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23.2.24

Il fotografo veneto di origine sarda che filma la natura calabrese Andrea Crobu nuovamente in Calabria per realizzare un servizio per le campagne pubblicitarie di un celebre marchio della pesca sportiva

 ricevo come  di consueto   il  whatsapp di Emiliano Morrone   autore    dell'articolo     che  trovzte   sotto  . Ed  ogni  volta   che  leggo    sia  le  sue  anteprime   come quella  d'oggi 

È stata appena pubblicata, in apertura, l'intervista con Andrea Crobu, fotografo veneto di origini sarde che filma il mare e i laghi della Calabria per conto di un marchio internazionale della pesca sportiva. Il professor Crobu parla della bellezza della natura
calabrese rovinata da distese di spazzatura, della diffusa rassegnazione al brutto che si registra in Calabria, dei pericoli dell'autonomia differenziata, dell'inutilità - a suo avviso - del ponte sullo Stretto, della scomparsa dell'antimafia civile e dell'urgente bisogno, secondo la sua analisi, di una nuova classe dirigente, capace di impedire il consumo di suolo, imporre l'eguaglianza nei diritti e fermare lo spopolamento della regione. 

mi  acccorgo   che  è  una  dei  pochi      cronisti  locali   che  racconta della sua bella terra ,  purtroppo assainata    da:  l'Andrangheta   ,   dall'immigrazione   selvaggia   (  vedere  nell'archivio   mia  intervista   ad Emiliano    per   il  suo libro  la società sparente   ) , dalla  speculazione   (   leggerre  l'articolo   sotto  )  senza scadere in provincialismo  . Infatti   egli riesce   a mettere in atto lo slogan ( in realtà  è  una necessità     \  sfida  vitale   sempre più  reale  di reazione ad una globalizzazione  assassina  e neo liberista )  << pensare globale agire locale  >>  ( cit   da mia dolce rivoluzionaria degli Mcr )  .  Ma     ora   basta parlare   lasciamo la  parola    all'articolo  


 

da https://www.corrieredellacalabria.it/223/02/2024 – 9:30

                                                       di Emiliano Morrone  
Si esprime attraverso immagini, ma stavolta fa eccezione. Andrea Crobu è un fotografo veneto di origini sarde, un videomaker che filma la natura calabrese per campagne pubblicitarie di un celebre marchio della pesca sportiva. Da diversi anni, il professionista – che parla cinque lingue e fa il globetrotter grazie alla propria intelligenza fulminea e passione per l’ambiente – riprende pescatori, albe e tramonti sopra il mare della Calabria, il cielo terso, le luci e i colori accesi della regione. «È una terra – spiega Crobu, quarantaduenne – dalle acque pescose, dalla bellezza ancora sconosciuta, ideale per questo mio lavoro. È però grave – aggiunge – che i suoi tesori naturali debbano convivere con lo squallore prodotto dagli uomini, con montagne di immondizia e cemento che ne violentano il paesaggio, ne mortificano la storia e ne compromettono il futuro».

Calabria “terza” patria

Laureato in Comunicazione, Andrea, anche esperto di informatica, tecnologie e applicazioni digitali, ha un radicato debole per la Calabria, che considera la sua terza “patria” dopo il Veneto e la Sardegna. Nel 2007 e più avanti, infatti, si inserì nel movimento antimafia che, nato a Catanzaro sull’onda emotiva dell’inchiesta giudiziaria “Why not”, riportò al centro del dibattito pubblico nazionale i temi della legalità, della trasparenza e della partecipazione alla vita politica. Non solo, allora Andrea insegnava discipline umanistiche e scientifiche a Verona, in una scuola regionale per muratori in cui teneva spesso lezioni coinvolgenti sui princìpi della Costituzione, a partire dall’eguaglianza nei diritti, sulla lotta culturale alle mafie e sull’importanza dell’impegno delle nuove generazioni per cambiare il sistema pubblico italiano. Tra l’altro, nell’ateneo veronese organizzava incontri sul coraggio della verità, di foucaultiana memoria, con il gruppo “Legalità e Giustizia”, interno alla rete antimafia del Nord.

Il curriculum

Prima di dedicarsi alla videografia, Andrea, che conosco e cui darò dunque del Tu nell’intervista odierna, si era occupato di mappature, tramite droni, dei danni alle colture venete e, per un lungo periodo, della creazione, con sofisticati cad, di modelli tridimensionali di protesi per bambini disabili. Nel suo curriculum, poi, è solito scrivere frasi che colpiscono, tipo «frequenta e tormenta fiumi e torrenti alpini in cerca di trote, temoli e salmerini» oppure «specializzato nell’inseguimento dei tonni». Il suo sguardo sulla Calabria è perciò privilegiato, perché, pur non avendoci vissuto, ne ha potuto esaminare da vicino pregi e difetti, potenzialità e paradossi, con il desiderio spontaneo, disinteressato, del riscatto civile, economico e sociale dei cittadini calabresi. «Dal bagnasciuga in avanti la Calabria è splendida, dal bagnasciuga indietro è problematica. Perciò – racconta Andrea – i miei committenti mi hanno chiesto di tagliare l’immagine, in modo da non mostrare che cosa c’è dietro la spiaggia, piena di distese di spazzatura. Allora ho dovuto alterare la ripresa, per non far vedere l’entroterra. È terribile».

È un guaio?

«A causa dell’invasione dei rifiuti, non riesco a scattare una foto, non riesco a trovare un’inquadratura in cui non ci siano resti bruciati, flaconi di candeggina e roba diffusa ovunque. Questo rende molto difficile il mio compito e sono obbligato a levare delle sequenze. Per dirti, salendo e scendendo da Cutro, a ogni curva c’è una discarica abusiva che è terrificante da far vedere. È come se ci fosse un cantiere permanente in cui le persone si trovano a vivere. Le case incompiute con la gente dentro le vedi solo lì. Dunque, ho una pressante sensazione di amarezza. Ma com’è possibile? I calabresi pagano le stesse tasse che pago io, perché non hanno una buona strada, perché non passa qualcuno a togliere quei rifiuti? Soprattutto, perché lì buttano schifezze? La spazzatura è l’espressione più ricorrente del brutto che rovina qualsiasi foto, qualsiasi immagine. Allora, devo filmare dal bagnasciuga all’orizzonte».

Mostri una Calabria truccata?

«Per forza, io vendo immagini, quindi finzione. Ti senti sollevato quando sei sulla barca e ti allontani dalla riva per goderti i tuoi 16 metri quadri, se hai una barca grande, oppure quattro metri di ordine, pulizia, libertà ed efficienza, se ne hai una piccola».

Vai molto in giro, per esempio in Scandinavia e in Messico. Il bagnasciuga come linea di confine è, a tuo avviso, un elemento distintivo della Calabria?

«Gli scandinavi credono nell’“estetica Lego”: tutto pulitino, lindo e pinto. Ma va anche detto che lì non c’è nessuno: la Scandinavia è grande; la Svezia è due volte e mezza l’Italia e ha un sesto della popolazione. In Italia, invece, abbiamo uno sviluppo di tipo medioevale, in sostanza con un paese a ogni giornata di cammino. Quindi abbiamo una popolazione diffusa, piuttosto che concentrata. Pertanto, non abbiamo grandi estensioni selvagge tra un paese e l’altro. Da qui origina la difficoltà di gestire territori con la densità abitativa dei paesini sparsi. Non è semplice fornire servizi moderni su una mappa medievale: organizzare la raccolta rifiuti su un territorio così ampio è molto più complesso che organizzarla a Città del Messico. Poi c’è l’indecenza collettiva di mollare la spazzatura ai lati della strada, di buttarla dappertutto; non che non ci sia anche altrove, per carità, ma in Calabria si nota tanto».

Che cosa è, disprezzo per gli spazi pubblici, è un rifiuto dell’ordine che rinvia all’epoca preunitaria?

«No, è semplicemente un’abitudine al brutto. Cioè: tu sei cresciuto, hai visto quell’ambiente per tutta la tua infanzia, che dunque ora reputi normale. Ti sembra invece strano quando vai altrove e non lo trovi: lì ti rendi conto della differenza. Io sono cresciuto in Veneto, dove la raccolta rifiuti è qualcosa di maniacale: i cassonetti non esistono più, c’è il sistema porta a porta più totale e ogni tanto ti trovi un biglietto in tasca e non sai dove buttarlo perché non ci sono neanche i cestini. Perciò devi portarlo a casa e metterlo nella carta che raccoglieranno fra tre giorni. Così, impari a gestire la permanenza del tuo rifiuto, prendi coscienza perché sai che, se non lo smaltisci il giorno del recupero, rimane con te e non sparisce premendo un pulsante. Quando sei circondato da ordine e pulizia, la presenza di spazzatura diventa ingombrante a livello mentale: ne senti proprio il peso, ti dà fastidio che ci sia quella lattina che hai in mano e devi buttarla un altro giorno».

Allora?

«È un’esperienza terrificante l’incontro con una piazzola di sosta zeppa di rifiuti o con la spiaggia coperta di plastiche, di oggetti che può aver portato il mare ma nessuno ha raccolto. In Sardegna, che pure non ha un’economia florida, non esiste la stessa situazione della Calabria: lì non ho mai trovato i sacchetti di spazzatura sulla spiaggia, neanche nelle zone meno sviluppate economicamente».

Hai fatto discorsi simili con le persone che hai incontrato in Calabria?

«Ultimamente no. Ma in passato ho lavorato a Sibari, con appassionati di pesca che avevano girato in lungo e largo il mondo. Avvertivano il disagio, il disgusto per l’indecenza della spazzatura nella Sibaritide, ma da due settimane il servizio di raccolta non funzionava e quindi ogni chilometro c’era una pila di sacchi alta da due a tre metri. I calabresi pagano le tasse ma hanno servizi peggiori. È un’assurdità; in un contesto del genere, tuo figlio non può crescere serenamente. In ogni società, l’aspetto fondamentale è il trattamento dei propri rifiuti. Ai bambini si insegna subito a stare puliti. Del resto, pensa al discorso del filosofo Slavoj Žižek sull’eliminazione dei rifiuti. Žižek allude al tratto politico della Francia, quando ricorda che “il buco del gabinetto francese è posto sul retro per nascondere le feci alla vista e scaricarle il più velocemente possibile”».

Che cosa intendi dire?

«Quando vedi che il settore pubblico non ti passa nemmeno la pulizia, capisci che ci sono dei riflessi pesanti. Poi vai a pesca e scopri che tanta gente butta in acqua le cassette di legno oppure le esche. Questo è ciò che più mi colpisce ogni volta che vengo in Calabria. Ci soffro: mi fa stare male vedere in queste condizioni il vostro territorio, che è di un fascino unico, non solo dal punto di vista orografico. Poi c’è l’abusivismo edilizio. A Torre Melissa hanno recentemente demolito un palazzo mostruoso».

Che cosa spinge alla cementificazione?

«C’è una bulimia irrefrenabile nell’edilizia che consuma il territorio, forse per cercare di imporre un modello di sviluppo che non funziona. Poi c’è un’archeologia industriale, in Calabria, lasciata a decomporsi, senza piani di smaltimento. Questa situazione esiste anche in Sardegna. Se tu costruisci uno stabilimento e poi fallisce, l’edificio rimane lì a decomporsi organicamente. Si aspetta che la terra lo inghiottisca e magari ci vogliono 200 anni. Ci sono saline abbandonate che sono lì, stabilimenti vecchi che sono lì, restano lì. Non viene imposto al proprietario di ripristinare il decoro dell’ambiente».

Per esempio?

«Prima di arrivare a Crotone, vedi dinosauri industriali in attesa di diventare scheletri. A poco a poco crolleranno e chissà per quanto tempo rimarranno. Per molti che li guardano, però, sembra normale che quelle strutture si decompongano così. La bruttezza non viene portata via in alcun modo e tu ce l’avrai davanti alla faccia per tutta la vita».

Che cosa diresti al presidente della Regione, che sta provando a dare un’altra narrazione della Calabria, con grossi investimenti nella promozione del turismo?

«È una buona idea, che indica dinamismo. Tuttavia, prima di andare a stimolare la domanda, bisogna creare l’offerta. Io non posso arrivare in un luogo in cui devo fare attenzione a che cosa fotografo, se no poi la foto è brutta perché si vede la spazzatura. Prima devi pulire per terra, poi fai venire gli ospiti. Prima devi essere sicuro che ci siano servizi dappertutto, perché il territorio calabrese è stupendo, ma non possiamo visitarlo sotto forma di campeggio selvaggio o pensando di andare in un paese sperduto, in cui devi portarti tutto da casa».

In pratica?

«All’aeroporto di Lamezia Terme, per esempio, devi ancora fare la coda per prendere l’aereo: spesso trovi aperto un solo banco per il check-in e non è automatizzato il trasporto dei bagagli. Per non parlare, poi, della differenza abissale che c’è tra la costa tirrenica e quella ionica. Sul Tirreno c’è l’aeroporto con i voli quotidiani, c’è il treno più o meno veloce che arriva, c’è l’autostrada eccetera. Per attraversare la Calabria da est a ovest, non c’è verso di prendere un mezzo. Se in treno devo andare dall’aeroporto di Lamezia a Torre Melissa, impiego sei o sette ore, ammesso di atterrare in una fascia oraria in cui questo treno esiste. È un problema condizionante: sei vincolato al possesso dell’automobile. Quando accade in un posto geograficamente piccolo, vuol dire che non c’è un’infrastruttura di supporto al cittadino; vuol dire che, finché non ha l’auto, un ragazzino non esce dal suo paese».

Con quali conseguenze?

«Esiste questo tipo di sottosviluppo che impedisce la crescita di mentalità moderne, di idee imprenditoriali anche diverse, basate su approcci meno distruttivi del territorio. In Calabria hai la fortuna, paradossalmente, di essere arrivato nel 2024 senza aver avuto il boom economico vero e proprio. Hai qualche scheletro industriale rimasto dalla seconda metà del Novecento, quando ancora si produceva industrialmente e con infrastrutture ancora peggiori di quelle di adesso. Ora potresti osservare che la tecnologia è andata avanti e che potremmo fare roba molto più bella partendo da zero».

Bisogna dunque ripartire da una visione differente?

«La Calabria non è il Veneto, che deve raddoppiare la ferrovia costruita in età austriaca, che ha l’infrastruttura dell’800 e deve riuscire a riadattarla. Perché devo impiegare 45 minuti da Torre Melissa a Crotone, se rispetto i limiti? I limiti sono così bassi perché si sa che le strade non sono all’altezza di sopportare velocità più elevate. Allora, ogni giorno perdi tanti minuti per fare qualcosa. Fortunatamente, adesso la copertura del cellulare è molto buona. Paradossalmente, però, è quasi peggio, perché se tu sei povero e hai la televisione e Internet per guardare il mondo, ti rendi conto della tua condizione. Magari ti domandi perché il tuo coetaneo del Nord ha la scuola con il videoproiettore di ultima generazione, con strumenti e strutture a modo, e tu sei invece ridotto così. Perché in quel posto c’è lo skate park, la pista ciclabile eccetera, e in Calabria a malapena un parchetto?».

Però potresti sembrare prevenuto, se non addirittura razzista.

«No, io mi sento calabrese e lo dico in senso costruttivo, per contribuire a un cambio di mentalità. Quello che mi fa più male, quando vengo in Calabria, è vedere che spesso i cittadini sono trattati come servi. Allora, uno che cosa fa? Quando non ha accesso a beni e servizi, compra simboli tipici del capitalismo: l’iPhone 15 e quelle piccole cose che può acquistare individualmente perché non ha il treno ad alta velocità. Per me, Roma è a tre ore da dove vivo. So che alle sette del mattino prendo il treno, alle dieci sono lì per lavoro, faccio quello che devo, alle 13,30 riprendo il treno e alle 16 sono a casa. Provaci da Crotone, dato che la distanza è la stessa!».

I collegamenti sono un argomento della vecchia retorica sulla Calabria?

«Se tu dovessi disegnare una mappa della regione, non sulla scala geografica ma su quella dei tempi di percorrenza da un posto all’altro, la Calabria sarebbe grande come l’Inghilterra, in cui per andare da nord a sud tu impieghi giorni. In Calabria, è inconcepibile che uno vada dalla punta nord a quella sud e ritorni in giornata. Solo che questo problema, secondo me, non viene percepito per abitudine e rassegnazione. Non è un limite soltanto calabrese, ma di tutte le regioni che hanno il sottosviluppo. Quando lavoro in Messico, in aeroporto viene a prendermi un uomo che in tutta la vita non è mai uscito dalla provincia di residenza, in quanto non ha i mezzi per farlo. Viene a prendermi in auto e torna indietro. In vita sua non ha mai visto il mare, eppure ce l’ha a due passi».

In Calabria c’è, a tuo avviso, l’altra faccia della medaglia?

«Dal punto di vista ambientale, fortunatamente, dove non riusciamo a mettere le mani la Calabria è spettacolare. Sott’acqua, nei laghi della Sila, è un capolavoro. Ci sono cose incredibili, i fiumi sono pieni finché non riusciamo a metterci le mani. Quindi, tu stai andando disparatamente in cerca di zone di sottosviluppo totale, naturalmente preservate, dove non siamo ancora riusciti a mettere le mani. In Calabria hai l’impressione che tutto quello che c’è di bello da vedere non è stato fatto dall’uomo, oppure è stato fatto minimo due secoli fa».

Ormai sono tanti anni che conosci la Calabria.

«Io e te andiamo indietro di 15 anni, anzi, 17».

Allora ti interessavi di legalità e giustizia. In Calabria quanto pesa, con i tuoi occhi di oggi, la criminalità organizzata? Quanto pesa, invece, la rassegnazione, l’abitudine, la mentalità dominante?

«Sono arrivato a convincermi che l’etica sia estetica, che il valore del bello e del brutto siano reali e abbiano un’importanza esistenziale molto alta. La criminalità organizzata produce essenzialmente bruttezza: produce bruttezza morale, ritardo nello sviluppo economico, bruttezza nelle infrastrutture, bruttezza in tutto. Quando tu travalichi norme e leggi volte a tutelare la pubblica decenza, non puoi che vivere in uno stato di degrado e povertà. Se in Calabria uno prendesse 5mila euro al mese come responsabile di turno in officina, e se dunque fosse pagato come in Svezia, non penserebbe di avvicinarsi alla criminalità organizzata. Anzi, si terrebbe a distanza e ne sarebbe disgustato».

Brutto è male, allora.

«La ’ndrangheta si nutre del senso di impunità, della percepita assenza dello Stato cui si sostituisce. Solo che non si sostituisce come una comunità autosufficiente che vuole bene alla sua terra e tutela il proprio territorio, ma si sostituisce come mentalità predatoria, con un’idea talmente medievale dello spazio pubblico che può essere riassunta così: se è bello dentro casa mia, non importa che fuori ci sia lo schifo. I boss avranno la villa lastricata di oro e avorio, ma all’esterno devono fare i conti con l’immancabile spazzatura ai lati della strada, perché anche loro sono frutto di quel tipo di realtà, anche loro sono cresciuti così. Quindi hai gente che muove miliardi nello squallore. Ricordiamoci gli episodi di San Luca, quando siamo scesi giù per la prima volta: sotterranei pieni di ogni lusso e fuori la miseria totale. La ricerca della ricchezza privata a scanso della povertà pubblica produce questi paradossi. Quando in un paese con le strade bucate vedi Cayenne che girano, diffida di chi li guida».

Che cosa pensi dell’autonomia differenziata?

«Vivo nel terrore di questa prospettiva. Pensavo che fossero deliri propagandistici, ma questi sono sinceramente convinti. Se passa, i presidenti di Regione potranno privatizzare la sanità, se vorranno. Inoltre, potranno assumere i professori, potranno riscrivere i programmi scolastici e prendere decisioni terribili. L’autonomia differenziata è il frutto di un indecente accordo tra le tre forze di governo. Meloni prenderà il premierato per avere più potere; la Lega prenderà la secessione che ha sempre inseguito e porterà a casa le autonomie locali, che altro non sono che la secessione. Dal canto suo, Forza Italia, che finalizzerà l’attacco storico ai magistrati e alle leggi sul controllo della spesa, otterrà la depenalizzazione dei reati di abuso d’ufficio. Quindi penso tutto il male possibile dell’autonomia differenziata, specie perché condanna regioni come la Calabria, storicamente massacrate, alla perpetuazione del sottosviluppo più totale».

Che cosa pensi del ponte sullo Stretto?

«Metti che sia ingegneristicamente fattibile e che, schioccando le dita, magicamente domattina ce l’abbiamo. Dove stiamo andando? Arriviamo in Sicilia e poi ci mettiamo sei ore per raggiungere Palermo, perché non c’è l’autostrada in mezzo. Facciamo il passaggio per i treni e poi di là non c’è la ferrovia. Prima porti Calabria e Sicilia a un livello di sviluppo degno del ventunesimo secolo, con l’alta velocità sia in fibra ottica che in treno, con l’autostrada normale eccetera, poi fai l’infrastruttura stratosferica di collegamento tra le due realtà».

Negli anni 2007-2008 c’era una grande attenzione per la Calabria, c’erano i movimenti antimafia e in Rai si parlava molto di legalità. È finita per sempre quella stagione?

«Quella stagione è stata segnata da quello che mi piaceva definire “consumo civico”, nel senso che piaceva leggere di antimafia. C’è stata un’epoca d’oro in cui la lettura di libri e la frequentazione di iniziative specifiche erano viste come buone attività da portare avanti. Però, nel lungo periodo, abbiamo sperimentato che era soltanto una moda, che non ha prodotto quel risultato elettorale che si sperava arrivasse in virtù dell’impegno della società civile. Allora c’erano le trasmissioni di Santoro e nasceva “Il Fatto Quotidiano”. Tuttavia, quei contenuti non sono entrati nel mainstream. Noi non abbiamo speranza contro il potere di altre forme televisive, contro i reality, contro lo sport, contro tutte le altre forme di distrazione che esistono. L’antimafia funziona a seguito di eventi clamorosi».

Cioè?

«Se domattina la camorra fa saltare Gratteri, mi auguro che non accada mai, allora si ha una nuova situazione di antimafia, una nuova stagione di impegno civico, di disgusto e sdegno collettivo. Però le mafie questo l’hanno capito e stanno attente. Finché non c’è il grande caso nazionale, l’interesse per l’antimafia è limitato a qualche serie tv. Insomma, c’è stata la stagione di “Gomorra” e quella di “Suburra”, ma paradossalmente quelle serie hanno contribuito a glorificare il criminale, che viene visto come un eroe invece che come portatore di male».

Quindi, spostandoti dal bagnasciuga verso l’interno, non vedi soluzione per la Calabria?

«Io vedo una grossa opportunità nel fatto di aver aspettato così tanto per poter investire nello sviluppo: ti eviti gli orrori degli anni ’80 e ’90, quindi in Calabria c’è uno spazio interessante, se la regione riesce a esprimere una classe dirigente illuminata che capisca che non resterà più nulla, fra 30 anni, continuando con la mentalità dominante. Andiamo incontro a un inverno demografico: nei prossimi 20 anni verrà archiviata la generazione dei nati fra il ’50 e il ’60, che è la più numerosa della storia italiana. In Calabria, che ha un’alta percentuale di pensionati, ci sarà uno spopolamento folle. Se la classe dirigente non vedrà oltre la prossima tornata elettorale, si troverà a governare una regione vuota. Se poi passa l’autonomia, io la vedo molto dura; specialmente se si lascia mano libera alle realtà locali, che sono meno controllate delle realtà nazionali».
(redazione@corrierecal.it)

16.2.24

La Calabria, uno spazio aperto a nuove possibilità di impresa Le storie opposte ma convergenti di due ragazze calabresi, Noemi Guzzo e Rita Adamo, poco più che trentenni di emiliano Morrone

  da    https://www.corrieredellacalabria.it/  Pubblicato il: 16/02/2024 – 9:33

                                   di Emiliano Morrone

La Calabria, uno spazio aperto a nuove possibilità di impresa

Le storie opposte ma convergenti di due ragazze calabresi, Noemi Guzzo e Rita Adamo, poco più che trentenni





Il letterato Franco Arminio osservò che «in Italia esistono tre grandi isole: la Sicilia, la Sardegna e la Calabria». Per altri versi, lo storico Jacques Le Goff sostenne che «la Calabria è la patria dell’eremitismo occidentale». «Meravigliosa», la definì, poi, il cantautore Juri Camisasca, che vive da anacoreta alle pendici dell’Etna e di cui Franco Battiato musicò pezzi di rara significanza spirituale quali “Nomadi” e “Il sole nella pioggia”. «È una magnifica regione – disse nell’Ottocento lo scrittore Alexandre Dumas padre –; d’estate ci si arrostisce come a Tombouctou, d’inverno vi si gela come a San Pietroburgo». Ciononostante, a parere del giornalista Corrado Augias, «la Calabria è purtroppo una terra perduta». Si tratta in ogni caso di giudizi esterni, che, espressi in tempi diversi, ripropongono aspetti molto discussi della Calabria: l’isolamento geografico e culturale; la natura che si offre allo sguardo interiore; la bellezza complessiva e sorprendente della regione; le sue contraddizioni e polarità, la nomea di luogo dal futuro segnato, immutabile, chiuso, malgrado le risorse e intelligenze di cui può disporre.

Due storie “convergenti”

Oggi raccontiamo le storie opposte ma convergenti di due ragazze calabresi, poco più che trentenni, le quali vedono la Calabria come uno spazio aperto a nuove possibilità di impresa, studio, crescita personale e collettiva: una è innamorata della “sua” montagna, la Sila Grande delle foreste, dei cammini, dei camini e dei sapori della tradizione locale; l’altra è affascinata dalla prospettiva di creare una comunità, una dimensione, un fermento culturale nel piccolo borgo di Belmonte Calabro, affacciato sul Tirreno della Magna Grecia. Esperta di turismo sostenibile, laureata in Teoria della comunicazione e giornalista pubblicista, Noemi Guzzo ha ultimato vari master ed è guida ufficiale del Parco nazionale della Sila. Insieme ad altri giovani, gestisce a Lorica – ubicata nei confini comunali di San Giovanni in Fiore e Casali del Manco – un ristorante, delle case ristrutturate da vacanza, un bar di ritrovo, un birrificio artigianale, un centro per escursioni anche in bicicletta e un altro per la pesca sportiva. Rita Adamo ha conseguito la laurea in Architettura alla London Metropolitan University di Londra, per cui svolge attività di docenza e ricerca. Inoltre, ha collaborato con Santiago Calatrava e, a parte, ha curato mostre di rilievo; tra cui una a Roma sui movimenti architettonici italiani e giapponesi del secondo Novecento e una, intitolata “School/Work”, sull’esplorazione del rapporto tra insegnamento e pratica in architettura, che ha funto da base per rianimare Belmonte Calabro (Cosenza) con incontri e confronti, nell’ex Casa delle suore, sui temi della rigenerazione e dell’integrazione culturale nel territorio calabrese, interessato dall’arrivo continuo di migranti.

Noemi Guzzo

«Premetto – esordisce Noemi – che sono orgogliosamente silana, che ho scelto di abitare a Lorica e che lavoro con i miei soci per promuovere il territorio. Noi non ci piangiamo mai addosso, ma svolgiamo una ricerca incessante sulle potenzialità e tipicità della Sila, al fine di offrire servizi e prodotti di assoluta qualità ed esperienze memorabili di contatto con la natura, di proporre una narrazione positiva della nostra terra: della sua ricchezza storica segnata Gioacchino da Fiore, delle radici nel cuore degli emigrati, della magnificenza e varietà del paesaggio che la identifica». Questi sono elementi per costruire un’economia solida e reale, è il ragionamento di Noemi, che sottolinea: «Ma occorre pensare ai servizi basilari che bisognerebbe avere tutti. Penso intanto alla Guardia medica (oggi Postazione di continuità assistenziale, nda), alla farmacia, a un tabacchino più stabile nel territorio, a un’edicola. Penso a tutte quelle attività primarie che nei centri più grandi sono presenti. Qui a Lorica, mi rendo conto, è più difficile averle e mantenerle: il problema è che gli abitanti sono pochi. Ciononostante, noi non siamo passivi. Anzi, ci organizziamo con gli altri imprenditori e operatori. Per esempio, a Lorica non c’era il bancomat, dopo installato in un locale che stiamo pagando come Pro Loco per contribuire a un servizio indispensabile per turisti e residenti».

“Associazione Le seppie”

«A 18 anni sono scappata dalla Calabria», ricorda Rita, che riassume: «Volevo andare lontano, immergermi in una realtà metropolitana, allargare gli orizzonti, misurarmi con una mentalità che non fosse la mia e ricevere stimoli intellettuali e culturali differenti. Poi sono ritornata quando ho imparato a guardare la Calabria dall’esterno: quando ho compreso, grazie al lavoro periodico che abbiamo svolto a Belmonte con colleghi e docenti dell’università, che la nostra regione può diventare un laboratorio di idee innovative, anche per creare interesse e collegamenti in ordine alla ricerca sui risvolti umani dell’architettura. Così, con altri colleghi, abbiamo fondato l’associazione “Le seppie” ed è partita una rivoluzione concreta. Con una classe della facoltà di Architettura della London Metropolitan University e grazie a un protocollo d’intesa siglato con il Comune di Belmonte Calabro, eravamo già riusciti a portare sul posto persone provenienti da diverse parti del mondo, per studiarne il centro storico e predisporre piani di rigenerazione urbana, spesso confluiti in tesi di laurea». «Adesso – continua invece Noemi, peraltro consigliera di maggioranza del Comune di San Giovanni in Fiore – per l’apertura della farmacia a Lorica sta lavorando l’amministrazione locale, anche coinvolgendo la Regione, che ha pubblicato un apposito avviso pubblico. Penso che a breve possa essere assegnata. Bisogna poi avere un camice bianco in più per la Guardia medica, dato che ci sarà un pensionamento nel prossimo dicembre. Muoversi in anticipo significa evitare disagi. Per rivitalizzare i borghi e le aree interne, è sempre fondamentale la programmazione, anticipando le scadenze e le evenienze prevedibili. L’ultima dottoressa della Guardia medica l’ho trovata io, in pratica. Era una ragazza venuta in un nostro locale nell’estate scorsa; si stava laureando in Medicina e, colpita dalla bellezza di Lorica, aveva manifestato la sua disponibilità per coprire dei turni». «Nei posti a misura d’uomo capitano queste opportunità. In quanto al trasporto pubblico locale, servirebbero – prosegue Noemi – più corse d’autobus da e per Lorica, anche organizzando, con mezzi più piccoli, servizi navetta nei fine settimana e in particolari circostanze», come già successo per il concertone di Capodanno. «Ancora, vanno realizzate delle casette alle fermate degli autobus, magari pure con un pannello fotovoltaico e un tabellone informativo – si augura Noemi – che indichi gli orari delle corse».

Il ripopolamento dei piccoli centri

Il tema del ripopolamento dei piccoli centri è secondario, secondo Rita, che sottolinea la necessità di creare movimento di pensiero e scambio culturale nei paesini della Calabria. «Un ragazzo inglese – rammenta la studiosa di Architettura – ha vissuto a Belmonte per tre anni, arrivato addirittura prima della Brexit. Io credo che non si debba per forza ripopolare questi luoghi, perché non bisogna alterare dei cicli in corso. Sicuramente sono luoghi che hanno delle potenzialità, ma è preferibile farli prima diventare sedi di aggregazione. Noi abbiamo lavorato, per esempio, sull’analisi della marina, che si sviluppa lungo il mare ma cui mancano le piazze, appunto degli spazi fisici di confronto e di scambio. È in questa direzione che bisogna muoversi, il resto viene da sé».

Noemi Guzzo

Circa le difficoltà tipiche della vita in montagna, Noemi chiede che si valutino «forme di agevolazione per i consumi energetici degli immobili dedicati alla ricettività e al pernottamento». «Non so, sul piano amministrativo, come si potrebbe procedere, ma – prospetta – tutte le strutture ricettive registrate a livello regionale potrebbero, per esempio, ricevere un sostegno per i costi di riscaldamento». «L’estate scorsa – aggiunge – è stata molto interessante in termini di presenze turistiche, nell’autunno 2023 abbiamo avuto buoni risultati, anche con degli ospiti stranieri. Il meteo ci ha dato una mano e abbiamo potuto anche promuovere i prodotti locali e le verdure di stagione. Per l’inverno, la mancanza della neve si è sentita proprio in termini pratici, ma il fatto che la cabinovia è rimasta in funzione ci ha permesso di riordinare l’offerta delle attività. In quanto ai cannoni artificiali, la lavorazione della neve sugli impianti è molto delicata: se la temperatura è alta, questi strumenti non bastano. Dalla seconda settimana di gennaio in poi, abbiamo superato i 18 gradi diurni. Suggerisco, allora, di puntare sulla Valle dell’Inferno per l’eventuale installazione di cannoni, poiché la sua minore esposizione al sole consente di mantenere la neve più a lungo. Magari, sarebbe pure utile una nuova seggiovia che la colleghi al monte, dato che lo skilift esistente è un po’ obsoleto. La pulizia delle strade ha sempre funzionato, grazie all’impegno di Anas, Provincia di Cosenza e Comune di San Giovanni in Fiore. Potrebbero valere, allora, delle agevolazioni ai privati per l’acquisto di spazzaneve. Inoltre, il lungolago andrebbe manutenuto per tutto l’anno, anche perché chiuso al traffico veicolare. Per concludere, servirebbe un maggiore coordinamento, pure con gli imprenditori, sulla programmazione degli eventi, mettendo da parte vecchi campanilismi».

Rita Adamo

Dal canto suo, Rita rimarca: «Gli sforzi vanno rivolti alla creazione di agorà, di luoghi di incontro e pratica della democrazia. Se non ci sono queste possibilità, credo che sia difficile arrivare alla parte politica. Così si aiutano i borghi; poi, se i giovani vogliono andare e tornare, non è un problema. Ormai siamo dei nomadi proprio come modo di vivere, anche nelle grandissime città. Io non voglio stare a Londra come non voglio stare a Belmonte, ma non perché Belmonte sia meno degna di Londra: il punto è che non riesco a decidere dove stare a priori, magari a 50 anni ce la farò». Abbiamo voluto riportare due testimonianze di giovani, due visioni femminili su come superare l’isolamento geografico e culturale della Calabria; valorizzarne la natura che si offre allo sguardo interiore; condividere la bellezza complessiva e sorprendente della regione; non arrendersi, con le risorse e intelligenze di cui può disporre, alle sue contraddizioni e polarità, alla nomea di luogo dal futuro segnato, chiuso, immutabile. (redazione@corrierecal.it)

7.10.18

cosa c'è dietro QUEL PUGNO ALZATO DEL COMPAGNO LUCANO di Emiliano Morrone


Vi posto una mia riflessione sul CASO LUCANO che va ben oltre il dibattito in corso. In particolare, mi soffermo sulla sovrastruttura che SFRUTTA l'immagine, costruita, del "povero" sindaco di Riace.
"Le armate della propaganda sono già sul campo di guerra, a seminare terrore e disinformazione, a produrre allineamento e restaurazione agitando lo spettro del regime, che in realtà sta nel sistema dell’euro e che, delegata una classe dirigente ben propensa a vendersi, ha contribuito a indebolire il parlamento, agli illeciti arricchimenti delle banche, alla sudditanza dei lavoratori, al suicidio di piccoli imprenditori, all’impennata del lavoro nero, all’aumento dei manovali delle mafie, alla crescita dei disoccupati, ai drammi delle famiglie e al declino degli enti locali, della sanità e della scuola pubblica". [...  continua    su   https://www.emilianomorrone.it/quel-pugno-alzato-del-compagno-lucano/ ]

25.9.17

lettera Diretta a Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini SOSTENIAMO MARGHERITA, PUNITA PER AVER SALVATO "I CARAIBI D'ITALIA" DA UNO SCEMPIO EDILIZIO







Non c'è nulla di più fragiledell'equilibrio dei bei luoghi. Le nostreinterpretazioni lasciano intatti persino itesti, essi sopravvivono ai nostricommenti; ma il minimo restauroimprudente inflitto alle pietre, una stradaasfaltata che contamina un campo dove dasecoli l'erba spuntava in pace creanol'irreparabile. La bellezza si allontana;l'autenticità pure.
                                      Marguerite Yourcenar



Spett  Ministro 
Un altro scandalo si sta consumando in Calabria. Margherita Corrado, l’archeologa che aveva fermato con le sue denunce la distruzione del paradiso naturale di Punta Scifo, ha ricevuto un’interdizione al lavoro come professionista, oltre che una denuncia per diffamazione, dallo stesso soprintendente per i beni archeologici sotto accusa falso ideologico nell’ambito dell’inchiesta legata alla vicenda.
Signor Ministro, le chiediamo di intervenire per porre fine a questa paradossale ingiustizia: non è possibile che a una cittadina onesta e coraggiosa che ha avuto il coraggio di denunciare uno scempio di tale portata venga addirittura impedito di lavorare nella terra che ha dimostrato di amare incredibilmente.
I quotidiani di questi giorni sono pieni di articoli che raccontano la vicenda, tra cui quello di Alessia Candito su La Repubblica del 06/09 e quello di Giulio Cavalli del 07/09 su FanPage. Confidiamo in un suo pronto intervento per rassicurare tutti i cittadini italiani e calabresi sul fatto che lo Stato è dalla parte di chi compie il proprio dovere civico

Le rinfreschiamo la  memoria   riportandole  il testo  che  sicuramnente  lei  (  o chi per  lei )  leggerà   se  avrà  il tempo per andare in rete  di  https://www.change.org/


Gli imprenditori Scalise erano riusciti nel 2012 a iniziare la costruzione di un enorme complesso turistico nel paradiso naturale di Punta Scifo, spacciandolo per un piccolo agriturismo. Il soprintendente in questione, Mario Pagano, non aveva avuto un ruolo secondario nella vicenda. Proprio grazie alle denunce e al dossier di Margherita Corrado, infatti, è stato travolto insieme ad altre 7 persone dalle indagini della procura di Crotone, accusato tra l’altro di falso ideologico in atto pubblico, per aver comunicato al Ministero (per sostenere l’ineluttabilità dell’abuso perpetrato) che tutti i 79 bungalow del complesso erano già stati realizzati, quando ciò non era vero.
margheritacorrado
da  http://www.famedisud.it/

Era il “capo” di Margherita e gliel’ha fatta pagare cara. Prima denunciandola per diffamazione presso la procura di Torre Annunziata, poi imponendo a tutti i suoi sottoposti, tramite una circolare, di non farla più lavorare.

Margherita Corrado ( foto  a  destra  ) è un'archeologa che in contesto difficile ha avuto il coraggio di denunciare un disastro ambientale: ora per ritorsione le viene impedito di lavorare. Facciamole sapere che non è sola. Ministro Franceschini, intervenga!
Un altro scandalo si sta consumando in Calabria. Margherita Corrado, l’archeologa che aveva fermato con le sue denunce la distruzione del paradiso naturale di Punta Scifo, ha ricevuto un’interdizione al lavoro come professionista, oltre che una denuncia per diffamazione, dallo stesso soprintendente per i beni archeologici sotto accusa (qui l'articolo di La Repubblica) per lo sfregio della costa e per falso ideologico.
Si tratta di un atto inqualificabile contro una cittadina e archeologa che ha osato opporsi al sistema di connivenze e inadempienze che aveva permesso l'avvio dei lavori nell'area ora sotto sequestro (qui la denuncia di L'Espresso). Altri articoli dei media, negli ultimi 3 giorni raccontano della solidarietà dei cittadini e degli addetti ai lavori.(qui l'articolo del Corriere della Calabria dell'11/09/2017)

Non lasciamo sola Margherita!
Firma anche tu questa petizione per chiedere al MinistroFranceschini di intervenire subito per porre fine a questa ingiustizia!

#fermiamoquestoSCIFO

Non lasciamola sola!

12.4.17

Il mulino, antico e moderno al tempo stesso, nato in Calabria grazie a Facebook Il mulino, antico e moderno al tempo stesso, Con il crowdfunding raccolto mezzo milione di euro. L'obiettivo: macinare grani antichi con un mulino a pietra. E già si punta a un franchising nazionale, con una prima succursale in procinto di aprire in Val d'Orcia.

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da repubblica del 10 aprile 2017

Il mulino, antico e moderno al tempo stesso, nato in Calabria grazie a Facebook
Con il crowdfunding raccolto mezzo milione di euro. L'obiettivo: macinare grani antichi con un mulino a pietra. E già si punta a un franchising nazionale, con una prima succursale in procinto di aprire in Val d'Orcia. 

                                di CHIARA SPAGNOLO

§
Il pane appena sfornato (foto tratte dalla pagina Facebook  del mulino ) 

Il sogno di Stefano Caccavari era macinare grani antichi in un mulino a pietra: niente rulli né calore, per non scaldare il grano e produrre farine pure come quelle di cento anni fa. Per realizzarlo ha cominciato cercando soci tramite un post su Facebook e mettendo a disposizione un terreno di famiglia a San Floro, alle porte di Catanzaro. In quarantotto ore il crowdfunding ha fruttato 72.000 euro, in tre mesi mezzo milione, sufficiente per trasformare il sogno in realtà. O meglio, realizzarne la prima parte, perché poi l’entusiasmo ha chiamato altre idee e, dalla nascita del mulino alla creazione di un marchio vero e proprio, il passo è stato breve.

I protagonisti del progetto

La storia di Stefano - studente ventisettenne di economia aziendale a un passo dalla laurea - incrocia tradizione e visione strategica del futuro, solide basi di un’attività agricola che la famiglia porta avanti nelle proprietà di San Floro da trecento anni, e uso spregiudicato delle tecnologie più moderne. A partire dai social network per promuovere l’impresa. Su Facebook è iniziato tutto il 14 febbraio 2016 e, di post in post, in tre mesi è stata raccolta la cifra necessaria, in quattro mesi è stato costruito il mulino, interamente di legno e con tecniche edilizie biocompatibili, senza neppure un centesimo di fondi pubblici.
A mettere soldi e passione 101 soci, molti calabresi ma anche stranieri, con donazioni da 10.000 euro arrivate persino dalla Svizzera e dagli Stati Uniti. Fino al taglio del nastro, avvenuto il 31 gennaio scorso, e le macine che hanno preso a muoversi. Per la fase di start up sono stati utilizzati 200 quintali di grano Senatore Cappelli coltivato dalla famiglia Caccavari nei terreni di San Floro - dove esiste anche un orto sociale con 150 soci - e altrettanti di qualità Verna, provenienti da due aziende agricole di Camigliatello Silano (Cosenza), le cui farine sono già in distribuzione. Mentre per l’anno prossimo si prevede di macinare quantità molto più consistenti, grazie al grano che venti aziende calabresi stanno coltivando, con i semi messi a disposizione da Mulinum.
L'interno della struttura

“Trentamila euro sono stati spesi per acquistare semi di grano antico dal Consorzio abilitato - spiega Stefano - a giugno inizierà il raccolto e poi la macina”. La pietra è l’elemento da cui inizia questa storia coraggiosa, ma anche il punto del non ritorno, ciò che fa la differenza tra i prodotti Mulinum e quelli industriali. “La pietra macina in purezza - racconta - in un processo lento e a freddo, che non scalda il grano e non ne brucia le vitamine. Al contrario, i mulini a cilindri, venti volte più veloci, utilizzano rulli elettrici che producono calore. Le farine nate così sono più raffinate e meno nutritive. Non è un caso che i prodotti industriali abbiano una lunga conservazione mentre quelli nati dal mulino a pietra durino al massimo tre mesi”.
E se il ritorno alla tradizione è funzionale al recupero di prodotti alimentari più sani, la scelta di fare questo esperimento in Calabria è la scommessa di chi non vuole lasciare la propria terra. Stefano infatti è riuscito a riportare a casa altri giovani costretti a emigrare per cercare lavoro, come Santo e Simone, che hanno lasciato il ristorante di Londra in cui erano impiegati stabilmente come cuochi per diventare pizzaioli al Mulinum. Oppure Gualtiero, che si era sistemato in un forno a Roma e ha colto al volo la possibilità di tornare ai ritmi lenti e all’aria buona della sua regione. In totale sono cinque i dipendenti del Mulinum, la piccola impresa meridionale (a cui collaborano anche Massimiliano Caruso e Gianluca Perrella) che raccoglie consensi da tutti coloro che ci hanno a che fare, siano aziende o consumatori.
Dopo aver iniziato con le farine è stato naturale passare alla produzione di pane, pizza e dolci, la cui vendita on line oggi non riesce a soddisfare la domanda. I cento chili di pane “brunetto” sfornati quotidianamente vengono spediti in tutta Italia e l’idea di un franchising comincia a serpeggiare sempre più spesso sulle colline di San Floro, dove si valutano progetti giunti da tutta Italia, a partire dalla prima succursale della Mulinum Spa, che dovrebbe aprire in Val d’Orcia, e per la quale è stato lanciato un altro crowfunding che ha consentito di raccogliere in pochi giorni il 70% dei fondi necessari. La caccia agli investitori per i mulini da costruire nelle altre regioni è partita.

4.9.16

Nando Brusco, il cantastorie calabrese tra tradizione e attualità., Davide Santacolomba è un ragazzo palermitano di 28 anni. sordo dala nascita ma pianista d'alro livello

Da ilfattoquotidiano del 1\9\2016
Nando Brusco, il cantastorie calabrese tra tradizione e attualità
Musica

Un’antichissima tradizione, una millenaria narrazione quella che anima le parole e i gesti del cantastorie, quell’artista girovago a cui l’intera comunità, anticamente, affidava la memoria collettiva. Dagli aedi greci ai menestrelli medievali, dai trovatori provenzali al vero e proprio cantastorie siciliano il passo è breve, passando attraverso quelle figure che Georges Ivanovič Gurdjieff ricorda nel volume autobiografico Incontri con uomini straordinari, gli asowl.
Il padre dell’autore di origini armene era un asowl, e cioè un cantastorie, uno di quei personaggi a cui era affidata la millenaria narrazione orale del Gilgameš ben prima del suo rinvenimento nella biblioteca di Assurbanipal, a Ninive. Così come allora, anche oggi il cantastorie vive, facendo rivivere luoghi, odori, profumi, lotte, battaglie e passioni, nelle parole, narrate e cantate, di Nando Brusco.
Musicista calabrese, il nostro cantastorie preferisce, in luogo della classica chitarra, il tamburo quale strumento col quale accompagnare i suoi “cunti”, i racconti cioè che animano i suoi spettacoli sempre meno confinati alla sola regione Calabria. Canti e racconti che sono finiti, per la sua primissima volta, su un album che prende il nome di Tamburo è voce – Battiti di un cantastorie, nome già dato al suo precedente tour tanto perpetuo quanto itinerante: “L’amuri di Calabria – afferma Brusco – non è solo uno spettacolo di cantastorie, ma il frutto di una ricerca artistica ed esistenziale. Per il mio sentirmi profondamente figlio di questa terra, ho scelto di compiere un viaggio fra le sue storie, i suoi cunti… per raccontare vicende ironiche e drammatiche, che appartengono alla Calabria”.
E sarà nella meravigliosa cornice di Scilla, lo splendido paesino marittimo della provincia reggina, che Nando Brusco, il 2 settembre dalle 18 alle 20, presenterà il suo disco di storie e luoghi di Calabria, all’interno del ricco programma di quello che prende il nome di ScillaFest, il festival organizzato dal Teatro Proskenion di Reggio Calabria in collaborazione col comune scillese. Un programma ricco, variegato, ma soprattutto interessante quello che sta andando in scena dal 28 agosto al 4 settembre, in quella che nella mitologia classica fu la culla della ninfa trasformata da Circe nel mostro omerico: tra concerti, laboratori teatrali, canti e presentazioni la piccola cittadina calabrese prende vita offrendo al pubblico un vasto quanto variegato ventaglio di attività.
Momenti di incontro, riflessione e crescita, momenti di scambi e comuni visioni all’interno dei quali il lavoro discografico di Brusco, prodotto dallo stesso Proskenion, si inserisce quale testimonianza della presenza, in terra calabra, di una forte anima identitaria, di uno spirito che oggi più che mai, in un momento di forte perdita dei valori e del senso di appartenenza, si rende più che mai urgente: “Il tamburo di Nando si fa terra e montagna, zappa e barca in mezzo al mare, ali d’uccello e focolare, si fa terremoto e tempesta, si fa amore e morte, rabbia e speranza. La voce diventa racconto, ed il racconto immagine. E io vedo aprirsi la Calabria per svelarci il simbolo che sottende. Vedo ciclopi tra Sibari e Crotone, vedo gigantesche trombe marine, come teste di Idra, innalzarsi tra ponente e l’Isca, nel mare di fronte a Belmonte. Vedo giganti solcare la terra di Fragalà”. Con queste parole il percussionista Luca De Simone apre il booklet di un disco che è erede e al contempo innovatore di un’antichissima tradizione.




sempre  dal fq      riporto  un altra storia  in ambito musicale  . la storia  di Davide Santacolomba







di Raffaele Nappi  3 settembre  2016
                                    

“Io, pianista sordo dalla nascita. Per i medici sono un miracolo e la mia prof pensa che sia ‘il nipote di Dio'”

                     
    
Davide Santacolomba è un ragazzo palermitano di 28 anni. E' stato ammesso dopo una selezione durissima a un master di perfezionamento in Svizzera e i suoi concerti sono seguitissimi in Italia. Riesce solo a "percepire i suoni", ma col nuovo apparecchio può amplificarli. "Ogni volta che ne scopro uno sono incredulo"           









I medici dicono che è un miracolo: ancora oggi non riescono a spiegarselo”. Davide Santacolomba ha 28 anni, viene da Palermo. E’ sordo dalla nascita, e nella vita fa il pianista. Dopo il diploma al conservatorio, i concerti, le composizioni tutte personali, oggi Davide è in Svizzera, dove sta seguendo “dopo una selezione durissima” il Master in perfezionamento artistico e didattica musicale, sotto la guida della famosa pianista ucraina Anna Kravtchenko. “Chi ha detto che i sordi non possono suonare?”, sorride.
Le sue prime lezioni di pianoforte sono arrivate all’età di 8 anni, all’ospedale Niguarda di Milano. “Io e la mia famiglia andavamo a fare gli esami di accertamento per la mia sordità – ricorda – Nella nostra residenza c’era un pianoforte: cominciai a suonare qualche nota. Lì è nato tutto”. Tre anni più tardi, a Palermo, Davide comincia a prendere regolarmente lezioni di educazione musicale alla scuola media Leonardo Da Vinci. Per poi sostenere e superare l’esame, con lode, al conservatorio Vincenzo Bellini. “Questo ragazzo è un miracolo”, ebbe modo di ripetere Giovanna De Gregorio, la sua insegnante. “Nel giorno del diploma la sala del conservatorio era piena – racconta Davide –. Cosa che capita molto di rado. Questo mi diede un’energia incredibile”.
“Ho iniziato a suonare quando andavo all’ospedale per fare esami sulla mia sordità. Nella mia residenza c’era un pianoforte”Dal punto di vista medico, è straordinario che Davide abbia cominciato a parlare sin da subito e discretamente bene. “Con la mia sordità dovrei parlare molto male e in maniera un po’ piatta, invece ho comunque avuto subito una buona intonazione”, spiega. Per la musica, invece, il discorso è diverso. “Esistono ciechi che suonano e che con la loro visione immaginaria del proprio strumento, con un tatto ed un udito molto sviluppato riescono a suonare, ma esistono davvero pochissimi musicisti sordi. Io un pianista sordo non l’ho ancora conosciuto”, sorride.
Tre anni fa a Davide è stato impiantato un apparecchio acustico nel cervello, che gli permette di amplificare i suoni e percepirli meglio. “Ogni volta che scopro un suono nuovo sono stupito, felice e incredulo”. Un esempio? Lo scontro dei calici per un brindisi. Ma anche il mare, i gabbiani, il rumore delle foglie calpestate. “Ho scoperto che le donne, spesso, hanno un tono di voce molto alto”, ride. La difficoltà più grande è la percezione dei suoni acuti. Per comporre la sua musica, così, Davide studia le note nella parte bassa del pianoforte (quella più grave), per poi ricostruirle nella parte acuta. “Ho recuperato due ottave sopra il do centrale e ne riesco a capire intonazione e intensità, ma salendo ancora di frequenza è tutto molto indefinito”.
“Ho recuperato due ottave sopra il do centrale e ne riesco a capire intonazione e intensità, ma salendo ancora di frequenza è tutto molto indefinito”
Dal marzo del 2015 il giovane palermitano vive a Lugano, dove è stato ammesso al “Master of Arts in Music Pedagogy” presso il Conservatorio della Svizzera Italiana. “All’inizio ho avuto un po’ di difficoltà: è stato complicato trovare un feeling musicale con la mia insegnante di pianoforte. La sua tecnica è russa ed è molto diversa da quella italiana”. Poi le cose sono migliorate. “Abbiamo lavorato soprattutto sull’improvvisazione. La mia insegnante pensa che sia ‘il nipote di Dio'”, racconta imbarazzato.
Le giornate sono riempite interamente dalla musica. “Quasi ogni giorno ho una lezione di pianoforte, didattica o un seminario”. Si studia parecchio. “Quando va bene studio 7 ore. Ma mi è capitato di arrivare a studiare musica fino a 8, 9 ore al giorno”. Suonando, comunque, ci si diverte. “Facciamo concerti solistici o di musica da camera, anche se raramente si esce. Lugano non offre molte possibilità nel campo del divertimento”. Davide pensa al futuro. “Questo corso mi darà le opportunità per sfociare anche in campo didattico assicurandomi un lavoro stabile ed una base economica”. Opportunità che, purtroppo, per Davide in Italia è preclusa. “Con i continui tagli alla cultura sarebbe stata pura utopia rimanere”. Stesso discorso per Palermo. “Mi manca tantissimo – dice –, ma purtroppo non mi dà quello che vorrei e quindi con molto rammarico sono costretto a starle lontano. Spero un giorno di poterci tornare definitivamente perché è solo lì che vorrei vivere”.
“In Italia con i continui tagli alla cultura sarebbe stata pura utopia rimanere”
Davide compone musica autonomamente e si impegna in concerti seguitissimi in tutta Italia. L’ultimo, lo ha visto protagonista a Capo D’Orlando, davanti a duemila persone. “Alla fine ho ricevuto una standing ovation. È stato emozionante”. La musica è un mondo difficile: “Siamo artigiani che mirano alla perfezione delle forme, dei contadini che lavorano sodo per mantenere le loro serre”, spiega. Il suo sogno, comunque, è quello di diventare un concertista di musica classica. “Come mi immagino tra dieci anni? Con un pianoforte – sorride –, in giro per i teatri di tutto il mondo”.


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