8.000 ebrei), queste percentuali di ignoranza
salirebbero in modo esponenziale. L’istituzione del giorno della Memoria
non ha evidentemente ottenuto gli effetti sperati.
Anzi si potrebbe dedurre che alla ritualità delle commemorazioni
corrisponda un incremento di atteggiamenti razzisti e neofascisti. Occorre restituire complessità storica al fenomeno, per ridonargli interesse. Invito a vedere il film documentario del 2016 “Austerlitz” di Sergei Loznitsa,
che il regista girò con una telecamera fissa posta in alcuni luoghi del
campo di Sachsenhausen. In una serie di lunghe sequenze passano turisti
intenti compulsivamente a fotografarsi nei luoghi di tortura e di morte
nella generale incoscienza della storia, che le guide meccanicamente
raccontano.È il percorso inverso rispetto a quello fatto da
Austerlitz, il protagonista dell’omonimo romanzo di Winfried Georg
Sebald (Adelphi, 2002), che attraverso una faticosa ricerca storica e memoriale
prende coscienza da adulto di essere uno di quei bambini ebrei giunti a
Londra in treno durante la guerra, mentre i suoi genitori venivano
deportati in un campo di sterminio. Osservando il film, ho notato nella sconcertante babele turistica, in due momenti diversi, nello sguardo di due ragazze un lampo di sgomento e un istante di confusione. Due bagliori improvvisi che indicano, con Prosperi e Sebald, una strada.
Inizialmente stavo pesando a qualcosa di simile all'articolo sotto vista l'età 13\14 del ragazzo in questione . Ma poi vista : 1) l'obbietà dell'articolo che collima con il mio intento che coltivo dall'istituzione di tale giornata palla ma che ormai dopo anni di silenzio a livello della pubblica opinione
è diventa una delle date fondanti della Repubblica. Insieme al 27 gennaio ( anche se sarebbe stato meglio il 16 ottobre deportazione degli ebrei romani ma va beh ) , 8 marzo , il 25 aprile , il 1 maggio , il 2 giugno , il 4 novembre , Il 12 dicembre 2) la sagacità del ragazzo quando : << [...] ma come sta mettendo sullo stesso piano violenze fasciste e violenze comuniste , lager e foibe [...] >> di cui parlavo nel post precedente : il 10 febbraio e la questione del confine orientale spiegata ad un adolescente ho cambiato idea . Perché anche se come tutti gli eventi storici è difficile come ho detto nel post : << 10 febbraio ( e non solo ) e impossibilità della memoria condivisa>> trovare una memoria condivisa , non significa che certi eventi debbano essere dimenticati o silenziati e gli orrori che ne sono alla base siano ripetuti anche se in maniera diversa .
Ma soprattutto visto che Il tema delle foibe e dell’esodo giuliano è da sempre un argomento molto delicato, affrontato da alcuni con reticenza e da altri con una certa strumentalizzazione politica ed ideologica . Qui come potete vedere nei mie post per il giorno \ settimana dl ricordo sia recenti sia passati c'è l’intento di fare il più possibile chiarezza su quei tragici avvenimenti, raccogliendo a 360 gradi e non a senso unico l’invito della stessa legge istitutiva del Giorno del Ricordo che, testualmente, invita a “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale " Il mio obbiettivo è certamente quello di ricordare quei tragici avvenimenti che causarono tanti dolori e lutti ma anche quello, affrontandolo dal punto di vista storico, di cercare di comprenderne le origini, le cause e le conseguenze.
Solo in questa maniera può essere possibile difendere degnamente la memoria delle tante vittime e dei tanti profughi. e di cui ha subito sulla propria pelle gli effetti nefasti e brutali del nazionalismi e delle aberrazioni ideologiche de secolo corso . Ma ora basta parlare io , vi lascio all'articolo in questione
l'espresso 5 febbraio 2023
Il confine orientale Dove corrono i tormenti del ’900
di PIERANGELO LOMBARDI *
Il Giorno del Ricordo rievoca le vicende avvenute nel secolo scorso nell’Alto Adriatico. La memoria
di questa tragica pagina di storia è difficile. E spesso strumentalizzata per scopi politico \ ideologici [ corsivo mio ]
IL 10 febbraio è una data del calendario civile italiano: il Giorno del ricordo. Nel corso di formazione [ foto a sinistra dell'edizione di quest'anno ]
per insegnanti organizzato l’autunno scorso dall’Istituto pavese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, la sfida è stata quella
di andare al di là delle sovraesposizioni mediatiche e delle ingerenze politiche, che non aiutano, ma al contrario allontanano la piena comprensione delle vicende avvenute nel corso del Novecento nell’Alto Adriatico. Il ragionamento di lungo periodo, proposto
agli insegnanti, è stato quello di riflettere
sul tema che proprio la legge istitutiva del
Giorno del ricordo, del 2004, indica come
«la tragedia degli italiani e di tutte le vittime
delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli
istriani, fiumani e dalmati nel secondo Dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale». Perché in questa tragica pagina di storia non c’è solo una memoria
difficile e complessa, ma, come ha suggerito
Guido Crainz, c’è in «quel confine tormentato tutto il nostro Novecento».
Ci sono i nazionalismi e i processi di nazionalizzazione, dove uno spirito discriminatorio e per nulla inclusivo troppo a lungo ha soffiato sul Vecchio Continente; c’è il trauma della Prima guerra mondiale, con la «italianizzazione forzata» imposta dal fascismo alle popolazioni slovene e croate; ci sono la violenza e la brutalità dell’occupazione nazista e fascista della Jugoslavia
nel 1941; c’è la tragica lezione della Seconda guerra mondiale, una guerra totale, in cui veniva meno la distinzione tra militari e civili, dove l’imbarbarimento del conflitto, specie sul fronte orientale, è stato
massimo. Ancora: c’è l’incontro tra violenza e ideologia politica che si fa devastante e dove, in un clima torbido e inquietante, s’intrecciano il giustizialismo politico
e ideologico del movimento partigiano titino, il nazionalismo etnico e, soprattutto in Istria e nelle aree interne, la violenza selvaggia tipica delle rivolte contadine.
Ci sono le violenze contro le popolazioni italiane del settembre del 1943 e del maggio-giugno del ’45, di cui le foibe, gli arresti e il clima di terrore che spinge all’esodo forzato migliaia di italiani sono simbolo ed espressione; c’è la volontà di Tito e del comunismo jugoslavo di annettere l’intera Venezia Giulia, con un’epurazione volta a eliminare – senza andare troppo per il sottile – qualsiasi voce di dissenso. Ci sono, infine, le logiche della Guerra fredda e della radicalizzazione dello scontro ideologico nell’immediato Dopoguerra. Il tutto sulla pelle di decine di migliaia di persone.
Un vero e proprio tornante di fughe e di espulsioni in tutta Europa, infatti, si accompagna agli esordi della Guerra fredda e a una più generale ridefinizione dei confini europei e dei loro significati. Diventa, quindi, sempre più necessario, nell’affrontare questa pagina di storia, contestualizzarla con grande rigore, respingere tesi negazioniste o riduzioniste, così come le banalizzazioni e le verità di comodo più o meno finalizzate a uno scorretto uso pubblico della storia. Occorre assumere un ruolo attivo nel processo di rivisitazione critica, che sola può portare al superamento delle lacerazioni del passato. Anche perché le vicende dell’area giuliano-dalmata costringono chi le affronta a misurarsi con temi assai più generali e con fenomeni centrali per la comprensione della nostra contemporaneità.
* Presidente di ISTORECO Pavia A cura della Biblioteca Civica Vigevano, Rete Cultura Vigevano e dell’Istituto pavese per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea )
Per cercare d'essere originale ed evitare di cadere nella retorica anche nella " settimana " del ricordo ovvero nel 1' febbraio , ho deciso d'incentrare il mio post su un intervista \ chiacchierata con l'amico fb triestino Paolo Visnoviz
IO ciao e complimenti per i tuoi scritti . e pensieri in direzione ostinata e contraria . vorrei chiederti , visto che il tuo cognome mi sembra slavo , se t'andrebbe una " intervista " chiacchierata sulle foibe e sull'esodo
PAOLO
Sono triestino da almeno 7 generazioni, poi chissà... Ma anche mi chiamassi Rossi, la storia delle foibe ha segnato tutto il territorio e tutti i suoi abitanti.
IO come hai conosciuto le vicende delle foibe ?
PAOLO Abitando dove abito, è difficile non aver mai sentito parlare delle foibe. Ma anche la memoria va contestualizzata. Nel senso che la mia memoria non è diretta, per ovvi motivi anagrafici, ma nasce in un preciso contesto sociale e politico. La mia famiglia era di sinistra. Mio nonno era un attivista del PCI, e fu internato in Risiera. Sopravvisse. Mio padre, anch'esso di sinistra (seppur equilibrato e affatto integralista), era stato preso dai tedeschi e obbligato a scavare trincee nell'ultimo periodo dell'occupazione nazista. Delle foibe, in famiglia, non se ne parlava mai. Forse perché non ci avevano mai toccato direttamente. Forse perché avevamo altre tragedie da ricordare, come il bombardamento del 10 giugno del '44, che mi impedì per sempre di conoscere uno zio materno, morto adolescente.Oltre che le memorie e i discorsi a mezza voce di "quelli grandi", da piccolo la guerra mi regalò una baionetta nazista, usata da mia nonna per fare lavori di giardinaggio e lasciataci da un giovanissimo soldato, che la mia famiglia aveva nascosto per qualche giorno in un sottoscala, e un bel tavolo in legno massiccio lasciatoci da una famiglia ebraica, che pure i miei avevano aiutato. Le foto in bianco e nero di quelli che non c'erano ormai più. I racconti di mia madre e mio padre di quando andavano al mare, a tuffarsi da un relitto di nave bombardato. O, ancora, i racconti di mio nonno, il quale aveva, all'epoca, una piccola osteria dove dalla porta uscivano tedeschi, incrociando partigiani che entravano, facendo finta di nulla. Quasi in una specie di tregua mai dichiarata, ma da tutti rispettata.
IO secondo te il 10 febbraio è utile o inutile ? Oppure tale giornata Istituita nel 2004 su iniziativa di esponenti dell'allora Alleanza nazionale e da una sinistra revisionista “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”, la ricorrenza del Giorno del Ricordo ha finito per inglobare non solo le memorie per troppo tempo marginalizzate degli esuli e delle loro famiglie, ma anche dei fascisti, le cui responsabilità sono intrinsecamente legate con il destino di quelle comunità. ?
PAOLO Come sempre la politica, o meglio la strumentalizzazione politica dei fatti storici, fa sembrare tutto rosso o nero, ma non fu così. Non è mai così.
Nella mia fretta ( sia del parlare che nella scrivere ) gli ho fatto tre domande in una
IO "Sul tema si è imposta una verità ufficiale fatta di stereotipi e luoghi comuni. Chi la mette in discussione è tacciato di negazionismo" che ne pensi ? Eric gobetti afferma in questo articolo su https://www.ildolomiti.it/societa/2021/ << [...] Per gli studiosi parlare di questo tema, come di molti altri, è diventato sempre più difficile. Ma questo è un meccanismo che va fermato, perché gli studiosi devono poter analizzare le fonti, fare ricerca e dare le proprie interpretazioni liberamente” [....].>> e qui introducendo il suo ultimo libro
concordi o non concordi ?
Per me A dominare la narrazione sul confine orientale è il nazionalismo, che a fronte di decenni di repressione e oppressione degli slavi tende a isolare gli episodi in cui gli italiani sono stati vittime. << La verità ufficiale che si è imposta sul tema delle foibe non si basa sulle fonti bensì sugli slogan – prosegue Gobetti – si sente ad esempio ripetere che i territori in questione fossero italiani da sempre. È totalmente falso, perché diventano italiani dopo la Prima guerra mondiale e lo restano fino alla fine della Seconda, quindi per poco più di 20 anni. Sono terre in cui per secoli hanno convissuto gruppi linguistici differenti. A questo aspetto dedico uno dei tanti capitoli del libro, dove punto per punto analizzo cosa ci sia di vero e cosa di falso negli slogan>> e vanno studiati e ricordati a 360 gradi . Per te ?
Paolo Ritornando in tema e alla tua domanda, delle foibe iniziai ad interessarmi grazie a Roberto Menia (quello che poi sarebbe diventato il braccio destro di Gianfranco Fini). Andavamo allo stesso liceo, ma in classi differenti (credo lui sia più vecchio di me di un anno), e mi aveva preso di mira. Lui già allora era un "capetto del Fronte della Gioventù, mentre io mi definivo anarchico, e tra tutti i 600 studenti di quella scuola, eravamo forse in 3 ad esserlo. Avevamo però un certo seguito e carisma, ovviamente soprattutto a sinistra, e quindi Menia mi prese un po' di mira. Nulla di che, mai nulla di violento. Forse, una volta qualche spintone e un giornale strappato (credo fosse una copia de "il Male").Un giorno, in un confronto verbale in corridoio, mi rinfacciò le foibe, non a me, ovviamente, ma a quella parte politica cui lui credeva fossi vicino. Non era la solita contrapposizione verbale, il solito esercizio dialettico (classico, per dei giovani stupidi, come tutti a quell'età eravamo). No, per lui era qualcosa di più profondo, di più vivo: una ferita ancora aperta.Ne parlai a casa con i miei. Chiesi loro direttamente delle foibe. Non negarono, ma quasi giustificarono quei massacri con i torti da molti subiti. I villaggi in fiamme, la gente uccisa o deportata. Gli orrori perpetrati dai nazifascisti.Non subito, ci volle tempo, ma da quel giorno iniziai a capire che i torti non stavano da una sola parte, e che gli orrori li avevano commessi tutti.La famiglia di mia moglie è italiana d'origine, italiofona e vive in Istria, Croazia. La maggior parte di loro sono rimasti anche nel travagliato dopoguerra. Vivono non molto distante da una foiba, e i loro ricordi sono terribili. Sono sopravvissuti, come la madre di lei, poi emigrata a Trieste che, un giorno, camminando per strada si prese un proiettile in un braccio. Di storie così ogni triestino può raccontarne. Eppoi la triste storia degli esodati, ben raccontata da Cristicchi in Magazzino 18. Un lavoro teatrale che ha portata in giro per l'Italia, e che io ho visto a Trieste, dove ha avuto un impatto emotivo molto forte, per ovvi motivi. Lo hanno minacciato, gli hanno bucato le gomme della macchina. Ancora oggi c'è gente che non riesce a far pace con la storia. D'altra parte, quando venne eletto Nesladek sindaco di Muggia (TS), di sinistra, in piazza c'era gente che per festeggiare ha tirato fuori le bandiere titine. Ancora oggi ci sono moltissimi triestini che non vanno in Slovenia nemmeno se pagati. Ancora oggi in molti esercizi della minoranza slovena, servono prima chi entra dicendo "doberdan" di quello che ha detto "buongiorno", anche se sarebbe stato il suo turno.Ancora oggi ci sono persone che negano o giustificano. Almeno oggi se ne parla, almeno oggi c'è il 10 febbraio. La verità viene raccontata, anche se non tutti vogliono sentirla. Più in generale ci sono stati storici e giornalisti che hanno riletto la storia della 2° guerra mondiale in modo più critico e obiettivo, non ideologico, come Giampaolo Pansa.Dal mio canto, quando mi capita di parlarne con qualcuno, ricordo semplicemente che riconoscere le atrocità dell'esodo e delle foibe, non sminuisce affatto gli orrori del nazifascismo. Nessun revanscismo, nessun odio, solo la necessità di raccontare la storia. Tutta la storia, non solo una parte.
Concordo con lui soprattutto sull'ultima parte perchè dopo quasi 60 anni di silenzio istituzionale e ufficiale , rotto ogni tanto come un Geysir da scritti e studi ma limitatoi solo per gli specialisti e un pubblico di nicchia , certe ferite ancora aperte bruciano ancora per il sale che viene sparso su d'esse da un uso politico \ ideologico della storia alimentato dalle celebrazioni ufficiali . Infatti anche se sono critico verso il 10 febbraio ricordo tale evento e cerco di sfatare la vulgata delle foibe e dell'esodo solo ed esclusivamente come i eccidi comunisti . Ma soprattutto mettere in evidenza che quello che accade nell'Adriatico ( quelo che una volta si chiamava confine orientale ) in quegli anni non è solo dal 1947 al 1960\75 e che farsi un idea diversa da quella ufficiale non vuol dire necessariamente giustificare o negare talli fatti. Infatti La cristallizzazione istituzionalizzata delle memoria delle vicende delel foibe in una ricorrenza nata a qualche anno dall'istituzione del Giorno della Memoria contiene in sé un'irrisolvibile contradditorietà. Il 10 febbraio l'Italia si ferma a ricordare una comunità sradicata dal proprio territorio e accolta a fatica nel seno della nazione. Lo fa in una data che è al tempo stesso l'inizio della fine per gli italiani adriatici e l'imposizione di un trattato come vinti per l'intero Paese. Agli occhi degli italiani, digiuni dalla Storia e dalla conoscenza delle terre di confine, il ricordo diventa rivendicazione, in continuità diretta, geografica e politica, con la “vittoria mutilata”. L'iter per l'istituzione della ricorrenza, al tempo stesso, ne marca il senso politico. “Colonizzata” dalla destra post-fascista, accettata dalla sinistra post-comunista in nome della “memoria condivisa” - lo scotto da pagare per la consunzione dell'utopia – questa data “dialoga” con il Giorno della Memoria, quasi fosse contrapposta allo sterminio nazi-fascista. "Pareggiare la storia", equilibrare le morti, presentarsi come vittime dimenticando deliberatamente d'essere stati carnefici.
L'uso politico della storia strumentalizza la tragedia d'una comunità, acuendo le divergenze, impedendo la comprensione. Infatti concordo con quanto dice in questo articolo dell'anno scorso sempre dal sito https://www.ildolomiti.it/societa/ Raoul Pupo uno degli storici fra i più citati dai "seguaci " del 10 febbraio ufficiale .
Professor Pupo, cosa avvenne nel confine orientale negli anni della Seconda guerra mondiale e cosa si celebra nella ricorrenza del Giorno del Ricordo?
È un periodo lungo quello che si ricorda nella celebrazione del Giorno del Ricordo, così come diversi sono i fenomeni al centro di questa ricorrenza. Si parte con gli infoibamenti, un'espressione in cui è forte la tendenza a semplificare e all'uso pubblico della storia. Si indicano le stragi avvenute a ondate nell'autunno '43 e nella primavera/estate del '45. Si ricorda poi l'esodo, un fenomeno lungo cominciato con lo sfollamento di Zara nel 1943 e concluso nel 1956. Vi sono poi le altre vicende del confine orientale, per cui si va indietro all'occupazione italiana. Complessivamente nel Giorno del Ricordo si commemora il collasso dell'italianità adriatica, di un intero gruppo nazionale, che per il 90% decise d'emigrare. I numeri precisi non si conoscono, si parla di alcune migliaia di scomparsi, tra i 3000 e i 5000, e di 300mila esuli. Sul tema, Italia, Slovenia e Croazia diedero vita a commissioni d'esperti, che si conclusero nel caso italo-sloveno mentre è rimasta in sonno quella italo-croata. Alla pubblicazione in Slovenia, in Italia non corrispose una pubblica comunicazione. Il Ministro degli Esteri, comunque, lo ha lasciato a disposizione degli studiosi. Su questo “collasso” vi è poi stato il tentativo di colonizzazione da parte della destra, un uso politico che si è inserito sullo spirito originario della legge di recupero e valorizzazione di una memoria per lungo tempo rimossa dalla scena pubblica.
Uso politico della storia e semplificazioni nel linguaggio segnano questa ricorrenza. Non è forse l'accento sulla memoria a determinarne la problematicità?
Sulle vicende di giuliani, istriani e dalmati ha operato per lungo tempo una generale amnesia, a partire dal dopoguerra. Per gli esuli e i parenti degli scomparsi è rimasta una ferita. Il Giorno del Ricordo agisce in questo senso su un lutto non elaborato, recuperato e valorizzato, come detto, ma su cui poi si è prepotentemente inserito un uso politico. L'utilizzo di un linguaggio banalizzante e semplificatorio ne è l'esempio. Si parla tanto di foibe perché impattano maggiormente sull'opinione pubblica, ma nella categoria di infoibati si comprendono anche persone uccise in altri modi o scomparse. Si parla di pulizia etnica, ma se fosse stata davvero una pulizia etnica ci sarebbero attualmente in quei territori circa 100mila italiani. Infatti quando parliamo di italiani in questi territori ci riferiamo a italiani d'elezione, non a italiani etnici. Paradossalmente “pulizia etnica” è un termine riduzionista, una semplificazione che finisce per essere un boomerang per chi la fa. Si guardino i cognomi degli esuli, ci si renderà conto di questo concetto. Con l'istituzione della legge il racconto di queste storie è delegato alle associazioni di profughi, variegate al proprio interno, alla rete degli istituti della Resistenza e agli enti locali. È chiaro che in quest'ultimo caso le maggioranze politiche influiscono in modo più o meno evidente. La problematicità delle iniziative, d'altronde, si ritrova proprio nell'accento che si fa sulla memoria. Nella caccia ai testimoni, sempre di meno, si mettono in difficoltà queste persone. Non si può, in aggiunta, far spiegare da un figlio di un infoibato come funzionano le stragi. Bisognerebbe che ci fosse sempre uno storico o un esperto accanto al testimone, perché va bene quando la memoria fa memoria, ma quando la memoria fa la storia è un disastro.
Tutti gli anni, a margine del Giorno del Ricordo, il dibattito pubblico viene percorso da opposte prese di posizione che negano o ingigantiscono il fenomeno degli infoibamenti. Quanto e perché è problematica questa ricorrenza?
La scelta del 10 febbraio è tutta politica. Nello spirito delle associazioni dei profughi è una data che segna l'inizio della tragedia, una data simbolicamente molto forte. Dal punto di vista storico, però, è estremamente problematica. Il governo italiano è oggetto del Trattato di pace, l'Italia è un Paese sconfitto e sul banco degli imputati. C'è inoltre il grosso limite d'essere vicini al Giorno della Memoria, segno che tra alcuni proponenti ci fosse l'idea di metterli sullo stesso piano. È una data infelice, se ne deduce, ma non era facile trovarne un'altra. Le ricorrenze si pongono spesso all'incrocio tra due fenomeni: la ricerca dei testimoni e il vittimismo come esaltazione della vittima. Queste due ricorrenze ne sono il simbolo. Riguardo ai diversi atteggiamenti nei confronti dei fenomeni al centro di questa ricorrenza, nel mio libro del 2003 ("Foibe", scritto con Roberto Spazzali) vengono avanzate alcune categorie come quelle di “negazionista” e “riduzionista”. Categorie scivolosissime da usare con attenzione, visto che il negazionismo è un reato punito per legge, e che rischiano d'essere utilizzate per ogni critica. C'è un grosso equivoco, a mio giudizio, e consiste nel fatto che cercar di capire cosa accadde nell'Adriatico in quegli anni non vuol dire giustificare.
Lo so che il mi ricordare e parlare di tali argomenti crea stupore tipo quanto mi si disse quasi a sfotto un amico di destra anni fa : << come miracolo un comunista che critica gli stessi comunisti , e ricorda ed condanna i loro eccidi >> Ma certi eventi , aldilà dell'interpretazione che ne viene data da una parte e dall'altra
Sul suo profilo Facebook, lei ha scritto: “Perfino un banale incidente viene raccontato in mille modi diversi. Per raccontare esodo e foibe occorrono anni di studi, onestà intellettuale e più voci”. Che motivo l’ha spinta a scriverlo?
Ho scritto questo perché io ho letto e leggo molto, anche per il mestiere che ho fatto. Mi sono reso conto che tante manifestazioni che sono organizzate per il ricordo o per altri motivi, sono spesso poco equilibrate. C’è gente che si improvvisa storico. E’ vero che ognuno ha i propri ricordi e quindi la storia la vede sotto il proprio punto di vista e non da quello degli altri. L’estrema sinistra e l’estrema destra hanno due approcci diversi nel raccontare la storia di quegli anni. Bisogna avere più equilibrio. E questo manca tante volte, anche in alcuni di noi. Perché io mi rendo conto che il dolore provato da mio padre, da mia madre, da mio nonno è stato grande, ma bisogna tener conto anche dell’opinione degli altri.
Non puoi raccontare solo la tua, devi indagare, vedere poi trarre le conclusioni. Per questo per me sarebbe importante che certe manifestazioni fossero organizzate con tutti e due i punti di vista, sia chi nega certe cose sia chi le esalta troppo. In modo da raggiungere un certo equilibrio in modo che la gente senta le opinioni di tutti e poi possa trarre le sue conclusioni. Io voglio sapere qual è la verità, la verità mia quella dell’altro, poi ognuno farà i suoi ragionamenti.
La storia e il dramma del professor Picot, il racconto della tragicità delle foibe e della fuga dall'Istria
non si possono negare o far finita che non siano mai avvenuti . Inoltre io ricordo oltre a quanto ho già detto precedentemente in altri post tali eventi perchè : 1) combatto , almeno ci provo . l'uso strumentale e politico di tali complesse e dolorose vicende ., 2) perchè essendo La memoria, come un fiume carsico, percorre le profondità della terra prima di ritornare alla luce. E quando lo fa, spesso, è prorompente. La memoria degli italiani adriatici, silenziata e rimossa nell'Italia del dopoguerra - lacerata dalla guerra civile, ferita da vent'anni di regime, spaccata politicamente e socialmente dalla Guerra fredda - è esempio significativo. ed io sono cresciuto con ciò . Da un lato mio nonno e i miei prozii paterni che coltivavano la vulgata come eccidi comunisti sulle foibe e mio padre e mio zio che la contrastavano . 3) perchè ancora non si è fatto i conti con il nostro passato dimenticando che siamo stati "noi" ad averle innescate e poi tacerle ed ora usarle strumentalmente tacendo \ nascondendo sotto il tappetto o quando c'è un briciolo di onesta intellettuale e politica cioè non li si nega sminuendo quello che è avvenuto prima e concentrandosi solo su quello chè è avvenuto dopo .
un mio amico mi chiede : Sono bambini......cosa vuol dire italiani bianchi , puliti, ordinati ? Io Dipende se s'intende il titolo alla lettera o meno . Se s'intende alla lettera , come fai notare tu , nel senso Salvinista/ultra sovranista . Se invece si interpreta liberamente visto che il giornale in questione non è né leghista né sovranità ma solo "campanilistico " provinciale /regionale esso è il solito linguaggio e titolo sensazionalistico con influenze nazionalistiche nazional popolari che anche rimangono dal secondo dopo guerra e sono dure a morire . Ed ancora impestano il nostro modo di pensare e di vivere questa volta epocale ( ancora in corso ) degli ultimi 30 anni
La preside, accoglienza è la nostra parola d'ordine
smettiamola di scuotere la testa o di scambiare gli altri per pazzi quando vi si dice che ora servono nuove parole perchè in questi trent'anni di storiail mondo è cambiato è sta ancora cambiando ( parafrasi di mia dolce rivoluzionaria degli Mcr ) e non chiudetevi nelle vostre torri d'avorio o rifugiatevi nel populismo e nella xenofobia .
stavolta ho qualcosa da raccontare rispetto a quanto dicevo in : << fine
alle ideologie sui morti ( foibe e olocausto ) e ricordiamo
come sugerisce il sindaco Riccardo Borgonovo di Concorezzo ( Monza
) >> . Anche se la storia che racconto è intrinseca del solito vittismo nazionalistico \ anticomunista , ma chi se ne importa , non è di quelli estremi come spesso avviene in molte manifestazioni celebrative di tale giornatae poi come non essrlo davanti a un nazionalismo che maltratta le minoranze etniche che abitavano da generazioni quelle terre che oggi sono il confine orientale ?
E grazie a loro se la trasformazione del territorio paludoso e potuto continuare . Trasformnazione iniziata << (....) già verso
la fine dell'Ottocento con la bonifica della laguna costiera del Calich
grazie all'opera dei detenuti del vicino carcere di Alghero e della
colonia penale di Cuguttu. L'opera prosegue nel 1927 con la costruzione
del Villaggio Calik su progetto di Pier Luigi Carloni.
Il borgo di Fertilia nasce ufficialmente l'8 marzo 1936 con la posa della prima pietra della chiesa parrocchiale, ad opera dell'Ente Ferrarese di Colonizzazione, istituito dal presidente del Consiglio Benito Mussolini il 7 ottobre 1933 per dare una risposta alla popolazione in eccesso della Provincia di Ferrara e diminuire le tensioni sociali. Dopo i primi arrivi di emigrati ferraresi, lo scoppio della Seconda guerra mondiale paralizzò di fatto l'opera di colonizzazione, tanto che la maggior parte degli edifici rimasero di fatto inutilizzati.>> ( da http://it.wikipedia.org/wiki/Fertilia )
<> --- sempre secondo Wikipedia -- << saranno gli esuli di Istria e Dalmazia a popolare la borgata, diventando un microcosmo vicino a quello catalano di Alghero.Ereditando la tradizione veneta dei nuovi arrivati, la borgata è
stata dedicata a San Marco e ivi campeggia un leone alato suo simbolo,
proprio al centro del belvedere. Particolarità della borgata è che tutte
le vie e le piazze richiamano luoghi o avvenimenti storici del Veneto e della Venezia Giulia.>>
Ma basta parlare io lascia che ha parlarci di loro sia l'articolo sotto riportato
In via Pola, lo storico bar di Edda Sbisà e figlie nel 2013 compie 60
anni. È stato aperto nel 1953 quando, a Fertilia, sei chilometri da
Alghero, c’era poco altro. Soprattutto terra, infestata dalla palma
nana, una chiesa da finire, la caserma e l’asilo delle suore.
«Delle attività avviate dagli esuli è l’unica ancora aperta», dice a Lettera43.it la figlia, Lorena Calabotta, 52 anni, istriana di Sardegna, nata in un melting pot.
Tra la fine degli Anni 40 e degli Anni 50 arrivarono da Orsera,
Rovigno, Fiume e Zara, nomi che si leggono identici nelle targhe di vie e
piazzali. Poche valigie con il cognome scritto a tinte scure: Orlich,
Bataia, Velcich, Sponza. Con addosso il terrore delle foibe e dei
titini, la certezza di aver lasciato per sempre tutto: casa, lavoro,
conoscenti, a volte i genitori. DIFFICILE CONVIVENZA A FERTILIA.
In quegli anni nella cittadina di fondazione fascista, ma incompiuta,
cercarono un avvenire qualsiasi e la magra consolazione del mare. Prima
di loro si erano installate delle famiglie ferraresi cui erano stati
affidati poderi per la bonifica, a due passi dagli algheresi, di origine
catalana e i sardi. Insieme con altri italiani dalla Corsica, libici
dal 1970 in poi e turchi, greci.
Hanno vissuto insieme in una borgata di stile razionalista in cui il
lavoro era scarso, o meglio inesistente, per tutti. Una convivenza non
scontata e nemmeno sempre facile. FINANZIAMENTI PER PICCOLE IMPRESE.
Ci pensò l’ex Egas, Ente giuliano autonomo di Sardegna (soppresso nel
1978) a gestire i finanziamenti pubblici e destinarli, tra le altre
cose, all’avvio di piccole imprese.
La pesca fallì molto presto: l’Adriatico chiuso cui erano abituati era
ben diverso dal mare sardo. Attecchirono meglio agricoltura e commercio:
dal negozio di alimentari al forno, fino alla locanda della Sbisà.
La signora Edda ora ha quasi 83 anni. Alle pareti le foto ricordo,
nell’aria parole di dialetto. «Mia mamma è arrivata in barca, dopo
settimane di viaggio. Aveva circa 20 anni. Erano già arrivati nel 1948 e
cercavano di andare da una parte all’altra. E poi la seconda,
definitiva, nel 1952».
Suo nonno, racconta, era comandante della X Mas, dopo la fuga aveva
trovato impiego all’arsenale di Venezia. Ma poi le cose non andarono
bene e quindi si ripartì in direzione di Fertilia.
Il sacerdote-pioniere, don Francesco Pervisan, perlustrò per primo la
costa sarda e poi girò tutta la penisola, da un campo all’altro, per
convincere gli istriani al trasferimento. Alcuni sono approdati dopo
aver subito le angherie dei connazionali nei porti.
Istriani disposti a tutto pur di rimanere italiani
La costruzione di Fertilia nel Dopoguerra.
Con il passare degli anni i racconti sono stati affidati alle seconde
generazioni, e spesso c’è ancora quel retrogusto di sdegno e amarezza.
«La vita è qui, le radici lontane. Mia mamma ci ha tramandato tutto: le
feste, i dolci. È tornata più volte a Orsera, ma ha pianto e basta.
Aveva ancora delle amiche lì, ma si va avanti così: anche con rabbia
repressa. Ora forse è difficile da capire, non so quanti oggi farebbero
quel che hanno fatto gli istriani. Perdere tutto pur di restare
italiani». Un’integrazione diventata tale solo con il passare dei
decenni a Fertilia, che ora conta appena 1.700 abitanti.
All’inizio i matrimoni erano soprattutto tra conterranei. Com’è
successo anche a Sbisà che ha conosciuto qui il marito, arrivato da
Zara: «Il legame per noi è stato sempre forte: rispettiamo tutto ciò che
ci hanno insegnato. Persino mio nipote che ha 20 anni e fa il militare,
parla in dialetto». ACCOGLIENZA E DIFFIDENZA. Le frizioni ci
sono state, non solo per motivi politici ma anche, semplicemente, per
quelli economici. Per via delle agevolazioni su casa e
imprese. Nonostante le tante testimonianze di integrazione e la scritta
che campeggia sotto la colonna sul lungomare, proprio sotto un leone di
San Marco: «Qui nel 1947 la Sardegna accolse fraterna gli esuli
dell’Istria di Fiume e delle Dalmazia»».
«L’astio sotterraneo che può capitare di percepire è solo frutto di
ignoranza», spiega Calabotta, «ci hanno accusato di aver avuto tutto
gratis, di aver riscattato con pochi euro. In realtà mia mamma, per
esempio, dopo 60 anni paga ancora l’affitto per il bar». Mentre gli
immobili pubblici passati dallo Stato alla Regione nel 2008 ora sono in
decadenza, o meglio, del tutto abbandonati.
Il 10 febbraio si celebra il Giorno del ricordo
Come appariva Fertilia nel 1954.
Il decano di Fertilia è Dario Manni, che ha più di 90 anni e ricorda
tutto nonostante gli acciacchi. Nelle giornate di sole esce in piazza.
Prima di arrivare in Sardegna a 27 anni è stato nei campi profughi in
Friuli, Sicilia, Ascoli Piceno e a Latina. Ora è vicepresidente
dell’Egis, associazione che punta tutto sulla memoria.
Il presidente è un ragazzo di 30 anni, Daniele Sardu. Nessuna
discendenza istriana o giuliana, ma solo sarda, rimarcata dal cognome.
Insieme organizzano il Giorno del ricordo, il 10 febbraio, una data
storica: nel 1947 fu firmato il trattato di Parigi che assegnò Istria,
Fiume e Zara alla Jugoslavia.
«Purtroppo spesso si scivola nella retorica nazionalista e invece noi
vogliamo rimarcare la storia delle persone, perché non accada mai più»,
dice Sardu, «non necessariamente gli esuli erano fascisti, ma solo
italiani che volevano restare tali». Eppure la ricorrenza è stata
riconosciuta solo dal 2004. NUOVA VITA DOPO L'ADDIO AI CARI.
Tra i nipoti che hanno fatto proprie le storie di 60 anni fa c’è
Michele Rosa, 38 anni, architetto: «Io sono ancora il nipote di Pina del
forno», racconta, «anche se lei purtroppo non c’è più».
Una vita in giro per l’Europa e la penisola, si definisce «cittadino
del mondo, ma anche istriano, sardo, soprattutto italiano». Famiglia
metà ferrarese, metà istriana, nato in Sardegna. La nonna, Giuseppina
Vladich, è arrivata a Fertilia nel 1952, a 29 anni, con marito e figlia.
«Appena scesa dalla corriera è scoppiata a piangere, attorno c’era il
deserto scosso da un fortissimo maestrale cui non era abituata»,
racconta Rosa, «aveva lasciato i genitori a Pola e i fratelli e le
sorelle, 10 in tutto, erano partiti ovunque. Anche in Australia e
America». NASCITA DELLA NUOVA COMUNITÀ. Dopo lo choc
iniziale la nonna si ambientò: «Aprirono una panetteria. Sfornavano e
vendevano, ma soprattutto regalavano. In quegli anni si divideva quel
che c’era. Aveva lasciato una città vera, anche ricca: con cinema,
teatri, ristoranti. In quest’angolo di Sardegna c’era solo la
possibilità di essere ancora italiani e una comunità che si stava
formando».
Una vita all’insegna dei divieti prima della fuga: a un tratto non si
poteva più parlare italiano, dire 'ciao' per strada. «Mia mamma», dice
il 38enne, «è stata battezzata di nascosto nel 1950 a Pola. Ma non con
il suo nome, Maria, bensì Nirvana». VIA DALL'INCUBO DELLE FOIBE.
Di certo una cosa Pina del forno è riuscita a tramandare: il terrore
delle foibe, e il riserbo, durato decenni, nel parlare della
persecuzione e della pulizia etnica.
«Dire foiba era sconveniente anche negli Anni 90», spiega Rosa, «per
scetticismo o semplicemente per non esser compatiti. Una memoria negata
per 50 anni soprattutto per convenienza politica. E i numeri veri
restano un’incognita». Si stima che negli eccidi delle foibe,
inghiottitoi, siano morti almeno in 10 mila e che gli esuli giuliano
dalmati siano oltre 250 mila.