Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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29.7.25
Per chi suona la campana di © Daniela Tuscano
7.9.24
quando è femminicidio e quando violenza di genere . risposta al post<< Rebecca, medaglia crocifissa >> di Daniela Tuscano per Dols
è importante da comprendere:Femminicidio: Si riferisce all’uccisione intenzionale di una donna a causa del suo genere. Esso è la forma più estrema di violenza di genere e spesso avviene in contesti di relazioni affettive, sessuali o familiari. Le motivazioni dietro il femminicidio includono dinamiche di dominio e possesso, dove l’omicida non tollera l’autonomia o l’indipendenza della vittima.È un termine più ampio che include tutte le forme di violenza dirette contro una persona a causa del suo genere. Questo può includere violenza fisica, sessuale, psicologica, economica, matrimoni forzati, stalking e altre forme di abuso. La violenza di genere non riguarda solo le donne, ma può colpire anche uomini, bambini, anziani e persone LGBTQ+In Italia, il termine femminicidio non è specificamente definito come un reato autonomo nel codice penale. Tuttavia, il concetto di femminicidio è utilizzato per descrivere l’uccisione di una donna a causa del suo genere, spesso in contesti di relazioni affettive o familiari.Infatti nel Nel 2013, è stata introdotta una legge specifica per contrastare il femminicidio e la violenza di genere, nota come Codice Rosso. Questa legge prevede una serie di misure per prevenire e combattere la violenza contro le donne, inclusi l’inasprimento delle pene per reati come lo stalking e la violenza sessuale, e l’introduzione di aggravanti specifiche quando la vittima è una donna.In sintesi, mentre il femminicidio non è un reato autonomo, le leggi italiane riconoscono la gravità della violenza di genere e prevedono misure specifiche per affrontarla.
Ora su Sharon Verdeni io ci vedo di più ( ovviamentre senza sminuire e giustificare perchè sempre crimine abbietto e turpe si tratta ) come violenza di genere .
Ma soprattutto ( ovviamente senza giustificazione e sminuirlo ) il delitto è come evidenziato da quello fin qui emerso , dovuto al disagio psichico del carnefice . Infatti secondo quanto riporta l'ultimo n del settimanale Giallo
<< [.... ] da quello che sta emergendo dalle indagini è il profilo di un uomo che potrebbe aver già fa!o del male ad altre persone e che poteva uccidere ancora. È molto più di una suggestione: le parole della sorella sono una drammatica conferma a questa ipotesi. E allora cominciamo proprio dalla sorella Awa, studentessa di Ingegneria gestionale. La ragazza, in lacrime, ha rivelato come lei e la mamma Kadiatou Diallo, 53 anni, avesero fatto di tutto per fermare Moussa. Avevano presentato tre denunce ai carabinieri, inutilmente. In un verbale datato novembre 2023 si legge: «lo e mia madre ci siamo interessate al !ne di condurlo in una stru"ura di recupero, che ha sempre ri!utato. I controlli ci sono stati, ma solo per una questione di agibilità della casa, dopo l’incendio che c’è stato a luglio di un anno fa. Per mio fratello, invece, nessuno si è mosso. Abbiamo fatto di tutto per liberarlo dalla dipendenza, per a$darlo a chi potesse aiutarlo, ma lui ha sempre ri!utato. A noi, dopo aver verbalizzato le denunce, hanno dato i volantini dei centri antiviolenza. Per un eventuale ricovero di mio fratello, invece, ci hanno risposto che doveva essere lui a presentarsi in modo volontario». La ragazza è distru"a. Così come la sua mamma, già provata nel fisico da un ictus.
AVEVA DATO IN ESCANDESCENZE
Le denunce delle due donne risalgono a luglio e novembre del 2023 e a maggio del 2024. La prima dopo l’incendio appiccato in casa. La seconda per un episodio di violenza domestica: Moussa aveva dato in escandescenze rompendo un televisore, ribaltando la scrivania della sorella e mettendo a soqquadro la casa. Era stato chiamato il 118, ma lui si era barricato in camera e la cosa era !nita lì. Nel verbale dell’ultima denuncia, in!ne, spunta il coltello. Awa è tornata indietro con la memoria per ricordare questo terribile episodio: «Mi ha raggiunta alle spalle mentre stavo ascoltando la musica in sala e mi ha minacciato con la lama. Io non mi ero accorta di niente, ma mia mamma, che dopo l’ictus non riesce più a parlare, cercava di farmi capire che ero in pericolo. Allora io mi sono girata e Moussa si è fermato. Se ne è andato, ridendo». L’avvocato Stefano Comi, che assiste le due donne, ha aggiunto: «Moussa andava fermato, era fuori controllo. Picchiava e minacciava. Il sindaco e gli assistenti sociali lo sapevano, almeno un accertamento sanitario andava fa"o». Una vicina, allarmata dall’indole violenta di Moussa, era andata dal sindaco e in un’altra occasione aveva chiamato le forze dell’ordine. Ma niente di concreto era stato fa"o. Moussa non era nemmeno in cura. Com’è possibile che i servizi sociali non siano intervenuti ? >>
quindi chiedo a lei come a tutte le femministe di Dols perchè per voi è tutto femminicidio e patriacarto anche quando non lo è ?
11.12.22
Ballando con la stella -- di daniela tuscano
Boicottare i mondiali in #Qatar è giusto e doveroso, come giusto e doveroso è stigmatizzare strumentalizzazioni politiche e teppismo in nome del "tifo". D'altronde questi sono pure i mondiali dell'#Iran che non si piega, del #Marocco che sogna (e sì, di là da tutto, fatelo sognare). E sono i mondiali di #SofianeBoufal, nome fino a ieri sconosciuto a una non-appassionata come me. Come la pensi su tante questioni, anche importanti, ovviamente lo ignoro. Ma conta, anche solo per pochi minuti, quella danza sul campo, un po' girotondo un po' minuetto, assieme alla #madre dopo la
sorprendente vittoria sul #Portogallo. Li avevamo già visti in occasione di #Belgio-Marocco (0-2), lui seminudo, lei imbacuccata, ma entrambi a loro modo liberi, e liberi erano ieri, mentre ballonzolavano su una spianata verde che - è ben certo - vedevano come un grande mare semovente, magari un tappeto, sicuramente un luogo dove correre soli e felici per l'eternità. Sofiane, tecnicamente, è un #beur, un marocchino nato a #Parigi e cresciuto ad #Angers dove anche gioca. È stato il suo allenatore francese a convincerlo a giocare con la squadra delle origini, e grazie a lui Sofiane ha ripreso la fierezza delle radici, quella fierezza infantile senza ruoli né malizia. Tutto scompare in quei momenti, tranne la madre: sempre uguale, sempre alleata, sempre approdo anche quando ogni certezza crolla. Ma pure bambina, e Sofiane sa, nella sua inconsapevolezza, che in lei, e in ogni #donna, c'è un'avventurosa bimba negata, una che voleva correre e ballare e inzaccherarsi le ginocchia e ridere e urlare, e quella felicità condivisa e complice, quasi di rottura, l'ha vista il mondo intero, trasfigurata, forse epocale.30.12.21
buon 2022 di ©® Daniela Tuscano
io non avrei saputo dirlo meglio . Grande come sempre l'amica Daniela Tuscano a prescindere dalla religiosità o meno
Vogliamo ringraziare Dio per questo. Per averci offerto l'occasione di guardare dentro noi stessi e non sopra gli altri. Vogliamo ringraziare Dio padre e madre, ma soprattutto figlio, un figlio piccolissimo, per averci fatto ridiventare grumo, soffio e virtualità. Affinché la virtualità ridiventi virtuosità (simboleggiata dall'icona di San Giuseppe che si prende cura del bambino a fianco d'una Maria esausta).
Vogliamo ringraziarlo perché ha dato uno scossone alle nostre intelligenze sopite. Le difficoltà sempre maggiori nell'incontrarsi ci hanno costretto ad architettare nuovi espedienti per rimanere in contatto. E quel wifi inventato da Hedy Lamarr si è rivelato provvidenziale... Quella tecnologia tanto vituperata non attesta il nostro predominio sul mondo, ma la nostra relatività. E la nostra voglia di esserci.
Non sappiamo se impareremo alcuna lezione, vogliamo semplicemente stare in questa piccolezza estrema che è l'essenzialità. Troveremo allegate le letture ambrosiane del 31 dicembre. E il classico Te Deum che in tutte le chiese risuonerà alla sera, questo inno antico e solenne, che oggi, tolti i trionfalismi del passato, attesta ancor di più la nostra figliolanza, il bisogno di relazione.
13.3.21
La sinistra, la destra, il velo ®© Daniela Tuscano
da https://feministpost.it/magazine/

La presidente del Senato Maria Elena Alberti Casellati è una distinta signora dal sorriso garbato e dal nome roboante. Politicamente si situa a destra. In altri tempi l’avremmo definita una democristiana conservatrice. Al femminismo poi è estranea, cosa che d’altronde non le ha impedito, nel discorso d’insediamento, di pronunciare parole ferme e non retoriche sul fenomeno della violenza misogina.
M’è capitato di ripensare alla signora dopo il webinar su Velo e libertà con Marina Terragni, Sara Punzo e Maryan Ismail. Esattamente due anni fa, un tempo infinito per i ritmi dilatati dell’era-Covid, Casellati incontrava a Doha il primo ministro Abdullah bin Nasser bin Khalifa al-Thani, un altro che quanto a nomi e patronimici non scherza. Nello stesso periodo veniva ricevuta da papa Francesco. In entrambe le occasioni si notava l’abbigliamento composto e formale, eppure disinvolto e in un certo senso volitivo. A fianco del ministro qatariota appariva minuscola, delicata ma radiosa, e piuttosto diretta. Mentre posava col Papa aveva l’aria di un’antica principessa, o una nobildonna devota. Ma nemmeno in quel caso sottomessa o annullata, malgrado il vistoso velo nero.
Precisiamo: il velo l’aveva indossato davanti al Pontefice. In Qatar si era presentata a capo scoperto.
Per mancanza di rispetto verso i costumi islamici? Non diremmo. Piuttosto per quella necessità, probabilmente spontanea, di definirsi e valorizzare le differenze. La conservatrice Casellati pareva aver compreso che il dialogo autentico non comportava la cancellazione della cultura d’appartenenza, ma richiedeva un confronto sullo stesso livello di dignità. La Madame di Palazzo Madama si presentò come una politica italiana, di tradizione cattolica – cioè universale – che svolgeva il proprio ruolo in piena autonomia.
Se scorriamo le fotografie di ministre ed ex-ministre di sinistra, laiche e dichiaratamente femministe, lo scenario è assai differente. Laura Boldrini con un velo fin troppo vistoso nella moschea di Roma (ma senza copricapo e in sandali laccati in presenza del Papa); Federica Mogherini al Parlamento iraniano, anche lei con velo -imitata da Emma Bonino e Debora Serracchiani- suscitando lo sdegno delle femministe di quel paese che combattono a rischio della vita per la libertà d’abbigliarsi come meglio credono.
Chi ignorasse la storia politica di queste donne, a quale attribuirebbe l’epiteto di progressista? Alla prima o alle seconde?
Non per infierire. Può darsi si trattasse davvero di buona fede, oltre che di obbligo. Sappiamo bene che il protocollo vaticano non prevede più, dagli anni Ottanta, il velo obbligatorio per le signore. In alcuni Paesi, e il Qatar non fa eccezione, il pudore femminile è ben più che semplicemente raccomandato. Ma i gesti vanno oltre la prescrizioni; e, a volte, si ha l’impressione che la si vada a cercare, la berlina. L’irritazione verso talune politiche progressiste non può essere (sempre) ascritta a sessismo, qualunquismo o – ci è toccato leggere pure questo – islamofobia. Si tratta di cultura. E di tradizione. Che non è tradizionalismo ma trasmissione. Anche se a volte inconsapevolmente i critici motivati delle politiche di cui sopra hanno loro rimproverato esattamente questo: la mancanza di cultura.
Donne laureate, cosmopolite, sostenitrici d’un migrantismo anche marcato: e nondimeno ignoranti, perché non escono da un esotismo di maniera, pervaso, oltretutto, da un malcelato senso di superiorità.
Il ritratto col Papa lo dimostra pienamente. Il messaggio percepito, magari oltre le intenzioni, è: “Qui posso permettermi i capelli sciolti e le ciabatte, non ci credo, sono moderna. Altrove si deve ostentare devozione, i buoni selvaggi vanno assecondati”. E poi, “fa sinistra”…
Una sinistra dimostratasi finora sorda alle persecuzioni dei cristiani (e soprattutto delle cristiane: merita eterna vergogna il silenzio delle attiviste occidentali su Huma Younus e Leah Sharibu) d’Africa e Asia, perché sono extraeuropee della “concorrenza”; perché la cultura cristiana, in particolare cattolica, va considerata necessariamente un sottoprodotto di epoche oscure, da cui una femminista doc, aperta e libertaria, deve prendere con decisione le distanze. Si aggiunga l’identificazione del cattolicesimo con l’Occidente – stessa equiparazione dei jihadisti – che le occidentalissime liberal vedono come fumo negli occhi; mentre una regina “glamour” come Rania di Giordania non esita a mostrarsi a Bergoglio in stola bianca, con una naturalezza da cui traspare tutto fuorché sottomissione e piaggeria.
La reazione alla spocchia della sinistra attuale è disaffezione e tedio, anche da parte di militanti di lungo corso.
Non stupisce che in questo momento storico le posizioni più riformatrici provengano da settori notoriamente “moderati”. È pure ovvio, comunque. Se l’errore consiste nell’ignoranza – e nella perdita di memoria – il risultato è la confusione, la sovrapposizione tra sviluppo e progresso, lo scardinamento delle prospettive. “Solo i marxisti amano il passato – scriveva Pasolini – i borghesi non amano nulla, le loro affermazioni retoriche di amore per il passato sono semplicemente ciniche e sacrileghe: comunque, nel migliore dei casi, tale amore è decorativo, o ‘monumentale’ […], non certo storicistico, cioè reale e capace di nuova storia”.
Ma è proprio il senso storico, di una storia che avanza e cambia, a mancare oggi alla sinistra non più marxista, ma liberal-capitalista, “borghese”. Appunto, modernista e non moderna. La destra vive di questa spoliazione, più che di valori propri; ma il processo è appena cominciato, e nessuno sembra rendersene conto.
Daniela Tuscano
6.7.20
LE RIFLESSIONI DEL FILOSOFO SORRIDENTE - L'ultimo libro di Cristian Porcino
13.6.20
All'origine del razzismo come lo intendiamo oggi e come annientarlo

Eppure proprio per dimostrare l'inferiorità degli indios Sepúlveda utilizza le categorie che erano ritenute inferiori da sempre: donne, bambini ed animali.
Il che dà l'idea che il razzismo non sarebbe esistito senza una misoginia profonda che era supportata da filosofia e teologia ( Aristotele e Tommaso d'Aquino).
Il ragionamento che viene fatto in questo periodo, chiedendo alle donne ed al femminismo di sobbarcarsi il peso di altre battaglie come battaglie equivalenti è fuorviante e del tutto superficiale.
È proprio disintegrando misoginia e sessismo che possiamo distruggere il razzismo, non il contrario. E la battaglia del sesso femminile è il presupposto delle battaglie per l'infanzia, per l'uguaglianza di ogni sorta, la tutela dell'ambiente e degli altri animali.
Il male ha origini profonde e non basta curarne i sintomi, bisogna curare la malattia. Anche parlare di uomo bianco etero è quanto di più superficiale possa esistere. È stata la prevaricazione del maschio sulla femmina a dare il LA ad ogni successiva prevaricazione mai esistita.
Immagini e testi tratti da

"La conquista dell'America. Il problema dell'«altro»" di C. Todorov.

Joumana Haddad* – Sono una donna
quel che dico quando me ne sto in silenzio
chi vedo quando chiudo gli occhi
come vengo sospinta quando vengo sospinta
cosa cerco quando lascio libere le mie mani.
quando ho fame, quando parto
quando cammino e quando mi perdo,
e nessuno sa
che per me andare è ritornare
e ritornare è indietreggiare,
che la mia debolezza è una maschera
e la mia forza è una maschera,
e che quel che seguirà è una tempesta.
Credono di sapere
e io glielo lascio credere
e avvengo.
affinché la mia libertà
fosse una loro concessione
e ringraziassi e obbedissi.
Ma io sono libera prima e dopo di loro,
con loro e senza di loro
sono libera nella vittoria e nella sconfitta.
La chiave della prigione è la loro lingua
ma la loro lingua si avvinghia intorno alle dita
del mio desiderio
e il mio desiderio non riusciranno mai a domare.
Credono che la mia libertà sia loro proprietà
e io glielo lascio credere
e avvengo.
1.5.19
riflessioni sul primo maggio di Viviana Fabia Pizzi
Viviana Fabia Pizzi

24.2.19
NOI SIAMO MAGGIORANZA di Daniela Tuscano
Trentatré fatidici anni, e sottolinearlo è forse scontato, forse retorico, ma necessario. Se ha un senso la parola "giovani", ce l'ha nell'interruzione, nell'incompiutezza, in quell'inafferrabile voglia che a noi adulti fa scuotere il capo, e dire "impossibile, se l'è cercata". È vero: quasi sempre i sogni giovanili sono irrealizzabili, esagerati e un po' sciocchi. Ma provate a privarvene, per un solo istante. Provate a credere davvero che questo sia il migliore dei mondi possibili. E vi trovereste ancora là, nel brodo primordiale, non giovani ma bruti, senza tempo né spazio. I giovani, di utopia possono morire. Ma cancellatela, e li avete abortiti in grembo.
Il 22 febbraio 1986 Luca Rossi,

un giovane studente della Bovisa, iscritto a Dp, che di sogni aveva la testa arruffata (no, scomposta), viene ucciso "per errore" nel modo più prosaico possibile, su un autobus, da un poliziotto. Luca forse è già vissuto troppo. Pare un reperto, con la sua glabra magrezza, gli occhi assonnati di peace&love, vacuamente milanese, su un treno di pendolari che per lui è diretto a Woodstock, o in India. È figlio del '68, o d'un '77 non ancora incattivito. Un Chatwin gentile in un'epoca d'arrembante edonismo, come quegli Ottanta di Craxi, Reagan e Thatcher. Che ci faceva lì?
Era febbraio, il mese del non ancora, del quasi inizio. La Pasqua di Luca non è mai giunta. Lui non ci credeva, non nel modo tradizionale, si capisce; credeva semplicemente si potesse esistere qui, su questa terra, con la velocità della fantasia.
A Parigi, il 6 dicembre di quello stesso anno, il cerchio invece si chiudeva. O forse, ancora, stava per fiorire. Cos'altro è infatti il Natale, se non una Pasqua d'inverno, un anticipo d'aldilà? Se Luca si sentiva cittadino del mondo, il suo coetaneo Malik Oussekine, con quel nome quasi palindromo, era un francese dalla testa ai piedi ("al cento per cento" direbbe un cantante oggi di moda). Che poi è lo stesso per un occidentale figlio di algerini, che non parla arabo, ha una faccetta bella e curiosa, semplice solo in apparenza: è un po' solitario, ha una sorella femminista, passa tre giorni su sette all'ospedale per una grave dialisi. È anche strano, non gli servono le canne e l'India, porta la giacca, legge il Vangelo malgrado sia musulmano. È affascinato dai missionari, il sacrificio, l'amore, cose così. E ascolta musica jazz. Troppo.
Ha il torto di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, un club di jazz appunto, nel pieno delle manifestazioni universitarie (ma lui, per problemi legati alla malattia, frequenta ancora le superiori) contro un disegno di legge iniquo. Sbaglia a uscire, a trovarsi in strada, a scappare quando vede arrivare due poliziotti motorizzati che brandiscono uno sfollagente gigantesco proprio nella sua direzione. E sbaglia a infilarsi in un portone dove lo inseguono e lo massacrano senza pietà. Sbaglia perché una figura come la sua oggi verrebbe considerata inverosimile anche dal più fantasioso degli scrittori. Sbaglia perché non dovrebbe esistere, perché un ministro dei suoi tempi, francese come lui, ne omaggia la memoria attaccando la sua famiglia e dandogli pure del coglione.
Ragazzi per sempre. Crocifissi senza religione, vale a dire senza formalismi; oltre le chiusure. Avevano misericordia. Si poteva. L'edonistico '86 della fine della storia e del rancore degli esclusi si era aperto e chiuso con queste due eccezioni. Che in realtà erano la regola. Noi volevamo quel mondo lì, di Luca, di Malik. La maggioranza eravamo noi!
© Daniela Tuscano
14.4.17
Venerdì Santo. La Via Crucis al Colosseo con le «donne del Vangelo»

10.9.16
NOI SIAMNO ONDINA di © Daniela Tuscano
Lei, Trebisonda, era uno spirito indipendente e cocciuto, d'una praticità tutta emiliana, per dirla con
Ma, se la mamma rompeva, la schiena doleva; prodromo di quella spondilosi vertebrale che le avrebbe ostacolato l'attività agonistica dopo Berlino (e tre), quindi vinse tutto e subito, oltre alla sua specialità: salto in alto, staffetta, nel dopoguerra persino lancio del peso e chi più ne ha più ne metta. Record imbattuti fino agli anni 2000.
Il fascismo, lo sappiamo, era un regime reazionario, illiberale, violento, razzista; ma pure machista e misogino. Tuttavia...
Quel regime da un lato teorizzava l'inferiorità delle donne, confinandole in ruoli domestici a regalare figli alla patria (almeno sette per aggiudicarsi il premio alle famiglie numerose) e negando loro i diritti politici; dall'altro ne incoraggiava, almeno in determinati ambiti, la visibilità, l'agonismo e la partecipazione pubblica.
Le italiane dovevano essere forti, sane, intelligenti per procreare figli altrettanto forti e ardimentosi. Sempre madri per cannoni, certo. Ma, in quei momenti di giovanile euforia, sullo sfondo d'un paese profondamente arretrato, contadino, povero - e la famiglia di Trebisonda/Ondina non faceva eccezione, e la tessera significava posto fisso e prestigio, ed espressioni come libertà di scelta risultavano del tutto incomprensibili -, esse apparivano e si sentivano, come tanti altri coetanei divenuti poi sinceri antifascisti (Pasolini, Scalfari, Fo, Soldati ecc.), ribelli e futuriste, uniche e smaglianti.
Ondina fu ribelle suo malgrado. Il suo entusiasmo olimpico venne sfruttato dal sistema, ma lei, per sua fortuna, restava una ragazza; la cavalla pazza della cinepresa, invece, la Leni Riefenstahl, era un genio sì, ma nazista. Nazista vera.
Valla incarnò le contraddizioni di quel sistema e, alla fine, le dominò. Anzi, le cavalcò. Letteralmente.
Ché i fascisti non erano poi soli. Il filantropo de Coubertin, quello del "non importa vincere ma partecipare", così si esprimeva a proposito della partecipazione delle donne alle Olimpiadi: "Un'Olimpiade femminile non sarebbe pratica, interessante, estetica e corretta". Già, anche l'estetica contava, perché si trattava di esibirsi a gambe nude, ed era impudico, avrebbe alimentato negli atleti maschi frizzi libidinosi... Vi ricorda qualche polemica recente?
Insomma Ondina dovette superare ostacoli non solo in patria ma fuori perché, quando si tratta di sottomettere le donne, i maschi, sia democratici sia autoritari, si trovano curiosamente d'accordo.
Il problema, l'ostacolo grosso, era sempre quello, il genere (e quattro): sì, proprio il termine che ancor oggi incute tanto terrore nei benpensanti, e nello spettacolo emerge con disarmante semplicità, con una fattività priva d'ideologismi. Il genere! Ammirando la recitazione apollinea di Lorenza Fantoni mi sono convinta che Ondina abbia affermato il suo semplicemente travalicandolo, mettendo in mostra la sua politezza d'atleta. In lei s'è vista la donna oltre la donna, in lei si sono identificate tutte. E tutti.
D'altronde, se "obstat sexus", a dare un sigillo di sacertà agli ostacoli non poteva essere che la Chiesa di Pio XI (e cinque): fu lui a premere sul regime affinché le atlete non partecipassero alle Olimpiadi di Los Angeles del '32 e Ondina dovette rinunciarvi proprio nel pieno della sua forma fisica; ma si prese la sua bella rivincita quattro anni dopo, quando fu lo stesso papa Ratti a riceverla in Vaticano, addirittura a stringerle la mano (!). Il trionfo berlinese fu anche questo. Il ruvido pastore di Desio passerà alla storia per le sue illuminazioni tardive: sulle donne, sugli ebrei, sul nazifascismo...
Ma poi, i dubbi (e sei): quel terzo posto al fotofinish sempre a Berlino, davanti a un dittatorello con baffi alla Chaplin, ma molto meno divertente, che cianciava in tedesco e di cui Ondina non capiva nulla, era davvero della sua amica/rivale Claudia Testoni? No, non era suo, Claudia era giunta quarta, e nonostante ciò avrebbe continuato a lottare, a vincere in seguito, meno di Ondina, malgrado fosse lei la favorita: una bella lezione per tanti giovani d'oggi, pronti ad appendere le scarpette al chiodo dopo la prima sconfitta...
Ed ecco l'altro ostacolo, l'occhialuta Claudia Testoni (e sette): insieme a Ondina fin da piccola, due parallele, che come si sa non s'incontrano mai, ma procedono a fianco a fianco. No, in pista vinceva la più forte, non ce n'era per nessuna, ma fuori erano sempre loro, la bionda e la nera, la lince e l'occhialona. Benché l'ostacolo più insidioso non provenga mai da fuori, ma sia in noi, anzi, ci definisca, alberghi nel nostro cuore (e otto): Ondina e la debolezza, Ondina e la paura di non farcela, Ondina e la sconfitta, Ondina e il senso di colpa...
Per tutto questo, e anche di più, Ondina siamo noi. Nell'impertinenza giovanile, negli abbagli e negli errori, nella forza dell'innocenza non ancora esausta. Nell'essere vive. L'imprendibile bolognese si sarebbe fatta impalmare relativamente tardi, a ventotto anni, dal noto fisioterapista e sportivo Giorgio De Lucchi, col quale poi avrebbe aperto una clinica per le malattie fisiche. Niente di eugenetico, anzi, l'esatto contrario del sogno, o meglio del delirio, nazifascista. Avrebbe avuto un figlio solo. Si sarebbe spenta a 90 anni, nel 2006. Sarebbe divenuta cavaliera della Repubblica. Nel '78, per la verità, le avrebbero ciulato la medaglia conquistata a Berlino: mai più ritrovata, riprodotta poi da un artigiano per ripagarla del furto vigliacco, ma sempre rimpianta. Anche questo, alla fine, un ostacolo. La perfezione non abita qui.
Era stupenda, agile, scattante, contemporanea. Quest'allegra e potente femminilità è stata magistralmente resa sul palco da Fantoni e dalla regista e amica Lisa Capaccioli (le Valla e Testoni del teatro), allietata dalla vivacità della bionda e simpaticissima figlia di Lorenza, dalla presentazione appassionata di suor Elisabetta (anch'essa ex atleta e insegnante di scienze motorie) e dal rigore empatico del prof. Bienati. Tante esistenze in un grembo di sorprendente normalità.
© Daniela Tuscano
Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO
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