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31.10.25

“Gisèle Pelicot, il coraggio che ha cambiato la legge .La Francia dice basta: il corpo delle donne non è negoziabile”

Frasi chiave dal post “Non spetta a noi provare vergogna, sono loro che devono provarla.” “Voglio che tutte le donne, guardandomi, possano dire: se lei l’ha fatto, allora posso farlo anch’io.”


Una vittoria di civiltà e di coraggio.
Il caso di Gisèle Pelicot dimostra ancora una volta come il dolore di una donna possa diventare un motore di cambiamento collettivo. Non dovremmo mai aver bisogno di tragedie per capire l’ovvio: che il consenso è la base di ogni relazione umana, e che il silenzio non è mai un sì.Mentre la Francia fa un passo avanti nella storia dei diritti, l’Italia sembra guardare indietro, impantanata in un dibattito pubblico che troppo spesso minimizza, giustifica o ridicolizza la violenza di genere.La “Legge Pelicot” non è solo una norma: è un atto di giustizia, una lezione di umanità. E il suo nome resterà come simbolo di dignità e resistenza.
Grazie Gisèle, per aver trasformato la tua ferita in una battaglia per tutte.
Da oggi in Francia il sesso senza consenso è e sarà considerato stupro.È stata approvata definitivamente una legge che rivoluziona l’ordinamento in tema di violenza di genere. E introduce per la prima volta in una legge di Stato il concetto di consenso come “libero e informato, specifico, preventivo e revocabile”.Il silenzio non equivale e non può essere equiparato a un assenso, così come una assenza di reazione non vuol dire sì.Concetti base, elementari, eppure c’è stato bisogno di un
caso mostruoso come quello di Gisele Pelicot per trasformarlo in legge.
Un’altra lezione di diritto e di diritti che arriva dalla Francia, dopo l’inserimento dell’aborto in Costituzione, mentre il nostro Paese regredisce ogni giorno di più.E, se ci sono arrivati, almeno loro, dovremmo ringraziare questa donna qui per il suo coraggio, la sua dignità incrollabile, la sua lotta a testa alta, a volto scoperto, col suo corpo, per tutte le donne.Essa lo ricordiamo , per chi appprende la sua storia solo ora ,Si chiama Gisele Pelicot, la Franca Viola francese. Essa Avrebbe potuto chiedere l’anonimato, previsto dall’ordinamento francese nei casi di stupro. Invece Gisèle Pelicot ha scelto di metterci la faccia, la voce, il suo corpo e ogni cellula della sua dignità assoluta per testimoniare contro il marito e i 50 uomini - non bestie, uomini - da cui è stata per anni ripetutamente e atrocemente violentata. Per anni il marito ha drogato Pelicot, l’ha fatta stuprare da cinquanta uomini, l’ha filmata e infine messo tutto online sulle piattaforme del porno. E a fare tutto questo erano maschi insospettabili, perfettamente inseriti e, soprattutto, consapevoli di quello che stavano facendo. Per tutta la durata del processo, ha scelto simbolicamente di portare il cognome del marito, Pelicot, che non è mai riuscito ad alzare gli occhi in aula per guardarla in faccia. Quando le hanno chiesto se preferiva non comparire con il suo volto al processo, Pelicot ha dato una risposta che è un manifesto di empowerment femminile. “Non spetta a noi provare vergogna, sono loro che devono provarla. Voglio che tutte le donne, guardandomi, possano dire: se lei l’ha fatto, allora posso farlo anch’io”. È stata una fatica enorme, indicibile ripercorrere ogni momento, ogni ferita, ogni dolore inferto da quegli uomini, ma alla fine il tribunale ha condannato il marito a 20 anni, il massimo della pena, e insieme a lui tutti i 50 co-imputati. Non ha avuto giustizia per sé, nulla potrà restituirle quello che le è stato tolto. Ha vinto per milioni di altre donne in Francia e in tutto il mondo. E ieri, anche grazie a quel coraggio, a quella forza inaudita, a quella dignità infinita, la Francia ha approvato una legge con la quale il sesso senza consenso viene considerato stupro. Una legge che porta a caratteri cubitali il suo nome. E che non esisterebbe senza la sua forza, senza la sua lotta, da sola contro tutti. Gisele Pelicot è la Franca Viola francese. Ora lo possiamo dire con certezza. E se la Francia ha compiuto questo passo di civiltà, lo deve soprattutto a questa grande donna. Mi inchino. Lo facciano tutti. Soprattutto gli uomini.

16.10.25

non rompeteci le .. il 25 novembre visto il divieto d' educazione sessuale ed emotiva nelle scuole e intanto le donne continuano ad essere uccise

Nel giorno in cui in Italia avviene l’ennesimo #femminicidio la maggioranza di governo discute un 
emendamento che vuole vietare che nelle scuole medie si parli di qualsiasi forma di #educazionesessuale o all’#affettività. Con un blitz sconcertante, la Lega ha vietato per legge l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole.   Ora sembrebbe      come  dice su  thereads  samuel.bertozzi.blog : «Boh, a certe persone indigna di più che a scuola si faccia educazione sessuo-affettiva che vivere in un Paese con più di cento femminicidi all'anno.»   infatti    Una decisione miope e pericolosa: si nega ai ragazzi la possibilità di conoscere sé stessi, di capire le proprie emozioni, di imparare il rispetto e il consenso.
Si vuole far crescere generazioni più confuse, più impaurite e più facili da controllare.
In un Paese dove la violenza di genere e l’analfabetismo emotivo sono piaghe quotidiane, togliere educazione affettiva significa solo alimentare il problema.
Non è moralismo, è civiltà.E chi la censura sta scegliendo scientemente di tornare indietro Ma purtroppo Non è uno scherzo, è quello che è accaduto oggi in Commissione Cultura, dove la destra è riuscita a far passare un emendamento al Ddl Valditara a dir poco medievale a prima firma Giorgia Latini (Lega) con cui impedirà di fare educazione affettiva anche nelle scuole medie, dopo averla già cancellata nelle scuole dell’infanzia ed elementari, mentre alle superiori servirà un consenso informato dei genitori.


è  una  foto  sarcastica  rido per  non piangere
 da 25 Novembre: avete ancora voglia di celebrare?
di  UAU Magazine


 Proprio nel giorno dell’ennesimo femminicidio, censurano l’educazione sessuo-affettiva proprio lì dove ce ne sarebbe più bisogno, perché dopo è tardi. E non è un caso. Stanno cercando di allevare i futuri figli “sani” del patriarcato, più soli, più fragili, più inconsapevoli di sé stessi, della propria sessualità e quella altrui, del proprio corpo e del rapporto col prossimo. Questa non è una battaglia tra le tante. Questa è LA battaglia, forse la più importante che esista oggi da combattere. In un solo colpo la destra-destrae  la  debole  ed  frammentaria opposizione     della   sinistra    ha calpestato la libertà d’insegnamento, i diritti dei ragazzi e almeno trent’anni di progresso in tema di prevenzione e alfabetizzazione emotiva. “Siamo al Medioevo”  si  è  limitata   a   denunciare   l’opposizione, con tante scuse a un’epoca decisamente meno oscura e oscurantista dei Pro vita di oggi. Che infatti esultano. Siamo di fronte alla maggioranza di governo più regressiva, repressiva e pericolosa di sempre. Ed   a  un opposizione  che   latita  e  si contorce  fra  le sue contradizioni e  lotte  intestine   .  Ecco un’altra cosa per cui vale la pena scendere in piazza.

 


Quindi cari #politicanti di #maggioranza ed #opposizione evitate di romperci le pelotas con la vostra #ipocrisia il #25novembre

27.9.25

perchè s'uccide e miei dubbi quando chiamarlo femminicidio o omicidio


Rompo la mia  astinenza ( non  significa  che  sia  indifferente  a  tali  fatti )   sul recente  omicido \  femminicidio   ai danni  di  una   donna , colpito da  uno  dei  pochi  scritti intelligenti  e non sbilanciati sul  carnefice come la maggior parte dei media  o di gogna  mediatica   colpevolizzazione  della vittima .

Perché si uccide? E perché siamo così assetati di conoscere, di classificare, di incasellare in fretta la vittima e il carnefice? Perché, se l’assassino è extracomunitario, proviamo rabbia e rancore, mentre se è bianco e benestante iniziamo a cercare possibili scenari che – senza giustificarlo – finiscano comunque per annacquare il gesto?
Un ricco bianco che commette un delitto era “alterato”: ma che significa? Aveva bevuto? Era drogato? Vittima di un raptus religioso? E se fosse stato povero e straniero? Non aveva forse lo stesso “diritto” a bere o drogarsi?
E la vittima? Diventa subito eroina, martire o – peggio – una donna con una vita “travagliata” alle spalle. Salite, inciampi, cadute: etichette già viste, già sentite, che rischiano di strappare un sorriso amaro se non fosse che c’è da piangere.
Ieri, durante una trasmissione di Videolina, ho apprezzato l’intervento di Cristina Cabras che, da studiosa esperta di delitti “rapaci”, ha ricordato che è troppo presto per delineare un quadro psicologico e sociale del presunto assassino. Ma nell’era delle quick news non c’è tempo per l’attesa. Servono verdetti in cinque minuti, condanne esemplari, cuoricini, lacrimucce e un bel “R.I.P.”, prima di passare a un’altra storia.
Il caso di Cinzia Pinna è esemplare. La ragazza scompare, iniziano le ricerche: le forze dell’ordine capiscono subito che non si tratta di un allontanamento volontario. Le indagini si concentrano su un giovane molto conosciuto ad Arzachena. Dopo due settimane, il caso si chiude: il ragazzo confessa, il corpo di Cinzia viene ritrovato, la stampa costruisce la notizia. Ma resta un problema: come presentarla?
Forse un tentativo di stupro? Ma cosa c’entra la pistola? Lei era salita in macchina “consenziente”? Su questo presunto consenso si innesta una trama che è ancora tutta da dimostrare, ma che mostra come le storie vengano spesso raccontate più dai narratori che dai giornalisti. E allora bisogna spiegare il gesto del rampollo agiato: era un bravo ragazzo, forse egocentrico, ma buono; gran lavoratore, allegro. Sì, è vero, dopo l’omicidio ha preso l’elicottero per andare al compleanno della madre, ma – si dice – i figli so’ piezz’e core.
Il nonno, il padre, lo zio sindaco: tutto finisce nel racconto. Ma cosa c’entra la parentela illustre con l’aver sparato a una donna indifesa? Che nesso c’è tra il femminicidio e l’amicizia del nonno con l’Aga Khan?
La vera domanda è un’altra: dov’è Cinzia in questo racconto? Perché non parliamo di lei, del fatto che si è fidata di un “bravo ragazzo” che a un certo punto ha impugnato una pistola – legittimamente detenuta? qualcuno l’ha chiesto? – e ha sparato come se davanti a sé avesse un nemico da abbattere?
Queste sono le domande che contano. E, nel tempo, forse troveranno risposta. Ma state certi: poco hanno a che fare con il nonno potente o con il padre imprenditore. Quella è solo cornice. E i giornali, troppo spesso, ci raccontano solo la cornice, dimenticando il quadro. Come se, davanti alla Gioconda, ci limitassimo a descrivere l’intaglio della cornice senza guardare lo sguardo enigmatico del dipinto.
Se vogliamo davvero rispettare la memoria di Cinzia Pinna e restituirle la dignità che merita, dobbiamo riavvolgere il nastro e mettere al centro le domande scomode:
perché l’ennesimo femminicidio? Dove sbagliamo, e perché continuiamo a sbagliare? Come è possibile che, nonostante campagne pubblicitarie, formazione, sensibilizzazione, ci siano ancora uomini – bianchi, neri, ricchi, poveri, credenti o atei – pronti a puntare una pistola contro una donna? Perché?

Non concordo con lui e con chi definisce tale fatto un femminicidio in quanto perche , almeno allo stato attuale delle indagini , non ci sono gli elementi che lo costituiscono e ne sono alla base cioe : rapporti non consensuali , controllo fisico e psicologico e/o altre dinamiche di potere e di abuso . Con questo non lo sto né difendendo non sono ne amico , parente , il suo legale nè sminuendo il crimine , perche di crimine si tratta , ovvero omicidio . Tant'è che La magistratura ha formalmente contestato l’omicidio volontario aggravato, e il termine “femminicidio” è stato usato da media, attivisti e anche da figure religiose e civili che hanno organizzato fiaccolate e appelli contro la violenza sulle donne. Come ha detto don Pietro Denicu, promotore della fiaccolata a Castelsardo:

“La morte violenta di una giovane donna è l’evento più tragico e doloroso che la vita umana possa conoscere. Non possiamo permettere che l’indifferenza cancelli Cinzia e con lei tutte le altre vittime, mai più”.

In sintesi per loro , chiamarlo “femminicidio” non è solo una questione terminologica, ma un atto di riconoscimento del contesto culturale e sociale in cui è avvenuto. È un modo per dire che la violenza contro le donne non è un fatto isolato, ma parte di un problema sistemico.IL  che  è giusto ma   un termine      che  va  saputo usare a temo e  a  luogo  ed   in questo caso  non lo  è  

4.12.23

NEL 1996 IL DELITTO DI VICKY DANJI, GIOVANE MAMMA UNGHERESE ASSASSINATA E DECAPITA DAL FIGLIO DI LUI SU ISTIGAZIONE DELLA EX MOGLIE

le polemiche di cui ho parlato in : << il  femminicidio   e  non solo   di  Giulia Cecchettin nel marketing morboso: dalla vita di Turetta in carcere alle relazioni tossiche trasformate in vanto>> mi hanno riportato alla mente questo fatto di cronaca locale che trovate sotto . Il che dimostra e spiega perchè non sempre i famminicidi o violenza di genere sono   di  tipo  patriarcale . 

DA  GIALLO   SETTIMANALE  
                                                        Di Silvasna  Giaccobini 

Maria Antonietta Roggio riuscì a convincere il figlio e un suo amico, entrambi minorenni, a compiere l’omicidio e ottenne il suo atroce trofeo. Non accettava che il marito l’avesse lasciata per un’altra, da cui aveva avuto un bimbo Una delle tragedie meno conosciute e più cruente scri!e da Shakespeare è “Tito Andronico”, il cui protagonista è un generale romano del tardo impero. Nella fitta trama in cui s’intrecciano tradimenti e assassini all’ombra del potere, spicca la ferocia con cui i due giovani Chirone e Demetrio a!uano la vende!a istigata dalla madre, la regina dei Goti Tamora, nei confronti dell’indifesa Lavinia, la figlia del generale,e la violano e mutilano nel modo più infame e spietato. Nella tragica vicenda il genio letterario inglese descrive il lato bestiale umano che arriva ad azioni così efferate da renderne impossibile la giustificazione, così crudeli da apparire frutto di una fantasia malata. Eppure la realtà può superare l’immaginazione, compresa l’arte visionaria del drammaturgo inglese. È accaduto nel 1996 con il caso che sconvolse l’opinione pubblica non soltanto italiana a causa dell’efferatezza di cui fu vittima una ragazza
ungherese, Vicky Danji, il cui corpo fu violato e oltraggiato, le fu tagliata anche la testa.  
 IL GIALLO DEL BOTTINO DI 400 MILIONI 
Lo sfondo dell’orribile crimine era un residence situato a Platamona, la località balneare a quindici chilometri da Sassari. I colpevoli furono due minorenni, Riccardo Pintus, quindicenne, e Francesco Nuvoli, diciassettenne, istigato al delitto dalla madre, Maria Antonietta Roggio, che voleva vendicarsi di Vicky Danji. Torniamo allora indietro nel tempo, al 1996. Era l’anno del trionfo dei Pink Floyd, Ron vinceva Sanremo con “Vorrei incontrarti tra cent’anni”, a marzo scoppiava la prima guerra cecena, Mel Gibson sbancava l’Oscar con cinque premi al suo “Braveheart”, i principi del Galles Diana e Carlo divorziavano, la Juventus conquistava la seconda Champion League.
Lo sfondo dell’orribile crimine era un residence situato a Platamona, la località balneare a quindici chilometri da Sassari. I colpevoli furono due minorenni, Riccardo Pintus, quindicenne, e Francesco Nuvoli, diciassettenne, istigato al delitto dalla madre, Maria Antonietta Roggio, che voleva vendicarsi di Vicky Danji. Torniamo allora indietro nel tempo, al 1996. Era l’anno del trionfo dei Pink Floyd, Ron vinceva Sanremo con “Vorrei incontrarti tra cent’anni”, a marzo scoppiava la prima guerra cecena, Mel Gibson sbancava l’Oscar con cinque premi al suo “Braveheart”, i principi del Galles Diana e Carlo divorziavano, la Juventus conquistava la seconda Champion League. Vicky Danji era nata in Ungheria e, bella e disperata, aveva scelto l’Italia in cerca di fortuna e per fare un po’ di soldi trovò lavoro come entraineuse in un locale notturno. Lì era cominciata la sua relazione con Michele Nuvoli, un boss pregiudicato per vari reati. L’incontro era stato casuale, ma la conoscenza si era approfondita fino a sbocciare in una relazione sentimentale stabile. La passione li aveva travolti, anche se lui era sposato e padre di due figli. La moglie di Michele Nuvoli si chiamava Maria Antonietta Roggio, era alla soglia dei quaranta anni ed era accecata dalla rabbia e dalla gelosia, obbligata da Michele a condividerlo con la più giovane Vicky.
Quando la ragazza ungherese rimase incinta aveva da poco compiuto vent’anni, era nel pieno della bellezza e della giovinezza. Mise al mondo un bel maschietto e lo chiamò Michele junior, era il nome del padre Michele Nuvoli e la chiara indicazione che sulla paternità non dovevano esserci dubbi. Maria Antonietta Roggio si sentì sfidata e quasi impazzì, inferocita al pensiero che Michele, il suo uomo, trascurasse non solo lei ma anche i loro figli, Barbara,
 quasi coetanea dell’amante del marito, e Francesco, 17 anni. Non aveva importanza che fossero separati per colpa della ragazza, Maria Antonietta non si rassegnava, l’avrebbe sempre potuto riprendere se non ci fosse stata di mezzo l’ungherese. Maria Antonietta Roggio sospettava che Michele volesse abbandonare definitivamente la famiglia per scappare via da Sassari con la madre di Michele junior. Ma non solo. C’era anche una questione di soldi. Tanti soldi. Dove era finito quel mucchio di milioni di lire, ben qua$rocento, che Michele con la sua banda qualche anno prima aveva rapinato al Banco di Sardegna? Di sicuro potevano essere nascosti in mano alla Danji e invece Maria Antonietta era convinta che quei soldi spettassero a lei e ai suoi figli. Il marito li avrebbe dovuti condividere solo con loro. Nel fra$empo il pregiudicato Michele Nuvoli stava scontando una pena in carcere a Badu e Carros, a Nuoro. Così era fuori gioco, non poteva proteggere la madre del neonato, era il momento buono per agire e stanare i milioni. LI LASCIÒ ENTRARE, ERANO DEI RAGAZZINI... Per di più, la Roggio era venuta a sapere che Vicky stava rinnovando i documenti d’identità, forse stava organizzando il ritorno in Ungheria e quindi Michele poteva espatriare per rifarsi una vita con lei e il "glio di sei mesi. Maria Antonietta Roggio era decisa, pianificò l’omicidio di Vicky, si trattava di una questione di vendetta e di denaro, anche se in seguito la donna volle disperatamente, e inutilmente, negare di averlo fatto. Arriviamo così al 14 agosto. Tanti turisti avevano scelto come meta delle vacanze la bellissima Sardegna,






 con tante attrazioni per trascorrere giorni spensierati. Anche Vicky Danji voleva trascorrere il tempo al mare accudendo il piccolo Michelino. Le piaceva Platamona, a pochi chilometri da Sassari, nel golfo dell’Asinara, e aveva scelto come abitazione un residence vicino alla spiaggia con le acque limpide, che adorava. Francesco Nuvoli, il figlio del pregiudicato, il 14 agosto si presentò alla porta dell’apppartamento del residence di Platamona con un amico, il vicino di casa quindicenne Riccardo Pintus. Vicky conosceva Francesco, era il fratello di sangue del suo piccolo che dormiva sereno nella culla, e non ebbe sospetti, l’altro era un adolescente. Li fece entrare. Cominciò una discussione. Francesco l’accusò di volere andare all’estero col padre e i soldi. Lei negò, voleva solo far conoscere il bambino ai parenti ungheresi. Secondo la ricostruzione fatta in seguito da parte della polizia scientifica e basata sulle confessioni dei minorenni, cominciò l’orrore, colmo di dettagli raccapriccianti. Francesco tirò fuori dal giubbotto un coltello affilato. L’aveva portato perché sapeva che gli sarebbe servito. Prese a tirare fendenti a Vicky. Era una donna giovane e forte, ma più forte era Francesco, che era spalleggiato da Riccardo Pintus. Una contro due. Ormai incapace di difendersi, era diventata preda inerme dei complici mentre il piccolo Michelino piangeva disperato. Secondo la ricostruzione dell’inchiesta, Riccardo aveva fatto qualche praticaccia nella macellazione degli animali. Fu lui, Riccardo Pintus, con il coltello insanguinato di Francesco a tagliare la testa a Vicky Danji. Non era facile disarticolare la testa in un mare di sangue e soprattutto richiedeva un’assoluta, crudele, orribile detterminazione. Francesco la mise in un sacco di plastica e la portò alla madre Maria Antonietta Roggio come un macabro trofeo, ma soprattutto come la prova certa che la vendetta era stata compiuta. La testa della povera Vicky sarà ritrovata in un fossato qualche giorno dopo dove l’aveva buttata Francesco. Passeranno sei mesi prima dell’arresto al termine di una complessa indagine delle autorità investigative. Nella tragedia antica di Shakespeare di Tito Andronico i protagonisti erano la personificazione del male, crudeli e spietati nell’infliggere violenza e dolore, nella realtà le grandi spinte del male, l’odio, l’invidia, la gelosia e l’avidità avevano avuto ra￾gione di ogni senso di pietà. Maria Antonietta Roggio è stata condannata all’ergasto￾lo per istigazione all’omicidio e vilipendio di cadavere, Francesco Nuvoli a 19 anni e Riccardo Pintus 8 anni e 6 mesi da scontare in un carcere minorile. La sorella di Francesco, Barbara Nuvoli, 19 anni, aveva testimoniato che era stato proprio Francesco a mostrare la testa della ragazza a sua madre. L’orrore l’aveva provata fsicamente e psicologicamente. Cercò un po’ di pace in un Istituto di suore. Morì giovane nel 2000 nel suo letto per infarto. L’orribile crimine e il suo strascico di dolore avevano fatto un’altra vittima.

18.11.23

perchè gli uomini dovrebbero parlare di femmnicidi e violenza di genere





per  donne   

Silvia Dai Pra
39 m ·



Giulia non c’è più, e non c’è più dopo una settimana di: è sempre stato un bravo ragazzo; non saltiamo subito alle conclusioni; ormai voi donne parlate solo di femminicidio; ma chi ve l’ha detto che è stato lui; un po’ di gelosia in fondo è normale; all’ultimo appuntamento non ci dovete andare; insegnate alle ragazze a scegliere meglio i fidanzati; ma come fate a non troncare certe relazioni; Giulia non c’è più dopo una settimana in cui, come sempre, è sembrato che la questione stia tutta sulle spalle di noi donne: noi dobbiamo capire, intuire, lasciare, evitare, noi ci dobbiamo salvare, tirarci fuori dalla palude per i capelli come il famoso Barone; ma forse noi abbiamo detto tutto quello che avevamo da dire e quindi, uomini, sarebbe ora che cominciaste a parlarne, ma non a parlarne per noi: a parlarne tra voi.

9.10.23

“Diverso da chi?”

Forse è questa una delle domande che si è posto Cristian nello scrivere questo saggio biografico che percorre il suo passato come una cicatrice esposta a mo’ di medaglia. Un ricordo di una vittoria sofferta alla ricerca di sè stesso, sfuggendo dai dettami della tradizione sulla diversità. La reliquia del senso di angoscia, di pesantezza di questo “cavaliere inesistente desideroso di farsi vedere nella sua armatura di ferro splendente” è ben presente, come un sigillo, nelle memorie e nelle pagine del testo. Eppure questo senso di prigionia viene esorcizzato da aneddoti di vita vissuta e da citazioni di coloro che fecero della diversità, - di qualsiasi genere- un proprio punto di forza, personaggi provenienti da ambiti e ambienti diversi: da Franco Battiato a John Keating (“L’attimo fuggente), da Raffaella Carrà a Manlio Sgalambro. Diverso da chi, quindi? Diverso da ciò che viene imposto, diverso da chi si limita a seguire la “norma” come dettame immutabile. La libertà, soprattutto quella di pensiero, richiede lo sforzo di liberarsi dai preconcetti in cui ci si arrocca anche inconsapevolmente e di innalzare la sguardo “sulle tracce dell’altrove” …      
   
               Simone Febo Santi

28.8.23

dopo Vannacci e lo Stupro di Palermo: le parole shock del comandante dei vigili di San Gavino Monreale ( Cagliari ) : “Insegnate alle vostre figlie a non ubriacarsi”

Lo so che come non ne potete più di sentire parlare,  ed  volete andare  anvanti,  degli stupri diOttaviano e di palermo .
Ma nell'opinione pubblica c'è , il che dimostra quello che dicevo nei post precedenti  sui social siamo sempre di più davanti ad un emergenza sociale \ educativa , ancora una volta, dunque, spunta l’odiosa pratica di colpevolizzare la vittima del branco e non solo purtroppo . Infatti , ecco  una  discussione  trovata     su  twitter  

mi spiegate cosa c'è di offensivo in questa frase? “Insegnate alle vostre figlie a non scimmiottare i maschi e a non ubriacarsi“

Stupro di Palermo: le parole shock del comandante dei vigili di San Gavino Monreale


Cos
@cosellemme

Te lo spiego subito: Non e’ assolutamente nel contesto giusto. Intanto una figura autoritaria dovrebbe stare dalla parte della legge e di certo nn esprimere giudizi sulla pelle degli altri. Secondo, il danno subito da questa ragazza e’ stato MOLTO piu grave di quello che il signor vigile dei miei coglioni reputa incorretto dalla parte della ragazza. Il problema qual’e’? Che in italia ancora esiste quella fascia di merde di tradizionalismo estremo dove la donna deve fare la santa mentre l’uomo il porco. E’ ovvio che la ragazza poteva essere piu’ prudente nel bere meno ma questo vale per chiunque. Quindi cara elisabeth, riflettiamoci sulle cose prima di esprimere un opinione. Stiamo parlando di 7 pezzenti che si vantavano del fatto che la ragazza sarebbe svenuta 3 volte in mezz’ora mentre le stavano addosso. Che ne pensa? Dovremmo mettere di lato io reato per la lezione di etica sulla ragazza?




 Ora dopo le uscite di Vannacci, stavolta è a un esponente delle forze ell’ordine – Massimiliano Orrù, comandante della Polizia Municipale del comune di San Gavino Monreale, paese a 50 chillometri da Cagliari – a provocare indignazione, fra gli utenti social, e non solo, per le parole scioccanti, utilizzate per commentare lo stupro di gruppo avvenuto a Palermo lo scorso 7 luglio, ai danni di una diciannovenneUn caso delicato, la cui inchiesta è in corso.Orrù scrive su Facebook  : << I genitori dovrebbero insegnare alle figlie a non scimmiottare i maschi e non ubriacarsi". A noi maschi fa bene ogni tanto ubriacarsi.. a voi invece malissimo. Restate donne e non cercate di fare gli uomini… Siete femmine e non maschi >>   .
 Davanti    alla  replica  del contatto ,<<Ecco fai la cosa giusta >> prosegue a scrivere il comandante << vai a dormire che voi donne non dovreste stare in giro, nemmeno virtuali, a quest'ora >>.
Parole che Orrù, in seguito, ha tentato di rimuovere, ma invano: ormai in tanti avevano fatto il fermo immagine del post, condividendo l’orrore  e le vergognose  delle parole del capo della polizia locale.
Ancora una volta, dunque, spunta l’odiosa pratica di colpevolizzare la vittima .
 Immediata la presa di distanza, da parte del sindaco della cittadina, Carlo Tommasi. Dice Tommasi: “Ovviamente prendiamo le distanze dalle parole del comandante che rischiano di danneggiare un’amministrazione da sempre impegnata per difendere i diritti di tutti e delle donne in particolare”.E c’è chi ora chiede dei provvedimenti severi nei confronti del comandante Orrù, tra cui il centro antiviolenza del Medio Campidano Feminas che ha chiesto azioni “utili a censurare il pessimo comportamento del dipendente, nonché pubblico ufficiale”.Anche l'avvocata Francescah Spanu del centro antiviolenza Feminas è intervenuta sulla polemica: "I commenti di Orrù sarebbero già gravi se pronunciati da chiunque, risultano ancora più inaccettabili quando fatti da un rappresentante delle istituzioni che tende a giustificare o sminuire una violenza sessuale attribuendone le colpe alla vittima". Il centro ha chiesto vengano presi provvedimenti "utili a censurare il pessimo comportamento del dipendente, nonché pubblico ufficiale".
 

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