La storia che riporto oggi ( se non volete leggere l'intero post trovate qui l'articolo ) tratta da http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca/2017/05/27/ è la dura lotta di chi è italiano a tutti gli effetti ( nato\a , cresciuto , studia \ lavora qui e paga le tasse ) ma non ha ancora la cittadinanza diretta e subisce quotidianamente cose del genere :
Sono in sala d'attesa e l'ispirazione mi suggerisce di raccontarvi un mio peccato di debolezza che non sfugge alla regola "causa-effetto". È una storia lunga, cominciata quasi dieci anni fa e che dedico a tutti quelli come me, in cerca di un riscatto per se stessi, per le proprie origini e per l'Italia.Il mio primo anno di scuola superiore l'ho trascorso in un liceo di provincia, cullata dal desiderio di imparare molto e di creare altrettanto. Ero l'unica figlia di immigrati nell'intero edificio, ma fino a quel momento la diversità non era mai stata un grosso problema che si ripercuotesse spesso anche sui fatti. Con i miei compagni più stretti non c'erano difficoltà di nessun tipo, se non qualche innocente curiosità da parte di ragazze all'alba dell'adolescenza, intente a combattere brufoli e cotte precoci. Il dramma che vivevo, però, esisteva e proveniva dal resto delle classi, i cui giovani animi ribelli trovavano in me una serie di errori estetici, dettati da un'appartenenza etnica e religiosa lontana dalla loro.
da https://www.gridodutopia.com/marocchina "Ma i marocchini non vengono in gita con noi / Tu alzati da lì che noi abbiamo la priorità / tu, il caffè, lo prendi dopo / non sei invitata al mio compleanno" e cose così, che a quattordici anni uno fa fatica a digerire. Avevo smesso di andare alle macchinette da sola, perché non volevo fare scorta di occhiatacce e derisioni. Evitavo di unirmi ad uscite di gruppo, in cui fossero presenti alcuni dei ragazzini che sprecavano per me pezzi d'odio. Ho finito l'anno con la pagella brillante e l'umore spento. A settembre, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso ed io che in lacrime scongiuravo mia madre di non mandarmi più in quella scuola, che avrei preferito rinunciare all'istruzione piuttosto che a tornare tra quelle mura. Il mese seguente l'ho passato a casa, alla ricerca d'una soluzione che mi portasse via da un entourage che mi soffocava la serenità. Ho cambiato città e scelto altre facce con cui condividere la mia crescita scolastica. Ho cambiato gli insegnanti, che non si erano mai accorti di nulla, i compagni che hanno fatto finta di niente o che mancavano di sensibilità perché troppo distanti dalla mia realtà. Ho cambiato atteggiamento e ho maturato una diffidenza che mi ha condotto a sedare molte parti della mia identità. Ho riempito la cartella di promesse e di un dolore che solo il tempo, oggi, è riuscito a curare. Ho peccato d'una debolezza che profuma di fallimento, di mancato riscatto personale e mi pesa sul cuore come un macigno destinato all'eternità.Ora,