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16.6.18

cori e ricorsi della storia . un aquarius antelitteram ovvero la famosa St. Louis maggio 1939

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Il caso  della nave  Aquarias  mi ha  riportato ala  menoria  un evento storico  simile già  sentito   quello della  famosa  Saint  Louis  (  qui per  chi  volesse  aqpprofondire  trovi  in questi link  I II III    maggiori informazioni   qual'ora  l'articolo   sotto  riportato  non bastasse  )  con ebrei  in fuga  dall'europa  , allora  ormai prossima   , al secondo conflitto mondiale  , rifiutati   da  : Cuba  , Usa  , Canada  che   non seppero distinguere  le regole  (  chiusura   degli acessi  d'immigrati   )   all'eccezione  ebrei in fuga    dal regime Hitrleriano  e  Fascista  


Il tragico caso della nave St. Louis
IL VIAGGIO DEI MALEDETTI


Il 13 maggio 1939, pochi mesi prima dallo scoppio della seconda guerra mondiale, la nave St. Louis salpa da Amburgo con a bordo 937 passeggeri, tutti ebrei, per sbarcare a Cuba. Sull’isola, nel frattempo, un nuovo decreto governativo stabilisce che i documenti dei migranti in arrivo non sono più validi, e che per questo gli verrà negato l’approdo. La nave allora raggiunge le coste della Florida, e anche lì viene respinta, poi quelle del Canada, e ancora lo stesso copione. Questa è la storia di un “viaggio maledetto”, che dura un mese di vana navigazione, perché tutti i porti vengono chiusi in faccia alla St. Luis.
I passeggeri in attesa di scendere. - (Keystone/Getty Images)
C’è una nave in mezzo al mare. A bordo, centinaia di persone: donne, bambini, uomini in fuga. Non vogliono guardare dietro, nella direzione che hanno lasciato. Cercano un porto dove sbarcare. Ma nessuno li accoglie.
È la primavera del 1939. Quattro mesi dopo scoppierà la Seconda Guerra mondiale. La nave è un modello di lusso, lungo quasi duecento metri e costruito in Germania. Si chiama “St. Louis”. I passeggeri sono 937: tutti ebrei, eccetto sette persone. Scappano dalle persecuzioni naziste, che negli ultimi tempi sono diventate insostenibili (sei mesi prima c’è stato il pogrom della Notte dei Cristalli).

Il loro passerà alla Storia come il “viaggio dei Maledetti”.




Il 13 maggio il transatlantico salpa da Amburgo. Ogni passeggero ha un regolare documento per sbarcare a Cuba, approvato dall’Ufficio immigrazione dell’isola. Considerano l’approdo a Cuba un transito, per provare poi a raggiungere gli Stati Uniti. Risultano turisti, grazie a una lacuna di un decreto cubano che non distingue chiaramente il turista dal rifugiato.
La traversata dura due settimane. Mentre la nave sta affrontando l’Atlantico, il decreto lacunoso viene sostituito con un nuovo decreto dal governo cubano: i documenti dei passeggeri della St. Louis non sono più validi.
Quando la nave raggiunge L’Avana, il presidente Federico Laredo Brú, nazionalista, uomo di Fulgencio Batista, rifiuta lo sbarco. Per sette giorni il capitano della nave negozia per convincere le autorità, ma senza successo. Solo in 29, tra i Maledetti, riescono ad avere comunque accesso all’isola. Restano ancora 908 persone.
Il capitano Gustav Schröder ha 54 anni ed è in mare da quando ne aveva sedici. Non è ebreo. Il venerdì permette che sulla St. Louis si svolga la tradizionale preghiera ebraica e fa togliere il ritratto di Hitler dalla sala da pranzo.
Schröder sa che ottenere il permesso di entrare negli Stati Uniti sarà difficilissimo, considerato l’Immigration Act che dal 1924 stabilisce limitazioni nel numero dei migranti ammessi. Eppure tenta.
La St. Louis raggiunge le coste della Florida, dove è costretta ad aspettare. I negoziati proseguono per lunghe ore. La quota di migranti ammessi dalla Germania per il 1939 (27.370) è già stata raggiunta, bisognerebbe andare in deroga per questioni umanitarie. Si coinvolge direttamente Franklin Delano Roosevelt, con un telegramma al quale però il presidente non risponde.
Via via diventa chiaro che gli Stati Uniti non permetteranno lo sbarco. I bambini sulla nave studiano le espressioni ansiose dei genitori, per capire quanto la situazione sia grave.
Ci sarebbe ancora il Canada. La St. Louis è a due giorni di navigazione da Halifax. Ma anche le autorità canadesi decidono di tenere i loro porti chiusi ai Maledetti, nonostante un accorato appello di accademici ed ecclesiastici del Paese. D’altronde è il Canada dove un agente dell’Ufficio immigrazione nel ‘39 rispose, a chi gli chiedeva quanti ebrei sarebbero stati accolti dalle persecuzioni europee, con la celebre frase: “None is too many”.
Il 6 giugno, l’unica possibilità è tornare indietro, nell’Europa minacciata da Hitler. La St. Louis è in viaggio da quasi un mese. A bordo si tocca la disperazione. L’equipaggio deve tenere a bada il tentativo di rivolta di alcuni giovani. Un passeggero si taglia i polsi e si butta in mare.
Iniziano fitte trattative con i governi europei per dare rifugio ai passeggeri, tenerli lontani dalla Germania nazista. Il capitano Schröder ipotizza di incagliare la nave a ridosso delle coste inglesi, in modo da costringere il Regno Unito ad accogliere i passeggeri in quanto naufraghi.
Il 17 giugno la St. Louis sbarca ad Anversa. Sono trascorsi trentacinque giorni dalla partenza.
Regno Unito, Francia, Belgio e Olanda aprono le loro porte. I migranti vengono suddivisi in quote e dal porto di Anversa mandati in ciascuno di questi Paesi. Quasi un passeggero su tre non sopravviverà, secondo gli studi dello United States Holocaust Memorial Museum.
I più fortunati sono quelli destinati al Regno Unito (solo una vittima) e quelli che riescono a lasciare l’Europa nelle settimane prima dello scoppio della guerra.
Di chi rimane sul continente, se ne salvano 278. Gli altri sono 254, e muoiono nei campi di sterminio, nei campi d’internamento o nei tentativi di cercare scampo. Da alcuni mesi è attivo un account Twitter, St. Louis Manifest, che pubblica i loro nomi e le loro fotografie.




Il mio nome è Max Hirsch. Sono uno dei tanti passeggeri della St. Louis rispedito indietro dagli Usa 79 anni fa. Sono morto nel campo di concentramento di Mauthausen. #NeverAgain



24.9.17

Mantova «Hai lavato male». Licenziato a 9 mesi dal pensionamento Il lavoratore era un addetto alle pulizie degli uffici postali.

lo so che rispetto al caso di Alessandra Marsilli e della sua famiglia ( ne ho parlato su queste pagine ) questo è meno grave . ma fa indignare  soprattuto  come il tempo  e le lotte  degli ani 60\80  non sia servite    e  bisogna  rincominciare  dacapo  



da  http://gazzettadimantova.gelocal.it/mantova/cronaca/2017/09/23/


MANTOVA. Licenziato a nove mesi dal pensionamento e dopo una sola contestazione disciplinare: a denunciare lo sgambetto crudele è il segretario generale aggiunto di Uiltucs Uil, Daniele Grieco. Il pensionando in questione sarebbe metaforicamente) scivolato su un pavimento lavato male: così secondo la Unilabor, il consorzio che un anno fa si aggiudicò l’appalto delle pulizie degli uffici postali della provincia di Mantova, e in questi giorni ha messo alla porta il lavoratore. Rotolato per anni e anni da un appalto all’altro, l’uomo puliva gli uffici postali del Viadanese insieme alla moglie.Sommate, le loro paghe non superano gli 800 euro al mese, appena sufficienti per vivere un’esistenza sul filo della dignità. Grieco non entra nel merito della contestazione ma denuncia l’atteggiamento dell’azienda, con la quale Uiltucs ha già ingaggiato un’aspra battaglia perché gli stipendi siano pagati entro il 15 del mese successivo a quello lavorato: morale, per lunedì è proclamato uno sciopero, con presidio davanti all’ufficio centrale delle Poste, in piazza Martiri (dalle 9 alle 11). Sciopero al quadrato, che intreccia il ben servito al pensionando con l’esasperazione dei dipendenti Unilabor (una cinquantina, quasi tutte donne).Quanto al licenziamento, riferisce Grieco della contestazione ricevuta dall’ex dipendente a fine agosto, rintuzzata via raccomandata con la richiesta di un chiarimento alla presenza del sindacato. Richiesta ignorata dall’azienda, che nei giorni scorsi ha comunicato il licenziamento disciplinare.Statuto dei lavoratori alla mano, prima di mettere qualcuno alla porta, però, servirebbero almeno tre sanzioni. In altre parole, il lavativo in questione dovrebbe essere recidivo. «Abbiamo già impugnato il licenziamento e coinvolto l’Ispettorato del lavoro» informa il sindacalista della Uiltucs, determinato ad andare al fondo della vicenda per riscriverne il finale. Stesso discorso e uguale spirito per il nodo degli stipendi accreditati col fiatone.Che gli stipendi debbano essere pagati entro il 15 del mese successivo lo dice il contratto collettivo, pena il pagamento di un interesse del 2%. Il contratto aziendale, però, sposta il termine al 20. «Se il contratto nazionale dice entro il 15, tu Unilabor non puoi derogare introducendo un peggioramento» insiste Grieco, che già a luglio aveva proclamato uno sciopero, poi rientrato sulla linea della protesta con l’accreditamento dei soldi. Anche se Unilabor non arretra di un passo e rivendica la bontà del suo accordo aziendale. Irritato da questo tira e molla, che logora le lavoratrici, ora il sindacato è pronto all’azione di piazza.

Igor Cipollina 

28.7.14

c'era bisogno di chiamare gli stranieri per recuperare la costa concordia ? basta applicare lo stesso sistema usato 74 anni fa per l'incrociatore trieste

fra  i tanti bla  .. bla  ...  spesso futili e  morbosi per  riempire  le pagine dei giornali sul recupero  prima  e  il viaggio  funebre  della costa  concordia    ci si  è   dimenticati  che un recupero simile avvenuto  con gli stessi sistemi   è avvenuto   quasi un secolo  fa  , sempre  in italia . 

da  la  nuova  sardegna  online del 27\7\2014


La Costa Concordia recuperata come l’incrociatore Trieste affondato a Palau
Il precedente in Sardegna: nel 1950 la nave da guerra fu raddrizzata con tecniche simili a quelle impiegate al Giglio per la nave da crociera






PALAU. Flash dal passato per fotografare l’attualità di oggi. Nelle acque della Sardegna sono già stati sperimentati alcuni metodi avveniristici simili a quelli usati in questi giorni per recuperare e trainare la Costa Concordia sino a Genova. E lo si è fatto 64 anni fa. Nel 1950 la Marina italiana ha promosso, e portato a termine con successo, un’operazione all’avanguardia per quei tempi. Al centro della complessa missione, l’incrociatore Trieste. Il filmato dell'Istituto Luce, conservato su Youtube, 

mostra la parte finale dell'operazione avvenuta a La Spezia dove la nave venne trainata. Nelle acque della Sardegna sono già stati sperimentati alcuni metodi avveniristici simili a quelli usati in questi giorni per recuperare e trainare la Costa Concordia sino a Genova. E lo si è fatto 64 anni fa. Nel 1950 la Marina italiana ha promosso, e portato a termine con successo, un’operazione all’avanguardia per quei tempi. Al centro della complessa missione, l’incrociatore Trieste.Trasporto in 4 fasi. Ecco come si sono svolti i fatti. Prima è stata fatta risalire in superficie da un fondale di 25-30 metri la nave, che era stata colpita da aerei anglo-americani nella primavera del 1943 durante un massiccio bombardamento davanti a Palau. Poi applicati alla chiglia dell’unità militare - lunga quasi 200 metri e larga più di 20, 13.885 tonnellate di stazza a pieno carico - enormi cassoni riempiti d’aria.Tappa successiva: il trasferimento con i rimorchiatori sino alla Spezia, centinaia di km percorsi col relitto a galla ma non ancora in posizione verticale. Quindi, nel porto ligure, si è proceduto a raddrizzare lo scafo. Anche in questo caso, lavoro tutt’altro che semplice (soprattutto se si considerano i mezzi, di sicuro meno progrediti rispetto agli attuali, che i militari italiani avevano a disposizione in quegli anni).empi e modalità. La parte finale del lavoro, comunque, ha richiesto a sua volta diverse fasi, qualcuna delicatissima. Innanzitutto, decine di palombari militari hanno asportato le sovrastrutture sulla tolda dell’incrociatore, tamponato le falle, creato compartimenti stagni. Successivamente, sotto le direttive dell’ingegnere triestino Antonio Merceglie, dal pontone della nave è stata pompata aria compressa nella parte destra più interna.Nello stesso tempo, per ottenere un riequilibrio perfetto, gli uomini incaricati della manovra hanno fatto entrare acqua nel lato destro della stiva ottenendo così un’efficace contro-spinta. Al termine sono stati riempiti d’acqua marina anche 7 cassoni da 20 tonnellate ciascuno. «Una leva invisibile», spiegavano i commentatori nel dopoguerra, «ma capace di far girare l’intera nave riportando la chiglia e le eliche nella posizione originaria».La storia e i ricordi. Ma come mai si riparla adesso di quest’impresa compiuta tanto tempo fa? Tutta l’operazione è descritta in diversi libri. E se ne può trovare traccia su internet: fra l’altro, nel documentatissimo sito della Marina italiana. Non solo: su You Tube scorre un video girato dall’istituto Luce nel 1950 sul “raddrizzamento” del Trieste.Ma il nuovo spunto alla rievocazione del caso, naturalmente, è arrivato dallo spettacolare traino della Concordia, ancora in fase di ultimazione in queste ore. Un trasporto così straordinario ed eccezionale che è stato “coperto” dai media di tutto il mondo attraverso giornali, tv e web. E che ha suscitato grande interesse in Sardegna. Richiamando alla mente di molti anziani che vivono tra La Maddalena e Palau ricordi del passato su questo precedente.Prima le terribili immagini dei bombardamenti. Poi quelle della nave colata a picco. Infine le sequenze dell’immane lavoro per riportare a galla l’incrociatore e indirizzarlo verso le Bocche di Bonifacio per il trasferimento nell’area militare dello scalo spezzino.La logistica. Allora come oggi la città ligure resta una delle maggiori roccaforti della Marina. Non solamente per la presenza di cantieri e altre importanti sedi e strutture operative, ma anche per le elevatissime competenze professionali degli uomini in servizio.Specialisti. Caratteristiche note sin dall’epoca nella quale è stato organizzato il traino dell’incrociatore dal nordovest dell’isola verso la Corsica e la Liguria. E che sono state alla base dell’attività di recupero del relitto.Significativo, proprio sotto quest’aspetto, lo spezzone di cine-giornale presentato dagli operatori e dai giornalisti dell’istituto Luce.Il video, che in quegli anni veniva trasmesso nelle sale cinematografiche negli intervalli della proiezione dei film, rivela dettagli e particolari sui sistemi utilizzati. E mostra i tecnici e i marinai all’opera per rimettere in posizione verticale la grande nave militare, affondata sei mesi prima della corazzata Roma (in questa seconda circostanza, dopo l’armistizio dell’8 settembre, l’attacco era stato sferrato dagli ex alleati tedeschi della Luftwaffe tra La Maddalena e l’Asinara).L’epilogo. Ciò che invece i pochi minuti di video dell’istituto Luce non possono rivelare è quel che succederà in seguito. Sempre nel 1950, il governo di Roma prende accordi col ministero della Difesa spagnolo per la cessione dell’incrociatore alla regia marina iberica. All’origine della vendita, l’idea di Madrid di trasformare l’unità navale italiana in una portaerei. Il Trieste è così portato in un porto spagnolo. Ma il progetto viene poi abbandonato. Sei anni più tardi, la demolizione.
L’ex assicuratore Giuseppe Pala ha 81 anni e non lavora da tempo. Ma la sua memoria è intatta come quando si occupava di contratti e polizze. «E certo non dimentico le tremende scene del Trieste bombardato alla Sciumara, ce le ho qui in testa da quando ero un bambino di 10 anni», dice.È uno dei testimoni che si sono fatti avanti per sottolinerare «come in tv non si faccia altro che presentare quello della Concordia come un primo caso per l’Italia», e invece «già nel 1950, quando di anni ne avevo 17 ed eravamo tornati da un bel pezzo a Palau dopo essere rimasti sfollati a Sant’Antonio, ho potuto vedere all’opera le squadre della Marina e i palombari che recuperavano il relitto facendolo tornare a galla e lo predisponevano per il traino sino alla Spezia».«Da ragazzo, in barca, andavo nel punto dove l’incrociatore è affondato – continua – Il Trieste si era adagiato su una fiancata, in alcuni punti con i remi riuscivamo a toccare la parte più vicina alla superficie. Ma non ci avvicinavamo spesso perché ovunqueo c’era catrame: quando è stato colpito aveva i serbatoi pieni». Il lavoro per riportare la nave in assetto, rammenta, era durato molto. «E tutti, da terra, a Palau, lo seguivamo con attenzione – aggiunge – Sino a quando abbiamo visto che venivano usati i cassoni d’aria e altri sistemi sofisticati per sostenerla».«Così un giorno del 1950 abbiamo visto partirea la squadra: l’incrociatore era trainato con cavi d’acciaio da due rimorchiatori davanti mentre un terzo stava dietro – conclude il racconto Pala - Poi ho saputo che alla Spezia avevano raddrizzato lo scafo e che il relittto era stato venduto. Da allora è passato tanto tempo, ma io ricordo tutto benissimo e mi è sembrato giusto non dimenticare gli uomini che per primi si sono impegnati in una missione tanto difficile». 







iniziativa di sensibilizzazione contro il revenge porn del gruppo www. seicomplice.org

Nei giorni scorsi    Roma , o almeno i posti più noti , sono stati tappezzati di volantini come Ma poi si scopre che ...