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25.9.22

Gli alcolisti anonimi e il circolo che batte il diavolo nel bicchiere., Il formaggio che costa 300 euro al chilo: dalla Valtellina un "pezzo della storia della montagna"., Milano, nella pasticceria che non accetta contanti: "Mi scrivono 'socio delle banche' ma vado avanti"., L’artista che trasforma in sculture gli ulivi uccisi dalla Xylella



Gli alcolisti anonimi e il circolo che batte il diavolo nel bicchiere
                             di Viola Giannoli

Si conclude il raduno a Rimini dei 430 gruppi per i 50 anni dell'associazione. Dal 1972 in Italia aiutano a smettere chi dipende dall’alcol. “Era considerato un vizio, ma è una malattia” .

«Bevevo da 12 anni e bevevo male. Sulle Pagine gialle, quand’erano ancora cartacee e ti arrivavano a casa, ho trovato un trafiletto che parlava degli Alcolisti anonimi. C’era un indirizzo, l’ho ritagliato e messo via in un cassetto del comodino. L’ho guardato per anni, poi un giorno sono andata. C’erano una quarantina di persone assiepate in una stanzina piena di fumo, ho attraversato la nebbia, mi sono seduta e ho detto: “Ciao, sono Chiara, e ho un problema"». Erano gli anni Ottanta, Alcolisti anonimi era sbarcata da poco in Italia.

430 gruppi in Italia

Adesso, che la rete di gruppi di auto-mutuo-aiuto compie cinquant’anni e si è ritrovata per un bilancio di questo primo mezzo secolo a Rimini, oggi è l’ultimo giorno di incontri, sono 430 i gruppi sparsi in tutta Italia e più di seimila le presenze fisse. 
Ci s’incontra nei locali messi a disposizione dalle parrocchie o dai Comuni, si paga l’affitto con i contributi volontari dei partecipanti. Tutti alcolisti, non «ex alcolisti», né «persone con l’alcolismo», perché la sobrietà è una scelta che si rinnova ogni giorno. «L’unico requisito per entrare in un gruppo di Alcolisti anonimi è il desiderio di smettere di bere, ma il difficile non è quello, è continuare a non bere», sottolinea Eugenio, l’ultimo bicchiere venticinque anni fa. 

Gli artisti salvati dal gruppo

Ai partecipanti non si chiedono nomi, cognomi, documenti. Chi racconta di far parte di un gruppo lo fa per libera scelta, come Tiziano Ferro che tra i «per fortuna» della sua vita ha messo l’incontro con gli Alcolisti anonimi. O Asia Argento che a giugno ha festeggiato un anno di sobrietà. Degli altri si sa la biografia che durante gli incontri decidono di narrare. E non c’è nemmeno un registro per sapere poi come a ognuno sia andata. 
I coordinatori gestiscono gli interventi, ma non si è obbligati a raccontarsi, qui si viene e si resta perché si vuol restare. Non ci sono professionisti, non è un approccio sanitario bensì spirituale che passa anche attraverso la meditazione e la preghiera a un dio qualunque.

I 12 passi

E si basa su 12 passi, una sorta di progressione attraverso la quale si giunge alla sobrietà. Si parte dall’accettazione di essere alcolisti, impotenti davanti alla bottiglia. Un giorno alla volta, un passo per volta, tenendosi lontano dal primo bicchiere per 24 ore. E poi per altre 24. E ancora e ancora. Fino a rompere l’isolamento, a ricostruire le relazioni sociali, a tornare attivi perché, spiegano, «sarebbe assurdo togliere l’alcol e non mettere altro dentro alla propria vita». 
In questo cerchio di sconosciuti ci si riconosce, si parla la stessa lingua, fatta di solitudini e di fragilità. «Prima di arrivare qui chiunque di noi ha parlato con un’amica, un familiare, un prete: bevi un po’ meno, ti dicono. Ma uno non vuole smettere per tenere a bada le transaminasi, ma perché ha toccato il fondo», dice ancora Chiara. Ci si apre «perché scatta un’identificazione che altrove non c’è, perché nessuno giudica, perché qualcuno sta meglio e se ce l’ha fatta lui, che è come me, allora magari ce la faccio anche io». 

L'alcolismo femminile

In origine di donne ce n’erano pochissime, «arrivavano quando erano alla frutta, portate di peso dai loro compagni. Poi anche loro sono uscite di casa, hanno capito che potevano chiedere aiuto e abbiamo scoperto la reale dimensione dell’alcolismo femminile», spiega Chiara. C’erano pure pochi giovani. «Io mi definisco un’alcolista col pedigree – continua lei – È l’alcol il mio grande amore. I ragazzi invece sono pluridipendenti. Entrano nei gruppi, fanno una pulizia veloce, escono. Ma poi ritornano». 

In pandemia i gruppi virtuali

La pandemia non ha aiutato. «Ci siamo ritrovati su Zoom, sono nati gruppi solo virtuali, i più anziani ancora continuano a vedersi dallo schermo, altri hanno smesso e si riuniscono in presenza», dice Eugenio mostrando il logo, un triangolo con tre parole: unità, servizio, recupero. «È come uno sgabello a tre gambe, non sta in piedi con due: con il recupero e l’unità raggiungiamo insieme la sobrietà, con il servizio cerchiamo di aiutare gli altri, di trasmettere il nostro messaggio a chi soffre ancora». 

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Milano, nella pasticceria che non accetta contanti: "Mi scrivono 'socio delle banche' ma vado avanti"

Milano, nella pasticceria che non accetta contanti: "Mi scrivono 'socio delle banche' ma vado avanti" "Abbiamo subito due furti e il primo motivo per cui abbiamo deciso di diventare cashless è stata la sicurezza, dell'attività ma soprattutto di chi ci lavora". Vittorio Borgia è il titolare della catena Baunilla, che a Milano ha fatto molto parlare di sé per la scelta di non accettare più i contanti come metodo di pagamento. La sua idea ha diviso il pubblico dei social con commenti talvolta positivi e talvolta offensivi.

"C'è un diffuso senso di complottismo - racconta -, sono haters e terrappiattisti. Siamo passati dai no-vax ai no-pos". Si schierano invece con Borgia i clienti abituali della pasticceria, situata a pochi passi da piazza Gae Aulenti, in una delle parti più moderne della città. "Maggiore velocità nei pagamenti, approviamo", dicono due ragazzi che lavorano in un ufficio nei paraggi. Matteo Salvini, in un post, ha criticato la scelta. "Nell'era digitale - replica Borgia - non mi aspetto dichiarazioni simili". "Vado avanti con determinazione", conclude
 
                              di Andrea Lattanzi

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Il formaggio che costa 300 euro al chilo: dalla Valtellina un "pezzo della storia della montagna"

L’hanno chiamato Storico Ribelle, questo formaggio d'alpeggio che segue alla lettera gli antichi disciplinari e che si è ribellato al consorzio del Bitto, il celebre formaggio della Valtellina, oggi prodotto con il solo latte vaccino. "Il nostro è invece il bitto come si faceva una volta, con l’80% di latte vaccino e il 20% caprino, prende vita in alta montagna a latte crudo, è una produzione di nicchia che ha costi molto alti", raccontano i ragazzi del Presidio Storico Ribelle della Valtellina. Che al mercato di Terra Madre Salone del Gusto 2022, insieme alla loro storia, hanno portato anche qualcosa di molto prezioso, una forma del 2007, con 15 anni di invecchiamento, tantissimi per un formaggio, e un prezzo da record: 300 euro al chilo.

"Ma non bisogna fermarsi alle apparenze, bisogna guardare il lavoro e il valore che ci sono dietro - continuano - È costoso, è vero, ma la politica del prezzo è l'unico modo che abbiamo per portare avanti una produzione che si basa su numeri piccolissimi. È come se fosse il Barolo dei formaggi. Selezionatissimo: una sola forma sulle mille che produciamo all'anno ha le caratteristiche per arrivare a stagionature del genere. Chi lo assaggia sa di avare in mano un pezzo di storia della montagna, così come le rocce o i boschi".
 
Servizio di Giulia Destefanis

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L’artista che trasforma in sculture gli ulivi uccisi dalla Xylella



25.5.22

peripezie in autobus di una donna al 8 mese di Ester Castano

Ottavo mese di gravidanza da un paio di giorni. Scelgo di prendere la 92 (è un autobus, per chi non fosse di Milano) per andare a fare una visita medica invece della macchina.
Nonostante tutto (ovvero:
* affollamento nelle ore di punta
* poche volte trovo posto seduta e aspetta e spera che la gente si alzi
* gli anziani che se sono seduta - ho una pancia relativamente piccola, lasciamogli il beneficio del dubbio - mi guardano male

* la gente viaggia senza mascherina anche se obbligatoria (ieri un tizio mi ha starnutito e tossito in faccia)
* gli autobus vetusti quanto l’asfalto della circonvalla che qui lo dico qui lo nego se non partorisci tra una frenata e una buca dissestata puoi ritenerti fortunata
* il biglietto del bus costa 2 euro anche per poche fermate, anche per una; il parcheggio - col benessere di arrivarci con l’aria condizionata - costa 2 euro. La spesa è uguale, ma l’ambiente ringrazia. E io all’ambiente ci tengo
Nonostante tutto, dicevo, in città scelgo di muovermi con i mezzi pubblici e questo farò finché potrò.
Arrivo a piedi alla fermata (zero pensiline, picchia il sole delle 14, fa caldo) e mi accorgo di essere senza contanti, ho solo il bancomat. E per fare un biglietto dal tabaccaio servono i contanti. È il 2022, w la tecnologia ma ok. Tra l’altro è l’unico rivenditore nell’arco di un chilometro circa. Impossibile raggiungerlo tra afa e panza, sono sveglia dalle 7.30 e ho appena controllato la pressione: è bassa.
Decido di fare il biglietto online, inviando un messaggio con scritto ATM al 48444. Due minuti dopo il bus passa, io salgo. Sale anche il controllore.
- biglietto prego
- ecco qua, le faccio vedere l’sms
- signorina vedo solo il suo invio al 48444 ma qui non c’è alcun biglietto di risposta. Doveva prima aspettare a terra che le arrivasse la conferma di aver ricevuto il biglietto, e solo dopo salire sul bus
- guardi, non so se nota: sono all’ottavo mese, ho un appuntamento medico, non c’era nemmeno una pensilina per ripararsi dal sole. Ho inviato l’sms come scritto sul sito di ATM e sono salita
- mi spiace ma finché non le arriva il biglietto in risposta al suo sms deve stare a terra e se non le arriva comprare il cartaceo, ecco una stazione dei treni, scenda e troverà le macchinette
E così è andata. Sono dovuta scendere, io e otto mesi di panza. Il caldo e l’afa. Il biglietto online non è mai arrivato (e già qui..). Sono entrata in stazione (due rampe di scale a piedi perché l’ascensore era rotto) e fare il biglietto cartaceo. Ovviamente non essendo una saetta ho perso la corsa successiva, e ho dovuto attendere al sole quella dopo.
Tutto bene, ho rispettato le regole e non chiedo sconti. Però mi domando per quale motivo in mezza Europa puoi fare agilmente i biglietti online (a Milano se non ho possibilità di scaricare app mi attacco) o a bordo del pullman (contactless, bancomat, contanti come già nelle metro), comprese altre città italiane, e nella modernissima civilissima avantisisma Milano no.
Ah, mentre vi scrivo davanti a me sul bus una donna mangia un gelato

9.9.19

il femminicidio non solo uccidere fisicamente ma con le parole sessiste. il caso di **** suicidatasi per i pesanti apprezzamenti sessisti e fare disinformazione

Noi tutti  , sottoscritto compreso  ,  dobbiamo tenere   a mente  che le  parole  e  gli apprezzamenti    soprattutto quelli sessisti   uccidono   di  più   di  un omicidio fisicamente  . Questa storia  l'ho trovata   sull'account  Facebook  di  un contato recente Enzo Comi







Maria Prisco
Segui già
31 luglio


Giulia si è suicidata a 29 anni.
Abbiamo trascorso insieme ogni vacanza dai 10 ai 24 anni. Oggi, mentre la madre lo raccontava alla mia, a 6 mesi dalla sua morte, ha detto:
"Giulia, aveva un sogno, diventare ingegnere edile. Dopo 3 anni di lavoro non retribuito, il suo datore di lavoro le ha detto che non valeva nulla e che al massimo avrebbe potuto fare l'aiuto cantiere, perché non aveva né competenza, né talento. E quando lei gli ha risposto a tono, lui le ha detto che avrebbe fatto più successo mettendo le tette fuori. Dopo 3 giorni, mia figlia si è suicidata. Non ha lasciato nessun messaggio, non ha voluto nemmeno darci una spiegazione.
L'immagine può contenere: testo

Ma io sono convinta, che quell'umiliazione, quel sogno spezzato, le hanno tolto la vita. E oggi Franca, prego per le ragazze come tua figlia, affinché i loro sogni siano più forti di chi li mortifica"
Mia madre non ha avuto la forza di risponderle, si sono abbracciate e non hanno più parlato.
In quell'abbraccio c'erano tutte le paure e il coraggio delle madri delle "figlie femmine".
Ora sono a lavoro e mia madre, forza della natura indiscussa, mi ha inviato questo messaggio.
Io lo dedico a Giulia.
Lo dedico a tutte le ragazze che rincorrono i loro sogni, non curandosi del maschilismo e del cinismo che le circonda.
Lo dedico alle ragazze e ai ragazzi , quelli fragili che si lasciano convincere di non valere nulla da dominus incapaci e disumani.
Lo dedico ai professori che non riconoscono i talenti e ammazzano i sogni e la creatività.
Lo dedico alle famiglie, a quelle più distratte e più superficiali. Alle madri fragili e timorose di chiedere cosa stia accadendo.
Lo dedico a mia madre, a mia sorella e a mia figlia. Alle donne che non mettono le tette in mostra ma riconoscono il loro valore.
Lo dedico a questa strage silenziosa, che in pochi conoscono. Alle 400 vittime di suicidio all'anno. Al disagio giovanile e ai tanti suicidi, che un messaggio come questo potrebbero evitare.
Per ogni persona che vi distruggerà un sogno, ci sarà sempre una madre pronta a ricostruirne mille.


  Il femminicidio  è anche  cattiva informazione ed uso spregiudicato e selvaggio della  tecnica  del  #clickbait  ovvero la miseria del giornalismo italiano online e  non solo  .

Infatti concordo con   questo articolo  della  pagina facebook  di Anonima femministe


Oh, non possiamo andare in vacanza 2 settimane senza che, fastidiosi come i moschitos, i giornalisti italiani de Il Giornale e de la Repubblica disinformino il pubblico quando si tratta di dare notizia di un #femminicidio, quello dell’assassino Massimo Sebastiani, che ha ucciso e abbandonato il corpo di Elisa Pomarelli.
Come disinformano?
Con titoli (di articoli) al limite dell’incredibile! Del grottesco!!
O meglio... del clickbait
Ormai ci preoccupa più la malafede che l’ignoranza maschilista. Ci spieghiamo meglio: questi titoli sarebbero stati scritti APPOSITAMENTE in questo modo per attirare l’attenzione, per essere cliccati e aprire l’articolo, come fossero un’esca (clickbait) per l’indignazione pubblica. Alle testate non interesserebbe che l’articolo venga letto, ma che venga cliccato e aperto, in modo da generare traffico, legato agli investimenti pubblicitari con le testate stesse.
È un mezzuccio, insomma, per raccogliere fondi, nonostante i fondi pubblici.
Ciò dimostra 1 la mala gestione nell’uso dei nuovi media da parte di testate “tradizionali” legate ancora alla carta stampata, e 2 la considerazione che queste testate danno a queste notizie di cronaca nera, visto che il clickbait è un trucco normalmente considerato scorretto, poco etico da sempre nel web. Il rispetto per la vittima, questo sconosciuto. L’etica giornalistica, cosa scusa?! Peggio che andar di notte.
Insomma, quello che pratica usualmente Libero, ma che è diventato talmente paradossale da far ridere più di Lercio. Il Giornale e la Repubblica, invece, sono disinformativi totalmente, perché ancora percepiti dalla massa con un qualche credito giornalistico. Perciò il dolo è doppio, perché fanno profitto sulla voluta disinformazione, perpetrando nella società una descrizione distorta e giustificativa della violenza.
👎🏾👎🏾
Questi bari digitali vanno radiati per non esercitare giornalismo mai più.


Un po' uro il finale , ma come non dargli torto visto che nonostante da dagli anni 90 , se non ricordo male , i Centri antiviolenza hanno richiamato i media ad una maggiore attenzione sulla narrazione distorta ( metaforicamente parlando ) del femminicidio e hanno offerto una lettura differente del femminicidio, forti dell’esperienza diretta con donne vittime di violenza. L’ attenzione è aumentata nel corso degli anni anche grazie all’attivismo di collettivi femministi e delle giornaliste della rete Giulia. Ed , secondo quanto dice ilfattoquotidiano in questo articolo di cui ne riporto sotto un estratto
[...] 
Dal 2014 l’Ordine dei giornalisti, la Federazione nazionale della stampa e i Corecom regionali hanno realizzato corsi di formazione e si contano diverse pubblicazioni e convegni organizzati sul tema. Nel giugno del 2018, D.i.Re ha organizzato il convegno Comunicare la violenza con una trentina di interventi fra cronisti, giornaliste, attiviste e attivisti per i diritti delle donne, operatrici dei centri antiviolenza, scrittrici, blogger, ricercatrici, sindacaliste che si sono confrontate sulle criticità del linguaggio e hanno indicato buone proposte sulla comunicazione (ho dato un piccolo contributo raccontando la mia esperienza di attivista attenta al linguaggio della stampa, nella pubblicazione scritta insieme a Luca Martini Le parole giuste. Come la comunicazione può contrastare la violenza maschile contro le donne).
L’attenzione sul tema è alta e ci sono reazioni sempre più forti contro le narrazioni che distorcono fatti fino alla menzogna; ma ancora non si riescono a innalzare argini forti, soprattutto quando avvengono crimini che colpiscono la collettività, perché la posta in gioco è alta: la scelta di come narrare un crimine è un atto politico.
A questo proposito Elisa Giomi, autrice di pubblicazioni sulla narrazione del femminicidio, formatrice e docente universitaria presso l’Università degli Studi Roma 3 ha scritto che non si tratta più di disinformazione: “Attenzione, non è incompetenza o meschinità. E’ un atto politico. E’ una dichiarazione di guerra. Una guerra mai cessata, che oggi come 40 anni, per chi conosce la storia, si chiama backlash“, perché “non sopportano che stia divenendo egemonica la lettura in chiave di genere e di ordine di potere di genere, che vuole il femminicidio come forma estrema di assoggettamento delle donne” e denuncia che così facendo sperano di marginalizzare l’analisi e le istanze femministe e di “silenziare la nostra lotta”.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...