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19.11.25

opere letterarie contro i femminicidi e violenza di genere . "Fiabe con il paracadute" di Antonella Petrella (psicologa e psicoterapeuta) e Anna Paolella (pedagogista e dirigente scolastica) e il progetto della Verba Volant edizioni con il libro fiabe in rosso

Quest'anno oltre le puntate delle tecniche di autodifesa e articoli vari , voglio provare ad andare oltre alla solita retorica e concetti ovvi molto spesso ipocriti , riportando qui sul blog notizie  di  opere letterarie .
Infatti come dice
 Fiabe in rosso per la giornata contro la violenza sulle donne  del    sito Scatti dalla mia libreria   : « E’ importante riflettere, in qualsiasi momento dell’anno e non solo il 25 novembre, sul tema della violenza contro le donne, tema che purtroppo ricorre spesso nella nostra cronaca giornaliera. Violenza che si manifesta in tanti modi, non solo con il femminicidio da parte degli uomini.»
I libri per fortuna ci aiutano  ( o  almeno  cosi  pare  ) spesso ad affrontare certe tematiche e ad elaborarle attraverso storie vere, racconti, testimonianze e, perché no, anche favole. »
Sulla scia di due esempi . IL primo    consigliato dall'articolo: «  Nelle scuole un libro di favole per raccontare la violenza >>   dal bel portale  https://www.primonumero.it/     un articolo sul  libro    "Fiabe con il paracadute"  di    Antonella Petrella (psicologa e psicoterapeuta) e Anna Paolella (pedagogista e dirigente scolastica),
due professioniste che hanno a cuore le tematiche sulle donne, sulla loro indipendenza e sull’oltraggio violento che frequentemente spezza la loro vita e la loro sete di emancipazione. Due donne che si sono dette: “Il femminicidio non è un problema delle donne, è un problema di tutti”
  

Dall'articolo citato  e  da mie  ricerche in rete  il  libro  "Fiabe con il paracadute". Pagine di storie - realizzate con il contributo di colleghe, amiche ed insegnanti - scritte per offrire un contributo educativo per un’intelligenza empatica, ma anche per donare uno strumento di prevenzione rispetto ad ogni forma di violenza, soprattutto contro la donna a parlare di tale argomento con racconto che ho trovato sul web . Certo è un racconto un po' infantile, scontato per molti ma adatto ai bambini e agli analfabeti di ritorno e funzionali . Ci sarà  secondo alcuni\e   anche il rischio dibanalizzazione del fenomeno sempre più grave delle relazioni tossiche che sfociano in violernza di genere \ femminicidi . Ma è da qui che bisogna ripartire per poi passare a temi più concreti in questa guerriglia contro culturale . 
 Infatti   il  secondo esempio    viene     da   il progetto della Verba Volant edizioni, nato proprio contro la violenza sulle donne e gli stereotipi di genere: Fiabe in rosso, una raccolta di favole (tra quelle più conosciute dei fratelli Grimm, Andersen e Perrault), rivisitate da Lorenzo Naia e illustrate da Roberta Rossetti, con protagoniste femminili in cui la trama evolve, per alcuni aspetti, in maniera diversa da quella che abbiamo ascoltato tante volte.



Non si tratta di grossi stravolgimenti: le fiabe contenute in questo volume sono quelle che conosciamo e che sono state tramandate nel corso della storia; sono state riattualizzate e consegnate ai giovani lettori che potranno recepire il meglio da esse.


Le illustrazioni sono molto particolari, lontane dall’iconografia classica del fiabesco, con inserti di carta di giornale (che si agganciano idealmente alla realtà e alla cronaca) e la tecnica del collage.


Il rosso, in questo caso, rappresenta il colore del sangue raccontato dall’installazione di denuncia pubblica Scarpe Rosse dell’artista messicana Elina Chauvet.Une bella ed edificante proposta, per grandi e piccini.


 Ma adesso  veniamo ai racconto   che  era  quello   che  volevo  proporre    originariamente    per  il  post    d'oggi . 

Da
Si narra che un giorno il re Artù, mentre era a caccia con i suoi cavalieri, si smarrì e si ritrovò solo in una parte sconosciuta della foresta. Improvvisamente, sentì il corpo immobilizzarsi, come se una forza misteriosa lo avesse paralizzato. Dall’ombra degli alberi emerse una figura minacciosa: un cavaliere vestito di nero, con un’armatura che luccicava sinistra alla luce del sole.
"Ho la tua vita nelle mie mani," disse il cavaliere, "ma ti risparmierò se riuscirai a darmi, entro un anno, la risposta a una domanda. Se fallirai, la tua vita sarà mia."
Artù, pur spaventato, accettò il patto. Il cavaliere gli pose allora la fatidica domanda:
"Che cosa desiderano davvero le donne?"
Artù tornò al castello con il cuore pesante e, nei mesi successivi, partì con i suoi cavalieri alla ricerca della risposta. Chiesero alle donne di ogni rango e condizione: alcune dissero che desideravano amore, altre figli, altre ancora ricchezza o bellezza. Ogni risposta veniva annotata in un grande libro, ma nessuna sembrava quella giusta. Con il passare del tempo, la paura di fallire cresceva.
Un giorno, mentre cavalcava sconsolato per le sue terre, Artù incontrò una donna spaventosa: era enorme, con il corpo deforme, i capelli arruffati e un viso così orribile da far venire i brividi.
Spaventato, cercò di allontanarsi, ma la donna gli parlò:
"Sono Lady Ragnell e conosco la risposta che cerchi. Posso salvarti, ma in cambio voglio sposare uno dei tuoi cavalieri: Sir Gawain."
Artù era inorridito, ma promise di parlarne con Gawain. Tornato al castello, spiegò al cavaliere la situazione, esitante e pieno di vergogna. Gawain, tuttavia, non esitò:
"Mi sposerò con lei, anche fosse un demonio, se questo può salvarti la vita."
Artù tornò da Lady Ragnell e accettò la sua proposta, ma a una condizione: avrebbe potuto sposare Gawain solo se la sua risposta fosse stata quella giusta. La donna sorrise e rivelò il segreto:
"Ciò che le donne desiderano sopra ogni altra cosa è la sovranità su sé stesse: il potere di decidere per la propria vita."
Quando arrivò il giorno dell’incontro con il cavaliere nero, Artù si presentò con il libro delle risposte. Il cavaliere rise, sicuro della sua vittoria. Ma quando Artù pronunciò la risposta di Lady Ragnell, il suo volto cambiò colore.
"Solo mia sorella poteva rivelarti questa verità! Il nostro patto è concluso: sei libero, Artù."
La promessa di matrimonio venne mantenuta, e Lady Ragnell si presentò alla corte per sposare Gawain. Alla sua vista, le dame piansero per la sorte del cavaliere, mentre gli altri uomini tiravano un sospiro di sollievo per non essere stati scelti. Nonostante la sua bellezza e la sua nobiltà d’animo, Gawain mantenne la parola data e celebrò il matrimonio.
Dopo la cerimonia, gli sposi si ritirarono nella loro stanza. Gawain, rispettoso ma esitante, non osava avvicinarsi alla moglie. Fu Lady Ragnell a rompere il silenzio:
"Mi concederesti un bacio, marito mio?"
Gawain si fece coraggio e la baciò. In quell’istante, la donna si trasformò davanti ai suoi occhi: Lady Ragnell era ora una giovane splendida e radiosa.
"Ho vissuto sotto l’incantesimo di mio fratello, il cavaliere nero. Solo un uomo che mi sposasse di sua volontà poteva liberarmi. Tuttavia, posso mantenere questa forma solo per metà del tempo. Ora tocca a te scegliere: vuoi che sia bella di giorno o di notte?"
Gawain rifletté, combattuto tra le due possibilità. Alla fine, con un sorriso, disse:
"Non posso scegliere. È una decisione che spetta a te."
Lady Ragnell sorrise e rispose:
"Con queste parole hai spezzato completamente l’incantesimo. Mi hai dato ciò che ogni donna desidera sopra ogni cosa: la libertà di scegliere per sé stessa. Ora non dovrò mai più tornare al mio aspetto mostruoso."
Si racconta che Gawain e Lady Ragnell vissero insieme felici e innamorati, perché il vero amore nasce dalla libertà e dal rispetto reciproco.




5.10.25

la favola della gomma e della matita [ autore ignoto ]

  trovata in rete  su  Ti Amo Amore



Un giorno, la gomma guardò la matita e, con voce gentile, le chiese:
– Come stai, amico mio?
La matita rispose seccamente, senza nemmeno alzare lo sguardo:
– Non sono tuo amico. Ti odio.
La gomma, colpita da quelle parole taglienti, domandò con tristezza:
– Perché?
– Perché cancelli sempre quello che scrivo – ribatté la matita con rabbia trattenuta.
Ma la gomma, con la dolcezza che nasce da chi conosce il proprio scopo, disse:
– Io cancello solo gli errori. Lo faccio per aiutarti.
– E perché dovresti farlo? – insistette la matita, ancora diffidente.
– Perché è la mia natura. Sono nata per questo – spiegò la gomma, con una calma che non chiedeva nulla in cambio.
La matita scosse la testa:
– Questo non è un vero lavoro.
– Eppure il mio compito è tanto importante quanto il tuo – rispose la gomma con convinzione.
– Ti sbagli, sei arrogante. Scrivere è più nobile che cancellare – insistette la matita, alzando la voce.
Ma la gomma non si scompose:
– Togliere ciò che è sbagliato è come riscrivere ciò che è giusto.
A quel punto, la matita restò in silenzio, colpita da quelle parole semplici ma profonde. Poi, con un filo di malinconia, sussurrò:
– Ti vedo ogni giorno più piccola…
La gomma sorrise teneramente:
– È vero. Ogni volta che cancello un errore, perdo un pezzetto di me. Ma lo faccio volentieri, perché so che sto aiutando.
La matita, con voce roca e occhi lucidi, aggiunse:
– Anche io mi sento più corta ogni giorno…
La gomma allora gli si avvicinò e lo consolò:
– Vedi? Nessuno può fare del bene senza rinunciare a qualcosa di sé. È questo il segreto.
Poi lo guardò con affetto sincero e chiese:
– Mi odi ancora?
La matita, finalmente serena, sorrise:
– Come potrei? Ti vedo sacrificarti ogni giorno per gli altri. Ogni mattina ti svegli, e sei un po’ meno di ieri… ma solo perché hai donato speranza e sollievo.
E allora, con la voce del cuore, concluse:
– Se non puoi essere una matita per scrivere la felicità degli altri, sii una buona gomma che cancella i loro dolori. E semina speranza, ovunque tu passi.Perché il bene non fa rumore… ma lascia un segno che nessuna gomma potrà mai cancellare.

8.2.25

la maestra Tomasa e Pedrito di Tina Spagnolo dal gruppo facebook quando sbagli gruppo

 "Il primo giorno di scuola, la maestra signora Tomasa ha detto ai suoi alunni di quinta elementare che lei trattava sempre tutti allo stesso modo, che non aveva preferenze né maltrattava né disprezzava nessuno. Ben presto si rese conto di quanto sarebbe stato difficile rispettare le sue parole. Avevo avuto studenti difficili, ma nessuno come Pedrito. Arrivavo a scuola sporca, non facevo i compiti, passavo tutto il tempo a disturbare o dormire, era un vero mal di testa. Un giorno non ce l'ha fatta più e si è diretto verso la direzione.Non sono un'insegnante per sopportare l'impertinenza di un bambino viziato. Mi rifiuto di accettarlo più a lungo nella mia classe. Sono quasi le vacanze di Natale, spero di non vederlo quando torneremo a gennaio.La direttrice l'ha
ascoltata attentamente, senza dirle nulla, ha esaminato gli archivi e ha messo nelle mani di Donna Tomasa il libro della vita di Pedrito. L'insegnante ha iniziato a leggerlo per dovere, senza convinzione. Tuttavia, la lettura ha raggrinzito il suo cuore:
La maestra di prima elementare aveva scritto: "Pedrito è un bambino molto brillante e amichevole. Ha sempre un sorriso sulle labbra e tutti gli vogliono molto bene. Consegna i suoi lavori in tempo, è molto intelligente e applicato. È un piacere averlo nella mia classe”.La maestra di seconda elementare: "Pedrito è un alunno esemplare con i suoi compagni. Ma ultimamente è triste perché sua madre soffre di una malattia incurabile”L'insegnante di terza elementare: "La morte di sua madre è stata un colpo insopportabile. Ha perso interesse in tutto e passa il tempo a piangere. Suo padre non si sforza di aiutarlo e sembra molto violento. Penso che lo stia colpendo. ”L'insegnante di quarta: "Pedrito non mostra alcun interesse in classe. Vive a disagio e quando cerco di aiutarlo e chiedergli cosa gli succede, si chiude in un mutismo disperato. Non ha amici ed è sempre più isolato e triste"Poiché era l'ultimo giorno di scuola prima di Natale, tutti gli alunni hanno portato a Doña Tomasa dei bellissimi regali avvolti in fogli raffinati e colorati. Anche Pedrito gli ha portato il suo avvolto in un sacchetto di carta. Donna Tomasa sta aprendo i regali dei suoi studenti e quando ha mostrato quello di Pedrito, tutti i compagni si sono messi a ridere vedendo il suo contenuto: un vecchio braccialetto a cui mancavano alcune pietre e un vasetto di profumo quasi vuoto. Per tagliare al meglio con la risata degli alunni, Donna Tomasa si è messa con piacere il braccialetto e si è versata qualche goccia di profumo su ogni bambola. Quel giorno Pedrito è rimasto l'ultimo dopo la lezione e ha detto alla sua insegnante: "Dona Tomasa, oggi lei profuma come mia madre"Quella sera, da sola a casa sua, Donna Tomasa pianse a lungo. E decise che d'ora in poi, non solo avrebbe insegnato ai suoi studenti lettura, scrittura, matematica... ma soprattutto che li avrei amati e li avrei educati il cuore. Quando tornarono a scuola a gennaio, la signora Tomasa arrivò con il braccialetto della mamma di Pedrito e con qualche goccia di profumo. Il sorriso di Pedrito è stata una dichiarazione di affetto. La semina di attenzione e affetto di Doña Tomasa ha fruttificato in un crescente raccolto di applicazione e cambiamento di comportamento di Pedrito. A poco a poco, tornò ad essere quel bambino applicato e lavoratore dei suoi primi anni di scuola. Alla fine del corso, Doña Tomasa ha avuto difficoltà a rispettare le sue parole secondo cui tutti gli alunni erano uguali per lei, poiché provava una evidente predilezione per Pedrito.Passarono gli anni, Pedrito andò a continuare i suoi studi all'università e la signora Tomasa perse i contatti con lui. Un giorno ricevette una lettera dal dottor Pedro Altamira, nella quale gli comunicava che aveva terminato con successo gli studi di medicina e che stava per sposare una ragazza che aveva conosciuto all'università. Nella lettera lo invitavo al matrimonio e lo supplicavo di essere la sua madrina di nozze.Il giorno del matrimonio, Donna Tomasa ha rimesso il braccialetto senza pietre e il profumo della mamma di Pedrito. Quando si sono incontrati, si sono abbracciati molto forte e il dottor Altamira gli ha detto all'orecchio: "Devo tutto a lei, Donna Tomasa". Lei, con le lacrime agli occhi, gli rispose: "No, Pedrito, la cosa è successa al contrario, sei stato tu a salvare me e mi hai insegnato la lezione più importante della vita, che nessun professore era mai stato capace di insegnarmi all'università: mi hai insegnato a fare l'insegnante".

24.12.24

L’AQUILA E LA BAMBINA CIECA e Storia di Gwaihir l'aquila reale che ritrova il padrone


















Il vento sussurrava tra i pini della montagna, portando con sé gli echi di un mondo lontano. Sofía, una bambina di otto anni, era sola. La sua cecità non era l’unico peso che portava: era stata abbandonata da chi avrebbe dovuto proteggerla. Avvolta in una coperta logora, il suo piccolo corpo tremava a ogni soffio di vento gelido. La montagna, apparentemente indifferente, non era però deserta.
Sopra i picchi innevati, un’aquila calva scrutava il panorama. Maestosa e potente, aveva visto la durezza della vita, ma quella figura minuscola, seduta sul bordo di un dirupo, catturò la sua attenzione. Chiamata Falco dagli abitanti del luogo per la sua grandezza e acutezza, l’aquila scese lentamente. Con un battito d’ali leggero, si posò a pochi metri da Sofía.
Sentendo il vento mosso dalle ali, la bambina girò la testa. Non mostrava paura.
"Chi c’è?" mormorò, con una voce appena udibile.
Falco, ovviamente, non poteva rispondere, ma qualcosa lo spinse ad avvicinarsi.
Un incontro inaspettato
L’aquila fece qualche passo verso Sofía, fissandola come se potesse comprendere la sua fragilità. La bambina allungò la mano con cautela nell’aria, e sorprendentemente Falco non si ritrasse. Con un gesto che sfidava la natura stessa, Sofía riuscì a toccare le sue piume morbide.
"Sei un angelo?" chiese con un filo di speranza nella voce. Per lei, il calore che emanava l’aquila era una risposta.
La notte calava, e il freddo diventava più pungente. In un gesto quasi istintivo, Falco allargò un’ala e la avvolse delicatamente. Nessuno avrebbe mai creduto possibile quella scena: un’aquila che proteggeva una bambina cieca. Sofía, per la prima volta dopo giorni, si addormentò sentendosi al sicuro, mentre Falco vegliava su di lei come fosse il suo cucciolo.
Il viaggio verso la valle
All’alba, il canto degli uccelli svegliò Sofía. Sebbene non potesse vedere, sentiva che il mondo intorno a lei era vivo. Falco, irrequieto, si incamminò verso un sentiero. La bambina, intuendo le sue intenzioni, si alzò e lo seguì, cercando il terreno con cautela.
Il cammino era difficile, pieno di pietre e rami. Sofía inciampava spesso, ma ogni volta Falco si fermava pazientemente, emettendo un lieve suono, come per incoraggiarla a continuare.
Giunti a una radura, Falco lanciò un grido acuto. Dall’alto, altre aquile risposero. Sembrava che stesse chiedendo aiuto. Poco dopo, uno stormo iniziò a sorvolare l’area, guidando Sofía verso il fondo valle.
Il viaggio durò ore, ma nel pomeriggio Sofía sentì qualcosa che le fece accelerare il passo: il mormorio di un fiume e voci umane in lontananza.
Il miracolo del villaggio
Quando Sofía raggiunse il villaggio, gli abitanti rimasero senza parole: una bambina cieca, guidata da un’aquila e seguita da uno stormo di uccelli. Era un’immagine quasi sovrannaturale.
Un uomo, Andrés, di 42 anni, corse verso di lei.
"Stai bene, piccola?" le chiese inginocchiandosi.
Sofía sorrise per la prima volta dopo giorni.
"Sto bene, grazie a Falco," rispose, indicando l’aquila, ora posata su una roccia vicina.
Andrés guardò l’aquila, visibilmente colpito. Era come se l’animale capisse tutto ciò che stava accadendo. Gli abitanti del villaggio, commossi dalla storia di Sofía, decisero di prendersi cura di lei. Venne accolta da Clara, una donna di 50 anni che aveva perso sua figlia anni prima. Clara la portò a casa, e da quel momento Sofía trovò non solo un tetto, ma anche una famiglia che la amava.
Un nuovo inizio
Col passare dei mesi, la storia di Sofía e Falco divenne leggenda. L’aquila continuava a visitarla, posandosi sull’albero davanti alla sua finestra, come per assicurarsi che stesse bene.
Sofía imparò ad adattarsi alla sua cecità. Andrés, che era un musicista, le insegnò a suonare la chitarra. Clara le leggeva libri e le raccontava il mondo attraverso le parole.
Un giorno, mentre suonava una melodia davanti al villaggio, Falco riapparve e lanciò un grido che riecheggiò tra le montagne. Per Sofía, quel suono non era solo un richiamo, ma una promessa: non sarebbe mai stata sola.
La bambina abbandonata aveva trovato il calore di un protettore improbabile tra le fredde montagne e, in un piccolo villaggio, un amore che guarì tutte le sue ferite.




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AGI - L’hanno ribattezzata Gwaihir, come il re delle aquile di Tolkien nella saga Il Signore degli Anelli. Ed è un magnifico esemplare di aquila reale, 4 chili e un’apertura alare di 2 metri, quello trovato disorientato e malconcio in una campagna in provincia di Napoli dal Servizio veterinario dell’Asl Napoli 2 Nord, che ha subito compreso quanto le condizioni del rapace fossero delicate.
Di qui la decisione di affidarlo alle cure del Centro di Recupero Animali Selvatici (Cras) dell’ ateneo Federico II – Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali, attivo presso il presidio ospedaliero veterinario dell’Asl Napoli 1 Centro. Qui, i veterinari hanno stabilizzato le sue condizioni cliniche, scoprendo che l’aquila, dotata di un anello identificativo e microchip, era in realtà un esemplare detenuto legalmente e con un padrone.
Grazie alla collaborazione con i Carabinieri Forestali Gruppo di Napoli Nucleo Cites è iniziata così la ricerca del proprietario e a meno di 48 ore dal suo ritrovamento, dopo le verifiche del caso sulla documentazione, il giovane Gwaihir è stato restituito a chi con cura e rispetto si prendeva già responsabilmente cura di lui.

17.1.24

la destra continuerà ad attaccare la cortellessi anche dopo il discorso integrale della Luiss ?

 Dopo  i mei articoli :  I II  Riporto  sotto   il discorso integrale che Paola Cortellesi, attrice e regista reduce dallo strepitoso successo nelle sale del suo debutto da regista C’è ancora domani, ha tenuto in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno accademico dell’Università Luiss. Alcuni stralci del discorso sul sessismo nelle fiabe erano stati pubblicati in questi giorni e avevano suscitato diverse polemiche. Ci voleva molto a diffonderlo subito a evitare polemiche ed ....bla...bla....  inutili ed  volgari  
Ma soprattuttto : << Bisognerebbe vergognarsi per la spazzatura che le hanno tirato addosso, anche quelli che si professano "femministi" o sembrano con un po' di sale in zucca.....Ma la vergogna e' sentimento per chi ha intelligenza e dignita' >> (Angela Vitaliano   facebok il 15 gennaio alle ore 16:24). 
 Prima  di  lasciarvi  al discorso ( condivisibile  o meno )     della  Cortellesi   affermo  che    adesso ha  un altro senso  risetto  alla ....  lanciatagli  .Inoltre  avrei   dei dubbi     , delle domande  elucubratorie  sul perchè  solo ora   la  Luiss  ha  deciso di    rilasciare  l'intervento integrale  e  non  subito  .  Ma   visto    il clima   che si è creato   con il caso Lucarelli  e  la  coerenza   con quanto  ho detto   nei post precedente su tale argomento   ( https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2024/01/notizie-non-notizie-e-shitstorm-il-caso.html )   opto  per   il  silenzio   e  il lasciare andare   come  suggerisce  la  famosa  Let It Be (Testo) - The Beatles

Non riuscendo  ad incorporare  il video  nel post      riporto dal post     torvato su   fb     sia  la trascrizione  integale dell'intervento    sia  l'url con   il  video


· Grazie a Paola Casella per la segnalazione.Due giorni di polemiche inutili ormai scomparse dai mediaPaola Cortellesi, il monologo integrale sul sessismo nelle fiabe tenuto all'Università Luiss (sky.it)
"Grazie professoressa Severino, grazie a tutti voi, buongiorno agli ospiti, buongiorno ai ragazzi. Mi chiamo Paola Cortellesi, sono un’attrice, da una ventina d’anni scrivo per la radio, il teatro e la tv. Da dieci anni scrivo film per il cinema e da poco ho esordito alla regia con C’è ancora domani, uno spericolato film d’epoca, in bianco e nero che, in soldoni, tratta di prevaricazione e violenza di genere. Una mattonata, sulla carta, come diremmo in gergo. Con questi presupposti, nessuno si sarebbe aspettato un ampio gradimento della pellicola, e invece, contro ogni pronostico, questo film ha avuto un successo travolgente, ha battuto molti record e al momento è stato visto nelle sale cinematografiche da più di 5 milioni di persone", con queste parole ha esordito l'attrice, sceneggiatrice e regista, ospite all'Università Luiss. "Io ho iniziato il mio lavoro come attrice quasi trent’anni fa, nel mio settore ho avuto molte soddisfazioni, ricevuto importanti riconoscimenti ma, ultimamente, intorno al clamore suscitato dal film, l’interesse nei miei confronti è cresciuto spropositatamente. Questo a volte genera cose anche spiacevoli, come gli adulatori - da cui bisogna sempre guardarsi - e una certa diffusa aggressività di alcuni nel tentativo di trarre vantaggio da questi miei quindici minuti di popolarità. Fenomeni passeggeri e di nessun conto rispetto a esperienze magnifiche e per me eterne come incontrare la commozione sincera delle persone in sala a fine proiezione e la condivisione spontanea di momenti importanti e a volte duri della loro vita", prosegue Paola Cortellesi davanti alla platea composta dagli studenti dell'università Luiss."Tra le cose belle e piacevoli, c’è la telefonata di Luigi Gubitosi (presidente della Luiss, ndr). Quando mi ha chiamata per propormi di essere qui oggi per l’inaugurazione dell’anno accademico di questa prestigiosa università, mi sono sentita fiera, onorata e... inadatta. Io che l’università l’ho lasciata a metà del percorso per andare a studiare teatro - quello l’ho studiato - che poi è diventato il mio lavoro, gli ho risposto che mi sentivo orgogliosa di parlare agli studenti ma che sarebbe forse stato meglio chiamare persone competenti in materia di legge, marketing, economia, perché le mie conoscenze non hanno molto a che vedere con i corsi di studio di questa università e che - le interpreti, le diriga o le scriva - le mie competenze si limitano a raccontare storie. E allora Luigi mi ha risposto: ‘E io questo chiedo, io questo voglio! Racconta il tema del tuo film, fai un racconto nel racconto. Le storie fanno bene, le storie fanno crescere, sono uno stimolo di riflessione’. Ha ragione, quindi eccomi qua", dice Cortellesi."Eccomi qua a cercare di capire insieme a voi perché questa storia di violenza e prevaricazione in bianco e nero ambientata nel passato abbia fatto breccia nel cuore di così tante persone. Perché, perché è successa questa cosa", si domanda Cortellesi."In breve, vi dico la trama, per chi non avesse visto il film, immagino molti di voi (sarebbe davvero presuntuoso pensare che l’avete visto tutti). Delia - che io interpreto, quindi una signora della mia età - è la moglie di Ivano, madre di tre figli. Moglie, madre. Questi sono i ruoli che la definiscono, e questo le basta. Siamo nella seconda metà degli anni Quaranta e la nostra famiglia qualunque vive nella Roma divisa tra la spinta positiva della liberazione e le miserie della guerra da poco alle spalle. Ivano, suo marito, è capo supremo e padrone della famiglia. Lavora per portare i pochi soldi a casa e non manca occasione per sottolinearlo, a volte con toni sprezzanti, altre direttamente con la cinghia. Ha rispetto solo per il suo anziano padre, il Sor Ottorino, un vecchio cattivo e dispotico di cui Delia è a tutti gli effetti la badante. È primavera e la nostra Delia è in agitazione per il fidanzamento dell’amata primogenita, Marcella, con un ragazzo di buona famiglia, Giulio. Un buon matrimonio per la figlia è tutto ciò a cui Delia aspiri. Non chiede nient'altro Delia. Accetta la vita che le è toccata e, se tutto procedesse come stabilito, la nostra storia finirebbe qui. Se non ci fosse l’ostilità dei genitori di Giulio, se non ci fosse tutto quel fermento in città, se non avesse incontrato Nino, il suo primo amore, e se non avesse ricevuto una misteriosa lettera che le toglie il sonno e che le darà il coraggio di provare a pensare a un futuro migliore", spiega Paola Cortellesi. "Ora, detta così, sembra una delle trame di tante fiabe per bambine, sempre un po’ sinistre a dire la verità... Voi ne conoscete qualcuna immagino, no? Cappuccetto Rosso, no? Forse queste sono dei tempi miei, ma immagino che Cenerentola, Biancaneve… queste le conoscerete. Comunque, per chi non le conoscesse… Cenerentola e Biancaneve narrano di giovani sprovvedute, dotate di rara bellezza e di un’ingenuità disarmante (ai limiti della patologia), che subiscono angherie di ogni genere da altre donne malvagie. Quindi la matrigna sfrutta Cenerentola, ragazza bravissima nelle faccende domestiche (che solitamente svolge cantando). E la matrigna tiene nascosta l’avvenenza della ragazza al principe. Ma grazie a una magia, a Cenerentola basta presentarsi in tutto il suo splendore per un paio d’ore perché il principe se ne innamori perdutamente. La matrigna la tiene nascosta ma lui, scaltro, la ritrova e la riconosce… perché l’aveva vista? No: perché ha i piedi sproporzionatamente piccoli... Comunque alla fine lui la salva e la sposa. Questa era la prima cattiva, la matrigna", prosegue l'attrice, sceneggiatrice e regista. "La regina di Biancaneve è ancora più canaglia perché lei è di fatto la mandante del tentato omicidio di Biancaneve. Perché lo fa? Perché lei vuole essere la più bella del reame. Quindi anche con l’aggravante dei futili motivi… Tentato omicidio perché il cacciatore, uomo coraggioso e di buon cuore, non ce la fa. Anche perché la ragazza è troppo bella. È bella. Fosse stata una cozza, al limite l’avrebbe squartata, ma è così bella… E poi è ingenua, perché proprio è ingenua come un cucciolo di labrador. E lui la lascia andare. Allora Biancaneve incontra i Sette Nani, presso i quali si adopera per un periodo come colf. Poi, nonostante le mille raccomandazioni, anche dei Sette Nani, Biancaneve si fida di una vecchia orrenda, con l’aspetto da strega e che infatti è la strega. Morde la mela avvelenata, muore. Risorge grazie a chi? Al principe. A un bacio del principe, che se ne innamora perdutamente perché? Perché è bella. Quindi il principe la salva e la sposa. Ecco, entrambe le ragazze, bellissime - per carità - ma un po’ stralunate, trovano la loro realizzazione nel matrimonio con il principe. Un estraneo. Un estraneo che sposano subito, senza pensarci, senza nemmeno esserci uscite una volta a cena", aggiunge Cortellesi. "Tornando alla trama del mio film, dicevo che la vita della povera Delia è talmente ingiusta da sembrarci la versione deprimente di una favola per bambine, e invece è storia. È storia piuttosto consueta di una famiglia qualunque della seconda metà degli anni Quaranta. Scena 1: uno schiaffone in pieno viso e via, come se niente fosse. Ecco, io avevo questa immagine e il desiderio di mettere in scena - attraverso Delia - le donne che ho immaginato dai racconti delle mie nonne e delle mie bisnonne. Vicende vere, drammatiche, però narrate con disincanto, e addirittura la volontà di sorriderne. Storie di vite dure, condivise con tutte nel cortile. Gioie e miserie, tutto in piazza, sempre. In quei racconti c’erano le donne comuni, quelle che non sono passate alla storia, quelle che hanno accettato una vita di prevaricazioni perché così era stabilito, senza porsi domande. Questo è stato, questo a volte è ancora", racconta Paola Cortellesi. "Da allora le donne hanno fatto grandi passi avanti, si sa, ma come sapete la cronaca ci racconta che in Italia si consuma un femminicidio ogni 72 ore, in media. Donne assassinate per la sola ragione per essere donne, il più delle volte da uomini che dicevano di amarle così tanto da considerarle loro proprietà. Nel nostro Paese ci sono uomini, quindi, anche giovanissimi, che non hanno la capacità di gestire un rifiuto, che non tollerano l’emancipazione, l’allontanamento della donna che credono di amare. E questo, nei casi più tragici, si traduce con : 'o mia o di nessun altro, mai più'", sottolinea l'interprete e cineasta. "Quando ho scritto questo film insieme ai miei co-sceneggiatori abbiamo studiato le dinamiche, da lì siamo partiti: le dinamiche sempre uguali che oggi caratterizzano un rapporto tossico. La donna è isolata, allontanata dalla famiglia d’origine e dalle amicizie; è continuamente vessata da un linguaggio denigratorio, subisce percosse e rapporti sessuali non consensuali. Non è indipendente economicamente, non può scappare. La prigioniera perfetta, la preda perfetta. Questa condizione, che oggi ci ripugna, era all’ordine del giorno alcuni decenni fa, e nessuno allora gridava allo scandalo, nemmeno le donne stesse, perché quello era stato prospettato loro fin da bambine: servire, ubbidire, tacere", fa notare Cortellesi. "Avevo intenzione di fare un film contemporaneo ambientato in un passato non troppo remoto e seguire la crescita di un germoglio spontaneo di consapevolezza in una donna che non sa nulla, che non conta nulla e che appunto si sente una nullità. Delia, la nostra Delia, non vale niente, così le hanno insegnato, ma una lettera con sopra il suo nome - il suo, non quello del marito - e l’amore per sua figlia le accendono il coraggio di cambiare le cose. Io ho trovato il riscatto di Delia, il finale del mio racconto, leggendo con mia figlia un libro per bambine sulla storia dei diritti delle donne. Ho provato a immaginare cosa abbiano provato quelle donne, quelle reali, nel ricevere una lettera in cui qualcuno, lo Stato in quel caso, qualcuno tanto più importante dei loro aguzzini domestici, certificava il loro diritto di contare", spiega. "Con C’è ancora domani ho voluto raccontare le imprese straordinarie delle donne qualunque che hanno costruito ignare il nostro Paese. Delia è le nostre nonne e bisnonne. Chissà se loro hanno mai intravisto un domani. Per Delia un domani c’è: è un lunedì ed è l’ultimo giorno utile per cominciare a costruire una vita migliore. La nostra Delia si salva, e non grazie al coraggio del cacciatore, né tantomeno fuggendo su un cavallo insieme al principe. Si salva esercitando un suo diritto, suo e di milioni di altre donne. Si salva con la consapevolezza e un ritrovato rispetto di se stessa".E infine Paola Cortellesi analizza come segue lo strepitoso successo che ha raccolto la sua pellicola: "Credo che - al di là dello stile e della bellezza del film, per chi lo abbia ritenuto tale - alla base di questo successo ci sia l’empatia, l’immedesimazione. Questo film trascende la fruizione cinematografica ed entra nel quotidiano, evidentemente, e questo non grazie alle mie capacità ma a causa, ahimè, di un’urgenza di riscatto. Perché le giovani generazioni dovrebbero immedesimarsi con una storia del passato? È cambiato tutto, io stessa non posso immedesimarmi in una donna del secolo scorso che è stata trattata al pari di una schiava. Ma allora cos’è che ci tocca? Cosa riconosciamo? La violenza in tutte le sue forme. E se quella fisica per fortuna è una violenza che non ci ha mai riguardato, quella violenza ognuno di noi l’ha percepita almeno una volta nelle parole, negli atteggiamenti, nei commenti sgradevoli a scuola, a casa, sul lavoro. Vive e prolifera nelle piccole cose, ci inganna piano piano. È così presente da risultare invisibile, talmente presente che la diamo per scontata e ci convince che così deve essere, come niente fosse. Noi diamo per scontato che per un ragazzo una passeggiata notturna è una passeggiata notturna mentre per una ragazza è un percorso potenzialmente pericoloso da affrontare in fretta e con mille cautele? È ingiusto, è folle, è sotto i nostri occhi ma a volte lo diamo per scontato, non lo riconosciamo perché è negli schemi", prosegue la cineasta. "Lo sentiamo da piccoli, quando alle bambine con un’indole vivace viene dato del ‘maschiaccio’. Qualcuno ha stabilito che le femmine debbano essere composte, pacate, remissive, graziose e che la vivacità debba appartenere al maschio, a cui viene attribuita non si sa come un’innata aggressività, che infatti diventa ‘maschi-accio’ Accio, dispregiativo se associato a una bambina. lo sentiamo quando ai bambini che piangono si dice ‘non fare la femminuccia’. Come se i maschi non avessero il diritto di piangere, di essere sensibili e fragili. La fragilità è delle femmine, individui deboli. Ucce, femmin-ucce, diminutivo. Loro hanno facoltà di lamentarsi, ai maschi si impone di reagire e farlo subito, pure a cinque anni, quasi che un fisiologico tempo di delusione e di sconforto li esponga al pericolo di una qualche perdita della virilità", continua Paola Cortellesi. "Schemi, condizionamenti tramandati in buona fede se non dalle nostre famiglie dalla nostra società. Modelli in cui finiamo per rinchiuderci pur di piacere, di accontentare, di non deludere le aspettative", illustra Cortellesi, facendo infine un augurio a se stessa, al suo pubblico e a tutta la società."Quello che mi auguro per voi ragazzi è che non abbiate mai paura di uscire dai condizionamenti. Che accettiate il rischio di sembrare strani o pazzi, se questo significherà scegliere. Spero, care ragazze, che non assecondiate l’idea che gli altri hanno di voi. Sono modelli che delimitano la vostra personalità e limitano le vostre prospettive. Spero, cari ragazzi, che siate parte attiva di questa lotta, praticando il rispetto, ammonendo chi non lo fa. Non siate indifferenti, l’indifferenza è una scelta, ed è quella sbagliata. Siate straordinari, concedetevi il dubbio, perché è la vostra libertà", queste le sue parole. "Come dicevo, non ho nulla da insegnare, ma a cinquant’anni ho qualcosa da raccontare. Vi parlo con l’unico vantaggio dell’esperienza. Se alla vostra età avessi potuto contare sul vantaggio di chi era più vecchio, non avrei commesso molti errori. Fate tesoro di chi è in vantaggio, traetene beneficio. Gli errori, si sa, aiutano a crescere. Commetteteli allora, ma fatelo nel tentativo, anche maldestro, di liberare la vostra creatività, di costruire la vostra indipendenza. L’errore che invece potete evitare è fare esclusivamente ciò che si aspetta da voi e quello che gli altri decidono per voi. Siate sempre i protagonisti del vostro progetto e mai le comparse del progetto di qualcun altro. Grazie”, così conclude Paola Cortellesi inaugurando l'anno accademico all'Università Luiss.


22.12.18

La favola di Pio, portiere che non sente campione nel silenzio

coraggio Pio , anche se non sono completamente non udente come te , capisco benissimo la tua lotta , in quanto anch'io ho fortissimi problemi d'udito .



La favola di Pio, portiere che non sente campione nel silenzio
Calcio e inclusione. Il ragazzo di 17 anni, non udente dalla nascita, gioca coi “normodotati” dell’Atletico Vitalica di Sarno

di  PASQUALE RAICALDO

In fondo ha dovuto semplicemente fare quello che ama più di tutto: parare. Però era emozionato, Pio Grimaldi, classe 2001, quando domenica 9 dicembre ha esordito tra i pali dell'Under 19 dell'Atletico Vitalica, una squadra di calcio a 5 di Sarno, nel Salernitano, il cui nome che è già un inno alla gioia di vivere. Per lui è stata una prima volta importante: mai aveva giocato tra i cosiddetti "normodotati", lui che è non udente dalla...  continua  nella  versione a pagamento di    https://rep.repubblica.it/

ma  curioso  cme sono   ho cercato altri siti free    ecco cosa  ho trovato   cercando con google  
  

da  https://www.lacittadisalerno.it/


Salerno Calcio a 5

La favola di Pio, diciassettenne portiere senza parola ed udito

Ha esordito con la maglia del Vitalica Sarno contro la Nocerina
Sergio Macellaro
Pubblicato: martedì 11.12.2018 alle 12:10
SALERNO – Una storia d’amore per lo sport che supera tutta le barriere. Lui non può parlare né sentire come gli altri, lo fa con gli occhi e con il cuore. Il diciassettenne Pio Grimaldi ha esordito nel campionato Under 19 regionale di calcio a 5 come portiere dell’Atletico Vitalica, nonostante sia un non udente. «Noi il nostro campionato lo abbiamo già vinto», sottolinea Nello Gaito, presidente del club sarnese.I calciatori del Vitalica a fine gara hanno festeggiato la vittoria 4-2 con i pari età della Nocerina, ma più di tutto hanno voluto rivivere insieme l’esordio del loro compagno che con gli occhi sprizzava felicità. «Si sta davvero impegnando a fondo e meritava senza ombra di dubbio l’esordio – le parole dell’allenatore Francesco Manco -. Quando gli ho detto di prepararsi ci siamo guardati negli occhi, entrambi ci siamo emozionati. Una volta in campo ha dato una bella dimostrazione di gioco e gli ho spiegato che pian piano avrà sempre più spazio.Un grazie va anche a Daniele Mazzuolo, altro nostro portiere, che gli sta dando una grande mano. Francamente il risultato è passato davvero in secondo piano, vedere la gioia di quel ragazzo ci ha reso tutti più felici. Lo sport può veramente dare tanto a tutti noi».


29.11.18

ritorno al medioevo ? unicità del potere temporale e potere politico ?Alcune mamme vietano ai figli delle elementari di assistere alle opere di Mozart perché ritenute troppo sessualmente esplicite, mentre altre vogliono cambiare i finali delle fiabe


 da https://www.ilsussidiario.net/news/donnaemamma/2018/11/28/



MAMME CONTRO LE FIABE A SCUOLA/ Mozart e Andersen censurati ai bambini perché troppo ‘osé’

Alcune mamme vietano ai figli delle elementari di assistere alle opere di Mozart perché ritenute troppo sessualmente esplicite, mentre altre vogliono cambiare i finali delle fiabe

28.11.2018 - Paolo Vites
cenerentola_R400
                                               Cenerentola di Disney
Le fiabe (che sono una cosa diversa dalle favole) sono la memoria popolare di chi ci ha preceduti. Cancellare le fiabe vuol dire cancellare la nostra storia, la nostra cultura, la nostra memoria. Tramandate di generazione in generazione per secoli, non erano necessariamente pensate per i bambini: si usava raccontarsele mentre si lavorava, un modo per aiutare a passare il tempo, un po’ come oggi si tiene la radio accesa mentre si lavora. In questo modo cambiavano continuamente, ogni narratore introduceva elementi diversi a seconda del suo gusto e della sua capacità. Poi arrivarono i grandi scrittori come i fratelli Grimm, Perrault, Andersen che ne fecero la versione per così dire definitiva, sfruttando anche l’aspetto commerciale grazie ai nascenti libri. Nelle fiabe la realtà è sempre rigorosamente distinta tra buoni e cattivi, c’è sempre un lieto fine e c’è sempre una morale che ha uno scopo didattico. Come si capisce, la fiaba è uno strumento educativo necessario quando si rivolge ai bambini.

MAMME PROTETTIVE

Nonostante questo, l’eccessiva preoccupazione di alcune mamme di Bologna ha portato a chiedere alla burattinaia Margherita Cennamo di cambiare il finale della Regina delle nevi in uno spettacolo per le scuole elementari: invece del diavolo, mettere un mago; invece che una scheggia nell’occhio un ago che infilza un dito. In un mondo in cui le mamme lasciano i loro figli guardare certi telefilm, certi cartoni che inneggiano alla violenza, seguire lo stile di vita dei calciatori fatto di droga e sesso, ascoltare canzoni infarcite di insulti e allusioni al sesso, queste preoccupazioni appaiono patetiche. Ad Ascoli Piceno, si legge sul Corriere della sera di oggi, il Così fan tutte di Mozart è stato vietato a due classi delle elementari perché troppo “disturbante” con le sue allusioni al sesso per i bambini. Commenta Sofia Bigemini, psicoterapeuta, che «Ultimamente vedo il mondo adulto spaccato in una vistosa incoerenza: da una parte ci convinciamo che i ragazzi siano fragilissimi e abbiano bisogno della nostra protezione; dall’altra però, più o meno consapevolmente, li esponiamo a un bombardamento di immagini e simboli fortemente erotizzanti». E’ questo, aggiunge, che manda in confusione i ragazzi. Certo, certe fiabe sono terrorizzanti (si chiama educazione alla realtà) e certi cambiamenti ci sono stati anche in passato: si pensi che già secoli fa la matrigna di Biancaneve era in origine la mamma, poi cambiata perché si riteneva non giusto che i bambini vedessero una mamma comportarsi così male. Oggi tra l’altro è difficile trovare una mamma che racconti delle fiabe ai propri figli, meglio lasciarli davanti alla televisione a rimbambirsi fino all’ora di andare a letto o guardare certi talent show ineducativi sin dalla loro concezione come esaltazione della vita intesa come successo facile senza fatica.

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...