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16.6.25

San Sperate, Amelia a 86 anni di nuovo a scuola per la licenza media., oh capitano o mio capitano il commovente saluto dei ragazzi i 5 dell'Artistico Amoretti d' imperia al Prof Eugenio Ripepi

 

la vicenda di Amelia Casti non è solo la classica storia di quello anziani che non hanno potuto studiare o studiare fino in fondo o il desiderio ( ma quest ultimo non è o almeno non completamente il suo caso vista la vita che la vita emozionante e ricca che ha vissuto ) di colmare un vuoto o senso di colpa /rimorso per non aver completato gli studi e oaura di sentirsi emarginata o inferiori rispetto agli altri . Anzi il contrario una di quelle storie speciali. Un esempio di passione e d'inclusione . La sua storia è un inno alla vita, alla solidarietà e alla forza di volontà, che ispira chiunque creda che l’età sia solo un numero e che i sogni possano diventare realtà a ogni età.

  infatti 

DA  L'UNIONE  SARDA  ONLINE  

 Allieva del Cpia, è impegnata negli esami finali: per Natale ha preparato l’agnello per tutti i suoi compagni stranieri, che sarebbero rimasti soli. Ha trascorso molti anni al servizio di un cardinale


A ottantasei anni è tornata tra i banchi di scuola. E ora Amelia Casti, la più anziana allieva del Cpia 1 Karalis, dopo aver studiato nella sede di San Sperate, è pronta per raggiungere il suo traguardo: sta sostenendo, con emozione e orgoglio, l'esame di licenza media.Un'alunna modello, già di fatto promossa per interesse, partecipazione e interazione con il resto della classe. Si è appassionata al teorema di Pitagora, ha partecipato a tutte le gite. E, a Natale, ha invitato a pranzo i compagni di classe che altrimenti sarebbero rimasti soli: ha condiviso l'anno con corsisti italiani e stranieri, molti dei quali ospiti di una struttura di accoglienza e originari del Gambia, Camerun, Tunisia, Honduras e Costa d'Avorio. Per loro ha cucinato l'agnello e altre specialità sarde e loro, per ringraziarla, le hanno regalato un cesto di frutta, visto che lavorano quasi tutti nei mercati rionali.Amelia è nata alla vigilia della seconda guerra mondiale, suo padre era stato mandato diverse volte a combattere - prima in Spagna, dopo al fronte - e la sua numerosa famiglia aveva bisogno di tutto l'aiuto possibile. Dopo la guerra l'Italia era affamata e devastata, così Amelia ha frequentato la scuola lo stretto necessario: studiare era un lusso non per tutti. Poi subito a lavorare, come succedeva alla maggior parte delle bambine di allora.Lei ha svolto diversi lavori, dentro e fuori casa, fin quando ha trovato un impiego come domestica alle dipendenze di un cardinale. Con lui e la sorella dell'alto prelato, è partita per Roma: nella capitale ha prestato servizio per 30 anni. Al seguito del cardinale, nunzio apostolico in diversi continenti, ha avuto l'occasione di conoscere tanti luoghi.È molto orgogliosa di aver visitato il Messico, folgorata dalla bellezza dei luoghi. Rientrata nella sua amata San Sperate è diventata presidentessa del Cif, Centro italiano femminile, e - sempre pronta ad aiutare gli altri - attiva volontaria della Caritas oltre che assidua frequentatrice della biblioteca comunale. Quest'anno Amelia è tornata a scuola per ottenere l'ex licenza media. E ora è a un passo dal traguardo.

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dopo il caso dellì'anno scorso il saluto di una classe di maturandi al prof i  un liceo  d  i Battipaglia    : la scena si  ripete   quest'anno  in  un  liceo   d'imperia  da  a  msn.it




"Oh Capitano, mio Capitano" il commovente saluto dei ragazzi dell'Artistico al loro Prof


Il commento del professore: "Andate a educare alla bellezza questo arido mondo, che solo voi potete salvare. Solo così potrò sentire meno il peso della vostra mancanza" Il commovente saluto al professor Eugenio Ripepi

Saluto liceo Amoretti Imperia al prof. Eugenio Ripepi - Primalariviera
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E' una delle scene più commoventi del film "L'Attimo fuggente" con il bravissimo Robin Williams nei panni del professor John Keating, docente di letteratura che viene trasferito nel collegio maschile di Welton (Vermont). Un professore fuori dagli schemi che valorizza però ogni singolo studente.Ebbene prima di lasciare il college il professore viene salutato dai suoi allievi che, uno a uno, salgono sui banchi pronunciando la frase "Oh Capitano mio Capitano".Ebbene quello che è accaduto oggi, ultimo giorno di scuola, in una quinta del Liceo Artistico di Imperia è stato esattamente come nella scena del celebre film.Cinque minuti prima dell'ultima campanella i ragazzi, di fronte al loro insegnante Eugenio Ripepi, uno a uno sono saliti sui banchi pronunciando la nota frase che racchiude tutta la gratitudine di un'intera classe per il proprio docente.A postare su facebook l'accaduto è stato lo stesso professore che ha commentato "Ultimo giorno di scuola al Liceo Artistico, e i miei figli grandi di Quinta vanno via. Hanno deciso di salutarmi così, e sono commosso ancora mentre scrivo adesso. Andate a educare alla bellezza questo arido mondo, che solo voi potete salvare. Solo così potrò sentire meno il peso della vostra mancanza"

18.5.25

diario di bordo n 121 anno III . La disparita' di trattamento tra le donne e gli uomini anche agli internazionali di tennis di Roma. ., come educare i bambini d'infanzia in maiera non violenta ed al rispetto., I talenti sardi che restano: Federico ersu «Servono progetti, non idee»

  di  Maria Vittoria Dettoto di Cronache Dalla Sardegna

Ieri a seguito della vittoria di Jasmine Paolini ho scritto che la sua vittoria, purtroppo, non ha lo stesso valore di quella di un uomo e che avrebbe avuto un rilievo diverso se avesse fosse stato un uomo e avesse praticato il calcio. E lo ribadisco. Partiamo dal montepremi vinto dalla Paolini con la vittoria di ieri pari a 877.390 euro. Che potrebbe salire a quota 1.030.640 se dovesse vincere nel doppio con Sara Errani.Jannik Sinner invece se dovesse vincere oggi contro Carlos Alcaraz otterrebbe un montepremi di 985.030, ovvero
oltre 100.000 euro in più rispetto a quello percepto per la vittoria nello stesso torneo dalla Paolini. Sinner ha già guadagnato per aver meritato l'accesso alla finale di stasera 523.870 euro. Al netto di emolumenti vari e premi degli sponsor, naturalmente per entrambi.
Vi pare giusta questa disparita' di trattamento? A me no. Perché una donna anche in un torneo tennistico, come in qualsiasi lavoro svolto, a parita' di mansions deve essere pagata meno di un uomo? Quale sarebbe in questo caso la motivazione?O lo sforzo fisico, gli allenamenti, la passione di una donna per lo sport, quello di una campionessa mondiale come la Paolini non meritano la stessa ricompensa di un altrettanto campione come Sinner? Per me si.E non è questione di essere femministe. Ma di essere egualitari tra generi. Lo
stesso ragionamento l'avrei fatto se al posto della Paolini o Sinner ci fosse stato chiunque altro.
Veniamo ora al tipo di sport giocato, ovvero il tennis, che negli ultimi anni anche grazie proprio a Sinner ed alla Paolini ha avuto un grande richiamo mediatico. Ma parliamoci chiaro. Se la Paolini o Sinner vincono gli internazionali di tennis, nessuno scende in piazza a festeggiare come quando la Nazionale italiana di calcio vince un Europeo o un mondiale. Siamo tutti contenti della vittoria, certo. Che dopo due giorni passera' nel dimenticatoio o se ne ricorderanno solo gli addetti ai lavori. Quando in realtà ogni prestazione sportiva di massimo livello, di qualsiasi sport, andrebbe valorizzata allo stesso modo. Nel calcio come nel tennis o nella boxe o nel canottaggio o nella danza. Solo per citarne alcuni. Poi ognuno/a di voi può essere o meno d'accordo con il mio pensiero, ma purtroppo questa è ancora oggi la realtà dei fatti.

 Infatti  


Jasmine Paolini ha appena vinto gli Internazionali d’Italia!!!!Davanti a un pubblico fantastico e al Presidente della Repubblica Mattarella.Dopo un torneo clamoroso per resistenza, tenacia, dedizione, testa ma anche colpi e variazioni che ha fatto impazzire tutte le avversarie.Non succedeva da 40 anni!È il secondo 1000 in carriera. E da lunedì Jas tornerà numero 4 al mondo, eguagliando il suo best ranking.
Non c’è solo Sinner. Questa è anche l’era di Jasmine Paolini.

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  come  educare i bambini    al  rispetto  e  a un rapporto non  tossicoe  non  violento da


Oggi in classe ho portato due mele.Entrambe belle, rosse, lucide. A vederle così, nessuna
differenza.
Ma solo io sapevo che una delle due era stata fatta cadere più volte prima della lezione.
L’avevo raccolta con cura, senza romperla all’esterno. Era ancora perfetta… almeno in apparenza.Abbiamo osservato insieme le due mele. I bambini le descrivevano:
“Sembrano uguali”,
“Sono buone”,
“Mi viene voglia di mangiarle”.
Poi ho fatto qualcosa di insolito.Ho preso la mela che avevo fatto cadere e ho cominciato a parlarle male davanti a tutti.Ho detto che era brutta, che non mi piaceva, che aveva un colore orribile e un picciolo troppo corto.E ho chiesto ai bambini di fare lo stesso:di dirle cose cattive, come se fosse un’altra persona.Alcuni mi hanno guardata con esitazione.Uno ha detto: “Ma è solo una mela…”Ma sono andati avanti:
«Fai schifo»,«Nessuno ti vuole»,«Sembri marcia»,«Non vali niente».
Poi abbiamo preso l’altra mela.Quella che nessuno aveva insultato.E le abbiamo detto solo parole belle: «Sei splendida», «Hai un profumo buonissimo»,«Scommetto che sei dolcissima». Dopo, le ho tagliate davanti a loro.La mela trattata con amore era fresca, chiara, croccante.Quella insultata… era piena di lividi. Molle. Scura.Era danneggiata dentro, anche se fuori sembrava intatta.E in quel momento, nella classe è calato il silenzio.Nessuno rideva. Nessuno parlava.Gli sguardi erano diversi: avevano capito.Quelle parole che avevamo detto per finta a una mela,sono le stesse che ogni giorno tante persone — e tanti bambini — sentono davvero.Parole che non si vedono.Parole che non lasciano segni sulla pelle…Ma che lasciano lividi dentro.Ho raccontato ai bambini che anche a me, solo qualche giorno fa, qualcuno ha detto qualcosa che mi ha fatto male.Eppure sorridevo, sembravo serena. Nessuno se ne è accorto.Ma dentro mi sentivo come quella mela: rotta. Ammaccata. Ferita in silenzio.La verità è che le parole possono fare più male di uno schiaffo.E spesso quel dolore resta. Anche quando gli altri non lo vedono.Per questo dobbiamo insegnare ai nostri figli — e a noi stessi —che ogni parola ha un peso.Che si può ferire anche con una frase detta per gioco.Che la gentilezza non è debolezza: è forza, coraggio, scelta.E voglio raccontarvi una cosa che mi ha colpita più di tutto:mentre gli altri insultavano la mela,una bambina si è rifiutata.Ha detto: “Io non voglio dire cose brutte. Anche se è solo una mela”.Quel piccolo gesto vale più di mille lezioni.Le parole possono costruire ponti.O scavare ferite.Possono sollevare.O distruggere.E il loro effetto spesso resta per molto, molto tempo.La lingua non ha ossa,ma può spezzare un cuore.Scegliamo le parole con cura.Usiamole per amare, non per ferire.Per accogliere, non per escludere.Per guarire, non per distruggere.Che i nostri figli crescano imparando il valore del rispetto,della gentilezza, dell’empatia.Perché dietro ogni sorriso, potrebbe nascondersi una mela ammaccata.E noi possiamo fare la differenza.

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nuova sardegna 18\5\2025

Sassari 
Non c’è solo una Sardegna che vede partire i suoi talenti ma un’isola in cui chi decide di rimanere o di ritornare nella propria terra costruisce reti e crea opportunità condivise di sviluppo. Un esempio è rappresentato da Federico Esu. Dopo anni all’estero ha deciso di ritornare ma non si è limitato a quello. Ha fondato “Itaca”, un podcast che raccoglie storie

di chi resta, torna, arriva, o parte dalla Sardegna, e “Nodi”, un movimento culturale e un progetto di comunità che connette queste persone tra loro, dando vita a una rete viva, concreta, che supera le etichette e ricompone una nuova geografia umana dell’isola.
«Le connessioni che abbiamo creato e che continuiamo a coltivare stanno dimostrando che esiste un capitale umano attivo, intraprendente e pieno di visione, che sceglie di vivere in Sardegna non per nostalgia, ma per convinzione. Perché crede che proprio qui, nella nostra isola, si possano fare le cose. E si possano fare bene. Mettere in rete tutte queste persone significa creare un ecosistema di fiducia e collaborazione. Un contesto in cui chi arriva trova accoglienza, chi torna – come è stato anche il mio caso – trova alleati, e chi resta non si sente più l’unico rimasto. Così la Sardegna può tornare ad essere fertile: non solo bella, ma viva di idee, relazioni, progetti, possibilità. Solo così può tornare ad attrarre persone, energie e anche nuove nascite».Questa rete si propone come una risposta concreta alla crisi demografica: non basta attirare nuovi residenti con incentivi o slogan. Serve costruire relazioni, occasioni di incontro, condizioni abitative e lavorative degne. Serve far sentire le persone parte di qualcosa.«Stiamo vedendo nascere progetti proprio dagli incontri, dal programma di mentoring, dagli eventi che organizziamo in tutta la Sardegna ma anche online. E si stanno creando le precondizioni per collaborare in modo sistemico, tra territori, discipline e generazioni. In un contesto insulare come quello sardo, dove l’isolamento è spesso duplice – fisico e simbolico – il “fare rete” è una forma di riattivazione culturale, economica ed emotiva. È come smuovere il terreno per far emergere tutto ciò».I risultati raggiunti fino ad oggi sono tangibili e in progressiva crescita. Dalle tante interviste del podcast “Itaca” sono nate nuove storie di ritorno o arrivo. Dalle connessioni di “Nodi” sono emersi progetti imprenditoriali, iniziative condivise, scambi tra professionisti e realtà locali. Il programma di mentoring sta facilitando transizioni, integrazioni, nuovi inizi. Tutto questo in modo organico ma con metodo, cura, ascolto e visione.«La nostra forza è nelle persone, e nella capacità di metterle nella giusta connessione», aggiunge Federico Esu.
Avete già instaurato un rapporto e una collaborazione con le istituzioni regionali ?
«Più che fare richieste, ci interessa costruire un dialogo continuo e costruttivo, tra pari, tra professionisti, amministratori, realtà del terzo settore e stakeholder privati. È un processo che stiamo già vivendo: sempre più spesso con “Nodi” ci troviamo a collaborare con attori pubblici e privati, come è accaduto pochi giorni fa a Laconi, durante un incontro internazionale tra spazi creativi europei, dove erano presenti anche CRENoS, l’Assessorato all’Industria e la Presidenza della Regione Sardegna. Questi momenti dimostrano che c’è un terreno fertile per collaborazioni trasversali e che, lavorando insieme, possiamo individuare modalità più agili e accessibili per sostenere chi vuole restare, tornare o arrivare in Sardegna. Facilitare l’avvio di nuove attività, ridurre le complessità burocratiche e mettere in campo strumenti più flessibili può contribuire in modo concreto a rendere l’isola più attrattiva per nuove energie, competenze e progettualità. Non si tratta di puntare il dito contro nessuno, ma di riconoscere che solo con una visione condivisa e relazionale possiamo affrontare sfide complesse come quella demografica e sociale».
Alla domanda sulla visione demografica per i prossimi 10-15 anni, Esu risponde con chiarezza: «Immagino una Sardegna che non si definisca più per ciò che perde, ma per ciò che decide di generare. Non mi piace la parola 'trattenere': dà un’idea di costrizione. Meglio pensare a un’isola che attira, perché offre qualità della vita, relazioni, spazi rigenerati, opportunità di contribuire. Una Sardegna che riabita i paesi in modo intelligente, con servizi, infrastrutture digitali, spazi di comunità, che riconosce i “nuovi sardi” – anche se nati altrove – come parte attiva del tessuto sociale. Che sostiene l’autoimprenditorialità diffusa, e valorizza i tanti sardi nel mondo come alleati dello sviluppo locale, non solo come nostalgici da evocare a fasi alterne».Con i progetti di “Itaca” e di “Nodi” Federico Esu vuole quindi cercare di disegnare un’altra mappa della Sardegna, fatta non solo di luoghi, ma di legami. Una visione complessiva nella quale la demografia non è solo una curva da invertire, ma un invito a immaginare nuove rotte e nuovi approdi per chi rimane, per chi ritorna e per chi decide di arrivare nell’isola. 

con questo è tutto alla prossima sempre che Dio lo voghlia e i carabinieri lo permettano

29.3.25

un cavallo al funerale del padrone il fantino Carlo Uleri un giovane di 53 anni

   a  chi  come  Rizzi  dice  che  noi sardi   maltrattiamo  gli  animali    ecco la   risposta  


IL 13 marzo Ai funerali del fantino  Carlo Uleri un giovane di 53 anni, è deceduto improvvisamente   due giorni  prima  ha  " partecipato   " anche    il suo amatissimo cavallo dandogli il suo ultimo saluto, dimostra per l'ennesima volta il grande amore del popolo sardo verso i propri animali, che non sono considerati come strumenti per fare soldi o da lavoro, ma veri e propri componenti della famiglia.E non parlo di cani o gatti, che

peraltro da qualche pseudo amante degli animali vengono relegati in appartamenti da venti metri quadri e li' costretti a passare la loro vita, per la maggior parte della giornata in solitudine e a mangiare crocchette preconfeziomate perché il proprio padrone al rientro dal lavoro neanche gli prepara da mangiare.
Per poi essere abbandonati in canali, gattili o peggio per strada al momento delle vacanze dei loro padroni. Costretti a fare i loro escrementi su traverse di plastica perché i propri padroni hanno fatica a portarli fuori casa.In Sardegna da millenni si allevano cavalli, asini, pecore, capre, maiali trattati meglio dei cani e gatti di cui sopra. Allevati con cura dai loro padroni, dandogli i migliori pascoli o le scuderie meglio attrezzate. Diventano membri della famiglia a tutti gli effetti ed i loro padroni rinunciano a feste, ferie e vacanze pur di non abbandonarli. E vivono in libertà, in paesaggi bellissimi, al caldo d'inverno e al fresco in estate.Guarda caso della vicenda del cavallo ai funerali di Uleri sinora non aveva parlato nessuno. Perché è più facile parlare delle pecore o dei polli ammazzati e darci degli assassini, screditarci a livello nazionale, piuttosto che evidenziare come ci comportiamo realmente noi con gli animali, ovvero come la famiglia Uleri che ha scelto di fare di quel cavallo un simbolo non solo dell'amore della propria famiglia. Ma anche un simbolo di riscatto di un'intera isola, del quale tutti noi dovremmo essere grati. Ma allora qualcuno\a mi dirà : ma allora la sartiglia , l'ardia ecc cosa sono    è  amore   per  gli animali   ?
Sono delle tradizioni equestri ma non solo come si può leggere da colllegamenti internet riportati , dove da quel che mi risulta , rispetto ai : alle corride , circhi , agli ipodromi i cavalli non vengono maltratti o drogati ma c'è un rapporto ancestrale  fra uomo e cavallo dove non viene sfruttatato per il divertimento umano.

Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   Dopo  la  morte  nei  giorno scorsi  all'età  di  80 anni   di  Maurizio Fercioni ( foto sotto  a  sinistra )  considerato il primo t...