Maria Prisco
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31 luglio
Giulia si è suicidata a 29 anni.
Abbiamo trascorso insieme ogni vacanza dai 10 ai 24 anni. Oggi, mentre la madre lo raccontava alla mia, a 6 mesi dalla sua morte, ha detto:
"Giulia, aveva un sogno, diventare ingegnere edile. Dopo 3 anni di lavoro non retribuito, il suo datore di lavoro le ha detto che non valeva nulla e che al massimo avrebbe potuto fare l'aiuto cantiere, perché non aveva né competenza, né talento. E quando lei gli ha risposto a tono, lui le ha detto che avrebbe fatto più successo mettendo le tette fuori. Dopo 3 giorni, mia figlia si è suicidata. Non ha lasciato nessun messaggio, non ha voluto nemmeno darci una spiegazione.
Ma io sono convinta, che quell'umiliazione, quel sogno spezzato, le hanno tolto la vita. E oggi Franca, prego per le ragazze come tua figlia, affinché i loro sogni siano più forti di chi li mortifica"
Un po' uro il finale , ma come non dargli torto visto che nonostante da dagli anni 90 , se non ricordo male , i Centri antiviolenza hanno richiamato i media ad una maggiore attenzione sulla narrazione distorta ( metaforicamente parlando ) del femminicidio e hanno offerto una lettura differente del femminicidio, forti dell’esperienza diretta con donne vittime di violenza. L’ attenzione è aumentata nel corso degli anni anche grazie all’attivismo di collettivi femministi e delle giornaliste della rete Giulia. Ed , secondo quanto dice ilfattoquotidiano in questo articolo di cui ne riporto sotto un estratto
Mia madre non ha avuto la forza di risponderle, si sono abbracciate e non hanno più parlato.
In quell'abbraccio c'erano tutte le paure e il coraggio delle madri delle "figlie femmine".
Ora sono a lavoro e mia madre, forza della natura indiscussa, mi ha inviato questo messaggio.
Io lo dedico a Giulia.
Lo dedico a tutte le ragazze che rincorrono i loro sogni, non curandosi del maschilismo e del cinismo che le circonda.
Lo dedico alle ragazze e ai ragazzi , quelli fragili che si lasciano convincere di non valere nulla da dominus incapaci e disumani.
Lo dedico ai professori che non riconoscono i talenti e ammazzano i sogni e la creatività.
Lo dedico alle famiglie, a quelle più distratte e più superficiali. Alle madri fragili e timorose di chiedere cosa stia accadendo.
Lo dedico a mia madre, a mia sorella e a mia figlia. Alle donne che non mettono le tette in mostra ma riconoscono il loro valore.
Lo dedico a questa strage silenziosa, che in pochi conoscono. Alle 400 vittime di suicidio all'anno. Al disagio giovanile e ai tanti suicidi, che un messaggio come questo potrebbero evitare.
Per ogni persona che vi distruggerà un sogno, ci sarà sempre una madre pronta a ricostruirne mille.
Oh, non possiamo andare in vacanza 2 settimane senza che, fastidiosi come i moschitos, i giornalisti italiani de Il Giornale e de la Repubblica disinformino il pubblico quando si tratta di dare notizia di un #femminicidio, quello dell’assassino Massimo Sebastiani, che ha ucciso e abbandonato il corpo di Elisa Pomarelli.
Come disinformano?
Con titoli (di articoli) al limite dell’incredibile! Del grottesco!!
O meglio... del clickbait
Ormai ci preoccupa più la malafede che l’ignoranza maschilista. Ci spieghiamo meglio: questi titoli sarebbero stati scritti APPOSITAMENTE in questo modo per attirare l’attenzione, per essere cliccati e aprire l’articolo, come fossero un’esca (clickbait) per l’indignazione pubblica. Alle testate non interesserebbe che l’articolo venga letto, ma che venga cliccato e aperto, in modo da generare traffico, legato agli investimenti pubblicitari con le testate stesse.
È un mezzuccio, insomma, per raccogliere fondi, nonostante i fondi pubblici.
Ciò dimostra 1 la mala gestione nell’uso dei nuovi media da parte di testate “tradizionali” legate ancora alla carta stampata, e 2 la considerazione che queste testate danno a queste notizie di cronaca nera, visto che il clickbait è un trucco normalmente considerato scorretto, poco etico da sempre nel web. Il rispetto per la vittima, questo sconosciuto. L’etica giornalistica, cosa scusa?! Peggio che andar di notte.
Insomma, quello che pratica usualmente Libero, ma che è diventato talmente paradossale da far ridere più di Lercio. Il Giornale e la Repubblica, invece, sono disinformativi totalmente, perché ancora percepiti dalla massa con un qualche credito giornalistico. Perciò il dolo è doppio, perché fanno profitto sulla voluta disinformazione, perpetrando nella società una descrizione distorta e giustificativa della violenza.
👎🏾👎🏾
Questi bari digitali vanno radiati per non esercitare giornalismo mai più.
In quell'abbraccio c'erano tutte le paure e il coraggio delle madri delle "figlie femmine".
Ora sono a lavoro e mia madre, forza della natura indiscussa, mi ha inviato questo messaggio.
Io lo dedico a Giulia.
Lo dedico a tutte le ragazze che rincorrono i loro sogni, non curandosi del maschilismo e del cinismo che le circonda.
Lo dedico alle ragazze e ai ragazzi , quelli fragili che si lasciano convincere di non valere nulla da dominus incapaci e disumani.
Lo dedico ai professori che non riconoscono i talenti e ammazzano i sogni e la creatività.
Lo dedico alle famiglie, a quelle più distratte e più superficiali. Alle madri fragili e timorose di chiedere cosa stia accadendo.
Lo dedico a mia madre, a mia sorella e a mia figlia. Alle donne che non mettono le tette in mostra ma riconoscono il loro valore.
Lo dedico a questa strage silenziosa, che in pochi conoscono. Alle 400 vittime di suicidio all'anno. Al disagio giovanile e ai tanti suicidi, che un messaggio come questo potrebbero evitare.
Per ogni persona che vi distruggerà un sogno, ci sarà sempre una madre pronta a ricostruirne mille.
Il femminicidio è anche cattiva informazione ed uso spregiudicato e selvaggio della tecnica del #clickbait ovvero la miseria del giornalismo italiano online e non solo .
Infatti concordo con questo articolo della pagina facebook di Anonima femministe
Come disinformano?
Con titoli (di articoli) al limite dell’incredibile! Del grottesco!!
O meglio... del clickbait
Ormai ci preoccupa più la malafede che l’ignoranza maschilista. Ci spieghiamo meglio: questi titoli sarebbero stati scritti APPOSITAMENTE in questo modo per attirare l’attenzione, per essere cliccati e aprire l’articolo, come fossero un’esca (clickbait) per l’indignazione pubblica. Alle testate non interesserebbe che l’articolo venga letto, ma che venga cliccato e aperto, in modo da generare traffico, legato agli investimenti pubblicitari con le testate stesse.
È un mezzuccio, insomma, per raccogliere fondi, nonostante i fondi pubblici.
Ciò dimostra 1 la mala gestione nell’uso dei nuovi media da parte di testate “tradizionali” legate ancora alla carta stampata, e 2 la considerazione che queste testate danno a queste notizie di cronaca nera, visto che il clickbait è un trucco normalmente considerato scorretto, poco etico da sempre nel web. Il rispetto per la vittima, questo sconosciuto. L’etica giornalistica, cosa scusa?! Peggio che andar di notte.
Insomma, quello che pratica usualmente Libero, ma che è diventato talmente paradossale da far ridere più di Lercio. Il Giornale e la Repubblica, invece, sono disinformativi totalmente, perché ancora percepiti dalla massa con un qualche credito giornalistico. Perciò il dolo è doppio, perché fanno profitto sulla voluta disinformazione, perpetrando nella società una descrizione distorta e giustificativa della violenza.
👎🏾👎🏾
Questi bari digitali vanno radiati per non esercitare giornalismo mai più.
Un po' uro il finale , ma come non dargli torto visto che nonostante da dagli anni 90 , se non ricordo male , i Centri antiviolenza hanno richiamato i media ad una maggiore attenzione sulla narrazione distorta ( metaforicamente parlando ) del femminicidio e hanno offerto una lettura differente del femminicidio, forti dell’esperienza diretta con donne vittime di violenza. L’ attenzione è aumentata nel corso degli anni anche grazie all’attivismo di collettivi femministi e delle giornaliste della rete Giulia. Ed , secondo quanto dice ilfattoquotidiano in questo articolo di cui ne riporto sotto un estratto
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Dal 2014 l’Ordine dei giornalisti, la Federazione nazionale della stampa e i Corecom regionali hanno realizzato corsi di formazione e si contano diverse pubblicazioni e convegni organizzati sul tema. Nel giugno del 2018, D.i.Re ha organizzato il convegno Comunicare la violenza con una trentina di interventi fra cronisti, giornaliste, attiviste e attivisti per i diritti delle donne, operatrici dei centri antiviolenza, scrittrici, blogger, ricercatrici, sindacaliste che si sono confrontate sulle criticità del linguaggio e hanno indicato buone proposte sulla comunicazione (ho dato un piccolo contributo raccontando la mia esperienza di attivista attenta al linguaggio della stampa, nella pubblicazione scritta insieme a Luca Martini Le parole giuste. Come la comunicazione può contrastare la violenza maschile contro le donne).
L’attenzione sul tema è alta e ci sono reazioni sempre più forti contro le narrazioni che distorcono fatti fino alla menzogna; ma ancora non si riescono a innalzare argini forti, soprattutto quando avvengono crimini che colpiscono la collettività, perché la posta in gioco è alta: la scelta di come narrare un crimine è un atto politico.
A questo proposito Elisa Giomi, autrice di pubblicazioni sulla narrazione del femminicidio, formatrice e docente universitaria presso l’Università degli Studi Roma 3 ha scritto che non si tratta più di disinformazione: “Attenzione, non è incompetenza o meschinità. E’ un atto politico. E’ una dichiarazione di guerra. Una guerra mai cessata, che oggi come 40 anni, per chi conosce la storia, si chiama backlash“, perché “non sopportano che stia divenendo egemonica la lettura in chiave di genere e di ordine di potere di genere, che vuole il femminicidio come forma estrema di assoggettamento delle donne” e denuncia che così facendo sperano di marginalizzare l’analisi e le istanze femministe e di “silenziare la nostra lotta”.