Visualizzazione post con etichetta gavetta. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta gavetta. Mostra tutti i post

6.10.24

diario di bordo n 80- anno II C’è una maestra alle Tremiti: “Io, pendolare e precaria riapro la scuola dopo 21 anni” , Toghe choc: vietato licenziare chi viola le norme di sicurezza , sicurezza sul lavoro non solo colpa dei padroni


la prima è una storia come Un mondo a parte, regia di Riccardo Milani (2024)

C’è una maestra alle Tremiti: “Io, pendolare e precaria riapro la scuola dopo 21 anni”





Foggia, 5 ottobre 2024 – Alle isole Tremiti il primo giorno di scuola è arrivato con due settimane di ritardo. Finalmente è sbarcata sull’isola un’intrepida insegnante di 64 anni, Michela Liuzzi, maestra ancora precaria nonostante sia ormai vicina alla pensione. Ma è grazie a lei, a questa volitiva docente di Apricena (Foggia), che quest’anno i sette bambini della primaria del piccolo arcipelago, a nord del promontorio del Gargano e

Comune più settentrionale della Puglia con 496 residenti, potranno sedere tra i banchi, come nel resto d’Italia. “Alcuni giorni fa, l’Ufficio scolastico regionale mi ha proposto di venire in questa sede. La scuola era chiusa dal 2003, perché non c’erano abbastanza bimbi, ma quest’anno, grazie all’arrivo di 7 studenti, si poteva riaprire.Tuttavia, due colleghe avevano rifiutato l’incarico. E così mi sono trovata di fronte a una scelta difficile. Non nego di averci pensato a lungo: accettare significava partire dal mio paese, attraversare il Gargano e affrontare la traversata ogni settimana. Ma alla fine, il pensiero di poter far rivivere questa scuola mi ha convinta”. Michela è stata accolta a San Nicola, ‘capitale’ delle Tremiti, come un’eroina. Grazie a lei i piccoli alunni potranno frequentare regolarmente l’aula scolastica e imparare i primi rudimenti della grammatica e della matematica. “Rifiutare significava essere cancellata dalle graduatorie e vedere sfumare le poche possibilità di continuare a insegnare. Ma…”

Ma?

“L’ho fatto soprattutto per passione. Amo insegnare, amo i bambini e il legame che si crea in aula. L’insegnamento è una missione che ho nel cuore da tutta la vita”.

La sindaca Annalisa Lisci, che ha alle spalle una lunga esperienza da ristoratrice, promette che l’inviterà a pranzo e cena ogni volta che lei vorrà. Quindi ha avuto un’accoglienza con il tappeto rosso?

“Quando sono arrivata al molo, c’era già un piccolo studente, Andrea, che mi aspettava con la sua mamma. È stato un momento speciale, ero emozionata, anche un po’ agitata, ma mi sono sentita subito la benvenuta. Ho capito che, nonostante tutto, ne sarebbe valsa la pena. E poi, l’accoglienza delle famiglie è stata meravigliosa. Mi hanno fatto sentire a casa”.

Dopo le feste di benvenuto, dovrà affrontare i problemi concreti di tutti gli isolani: la solitudine, l’isolamento, la distanza dalla terraferma. Non potrà fare la pendolare come molte sue colleghe precarie. Ci ha già pensato?

“Resterò sull’isola dal lunedì al venerdì, per dedicarmi interamente ai miei alunni. Ogni venerdì, “meteo permettendo”, prenderò il traghetto per tornare a casa, ad Apricena, dove mi aspetta mio marito. I nostri figli, ormai grandi, vivono a Roma. Loro mi hanno sostenuta molto in questa scelta. Sanno quanto l’insegnamento conti per me”.

Le auguro di avere sempre un buon meteo, allora.

“Lo so che posso rischiare di restare bloccata anche per giorni, ma credo di avere un compito: dare una istruzione di qualità a questi sette bambini”.


------


la seconda storia riportata sotto si collega alla prima e alla vignetta del ruggito del coniglio cita in essa .
Inizialmente forse influenzato dai film di Checco Zalone Sole a catinelle (2013) , Quo vado?(2016) entrambi per la regia di Gennaro Nunziante pensavo visto il titolo che
era fregarsene e lavorare ., non capisco questa smania del posto fisso e di un lavoro che corrisponda a quello che hai studiato . Almeno all'inizio poi con la gavetta e sacrifici tiu metti in proprio e ti crei il lavoro per cui sei portato ) . Pensa ai in nostri nonni quando non emigravano , facevano mille lavori per portare a casa il pane e tirare avanti mica si lamentavano . Adesso si sceglie la scorciatoia d'andare all'estero . magari per fare glistessi lavori che ti offrono in italia oppure ci si lamenta e ci si sconforta \ piange addosso.Poi   mi  pare    ne  commenti  all'articolo su  mns    mi  hanno  risposto  che  la  realtà è un altra  .

Il problema non è il posto fisso. E' trovare un lavoro con continuità, perché se tra un posto e l'altro passano mesi o anni senza stipendio... Diventa un problema. Ai tempi dei nostri nonni era molto più facile trovare un posto, se si aveva voglia di lavorare. Adesso non lo è più, soprattutto quando sei giovane e non riesci ad entrare da nessuna parte. 
Se poi parliamo di estero... Non è facile trovare lavoro ad esempio nel Regno Unito, dopo la Brexit, anche se magari hai preso la laurea proprio lì.
   

   ecco la storia  a  voi ogni giudizio in merito 


«Ho un dottorato di ricerca ma a 38 anni non riesco a trovare un lavoro, vivo con impieghi part-time. Mi pento di tutto il percorso che ho fatto»

«Si, sono laureato, ma è un errore di gioventù del quale sono profondamente consapevole…ho inoltrato una richiesta per rinunciare al mio titolo accademico, tempo due settimane io ho praticamente la quinta elementare…». A dirlo è Pietro Sermonti in Smetto quando voglio, film di Sydney Sibilia che usciva ormai dieci anni fa. Nella pellicola, Sermonti è un antropologo iperqualificato che cerca lavoro come operaio, vista l'impossibilità di dare frutto ai suoi studi nel mondo lavorativo. Mentre fa un colloquio con il titolare dell'officina meccanica si lascia però scappare un «c’è stata un’aspra diatriba legale» che lo "smaschera" davanti al datore di lavoro che di laureati non ne vuole sentire nemmeno parlare.È una scena che sintetizza molto bene il mondo del precariato, da noi in Italia come in altre parti del mondo, come per esempio negli Usa, dove non sempre si raggiunge l'agognato "sogno americano". Lo sa bene A. Rasberry, che negli ultimi 10 anni ha dato un’enorme importanza all'istruzione. Oggi, però, si trova a pentirsene amaramente.Dopo aver conseguito una laurea triennale, un master e un dottorato in gestione aziendale presso la Saint Leo University in Florida, Rasberry si è trovata inaspettatamente in difficoltà. Da quattro anni, racconta a Business Insider, cerca disperatamente un lavoro nel suo settore, senza successo, e nel frattempo il suo debito universitario ha superato i 250.000 dollari.Dopo il dottorato, Rasberry ha iniziato a cercare ruoli nel management aziendale, ma con scarsi risultati. Questo l’ha portata a dover ampliare il raggio di ricerca e valutare una carriera alternativa, come quella infermieristica, per poter pagare le bollette. «Pensavo che l'istruzione fosse la strada per la libertà finanziaria - ammette con amarezza - ma mi sbagliavo».
Inizialmente la donna voleva lavorare come docente universitaria, ma ha scoperto che avrebbe dovuto tornare a studiare ancora per ottenere ulteriori crediti. Così ha deciso di abbandonare il sogno dell’insegnamento e cercare ruoli nel management aziendale, il settore in cui si è specializzata. Tuttavia, anche questa ricerca si è rivelata difficile: «Sono sovraqualificata per i ruoli di base e sottovalutata per quelli più importanti», ammette. Un paradosso che non le permette di collocarsi da nessuna parte. Rasberry consiglia a chi vuole proseguire gli studi di valutare bene i programmi di collocamento lavorativo e le partnership per gli stage. «Ho imparato che la maggior parte delle aziende preferisce l'esperienza all'istruzione», afferma con rammarico.
Una via d'uscita
Nel frattempo, la 38enne ha svolto molti lavori part-time per pagare le bollette fino ad avvicinarsi al mondo dell'infermieristica, lavorando anche 80 ore a settimana. «È praticamente impossibile coprire le spese in Virginia con un solo lavoro», spiega, aggiungendo che guadagna 21,50 dollari all’ora, ben al di sotto della media nazionale per le infermiere. Nonostante abbia trovato anche una certa soddisfazione nel settore, non lo considera un lavoro a lungo termine per via della bassa paga e delle limitate opportunità.Negli ultimi mesi, Rasberry ha finalmente avuto un piccolo colpo di fortuna. Ha ottenuto un ruolo da remoto come consulente per un piano nel settore infermieristico, con un salario annuale di circa 70.000 dollari, equivalenti a più di 30 dollari l’ora. Anche se questo rappresenta un passo avanti, non è ancora abbastanza per farle dimenticare il suo vero obiettivo. «Continuerò assolutamente a cercare ruoli meglio retribuiti nel mio campo di studio», conclude Rasberry.

------


un po giustificazione e scaricabarile \  autoassoluttoria , ma  vero  in parte perchè capita anche s'è    un numero infinitesimale rispetto  alla  somma  totale ,capita     che   gli incidenti molto spesso  mortali   sul lavoro sia colpa dei lavoratori  stessi  . 




  per  concludere sempre  sul mono del  lavoro


da ILGiornale tramite mns.it




Niente imbragatura. I guanti infilati in tasca e il caschetto non allacciato. Il lavoratore era in un ambiente molto pericoloso, ma si era disfatto dei dispositivi di protezione. Il licenziamento - spiega però in modo sorprendente il giudice del lavoro - è una misura eccessiva e sproporzionata. Non era la prima volta che questo accadeva, ma il magistrato minimizza o comunque si schiera dalla parte dell'operaio e di quelli come lui. É stato a dir poco sciaguratamente superficiale, ha messo a repentaglio la propria vita e l'ha fatto a dispetto delle intimazioni ricevute dall'azienda in cui prestava servizio. Ma va bene così. Le
sentenze parlano chiaro: accade al tribunale di Venezia e a quello di Ascoli Piceno.Esiste nel nostro Paese una cultura perdonista che, gira e rigira, giustifica le mancanze, anche quelle ripetute, anche quelle che fatalmente portano all'incidente e talvolta alla morte.È la stessa mentalità che affiora in alcuni contratti collettivi del lavoro. D'accordo per la sanzione, quando il lavoratore trascura per sciatteria le precauzioni minime obbligatorie per legge e fornitegli dalla società da cui riceve la retribuzione, ma i sindacati non si spingono mai a sottoscrivere punizioni gravi per gli iscritti inadempienti.È davvero singolare che l'eterno, drammatico dibattito sulle morti del lavoro non tenga conto, anzi non faccia proprio emergere, questa grave lacuna. Si discute di appalti e subappalti, del lavoro nero e della mancanza di ispettori, da potenziare.Tutto vero. Ma i dati dell'Inail dicono che almeno il 50 per cento degli infortuni dipende dalla più elementare e sventurata dimenticanza: non aver messo quegli strumenti che potevano fare la differenza. L'imbragatura. Il caschetto ben allacciato. I guanti. Gli occhiali che in molte situazioni preservano da conseguenze potenzialmente devastanti.Parliamo, come si capisce, di accorgimenti minimi che richiedono un'attenzione di pochi secondi, ma tante volte é qui che ci si blocca. L' abitudine è una cattiva consigliera e qualche volta porta dritti al disastro.Ma il tribunale va per la sua strada. Il caso che si presenta in uno stabilimento di Marghera è clamoroso: «Se il lavoratore poteva in qualche modo giustificare l'assenza (imbragatura) o non utilizzo (guanti) o non corretto utilizzo (caschetto) dei DPI (dispositivi di protezione individuale) in dotazione, ciò che non può essere giustificato è il rifiuto ad utilizzarli e l'insistenza nel voler affermare di doverli utilizzare».Insomma, non si trattava di una dimenticanza, ma di una sorta di insubordinazione ad alto tasso di ideologia. Un rifiuto totale dei dispositivi di protezione. Licenziamento per giusta causa? Il non utilizzo c'è tutto ed è pure teorizzato. Ma il giudice ridimensiona il fatto e la disubbidienza: «Si trattava tuttavia di una condotta che non assurge a giusta causa, per il difetto di proporzionalità fra fatti e condotta. La giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali nel rapporto di lavoro». Evidentemente, per il magistrato la sicurezza sul luogo di lavoro non tocca la sfera degli elementi essenziali. Non è grave, anche se gravissime possono essere le ricadute di questo atteggiamento, addirittura rivendicato dal dipendente.Anche ad Ascoli Piceno va in scena un copione del genere: il dipendente va nel reparto stampaggio senza gli occhiali e viene sanzionato con la sospensione per un giorno; qualche tempo dopo, la storia si ripete e di nuovo scatta la sospensione. La terza volta l'azienda procede con il licenziamento per giusta causa, ma il giudice lo annulla.Il motivo? È vero che la recidiva può portare alla fine del rapporto di lavoro, ma la mancanza deve essere grave. E qui non c'è la prova: o meglio non c'è la certezza che in quel momento i macchinari fossero in moto. Dunque, il danno da incidente sarebbe stato lieve. Il licenziamento cade anche in questo caso.



30.3.17

Da lavapiatti a co-proprietario di uno dei ristoranti top È la storia di Ali Sonko, 62 anni; da 34 abita in Danimarca




Da lavapiatti a co-proprietario di uno dei ristoranti top


Fonte: Twitter


Per ben 4 anni è stato insignito della corona di ristorante migliore del mondo dalla rivista Restaurant, il marchio Noma è tra i più famosi al mondo. Il ristorante stellato Michelin stavolta fa parlare di per una bella storia: l’azienda ora vede come co-proprietario un lavapiatti immigrato.
 dal suo   twitter

Si chiama Ali Sonko è originario del Gambia e lavora nella cucina di Noma sin dal 2003, anno della sua apertura. “Si tratta di uno dei momenti più belli da quanto il Noma ha aperto”, ha spiegato René Redzepi su Facebook. “Ali è una vera risorsa, è sempre sorridente, nonostante si prenda cura di ben 12 figli”.Ali ha 62 anni e da 34 abita in Danimarca. “Non riesco a descrivere a parole quanto sia felice di lavorare al Noma”, ha raccontato durante il party di addio al locale (l’azienda abbandona la storica location nel quartiere di Christianshavn per riaprire come urban farm). “Qui ci sono le persone migliori con cui lavorare e sono molto amico di tutti. Mi portano tutti un gran rispetto e sono sempre pronti ad aiutarmi”.

1.3.17

non c'è più il sacrificio e la gavetta voglio tutti arrivare in alto . il caso di Andrea Zanovello ha 33 anni,laureato chiede di lavorare in poste ma non vuole iniziare come portalettere

Questa vicenda mi ricorda come anche nella generazione dei miei e nella mia e di mio fratello era ancora diffuso come testimonia questo famosa sigla di un film e poi serial tv da non confondere con talent show Amici di Maria de Filippi



   quello spirito di sacrificio  e  d'iniziare  dal basso   \  dalla gavetta  senza  lamentarsi  che  ora      si sta  (  se  non lo si  è  già  perso  )  come  potete  notare  da  questa  vicenda   riportata   sotto

leggi anche
 http://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca/2017/02/26/news/ha-una-laurea-e-un-master-vuole-fare-il-postino-1.14943885






Invia un curriculum a Posteitaliane, lo chiamano come portalettere. L'amarezza del laureatoAndrea Zanovello ha 33 anni, due lauree e un master. Manda il curriculum a Posteitaliane che lo richiama chiedendo se è in grado di guidare uno scooter. Sfoga la sua amarezza su Facebook. L’azienda: «Si comincia sempre dal basso»





sempre  dalla  stessa   fonte  del  1\3\2017

PADOVA. Laureato in Economia e commercio con tanto di master e le Poste gli propongono di fare il portalettere. La storia di Andrea Zanovello, 33 anni, ha aperto uno squarcio nel mondo del lavoro di oggi. Il suo caso ha infiammato il dibattito tra chi un lavoro lo cerca e tra chi sta facendo di tutto per non perderlo. Decine e decine i messaggi di solidarietà che lo 
invitano a non mollare e a proseguire nella ricerca  Certo quella del web non è mai una voce unica. Gli schieramenti sono molteplici. «Hanno chiamato anche me, e hanno chiesto la stessa cosa» dice Paolo Graziani. «Ho due lauree col massimo dei voti. Non mi sono stupito: avevo inviato io il cv, quindi è normale che mi abbiano chiamato». «L’importante che ruoli dirigenziali li diano ai parenti o amici del politico di turno» sottolinea Claudio Contin. «Vedi il fratello di Alfano, sempre alle Poste, non mi sembra che abbia fatto la gavetta, come si suol dire, quando è stato assunto». Tema ripreso anche da Antonella Cavalli: «Anche il fratello di Alfano è partito dallo scooter? Così... tanto per sapere».




Ma c’è anche chi la pensa come Alberto Nalotto: «Ora perché uno ha una laurea e dei master pretende già di avere una scrivania, ufficio e stipendio da 2000 euro. Ecco perché tanti giovani certi lavori non li fanno».




Posteitaliane, dal canto suo, entra nel merito della vicenda con un comunicato ufficiale: «Con riguardo al caso del signor Zanovello, dal file estrapolato dal data base risulta che il curriculum non era stato probabilmente da lui stesso aggiornato risultando inserita la sola indicazione del titolo di studio di diploma di scuola superiore». Circostanza che viene smentita dal diretto interessato in modo molto semplice, mostrando le schermate del portale così come le aveva compilate. Nel profilo di Andrea Zanovello compaiono sia la laurea in Economia e Commercio (con specializzazione) che il master in business&administration. 
«Non voglio fare braccio di ferro con nessuno, il mio unico obiettivo è quello di trovare un lavoro dopo tanti anni di studio e di sacrifici» si affretta a spiegare Zanovello, che aveva affidato alla sua pagina Facebook lo sfogo dopo la proposta ricevuta. «Ci tengo solo che sia chiaro che io avevo compilato quella sezione del sito di Posteitaliane nel modo corretto».


16.2.15

La storia di Uno Stagista e di Una Checercadilavorare Manoncelafa


da http://it.paperblog.com/
Creato il 14 ottobre 2014 da Giovanecarinaedisoccupata

Primo fra tutti può fingere davvero di non avere certe capacità e di volersele coltivare, di voler imparare cose nuove e bla bla. Non si sentirà sminuito nelle proprie competenze e non vedrà come buttati nel cesso le manciate di anni passate inutilmente ad accumulare esperienze con cui in ogni caso non potrà rivendersi sul mercato del lavoro.
uno-stagista

Questa riflessione (semiseria solo nell’affibbiare nomi fittizi a quelli che potrebbero essere – anzi SONO – i prototipi di ciascuno di noi) nasce da recenti esperienze, mie e di alcuni cari amici disoccupati, conosciuti durante la mia gavetta nel magico mondo della disoccupazione. Gavetta che, per come stanno le cose, temo non finirà mai.
Per quanto le situazioni possano sembrare esasperate, lo sono forse nella forma, ma di certo non nella sostanza, e questo lo potete testimoniare anche voi, che sicuramente almeno 1 volta nella vita vi siete sentiti recitare le tipiche frasi che si dicono a chi è in cerca di un lavoro (oltre a “le faremo sapere”):
“Mi dispiace ma…” (iniziano tutti con un bel mi dispiace lavacoscienza)
    Fencesitter
  1. Per questo lavoro non ho budget, (e se c’è l’ho sono quei quattro soldi che ti faccio il favore di darti)
  2. Per questo lavoro non ho posizioni aperte in azienda = non ti posso assumere, nemmeno con un contratto a progetto
  3. Si, tu hai fatto un ottimo lavoro Una (di nome ) Checercadilavorare (di cognome), ma non possiamo rinnovarti l’ennesima collaborazione occasionale dopo più di (tot) mesi (persino noi ci arriviamo a capire che la definizione “occasionale” non ti si può più affibbiare)
  4. Assumerti mi costerebbe troppo in contributi da versarti, questa azienda non si può assumere anche questo costo, ci arrangeremo con i dipendenti che abbiamo (e faremo fare loro lavori che non li competono, oppure forniremo un servizio da schifo ma tanto i clienti capiranno: sono nella stessa situazione, dobbiamo tirare tutti la cinghia, e in fondo in fondo, nemmeno a noi ce ne frega più di tanto.)
  5. Ci arrangeremo con i dipendenti che abbiamo, tanto in settimana ci arriva Uno Stagista che ci aiuta (il salvatore della patria, anzi dell’azienda in difficoltà).
Di solito, chi ti fa questo discorso è pagato per farlo. Ovvero è un dipendente assunto a tempo indeterminato illo tempore, eoni ed eoni fa, da quella azienda, che:
  1. Non capisce la tua situazione perché non ci si è mai trovato
  2. Pensa che le difficoltà in cui versa l’azienda e di cui si fa scudo per dirti che non ti assumerà non lo toccheranno minimamente, lui e il suo posto fisso.
Il più delle volte, ha ragione.
Le difficoltà valgono solo per noi disoccupati, come scudo o giustificazione dietro cui andare a pararsi.
Finora, però, ho sentito dire solo “poveri stagisti”. E la cosa mi fa incazzare.
Badate bene, non è che Uno Stagista non sia un poveraccio tanto quanto me, Una Disoccupata alias Una Checercadilavorare, anzi: nuotiamo nella stessa m..marea, abbiamo a che fare con gli stessi interlocutori, ci affibbiano gli stessi lavori (non ditemi di no perché state dicendo una cazzata) e ci pagano pure la stessa miseria, ma… Uno Stagista ha un paio di marce in più. Quali?
E in secondo luogo, cosa più importante: l’azienda guarda al portafoglio, e Uno Stagista “costa” effettivamente di meno.
Ebbene si: Uno Stagista se la passa anche bene a conti fatti, grazie alla legislazione italiana che regola il mercato del lavoro! Il compenso che gli viene versato, netto, arriva nelle tasche sue ed è finita lì. Basso si, e non commisurato a quello che poi si ritrova a fare – ovvero il lavoro che dovrebbe svolgere una risorsa umana completamente formata ma che però non si può o non si vuole assumere – ma pur sempre esentasse, esente dichiarazioni varie, esente da iscrizione alla Gestione Separata INPS e ai relativi importi contributivi, esente dalla (diolastramaledica) apertura di partita IVA e relativo regime contributivo strozza cristiani. Anzi all’azienda danno pure degli incentivi per farlo lavorare, cioè… vegnono pagati per dargli un lavoro!
Non ci sono limiti a quanti “stage” può accettare uno stagista, non ci sono limiti di tempo, e se ci sono possono essere facilmente mascherati, così come le descrizioni delle mansioni e del percorso formativo possono essere abilmente reinterpretate in infiniti modi, tutti volti a dichiarare “ehi, gli sto insegnando un lavoro e lo sto arricchendo” invece che “ehi, lo sto facendo sgobbare come un mulo su mansioni da risorsa umana fatta e finita e MI sto arricchendo”.
Eddai come fai a non preferire il caro vecchio Uno Stagista?
Quanto alla nostra amica Una Checercadilavorare, il suo passato è nero come l’onta che subisce ogni giorno, e nemmeno il suo futuro è tanto roseo: è passata da un lavoro sicuro e retribuito con tutti i contro crismi ad una situazione di “flessibilità” che non le dà alcuna garanzia, nemmeno il pane in tavola oggi. Figuriamoci domani.

sit-on-the-fence
È una precaria, che di mese in mese si è fatta, casse integrazioni, mobilità, indennità di disoccupazione (che poi è finita e su cui ha dovuto o dovrà pagare tasse), è in cerca di lavoro ma ne trova solo di saltuari e “occasionali”, e dopo un po’ li deve mollare perché non trova aziende disposte ad accollarsi i suoi “costi”, a corrisponderle quanto per legge dovrebbe esserle corrisposto (contributi e varie, oltre ad  uno stipendio commisurato a capacità e mansioni svolte). Lei deve continuare ad accollarsi “costi” come tasse e contribuzioni varie (dall’Irpef a parte dei della Gestione Separata INPS – se supera una certa soglia annuale di compensi – o i costi della Partita Iva) oltre al costo della vita giornaliero che nessuno la aiuta a pagare e su cui nessuno le fa credito.

Deve lavorare attrezzandosi di tasca sua,  ed ha poco o nullo margine di contrattazione in sede di discussioni contrattuali: il più delle volte si sente rispondere “se ti va bene è così, dopotutto anche questi pochi spiccioli sono meglio di niente no?” come se stesse facendo quella dalle pretese milionarie.
Qualche volta si sente dire che bisogna ridurre anche quegli spiccioli perché si rende necessario versarle contributi “che poi vanno a vantaggio suo” (e che quindi vanno detratti dal suo compenso netto già risicatissimo). Come se i contributi avesse insistito lei per versarli, cascasse il mondo, cacchio.
Come se a ciascun dipendente fisso l’azienda fosse andata a dire: caro mio, tu mi costi troppo di contributi, adesso ti riduco un po’ lo stipendio di base perché in fondo li sto versando a vantaggio tuo. Magari lo facessero! Qualcuno comincerebbe a capire cosa si prova a stare da questa parte della barricata!
E infine, ultimo ma non ultimo, la nostra precaria amica Una Checercadilavorare Manoncelafa (il secondo cognome è preso da questo matrimonio che non s’aveva da fare con la disoccupazione), si deve arrendere all’evidenza che tutto sommato e prima o poi a lei l’azienda tornerà a preferire Uno Stagista, che gli costa di meno.
Meglio ancora se Uno Uomo Stagista (che queste donne sono lagnose e pretendono la luna ohi!)
E io che posso dirvi se non che a 35 anni suonati sto seriamente considerando l’idea di presentarmi sul mercato del lavoro senza passato e senza  capacità (colta da amnesia retrograda postraumatica? Rapita dagli alieni e appena riconsegnata?), ma soprattutto senza dignità e con l’unica velleità di accettare solamente contratti da stagista?
Ebbene si, oramai sogno di essere Una Stagista.

7.6.14

QUANDO IL RE JUAN CARLOS PRESE ORDINI DA UN SARDO

 a volte  capita  che i potenti    subiscano   e prendano ordini da  qualcuno più basso in rango di loro . ma per i media  embed    tali cose  non esistono  , A  volte  capita   che dopo 3  secoli  di dominio ( il periodo  in cui  la spagna  primo con il regno d'Aragona e  poi  con  quello Spagnolo ) sull'isola   ci possa essere  la rivincita  come racconta   

(Francesco Giorgioni)

QUANDO IL RE JUAN CARLOS PRESE ORDINI DA UN SARDO.


Primi anni settanta.
L'erede al trono di Spagna Juan Carlos trascorreva le sue vacanze estive in Costa Smeralda, all'hotel Pitrizza. Era un giovanotto bello e annoiato da una vita piena di agi.
Negli stessi anni, il capo ricevimento dell'albergo si chiamava Antonello Martini, un colosso gallurese tosto come il granito.Il suo nome lo si trovava anche nei tabellini calcistici dei quotidiani sardi, al lunedì, perché Martini era un ottimo calciatore dilettante: vestiva la maglia dell'Arzachena e frequentava i corsi da allenatore.Alla fine di ogni turno di lavoro, Martini indossava maglietta e pantaloncini e si allenava nel parco dell'albergo. Correva, si stendeva sul prato per esercitare addominali e pettorali, allungava i quadricipiti in prolungate sedute di stretching. Una nuova stagione nei campi da gioco dell'Isola lo attendeva e lui non poteva permettersi di perdere la forma.Non sapeva che qualcuno spiava la sua routine quotidiana.

Lo seppe quando, una mattina, si presentò alla portineria un giovane statuario. Era da solo e, timidamente, gli rivolse la parola.
"Dalla mia stanza seguo ogni giorno il suo allenamento. Le dispiacerebbe se venissi a correre con lei?"
A supplicare Martini era l'Infante Juan Carlos di Borbone, pochi mesi prima della sua ascesa al trono di Spagna.Naturalmente, Martini acconsentì.Ma L'Infante aveva qualcosa da aggiungere: "Sarà lei a dirigere l'allenamento, io farò tutto quel che lei ordinerà".
Per diverse settimane, il futuro monarca iberico obbedì ai comandi di Antonello Martini, portiere d'albergo e calciatore dilettante dell'Arzachena.Eseguiva ogni movimento ed esercizio, Juan Carlos, senza fiatare.E alla fine di ogni seduta ringraziava il suo personal trainer.Martini lo potete incontrare ancora oggi, ad Arzachena, magari in fila in banca o all'ufficio postale, mentre sbriga le faccende quotidiane. Chiedetegli di raccontarvi questa storia.
E lui vi dirà di quando il re di Spagna, successore di quelli che per secoli dominarono la Sardegna, senza fiatare prese ordini da un sardo.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...