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28.5.17

L’estate di Mirandola, rossa come le mura di Marrakech Figlia di due mondi, la scrittura in dono e migliaia di seguaci sul web “Papà parlava in modenese, ma solo il terremoto ci ha uniti davvero”

La  storia che     riporto  oggi  (  se  non volete  leggere  l'intero post   trovate  qui  l'articolo )  tratta  da   http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca/2017/05/27/  è la  dura   lotta  di  chi  è italiano a tutti   gli effetti  (  nato\a  , cresciuto  ,  studia  \ lavora qui  e paga le tasse  )  ma   non ha ancora la  cittadinanza  diretta  e  subisce   quotidianamente    cose  del genere :


Sono in sala d'attesa e l'ispirazione mi suggerisce di raccontarvi un mio peccato di debolezza che non sfugge alla regola "causa-effetto". È una storia lunga, cominciata quasi dieci anni fa e che dedico a tutti quelli come me, in cerca di un riscatto per se stessi, per le proprie origini e per l'Italia.
da https://www.gridodutopia.com/marocchina
Il mio primo anno di scuola superiore l'ho trascorso in un liceo di provincia, cullata dal desiderio di imparare molto e di creare altrettanto. Ero l'unica figlia di immigrati nell'intero edificio, ma fino a quel momento la diversità non era mai stata un grosso problema che si ripercuotesse spesso anche sui fatti. Con i miei compagni più stretti non c'erano difficoltà di nessun tipo, se non qualche innocente curiosità da parte di ragazze all'alba dell'adolescenza, intente a combattere brufoli e cotte precoci. Il dramma che vivevo, però, esisteva e proveniva dal resto delle classi, i cui giovani animi ribelli trovavano in me una serie di errori estetici, dettati da un'appartenenza etnica e religiosa lontana dalla loro. 
"Ma i marocchini non vengono in gita con noi / Tu alzati da lì che noi abbiamo la priorità / tu, il caffè, lo prendi dopo / non sei invitata al mio compleanno" e cose così, che a quattordici anni uno fa fatica a digerire. Avevo smesso di andare alle macchinette da sola, perché non volevo fare scorta di occhiatacce e derisioni. Evitavo di unirmi ad uscite di gruppo, in cui fossero presenti alcuni dei ragazzini che sprecavano per me pezzi d'odio. Ho finito l'anno con la pagella brillante e l'umore spento. A settembre, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso ed io che in lacrime scongiuravo mia madre di non mandarmi più in quella scuola, che avrei preferito rinunciare all'istruzione piuttosto che a tornare tra quelle mura. Il mese seguente l'ho passato a casa, alla ricerca d'una soluzione che mi portasse via da un entourage che mi soffocava la serenità. Ho cambiato città e scelto altre facce con cui condividere la mia crescita scolastica. Ho cambiato gli insegnanti, che non si erano mai accorti di nulla, i compagni che hanno fatto finta di niente o che mancavano di sensibilità perché troppo distanti dalla mia realtà. Ho cambiato atteggiamento e ho maturato una diffidenza che mi ha condotto a sedare molte parti della mia identità. Ho riempito la cartella di promesse e di un dolore che solo il tempo, oggi, è riuscito a curare. Ho peccato d'una debolezza che profuma di fallimento, di mancato riscatto personale e mi pesa sul cuore come un macigno destinato all'eternità.
Ora,

«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...