la storia sotto conferma il primo articolo del diario di Bordo n 116 anno III . violenza nel mondo del calcio giovanile.,il nuovo antisemtismo "Israeliani nazi": vandalizzato il murale con Liliana Segre
Manfredi Mangione, 17enne sfigurato per difendere un coetaneo: «Mi hanno distrutto il volto, ma non chiamatemi eroe»
Roma, il 17enne: «Le scuse? Non ci tengo, c’è la cultura di chi picchia di più»
Ti vuoi presentare tu?
«Mi chiamo Manfredi Mangione,
ho 17 anni, e frequento il quarto anno del liceo scientifico
internazionale a Roma. L’otto marzo…».
Festa della Donna. Era un sabato.
«Poco dopo mezzanotte sono uscito da un locale e stavo passando con due amici per piazza Mancini».
Per chi non conosce bene Roma, si tratta del piazzale di fronte allo stadio Olimpico, dalla parte opposta del Tevere.
«Ero
vicino alla fermata degli autobus, quando vedo tre ragazzi grandi che
ne picchiano un quarto della mia età. Uno dei tre si limitava a dargli
qualche spintone, ma gli altri due ci andavano giù pesante. Calci e
cazzotti, cazzotti e calci. Lui cercava di muoversi all’indietro, ma
dietro c’era il muro. Era circondato e senza vie di uscita».
Lo conoscevi?
«Di
vista. Non era un mio amico. Perché lo stavano menando l’ho poi saputo
dopo. Aveva guardato una ragazza che stava con loro. O loro ne avevano
guardata una che stava con lui, non so. Cavolate da discoteca».
Sul momento che cosa hai pensato?
«Quando
ho visto che aveva del sangue in faccia, non ho pensato più niente. Ho
cominciato a correre verso di loro. Volevo separarli. Aiutarlo. Ma non
ho attaccato briga con nessuno: non è nel mio carattere e poi sarebbe
stato stupido, erano troppo grossi per me. Ho soltanto detto: Ragazzi,
calma».
E loro?
«Avevo ancora la bocca aperta su quel
“calma” quando ho sentito una frustata alla mandibola. Uno dei tre mi
aveva colpito da dietro con un cazzotto. Non avendo visto partire il
pugno, non ho potuto indurire la mascella e fare resistenza. Il colpo da
dietro è proprio un’infamata».
Sei caduto?
«No, e non
ho neanche perso i sensi. Pensavo di essere dentro un sogno e che a un
certo punto mi sarei svegliato. Sentivo scricchiolare tutta la bocca.
Ero sicuro che mi fossero saltati un bel po’ di denti. Poi ho cominciato
a barcollare e a sputare sangue. Gli amici mi hanno raggiunto e i
picchiatori si sono allontanati, così il ragazzo più piccolo è riuscito a
scappare».
Ti sembravano sotto l’effetto di qualche droga?
«Di sicuro avevano bevuto e fumato erba. Un bell’intruglio».
Che cos’hai fatto a quel punto?
«Ho
chiamato papà e appena tornato a casa me lo sono trovato sul mio letto.
Gli ho detto che avevo solo preso una brutta botta. Parlavo poco per
non fargli vedere che perdevo ancora sangue dalla bocca. Intanto però il
male aumentava, sentivo la mascella che “scalava” dentro le guance:
impressionante. Mi sono messo del ghiaccio e mi sono addormentato: è
stata l’ultima notte in cui sono riuscito a farlo».
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E al mattino?
«Mi
sono risvegliato col cuscino sporco di sangue. Ho detto ai miei: forse
dobbiamo andare in ospedale. Al pronto soccorso siamo stati sei ore in
sala d’attesa e ho avuto il tempo di raccontargli tutto. Poi è arrivato
il responso della Tac. Il medico mi ha chiesto: “Senti qualcosa sotto il
mento?” Mi tocco e mi accorgo di non sentire più niente. Rompendomi la
mascella, quel pugno mi ha spappolato il nervo che comanda la
sensibilità del labbro inferiore fino al mento. Non sento più né il
caldo né il freddo. Pensa che ho provato a mangiare un gelato e mi sono
sbrodolato come un bambino».
Ti hanno operato?
«Tre
giorni dopo, al Gemelli. Viti e placche dappertutto. E lì ho smesso
definitivamente di dormire. Ho capito che la forza dell’essere umano sta
tutta nel morso. Senza la possibilità di mordere ti senti impotente.
Sei come un cane con la museruola».
Riesci a mangiare?
«Solo vellutate e purè. Mi sogno un piatto di pasta anche da sveglio».
Oltre al dolore e alla fame, cos’altro provi?
«Col
passare dei giorni mi è cominciata a montare la rabbia. Perché non me
lo merito, fondamentalmente. Avrei voluto spaccare tutto, o almeno
urlare. E invece manco quello, perché avevo la bocca bloccata».
Quante possibilità hai di guarire?
«Potrò recuperare la sensibilità al 70 per cento, se va bene».
Che cosa pensi di chi ti ha conciato così?
«La
vendetta non fa parte della mia natura. Tanto sono sicuro che la vita
gli riserverà quel che si merita. Non è una minaccia, è una
constatazione. Ho fatto denuncia ai carabinieri, vedremo».
Se ti capitasse davanti?
«Gli
direi di chiedermi scusa. Ma se poi provo a immaginarmi la scena, sento
che non mi darebbe alcuna gratificazione. Sai che ti dico? Non me ne
importa niente. Secondo me, lui non sa neanche che cosa mi ha fatto.
Quella è gente balorda, chissà quanti cazzotti del genere ha tirato in
vita sua. In certi ambienti c’è ancora una cultura maschilista, l’idea
che il vero uomo sia quello che mena più degli altri per farsi
rispettare».
Lo rifaresti?
«No. Urlerei “c’è la polizia”, perché appena lo dici si spaventano subito e smettono».
Che cosa pensi di avere imparato?
«Prima
davo tutto per scontato. Adesso capisco quanto sia meraviglioso anche
solo poter masticare una noce… Poi ho imparato a diventare più paziente.
E quanto sia inutile e infantile mettersi in mezzo alle risse: rischi
di farti male, oppure di avere anche tu problemi con la legge. D’ora in
poi sarò più accorto nel valutare le situazioni. L’errore è stato non
calcolare quel che poteva succedermi. Spero non mi ricapiti più, ma se
mi ricapita, chiamo la polizia».
Hai visto la serie tv Adolescence, incubo di tutti i genitori?
«Non
ancora, ma la vedrò. Il problema della nostra generazione è che ci
sentiamo più grandi di quello che siamo. E infatti andiamo con i grandi
in discoteca».
A diciassette anni andavo anch’io in discoteca.
«Sì, ma al pomeriggio o alla sera?».
Al pomeriggio.
«Lo
vedi? Noi invece la sera, fino a notte fonda. C’è troppa voglia di
bruciare le tappe. E poi il telefono: ti sembra uno scudo, dietro cui
puoi fare il fenomeno. Invece ogni cosa che pubblichi ti si può
rivoltare contro da un momento all’altro».
Sei tornato a scuola.
«Sì,
ho voluto farlo, e poi avevo un’interrogazione di latino. Mi hanno
accolto bene. Non sono mai stato solo. Anche se mi sento solo».
E il ragazzo che hai aiutato?
«Sono riuscito ad avere il suo numero e gli ho scritto per sapere come stava».
Per sapere come stava lui?
«Mi
ha risposto con un bel messaggio: “Grazie. Per salvare la mia vita, ti
sei rovinato la tua. Quel che è successo a te stava per succedere a
me…».
Sei un piccolo eroe.
«Me lo hanno detto tutti
che ho avuto coraggio e che mi sono fatto male con onore. Ma non
scherziamo, gli eroi sono altri… Io di eroi non ne ho. Ho un mito: papà.
Però mi sa che gli devo dare più retta perché alla fine, scoccia dirlo,
ha sempre ragione lui».