
Dall’altopiano si scorge il lago Flumendosa, tutto attorno silenzio e verde. C’è solo lei, con un gregge di capre e una mandria di mucche. Questo è il lavoro che ha scelto: la pastora, lasciando l’attività di famiglia circa dodici anni fa. L’incontro con le caprette è folgorante, non c’è più modo di tornare indietro, segue il suo istinto e il bisogno di una vita all’aria aperta abbandonando una strada già tracciata. «Nella mia famiglia nessuno ha fatto o fa il pastore. Mio padre ha una macelleria dove ho lavorato dall’età di 16 anni fino ai 26, poi ho deciso di cambiare vita», racconta Fabrizia Olianas, 41 anni di Villanova Strisaili.
A prima vista
Un amico pastore le fa conoscere da vicino questo mestiere e l’incontro con gli animali è amore a prima vista, così Fabrizia comincia ad aiutarlo tutti i giorni con le varie mansioni, impara a mungere e a fare il formaggio. «Sono sempre stata amante degli animali fin da piccolina – ricorda -, e anche un po’ ribelle. Non amavo un lavoro chiuso fra quattro mura, così nel 2013 ho iniziato ad allevare capre e mucche. La scelta di lasciare la macelleria non è stata vissuta in maniera molto felice da mio padre, ma poi si è rassegnato». In questo periodo dell’anno il lavoro è meno pesante, principalmente si occupa di dare da mangiare alle capre e alle mucche e di portarle al pascolo; in altre stagioni si dedica anche alla mungitura e a fare il formaggio, anche se i problemi non mancano mai. Burocrazia e malattie che colpiscono gli animali mettono a dura prova Fabrizia: «A volte mi viene voglia di mollare tutto, da quando ho iniziato le cose sono notevolmente peggiorate – spiega -, e il futuro non lo vedo roseo. Lavori tanto, le spese sono sempre più delle entrate e le malattie dimezzano il gregge. Però quando arrivo nelle stalle, loro mi incontrano e mi fanno le feste, mi passa tutto. Continuo per amore verso i miei animali».
Appena nati
Un amore così grande che arriva ad ospitare in casa propria intere famigliole di capretti appena nati, a rotazione, da novembre fino a marzo. Infatti, per tentare di salvarli dalle malattie l’unico modo è tenerli lontani dalle stalle. «Il mio sogno nel cassetto è sempre stato quello di aprire un mini caseificio per lavorare il prodotto, ma visti i tempi penso che dovrò abbandonarlo. Non mi sento aiutata burocraticamente. In Trentino, per esempio, i pastori possono fare il formaggio nelle malghe e possono venderlo, qui bisogna per forza avere un caseificio. Ma, se ci pensate, con il caseificio il prodotto diventa “unificato”e uguale per tutti, mi piacerebbe che cambiassero tèle regole», spiega Fabrizia. Ai giovani non consiglierebbe mai di intraprendere questa strada, ma per fortuna il denaro non è l’unico metro di giudizio: «Alla fine dei conti, questo lavoro mi fa stare bene. Mi ha insegnato a stare da sola, a conoscermi meglio, a convivere con me stessa. Sei solo tu e gli animali, la forza me la danno loro», conclude.
Infatti da La storia della pastora Fabrizia Olianas | Ogliastra - Vistanet
«Mestiere difficile, non si stacca mai»: la storia della pastora sarda Fabrizia Olianas

Olianas, che alleva mucche e capre, lamenta la mancanza delle istituzioni nel risolvimento dei problemi relativi a quello che, nell’Isola, è un settore trainante: «In Sardegna, ormai, gli animali vengono colpiti da tantissime malattie. Siamo lasciati soli, manca proprio un piano preciso di risanamento delle greggi, mancano i veterinari che dicano come fare, che aiutino nell’arginarle. Il problema, ad oggi, è più che altro pratico.»
Ma non manca il problema economico. Olianas è perentoria: con gli attuali prezzi di mangime è difficile poter arrivare a fine mese sereni, senza contare il prezzo bassissimo del latte – che negli anni scorsi portò a una violenta rivolta popolare.
«Le capre si ammalano di CAEV, di paratubercolosi e c’è anche il tumore nasale enzootico che le affligge per il quale non c’è cura, non ci son vaccini. Per i bovini, adesso, ci mancava solo la malattia emorragica epizootica del Cervo, che sta portando conseguenze disastrose. Una moria di animali non indifferente, che rischia di mandare tutto sul lastrico. Senza considerare che quelli che restano in stalla, fermi, non procurano soldi ma solo spese.»
«Le malattie che ci sono sembra quasi non le vogliano debellare, mentre ci si concentra su quelle quasi sparite, a mio parere.»
Oltretutto, in questo periodo non è nemmeno possibile organizzare o partecipare a proteste: «Siamo a novembre, non ci si può allontanare nemmeno mezza giornata. Le proteste si possono fare d’estate, non ora che sarebbe dannoso spostarsi.»
Tanto si parla di biodiversità che Fabrizia aveva anche l’idea, che pensava di concretizzare a breve, di allevare la tipica capra sarda: «Fanno solo un litro di latte, sono molto piccole, ma quel litro è veramente buonissimo. Ho fatto anche corsi per fare il formaggio e altre cose, ma purtroppo ormai si munge poco. Tra prezzo del latte e rincaro sul mangime non è possibile fare passi simili.»
Una situazione disastrosa, come lamenta Olianas, che è destinata ad andare sempre peggio, a meno che le istituzioni, con una mano sul cuore, non si impegnino a salvare quello che è un settore importantissimo per l’Isola.
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cazzegiando fra le pagine social trovo su L'Eco di Barbagia - da cui ho tratto la foto a sinistra - e su - non riesco ad incorporare il video - : ALESSANDRO, IL SUB SPECIALE ADOTTATO DAL "COMSUBIN": IERI LA CONSEGNA DEL BREVETTO - di Videolina
Emozione
Dice che a casa hanno pianto tutti - di felicità, ovviamente -, anche i vicini. Perché nel quartiere cagliaritano che solitamente fa parlare più per il male che per il bene, Alessandro lo conoscono in tanti e fanno il tifo per lui. Scarpe da ginnastica, bermuda blu e t-shirt in tinta, si sistema sulla poltrona, tira fuori il tesserino e lo mostra con orgoglio. Non ha certamente problemi d’autostima. Così se gli chiedi cosa si prova a essere unici non ha neanche bisogno di pensarci: «Sono diventato famoso in tutto il mondo». Poi ritratta: «Magari lo diventerò dopo l’articolo. Ma davvero lo pubblicate sul giornale?». E tra un abbraccio e un altro racconta la sua storia, che alla fine non è poi così diversa da quella di qualunque altra persona normodotata. Fatta di sfide, di cadute, di amicizie e di amore. Tanto. «Quando ero piccolo mi prendevano in giro, soprattutto a scuola. È capitato che anche un’insegnante mi escludesse mandandomi fuori a mangiare il panino». Ricordi dolorosi, che per un istante adombrano il suo volto e testimoniano un passato dove ancora la diversità era vista come un qualcosa da relegare in un angolino, quasi a volerla tenere nascosta. «Per fortuna le cose sono cambiate: ora ci sono meno pregiudizi e vorrei che la mia storia servisse per dimostrare che anche se sono down posso fare tutto».
I due mondi
E in quel tutto non manca nulla. Ci sono le bombole, la tuta da sub e tanta determinazione, che dopo cinque mesi di immersioni gli hanno permesso di ottenere il tanto atteso brevetto. Come se tra i fondali trasparenti come il suo animo avesse abbattuto uno di quei limiti di chi s’ostina a vedere soltanto le difficoltà e non le straordinarie potenzialità di Alessandro e di tanti altri ragazzi diversamente abili. Che come lui, passo dopo passo, sono riusciti a integrarsi perfettamente nella società. «Nel mondo c’è spazio per tutti e un posto comodo per ognuno di noi».
Lui forse lo ha capito grazie alla polisportiva Olimpia Onlus, fondata da Carlo Mascia, che è andato a prenderselo a casa dieci anni fa. Perché, come dice sempre, la vita è fuori, anche per i disabili. Non dentro gli istituti o tra le mura di una cameretta. Da allora Alessandro non si è più fermato. Ha una vita super impegnata, a casa aiuta mamma Franca che fa l’ambulante al mercato di Sant’Elia. Contribuisce alle spese familiari con la sua pensione di invalidità, e gli altri soldi li mette da parte per le trasferte, dentro una borraccia. Niente salvadanaio: «È la prima cosa che ruberebbero i ladri». Sorride ancora. Anche mentre pensa al sua papà che non c’è più: «Se fosse ancora qui sarebbe stato tanto orgoglioso del brevetto».
L’amore e le amicizie
«Vorrei che la gente sapesse che anche i disabili si innamorano. Cioè, voglio dire che l’amore non è un’esclusiva dei normodotati». Un concetto a cui Alessandro tiene particolarmente. Lo dice a modo suo, e lo dimostra benissimo con i fatti. «Ho conosciuto Veronica quattro anni fa, al mare. È stato un colpo di fulmine, la amo tantissimo». Sentimento ricambiato, da lei che ha trent’anni, e con Alessandro condivide quella stessa sindrome di down che evidentemente non ferma la vita. «Puoi scriverlo per favore che le ho anche chiesto di sposarmi?». E siccome è uno che le cose le fa seriamente, si è messo in ginocchio, le ha regalato l’anello e guardandola dritta negli occhi le ha chiesto di diventare sua moglie. Così, dopo la discesa nei fondali ora è pronto a salire sull’altare. Ci saranno anche i suoi amici, ad accompagnarlo. Quelli della polisportiva, e tanti altri che gli vogliono bene per ciò che è. Un 41enne che ha dimostrato a se stesso e a chiunque altro che con buona volontà, impegno e un’assistenza che dovrebbe essere garantita a tutti, si può arrivare in altro. Sempre di più. Anche se sei down.








