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21.9.24

Ma perchè anche un gesto eroico come quello di Giacomo Gobbato è divisivo


Non tutti i supereroi indossano il mantello.
Il ragazzo nella foto si chiamava Giacomo Gobbato, 26 anni. È morto questa notte a Mestre, ammazzato per aver cercato di sventare una rapina a una donna.Quando si è accorto del tentativo di rapina, non ci ha
pensato due volte ed è intervenuto. Insieme a un altro giovane ha affrontato il rapinatore, che in quel momento ha estratto un coltello e lo ha colpito, uccidendolo e ferendo gravemente l’altro.Giacomo è morto per difendere una donna. È morto per un gesto di generosità e altruismo. È morto facendo quello che ha sempre fatto: aiutare il prossimo. Lo ha fatto per tutta la sua vita all’interno del centro sociale Rivolta di Marghera.A lui il centro sociale ha dedicato parole meravigliose non solo per Giacomo, ma anche per tutti quegli sciacalli - anche di grossa taglia - che useranno (sta già succedendo) questa storia per la solita propaganda d’odio e razzismo visto che il rapinatore uccisore è straniero .

“Questo per noi è il tempo del dolore. Troppo dolore, un dolore che toglie le parole.
Ora diciamo solo che esigiamo di non essere usat* da chi semina odio.
C'è un colpevole. È una persona, una singola. Non importa dove sia nato o di che colore abbia la pelle. E tutto questo succede in una città abbandonata da anni a se stessa.
Non accettiamo strumentalizzazioni. E non le accettiamo per Giacomo che sarà sempre con tutt* noi e per Sebastiano che è con il cuore a pezzi.
A Giacomo, che nella sua giovane vita ha sempre lottato per una società inclusiva, multiculturale, antirazzista lo dobbiamo.
Ciao Giacomo, sarai sempre con noi.”
Allo stesso tempo Sui social c'è già chi ha trasformato questa vicenda in un problema politico.
La destra si scaglia sul problema flussi e la sinistra sull’amministrazione corrente.
Ma il problema è alla base. Questo continuo rimbalzarsi le responsabilità. E un Paese sempre più in preda all'odio, dove però l'esempio di questo bravo ragazzo che difendeva tutti non deve essere dimenticato.Infatti per molti non solo a destra [sic ] il problema è che continuare a negare che ci sia un problema di ordine pubblico, dovuto ANCHE (non solo, ma anche) al far entrare quotidiniamente gente irregolare destinata a rimanere tale (e che quindi non potrà che andare ad allungare le file dei delinquenti)...è un problema, non di poco conto. E lo hanno capito anche la maggior parte degli altri paesi europei, quelli che noi definiamo "civili" a ogni piè sospinto per altre cose. Poi ovviamente c'è un problema che definirei quasi sistemico dovuto al fatto di avere un sistema legislativo basato più sulla tutela del delinquente che su quella delle vittime o dei cittadini comuni.

26.3.24

Chi è Islam Khalilov, il 15enne che ha salvato 100 persone a Mosca nell’attentato

da  fanpage.it
Fino a pochi giorni fa la sua era la vita di un 15enne come tanti altri di Mosca, passata tra la scuola e gli amici, ma venerdì c'era anche lui al Crocus City Hall di Krasnogorsk mentre gli attentatori freddavano a sangue freddo centinaia di persone. Islam Khalilov, questo il nome dell'adolescente, era al lavoro – part-time – come guardarobiere del teatro e nei minuti che hanno seguito la carneficina ha guidato un gruppo di spettatori verso una porta che conduceva a un edificio adiacente portando al sicuro almeno 100 persone. Solo più tardi ha pensato a se stesso.
Islam Khalilov ha raccontato gli interminabili minuti della strage di Mosca. "All’inizio ho sentito dei suoni strani provenire dal primo piano. Ho pensato che fosse arrivato un gruppo rumoroso". Ma poi ha capito: "Ho realizzato che se non avessi reagito subito avrei perso la mia vita e quella di molti altri", così ha guidato centinaia di persone verso la salvezza. Prima dell’assunzione aveva seguito un corso di salvataggio: "Al tempo ci avevano spiegato cosa fare in caso di emergenza, per questo sapevo dove portare le persone per metterle al sicuro"."Quando sono arrivato davanti alla porta che portava all’altro edificio mi sono immaginato i terroristi che arrivavano dalle scale o dall’ascensore uccidendoci tutti con le raffiche di mitra o lanciando una granata. Per fortuna non è successo, sono riuscito a far uscire tutti", ha concluso. Per questo è stato premiato dal club dello Spartak Mosca con una maglietta e l’abbonamento alle partite mentre il rapper russo Morgensten ha promesso di donargli un milione di rubli (circa 10 mila euro) per il suo gesto . I bello è che si chiama Islam. Verrà onorato nella moschea di Mosca. Chi spalleggia l’islam politico, chi tifa jihad sappia che nella mattanza contro i “cristiani infedeli” rischiano di morire anche musulmani. Il che ci dimostra come il terrorismo  in questo  caso quello religioso  sia la più grande delle pazzie umane   soprattutto    quando   non c'è nessun  regime  oppressivo o forza  d'occuppazione   miliitare  Forse , secondo alcuni , più della guerra fatta con gli eserciti.

5.7.22

I VERI EROI SONO QUELLI CHE VENGONO RIEMPITI DI MERDA E CON CUI QIUASI MAI SAPUTA LA VERITA' NON CI SI SCUSA O LO SI FA IPOCRITAMENTE IL CASO Eugeni Giannini COMANDATE DELL'ANDREA DORIA IL TITANIC ITALIANO

   "Il mare è dolce e meraviglioso, ma può essere crudele".
                                       Ernest Hemingway



DA     Altre Storie | La Newsletter di Mario Calabresi

«Ho deciso di interrompere la mia carriera di marinaio quando, tornando a casa dopo un lungo periodo per mare, mia figlia Luisa, vedendomi entrare in cortile, corse da mia moglie urlando: “Mamma c’è uno in giardino”. Ecco, in quel momento ho capito che dovevo smettere». E così, nel 1963 Eugenio Giannini è sbarcato per l’ultima volta da un transatlantico ma la sua vita è rimasta legata al mare e alla notte più terribile della sua vita, quella dell’affondamento dell’Andrea Doria, il 25 luglio 1956, quando era sul ponte di comando, come terzo ufficiale della più grande e prestigiosa nave della storia italiana.
 

L'Andrea Doria mentre si inabissa al largo dell'Isola di Nantucket

Ci aspetta nel suo appartamento di Padova, dove vive con la moglie. Una coppia di splendidi novantenni, affettuosi e gentili, visitati frequentemente dalla figlia Luisa. Eugenio Giannini si è diplomato aspirante Capitano di lungo corso nel lontano 1948, tempi durissimi - l’anno delle prime elezioni politiche della storia repubblicana (e della prima vittoria democristiana), dell’attentato a Togliatti, di scioperi e tumulti – in cui la Marina Mercantile italiana era ancora malconcia, quasi inesistente dopo la devastazione della Seconda Guerra Mondiale. «Trovare un imbarco, per me, giovane diplomato senza tradizioni famigliari marinaresche, non era facile, così ho accettato la prima chiamata, come mozzo, sul Salento, uno scava-fango della Grande Guerra di provenienza austriaca, che faceva rotta tra Genova e Famagosta, sull’isola di Cipro. Ci ho vomitato sopra per tutta la prima notte di navigazione, poi basta, da allora non ho più sofferto il mal di mare». La gavetta, Giannini, se l’è fatta tutta. Dopo il Salento è stata la volta delle petroliere di Ernesto Fassio, un nome che oggi ai più non dice molto, ma che, insieme ad Angelo Costa e Achille Lauro, componeva la triade dei grandi armatori italiani del dopoguerra. «Scendere nel locale pompe di quelle navi, a tentoni, senza vedere né scalini né il fondo, era un’impresa ardua. Una temperatura infernale e un vapore soffocante. Tutto questo in Golfo Persico, senza aria condizionata e spesso con i frigoriferi guasti!». 
 

La prua dell'Andrea Doria

Su quelle petroliere ottenne per la prima volta il grado di terzo ufficiale, lo stesso grado con cui, dopo diversi anni e numerosi altri imbarchi su navi differenti, il 10 aprile 1956 fu chiamato, con telegramma, sull’Andrea Doria. «Quando arrivai al pontile e la vidi, in tutta la sua maestosa bellezza, mi venne il groppo in gola. Era il coronamento dei miei sogni, mi stavo per imbarcare sull’ammiraglia della Marina Mercantile italiana». 
Non una nave qualsiasi. L’Andrea Doria era un transatlantico di una bellezza straordinaria, un gioiello di design, dalle linee incredibilmente armoniose: «Al confronto – sbotta Giannini - le colossali navi da crociera di adesso a me sembrano dei ferri da stiro!». Una nave che doveva simboleggiare la rinascita italiana dopo la catastrofe del conflitto mondiale «perché il mondo doveva sapere che in noi era rimasto un po’ di orgoglio che ci spronava a risorgere».

Destinata alla rotta più prestigiosa, quella che collegava Genova a New York, soprannominata la “Rotta del sole”, l’Andrea Doria fu davvero un eccezionale biglietto da visita per l’Italia e per la sua industria manifatturiera, un “lembo di patria semovente”, come la descrivevano firme prestigiose sui quotidiani, che trasportava personalità politiche e del mondo dello spettacolo in prima classe, ma anche emigranti in quella terza classe che era stata rinominata “classe cabina” e che, come ricorda Giannini, «non aveva proprio nulla della terza classe di una volta: la maggior parte delle persone, quando ci avvicinavamo al porto di New York, non voleva scendere. Sapevano che una vita così agiata non l’avrebbero più vissuta».  
Solo tre mesi dopo il suo primo imbarco, Eugenio Giannini assisterà alla fine dell’Andrea Doria. La notte del 25 luglio 1956, al largo di Nantucket, l’isola da cui Melville faceva partire il Pequod alla caccia di Moby Dick, la motonave svedese Stockholm speronò in modo irreparabile il transatlantico italiano, condannandolo a una lenta agonia prima dell’affondamento, avvenuto alle 10:10 del 26 luglio, con ancora il motore di emergenza acceso. «Il rumore, quando l’acqua la ricoprì completamente, sembrò quello di un rantolo. E forse lo era».
 

L’Andrea Doria durante il naufragio

Giannini rimase fino all’ultimo sul ponte di comando assieme al comandante Piero Calamai e ricorda tutte le fasi di quella notte: l’angoscia per la disperata consapevolezza di quello che stava per accadere a molte persone che stavano serenamente dormendo nelle loro cabine o festeggiando nei grandi saloni della nave; il sangue freddo del comandante Calamai, che riuscì a gestire la peggiore delle situazioni di emergenza – la nave si era subito sbandata oltre i 20 gradi, impedendo l’utilizzo di metà delle scialuppe di salvataggio –, coordinando le attività di soccorso e di evacuazione del transatlantico; la sua idea di utilizzare le reti di copertura delle piscine come improvvisate scale di emergenza e mille altre situazioni di disperazione o di coraggio. Alla fine di quella drammatica notte, tutti i passeggeri rimasti in vita dopo la collisione, e tutto l’equipaggio, furono salvati. I morti furono 46.

La sua memoria è lucidissima, pari alla sua rabbia, per come andarono le cose nei giorni e nei mesi successivi all’affondamento: «Perché noi avevamo ragione, ma l’Italia non si fece valere e alla fine ci restò attaccata una colpa che non avevamo». Giannini non ha mai dimenticato le ingiurie e le menzogne che furono rovesciate, strumentalmente, in ambienti svedesi e americani, contro l’equipaggio e gli ufficiali italiani: «Eravamo incolpevoli nella collisione, avevamo salvato tutti quelli rimasti in vita dopo lo speronamento, portando a termine il più grande salvataggio della storia della marineria di tutti i tempi, ma ci lasciarono insultare».
 

Il comandante Eugenio Giannini

La campagna denigratoria, organizzata principalmente dagli armatori svedesi per tentare di diluire le responsabilità dei suoi ufficiali – che navigavano fuori rotta e avevano sbagliato la taratura del radar –, ma ben vista anche dagli armatori americani – le cui navi spesso partivano semivuote per l’Europa poiché i passeggeri preferivano i nuovi transatlantici italiani (all’Andrea Doria si era aggiunta la gemella Cristoforo Colombo) – non fu minimamente contrastata dalla compagnia armatrice italiana, la Società di Navigazione Italia, appartenente al gruppo IRI. 
Probabilmente per l’elefantiaca e burocratica struttura di questa impresa statale, ma forse anche perché nei cantieri di Sestri, sempre di proprietà IRI, si stava completando la costruzione della nuova ammiraglia svedese, una commessa molto ingente che si sarebbe rischiato di perdere.

Alla fine, insomma, in Italia sembrò prevalere l’idea che fosse meglio “lasciare cadere” la cosa. Si preferì giungere a un accordo extragiudiziale tra armatori svedesi e italiani che non stabilì con chiarezza le cause e le responsabilità della collisione.

Un accordo che lasciò l’amaro in bocca a Eugenio Giannini e a tutti gli ufficiali e gli uomini dell’equipaggio dell’Andrea Doria. Da allora, fino a oggi, il comandante Giannini non ha mai perso occasione per ricordare la verità sull’Andrea Doria e ricordare il valore del suo comandante di allora Piero Calamai, scomparso nel 1972, senza avere mai più ricevuto un incarico: «Una cosa vergognosa, lui era il migliore comandante che si potesse desiderare, fece tutto il possibile e non aveva colpe. Non meritava di essere trattato così».
 

La Ballata dell’Andrea Doria”, il podcast di Chora Media per Archivio Luce raccontato da Luca Bizzarri

La voce del comandante Giannini, ancora appassionata e vivace, è una delle protagoniste della serie podcast realizzata da Chora Media per Archivio Luce e narrata da Luca Bizzarri, in cui si ricostruisce la storia di quell’eccellenza italiana e si racconta, in modo approfondito, ogni aspetto di quella tragica notte.
Un cinegiornale dell’Archivio Luce, commentando la fine dell’Andrea Doria, affermava: “l’oceano è cattivo, quando ha sete beve tutto”. Forse la cattiva memoria è ancora peggiore. Grazie al comandante Eugenio Giannini, la verità sull’Andrea Doria è stata ristabilita.

*Davide Savelli, autore e regista di documentari, programmi e serie, ha scritto la serie podcast “La Ballata dell’Andrea Doria”. Il suo ultimo libro è: “Venezia 1902, i delitti della Fenice”

28.9.21

si può essere eroi senza essere miti e senza retorica

 IL fatto sembra una delle.classiche storie feuilleton regalateci dalla letteratura XIX e XX secolo . ma invece dimostra sempre più che ci sono anche eroi per caso lontano dai media nazionali ( salvo che non abbiano fatto gesti clamorosi o retorici come quando un ostaggio Italiano fu ucciso da suoi sequestratori perché per far vedere come muore un italiano s'era tolto il cappucci che gli avevano messo ) o relegati : alle edizioni locali o in qualche trafiletto della cronaca più interna oppure in giornali/riviste popolari da parucchiere come si diceva un tempo come giallo o cronaca vera solo per citare i più noti


Simone Bonzio ha 41 anni, è veneziano e padre di due figli e, giorni fa, ha perso il lavoro.
Anche per questo venerdì pomeriggio si trovava a due passi dal campo dei Carmini quando ha sentito un tonfo nel canale.
Appena il tempo di voltarsi, e di fronte si è trovato un cerchietto che galleggiava e poco più in là, a pelo d’acqua, gli occhi sbarrati di una bambina di cinque anni (come scoprirà dopo) che rischiava di affogare.Simone non ci ha pensato due volte e si è gettato in acqua, raggiungendo la bambina, afferrandola per un braccio e portandola a riva, scioccata, sconvolta ma in salvo.Quando i genitori della bimba lo hanno raggiunto non si sono limitati a ringraziarlo, ma il giorno dopo il padre - sapendolo disoccupato - è riuscito a fargli avere un colloquio e, con ogni probabilità, un lavoro nella ditta di termoidraulica per cui lavora, che cercava proprio qualcuno con le sue qualifiche.Un degno finale per una storia che poteva trasformarsi in tragedia, non fosse stato per la prontezza, il coraggio, l’eroismo - perché no - di quest’uomo. “Il senso civico, il volerci bene, è qualcosa che non deve mai abbandonarci, che deve venire spontanea” dice lui. Ma la verità è che non tutti avrebbero avuto lo stesso spirito e la stessa freddezza di quest’uomo. Una storia così, un atto del genere, in questi tempi di egoismo sfrenato e assenza totale di empatia merita di arrivare lontano.,

7.6.21

storie dal mondo del calcio . la storia di Jorge Omar Carrascosa il capitano dell'Argentina che lasciò la nazionale per il bene del suo Paese e quella di Giovanni Branchini, a quasi 65 anni, è uno dei più vecchi procuratori di calcio italiani

Nonostante gli scandali e la fusione tra il calcio ( e lo sport in generale ) tra il mondo dello spettacolo\ gossip cioè lo Show business (spesso abbreviato in showbiz o show biz). mi piacciono e d appassionano le sue storie . Come quelle che sta facendo repubblica con la  rubrica storie  di maglie      o  fa egregiamente  il sito  https://storiedicalcio.altervista.org/ ( in questo caso ) . Una storia quella di Jorge Omar Carrascosa che è stato a lungo il capitano dell'Argentina di Menotti. A pochi mesi dal Mondiale del 1978 ha lasciato la nazionale e la fascia, quando il calcio era ancora poco inquinato e troppo lontano dall'immagine e dal denaro .
Una decisione inaspettata che l'ha trasformato in un eroe. Oggi Jorge Carrascosa non disputerebbe neppure un incontro: troppi soldi e compromessi, in giro. «Ogni epoca ha le sue sfide. Forse questa è più difficile, è tutto sempre più complesso e ingiusto: ma l’uomo deve continuare a cercare, a farsi delle domande. Chi lavora, ha l’obbligo morale di contribuire al miglioramento del suo lavoro e del mondo: coi fatti. Basta poco, ma ci vuole coerenza». intervista del protagonista a https://storiedicalcio.altervista.org/blog/jorge-carrascosa-lupo-disse-no-ai-colonnelli.html




  da STORIE  DI MAGLIA  DI REPUBBLICA  

 
di Pier Luigi Pisa
a cura di Leonardo Meuti
riprese di Luciano Coscarella
La maglia originale esposta appartiene al Museo del Calcio Internazionale


 
 

 Storie di maglie è il format Gedi Visual dedicato al racconto di leggendarie divise da calcio originali: dalla numero 14 arancione di Johan Cruyff, usata ai Mondiali del 1974, alla numero 10 bianconera che Michel Platini ha usato nel 1985 in occasione della Toyota Cup (così si chiamava all’epoca il Mondiale per club, ndr). Dalla rarissima maglia verde che l’Italia ha indossato nel 1954, contro l’Argentina, a quella del 1935 con cui Silvio Piola ha debuttato in nazionale maggiore. Un tuffo nel passato più iconico e glorioso del calcio, insomma, reso possibile dalla collaborazione con il Museo del Calcio Internazionale, esposizione permanente che vanta cimeli di ogni epoca provenienti da tutto il mondo, e con il Museo del Calcio di Coverciano, promosso dalla Figc, dedicato ai campioni della nazionale italiana.




Giovanni Branchini: “Cavalli e pugni inseguendo Clint Eastwood"
Intervista con il procuratore sportivo. Ha portato Ronaldo all’Inter ed è l’agente di Allegri ma dice: "I miei sogni più belli li ho vissuti nella boxe e nel cinema. Mio padre si faceva spedire giornali da tutto il mondo, siamo stati i precursori di Internet. Il calcio? Purtroppo è malato"




Giovanni Branchini, a quasi 65 anni, è uno dei più vecchi procuratori di calcio italiani. È l'uomo che portò Ronaldo il Fenomeno all'Inter e l'ombra di Massimiliano Allegri che non è riuscito a portare al Real Madrid perché Max ha scelto Torino e la Juventus. È grande e grosso. Avrebbe voluto fare il pugile oppure l'attore. Nello
sport comunque c'è il suo destino."I cavalli arrivarono per primi. Mio nonno Nello all'inizio del '900 trasformò nel trotto le corse dei calessini delle campagne emiliane e toscane, che erano vere e proprie sfide tra i possidenti agricoli. Qualcuno si è giocato intere cascine. Ebbe tre figli, dei due maschi di casa mio zio Fausto continuò nel solco tracciato dal padre mentre mio papà, Umberto, sposò il pugilato".



E i figli con lui?
"Eravamo tre fratelli nati a dieci anni di distanza l'uno dall'altro, il primogenito Marco, che purtroppo ci ha lasciati nel 2004, ha intrapreso la carriera di driver, io e mio fratello minore, Adriano, abbiamo seguito papà nella boxe. A 18 anni ho avuto la tessera di procuratore sportivo dalla Federazione pugilistica italiana".


Quali sono i suoi primi ricordi?
"Da bambino passavo molto tempo nello studio di mio padre che fu un vero precursore del concetto di network e in un certo senso di Internet. Infatti, già negli anni '60 riceveva in abbonamento tutte le riviste specializzate e i quotidiani sportivi più importanti a livello mondiale. Lo faceva per trascrivere su appositi cartoncini i record di tutti i pugili in attività, ricavava i risultati dalla stampa. Parlava e scriveva in inglese, francese e spagnolo, possedeva le basi di giapponese e traduceva nomi, esiti degli incontri, peso degli atleti. Una di queste riviste era double face. Aveva due copertine e testi differenti a seconda del verso da cui cominciavi a leggere, ma soprattutto da una parte c'erano foto di pugili bianchi e dall'altra erano, invece, tutti di colore. Veniva dal Sudafrica".




Fu un modo salgariano di scoprire il mondo senza muoversi di casa.
"Papà aveva corrispondenti ovunque, trascorreva la sua vita alla macchina da scrivere e non passava giorno in cui non spedisse dalle 8 alle 15 lettere, più qualche telegramma. Non vi era altro modo di comunicare sino alla creazione da parte dell'azienda telefonica dell'epoca di un sistema chiamato Gran Parlatore che dai primi anni '70 consentiva di chiamare in teleselezione a costi esorbitanti".

Vi alzavate nel cuore della notte per seguire gli incontri americani?
"Il ricordo più nitido mi porta al primo Benvenuti-Griffith, al Madison Square Garden. Era l'aprile del '67. Fino all'ultimo non venne comunicato se sarebbe stato trasmesso dalla Rai in diretta. Rimanemmo svegli tentando inutilmente di sintonizzare il televisore tra Rai e Televisione della Svizzera Italiana. Ci siamo dovuti accontentare della storica radiocronaca di Paolo Valenti".




A quando risale la sua prima volta a bordo ring?
"Al 23 aprile del 1965, avevo otto anni. Eravamo al Palazzo dello Sport di Roma gremito sino all'esaurimento dei posti, mio papà con l'aiuto e l'organizzazione di Rino Tommasi era riuscito a condurre alla disputa del titolo mondiale uno dei suoi campioni prediletti, Salvatore Burruni. Nella concitazione generale non trovarono dove farmi sedere, alla fine mi sistemarono proprio all'angolo di Burruni, appena al di là delle corde. Ero rivolto verso il pubblico e ricordo di aver letto, per la tensione, l'andamento del match negli sguardi e nelle espressioni dei tifosi vip che stavano in prima fila".

Mai infilato i guantoni?
"Sì, mi sono allenato per molti anni in palestra con i nostri ragazzi e anche con degli amici ma non ho mai combattuto. Mi sarebbe piaciuto farlo. In compenso ci ha pensato mio figlio Giacomo a combattere da dilettante. Ancora oggi mi sveglio nel cuore della notte per assistere agli incontri più importanti. Grandissimi sono stati Carlos Monzon, Salvador Sanchez, Alexis Arguello, Roberto Duran, Sugar Ray Leonard, Mike Tyson. Ma ne dimentico troppi. Oggi Saul Canelo Alvarez è un campionissimo. Assieme a papà ho gestito nove campioni del mondo, ma sono legato soprattutto a un gruppetto di ragazzi: Rocky Mattioli, Loris e Maurizio Stecca, Francesco Damiani, Luigi Minchillo e Salvatore Melluzzo".

Che cos'è il pugilato?
"La boxe è verità. Non ci sono trucchi o chiacchiere, nella boxe devi essere te stesso, non puoi bluffare. La pazienza e il coraggio devono coniugarsi perché campioni non si nasce, si diventa imparando innanzitutto a camminare sul ring e poi piano piano a colpire e a non essere colpito. Il coraggio serve per ragionare non per picchiare".

Che cosa deve ai suoi genitori?
"Nella mia famiglia mamma è stata spesso anche padre. Nel '46, quando mio fratello Marco aveva appena un anno, papà partì per una tournèe negli Usa con tre atleti italiani, non lo vedemmo per diciotto mesi. Negli anni '70 gestiva un campione del mondo thailandese, Chartchai Chionoi, e quindi passava lunghi periodi in Asia. Insomma una famiglia normale, papà al lavoro e mamma casalinga, in cui ho presto imparato come il concetto di normalità sia flessibile".

Il cinema era l'avventura, il sogno?
"Credo che quelli della mia generazione siano cresciuti nei cinema molto più che davanti a uno schermo domestico. Se dovessi giocare con la risposta direi che mi sarebbe piaciuto essere il grande Peter Lorre di M - Il Mostro di Düsseldorf oppure un meraviglioso Clint Eastwood in tutte le sue interpretazioni".

Ci sono film che ha visto più di una volta?
"Moltissimi. C'era una volta in America di Sergio Leone e Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, ma tra i miei favoriti ci sono due capolavori del 1957 di Ingmar Bergman: Il Settimo Sigillo e Il posto delle fragole. Alcune opere mi hanno divertito moltissimo condizionando, credo, anche la mia ironia personale e sono Harold & Maude di Hal Hashby, Il Dittatore dello Stato Libero di Bananas di Woody Allen, Frankenstein junior di Mel Brooks e il primo Amici miei di Mario Monicelli. Se devo però dare un punto di partenza al mio amore per il cinema devo indicare alcune opere di John Cassavetes: Una moglie, La sera della prima e Gloria".

Le piace ancora il calcio?
"Amo il sacrificio dell'allenamento, l'alchimia dello spogliatoio e il valore mistico della sconfitta. Amavo soprattutto accompagnare l'opportunità che lo sport offre ad ognuno di poter crescere sul piano umano. Oggi questo concetto di sport propedeutico alla vita si è molto perduto, il guadagno è divenuto l'unico motore, la priorità invece della conseguenza".

Ma voi procuratori siete i profeti del dio denaro.
"Non siamo tutti bestie. Il potere dei procuratori è direttamente proporzionale allo spazio e alle connivenze che presidenti e club concedono. Non sono ancora riuscito a convincere i reggenti del calcio a sedersi insieme a un tavolo per resettare un meccanismo impazzito, per condividere e affrontare le sue patologie. Mi rispettano, mi ascoltano ma poi non succede nulla e tutto continua come prima".

Cosa sono i soldi per lei?
"I soldi sono spesso la conferma del valore di ciò che fai, ma sono soprattutto una scialuppa di salvataggio quando si affrontano le tempeste della vita. Senza aver mai assaltato diligenze ho potuto guadagnare con soddisfazione".

Chi è stato Ronaldo?
"Ho cominciato ad assistere Ronaldo quando aveva 17 anni e da subito ho percepito due cose: la sua vivissima intelligenza e l'empatia che sapeva creare intorno a sé. Era facile condividere con lui anche le decisioni più complesse, bastava spiegargli il contesto e i motivi di una scelta. Fu così anche per la sofferta decisione di lasciare il Barcellona. Era il numero uno al mondo e aveva diritto a un contratto trasparente e cristallino. Esattamente quello che l'Inter gli garantì".

Chi è Max Allegri?
"Uno che risponde no grazie al Real Madrid. E ho detto tutto".

23.4.17

chi è più eroe un poliziotto ucciso da Isis o un carabiniere che riesce a a salire in cabina e fermare la corsa di un tir lanciato a 100 chilometri all'ora senza controllo poerchè l'autiosta a veva avuto un malore ?

lo  so  che  tale discorso  vi sembrerà cinico  ma  io  considerò   di  più  eroe  chi   fa  qualche cosa    di eroico  .




da repubblica  de  23   aprile  2017



Asti, il carabiniere eroe: "Così ho fermato il tir impazzito. Ma ho fatto solo il mio dovere"
L'appuntato Riccardo Capeccia e il capitano Gianfranco Pino

Riccardo Capeccia: "Sono riuscito a salire in cabina dopo il camion aveva travolto la nostra auto. Ma se non fosse stato per il mio capitano oggi non sarei qui a raccontarlo"
di CARLOTTA ROCCI



Fermare la corsa di un tir lanciato a 100 chilometri all'ora è qualcosa che possono fare solo gli eroi oppure - nella finzione - gli attori dei film americani. E invece no. Venerdì nell'Astigiano ci è riuscito un carabiniere. Riccardo Capeccia, 44 anni, una compagna e una figlia di 13 anni, appuntato scelto da 12 anni in servizio alla compagnia di Villanova D'Asti, è riuscito a frenare un camion impazzito per colpa di un malore del conducente.
A qualche centinaio di metri da lui c'era il suo comandante, il capitano Gianfranco Pino, 32 anni, padre di due bambine di 8 anni e 8 mesi, da due anni e mezzo al comando della compagnia di Villanova d'Asti. Tutto è accaduto lungo la statale di Dusino San Michele, nella curva Migliarina. "Abbiamo rallentato perché abbiamo visto un camion fermo in curva subito dopo un dosso e abbiamo deciso di controllare. Ci aspettavamo tutt'altro tipo di intervento - spiega il capitano Pino - Invece mentre cercavo di chiamare il 118 per soccorrere l'autista in preda alle convulsioni ho sentito lo spostamento d'aria del camion che ripartiva. Ho fatto appena in tempo a urlare a pieni polmoni per avvisare l'appuntato. Per fortuna mi ha sentito". Il carabiniere si è scansato ma poi è sparito alla vista del suo comandante: "Ho pensato fosse stato travolto dal camion o dalla nostra macchina finita nel fosso".
E invece cosa ha fatto, appuntato?
"Il camion ha tamponato la nostra macchina di servizio e l'ha spinta in un fosso. L'impatto lo ha fatto rallentare, così ho potuto aggrapparmi alla maniglia della portiera sul lato del conducente del tir e mi sono buttato nell'abitacolo. Il camion stava andando avanti verso la curva e stava invadendo l'altra corsia. Con una mano sono riuscito a sterzare ma non trovavo nessun freno. In quel momento ho pensato davvero che ce la saremmo vista brutta io e il camionista".
Poi che è successo?
"Poi, mezzo dentro e mezzo fuori dall'abitacolo, perché non riuscivo a spostare l'autista che stava male, sono riuscito a raggiungere il freno a pedale con una mano. Eravamo già sul rettilineo in discesa e avevamo preso ancora più velocità. Alla fine ci siamo fermati a meno di 400 metri dalla casa cantoniera che Giorgio Faletti celebra nella sua canzone "Signor Tenente"".
Cosa ha pensato quando invece di spostarsi e basta ha deciso di aggrapparsi al camion.

"L'ho fatto e basta. Ho visto la strada, le macchine che arrivavano in senso opposto e ho pensato: se il tir non si ferma è una strage".
E se ci ripensa adesso?
"Ammetto che l'altra notte non ho dormito. Subito dopo non ricordavo niente ma ora continuano a tornarmi davanti agli occhi come dei flash. Mi rivedo mentre cerco il freno senza riuscire a raggiungerlo. E poi ripenso che se il capitano non mi avesse avvisato, non avrei fermato nessun tir e non sarei nemmeno qui a raccontarlo".
Adesso è diventato un'eroe, non crede?

"Ho fatto quel che dovevo e basta. Ringrazio chi crede
che abbia fatto qualcosa di straordinario ma io sono contento di aver evitato conseguenze molto più gravi per l'autista del camion e per gli automobilisti di quella strada molto trafficata".

Ha già incontrato l'autista del camion?
"Non ancora, so che è in ospedale ad Asti e aspetterò che stia meglio. È rimasto incosciente fino all'arrivo del 118 che lo ha portato d'urgenza al pronto soccorso".

 dalla nostra    facebook   compagnidistrada


http://www.corriere.it/…/compagno-l-impegno-diritti-gay-l-i…
Xavier, il poliziotto ucciso a Parigi: 37 anni, attivista gay, era alla riapertura del BataclanXavier Jugelle, ucciso giovedì 20 aprile sugli Champs Elysees, faceva parte dell’associazione Lgbt di polizia e gendarmeria, era legato con un Pacs al…
CORRIERE.IT


7.1.17

amici , nemici , diffusori d'odio







(...) L'ideologia, l'ideologia
malgrado tutto credo ancora che ci sia
è la passione, l'ossessione
della tua diversità
che al momento dove è andata non si sa
dove non si sa, dove non si sa.

(.....   Destra-Sinistra -  Giorgio Gaber )



 All'ideologia  o meglio le  sovrastrutture  (  vedere  canzone  spopra )   tipiche  degli  ultimi 2  
secoli   ed  in particolare  delll'ultimo  non si  sa  ancora  cosa   dopo   l'11  settembre   2001   che  cosa  si è sostituito    e questi sono  i  risultati

Iniziamo con una " non notizia " , relegata nei giornali locali o di nicchia per la stampa mainstream
La storia di un contadino coraggioso. Si chiama Cedrìc Herrou e col suo pulmino soccorre i migranti in fuga tra le montagne al confine tra Italia e Francia. Per lui prima udienza di un processo a suo carico che ha già diviso molte coscienze.
 Ci spiega tutto Lucia Ascionein questo video 


 Concordo quanto  dice  Benni in questa  discussione 

Iko Faggion
Iko Faggion Io abito in Italia a pochi km fa Breil,bambini non ce ne sono, donne neppure, a Ventimiglia sono soli omoni che che cercando di passare le frontiere illegalmente.Il tipo in questione non lo conosco, ma la valle roia ha una comunità anarchica stabile da anni, insomma ....io non sono vicino a questa persona....
Benni Alessandro Parlante
Benni Alessandro Parlante Il fatto che ci sia una comunità anarchica stabile da anni mi fa sentire ancora più vicino. Il fatto di attraversare le frontiere "illegalmente" diventa necessario quando esistino delle leggi che vietano di passarle ingiustamente.
Martina Boero
Martina Boero Perchè dovrebbe interessare a qualcuno quello che pensa uno che pubblica post di casapound?

qui sotto ulteriori link di giornali stranieri di nicchia italiani che si occupano della vicenda


 Infatti l'assenza di copertura dei grandi media italiani è indegna... se uno guarda alla foto dell'agence france press -la loro ansa- ripresa dal guardian con centinaia di persone che lo hanno accompagnato alla prima udienza, si chiede com'è possibile che non sia notizia

ed  ecco l'articolo   (   da  cui  ho preso oltre  che la  foto  , anche  gli url    sopra  riportati  )   di  https://www.facebook.com/marco.arturi.37

L'immagine può contenere: 1 persona, in piedi, barba, spazio all'aperto, natura e acqua
dalla  pagina  facebook  di    Marco Arturi
L'uomo che vedete nella fotoa  sinistra   sotto si chiama Cedric Herrou e vive a Breil sur Roya, un villaggio al confine con l'Italia, più precisamente con l'entroterra di Ventimiglia. E' un contadino ed è sotto processo per avere dato aiuto e ospitalità nei mesi scorsi ad alcune centinaia di profughi (molti dei quali bambini) costretti, visto l'ormai celebre blocco di Ventimiglia, a tentare clandestinamente il passaggio in cerca di una vita migliore. E' accusato di favoreggiamento e rischia cinque anni di carcere e una sanzione economica pesante. L'altro ieri di fronte a un giudice di Nizza ha rivendicato le proprie azioni affermando che è giusto trasgredire le leggi davanti alla disperazione e che continuerà perché "questo è il momento di alzarsi in piedi". La notizia, che ha cominciato a fare il giro di mezzo mondo (è comparsa anche sulle pagine del NYT) è ignorata dai media italiani per ragioni che sono davvero difficili da spiegare se non mettendo in dubbio la libertà, l'indipendenza e la buona fede della stampa in questo paese, forse condizionata o forse distratta da questioni come il maltempo, le stronzate di Saviano o le liti tra Pd e grillini. Sia come sia, pubblico queste righe per chiedervi di seguire e diffondere una vicenda esemplare in un momento nel quale i migranti vengono dipinti come un'emergenza nazionale e continentale con il chiaro fine di distogliere l'attenzione da altre questioni. Cedric Herrou non va lasciato solo, come non vanno lasciati soli i migranti che hanno l'unica colpa di essere nati dalla parte sbagliata del mondo: o stiamo con loro o stiamo con chi è impegnato a diffondere il terrore, l'egoismo e l'intolleranza. E allora sarà troppo comodo dire "non è colpa mia".

  questa  interessante  discussione     presente nei comenti  dell'aerticolo 


Angelo Buono
Angelo Buono I corsi e ricorsi storici esistono nella mente popolare ( il mondo è una ruota una volta se scendi poi si sale ) Si prevede Che quelli che oggi favoriscono l'invasione saranno in prima linea per cacciarli come e" sempre successo in passato ( in prima linea ci saranno il p.d. E chiesa cattolica)
Gabriel Alexander Maria Fumagalli
Gabriel Alexander Maria Fumagalli In teoria esiste il progresso...
Angelo Buono
Angelo Buono Il progresso va' a braccetto con la ricchezza, in Italia sta avvenendo un crollo verticale le utopie svaniranno quando i vecchi che mantengono i giovani non ci saranno più
 mi da  l'opportunita  d'introdurre  la seconda parte  del post  quella  dei  nemici .  da


Tina Galante
19 ore fa · 

NON CERCATE SEMPRE NEMICI

Possibile che un triste fatto di cronaca locale si trasformi, come sempre, in un atto di accusa verso gli altri?
Possibile che non siamo mai capaci di un mea culpa? Di guardarci allo specchio e di scoprire dietro questi eventi la nostra disumanità, la nostra mancanza di empatia per i deboli, per i poveri, per gli ultimi, per i problematici?
La morte del giovane senza tetto pone domande che non possono esaurirsi con la risposta: buttiamo giù il Mercatone, o è tutta colpa dell'Amministrazione, oppure l'Italia pensa solo agli stranieri.
Ci sono altre domande da porsi prima.
Qualcuno dei grandi critici che affollano la home di facebook ha mai fatto qualcosa di concreto per i clochard oltre a schifarli e a starne alla larga?
E guardate, io mi riferisco anche alle famiglie.
Sì, perché questa meravigliosa, INTOCCABILE istituzione che a parlarne male ti ardono viva in pubblica piazza, la FAMIGLIA, dove cazzo stava? Non conosco i dettagli, ma se io sapessi che mio fratello sta in mezzo alla strada al freddo e senza cibo, qualcosa farei... anche se si fosse macchiato dei crimini più indicibili del creato!
E gli stranieri? Che c'azzecca sempre la storia dell'aiuto ai migranti? MA IN CHE LINGUA VE LO DEVONO SPIEGARE ??? In che lingua? I Fondi che vengono istituiti per i profughi sono EUROPEI e hanno un'unica DESTINAZIONE d'USO, che è quella di essere utilizzati esclusivamente per accogliere i profughi, visto che il nostro territorio costituisce naturalmente il loro approdo.
E per finire, questo continuo lavarsi la coscienza e trovare il capro espiatoro per tutto il male.
Il cittadino DERESPONSABILIZZATO di tutto, che non conosce DOVERI ma solo DIRITTI. E che vuole soluzioni pronte ed infiocchettate senza doversi mai sforzare.
Pure la neve diventa un INFERNO, perché oramai nulla vi piace... non siete disposti a trovare la BELLEZZA in niente! Anzi, se qualcuno ve la fa notare date addosso... perché il sale, l'Amministrazione ve lo deve portare finanche sul pianerottolo... vi potreste far male a prendere una pala in mano.
La prossima volta che incontrate un "senza tetto", invece di girare la faccia schifati (e vi ho visto farlo, certo che vi ho visto farlo) RICORDATEVI di ANGELO e delle minchiate ipocrite che avete spammato sulle vostre bacheche!
Ah, ingozzatevi di dolci: VE LI MERITATE!!!

da  ciò  deriva   l'ennessima  campagna  d'odio  a  chi  fa qualcosa   che  a te  non grada e  chge   stavolta  invade anche  la sfera privata  e personale di una persona 

L'immagine può contenere: 1 persona, sMS


E’ bastato mettere alla figlia un nome esotico e anche molto poetico come Kelsey Amal (che significa “coraggiosa” e “speranza”) che contro Samantha Cristoforetti si è scatenata una campagna d’odio vergognosa. Un nome arabo? Scandaloso, c’è da abbattere uno degli orgogli italiani, colpita come astronauta e come donna. Non sanno, gli idioti, che il razzismo è ormai fuori della storia. Non sanno soprattutto, gli idioti, che vista dallo spazio, la Terra è una sola e piccolissima, e che da lassù siamo tutti delle briciole. Per loro non c’è coraggio né soprattutto speranza e che quando Kelsey Amal sarà grande gli “altri” saranno la maggioranza. Povero Darwin.

  concludo    con questa  frase  "Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me" (Kant)


Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...