leggo sull'unione sarda dei giorni scorsi ( mi pare del 28 giugno )
EDOARDO CAPUANO DAVANTI ALLA COMMISSIONE
di Due maturità speciali , concordo con il giornale , perché , almeno da quel che ho modo div vedere e sentire qui in sardegna ed da esperienza diretta ( la figlia di una parente di mia madre è down e mia madre ha avuto dei ragazzi con problemi in classe ) di down che hanno fatto le superiori ne ho , magari ci sono negli ultimi anni , almeno finchè ho studiato a scuola e pi all'università , mai visto.
dall'unione : << A Olbia è toccato a Edoardo, 19 anni, ( foto sopra ) affetto da sindrome di down. Ieri ha sostenuto la prova orale al liceo scientifico Mossa. A Cagliari a breve toccherà a una ragazza-madre di etnia rom. >> Sempre per esperienza personale conoscenti fra i rom ,e dati statistici generalmente il livello d'istruzione fra i rom non arriva alla scuola dell'obbligo . Sono due storie speciali quelle con cui si sono misurati i commissari degli esami di maturità. Hanno in comune grinta, determinazione ed entusiasmo. Il protagonista della prima è Edoardo Capuano, 19 anni. E' nato con un cromosoma di più. Ieri ha raggiunto un obiettivo che non è comune tra i ragazzi come lui. Ha sostenuto la prova orale dell'esame di maturità al liceo scientifico "Mossa" a Olbia. E' già promosso, dice la somma tra le prove già sostenute. Deve ancora sostenere il colloquio orale, invece, a Cagliari, Elisabetta Sulejmanovic, 23 anni. E' una ragazza-madre. E' la prima giovane Rom a conseguire la maturità in città. "Dovrebbe essere addirittura la prima in Sardegna", dice Gianni Loy, presidente della Fondazione Anna Ruggiu.
Iniziamo dalla prima storia
OLBIA. La prova ieri allo Scientifico Mossa, ora l'obiettivo è iscriversi all'Università
L'esame speciale di Edoardo
Liceo a pieni voti: oltre il muro della sindrome di down
Ieri mattina ha affrontato la commissione per primo, forte di ottimi voti agli scritti e dei crediti: la sindrome di down non ha fermato Edoardo.
Un cromosoma in più, neppure una chance in meno. Non una scuola tanto per tenere impegnato il tempo, non uno sport fatto per finta, non una notte in discoteca negata. Sandra Varrucciu, mamma di tre figli, ha dettato la linea da subito, da quando il suo primogenito - nato con una sindrome di down - aveva pochi mesi. E ieri Edoardo Capuano, 19 anni, ha raggiunto un traguardo raro per quelli come lui: ha sostenuto l'esame orale della maturità scientifica al liceo Mossa di Olbia. Una maturità e un programma speciale per un ragazzo con esigenze speciali: Edoardo, in base ai crediti e agli scritti è già promosso e ci sono le basi perché il suo sia uno dei voti più brillanti di quest'anno.
LA STORIA Dietro questa storia c'è una famiglia speciale. Sandra, suo marito Clemente Capuano, Edoardo, l'inseparabile fratello Riccardo, un anno più piccolo, giovane promessa dell'Olbia calcio e Simone, il piccolo di casa. Tutti al liceo, ieri mattina, a sostenere Edo . «Non ho mai avuto problemi con il bambino, - racconta la mamma - solo con le strutture, con la gente. Con quelli che pensano che sei esagerata ad avere certi obiettivi. Io non ho mai visto Edoardo come un diversamente abile, non l'ho mai trattato come tale. Ho preteso che fin dalla scuola materna facesse le stesse cose degli altri. Certo, con i suoi tempi. Non ci si può alzare? Anche lui deve stare seduto, senza trattamenti privilegiati. C'è un lavoretto di manualità e si devono usare le forbici? Anche lui deve farlo. Arriva un po' più tardi degli altri, ma arriva. Una volta, erano alle elementari, hanno chiesto a Riccardo ma tuo fratello è malato? e lui no, non ha la febbre . Per noi è malato chi ha la febbre».
L'ESAME Edoardo era il primo della sua classe, la V C, ieri mattina, ad affrontare la commissione. È arrivato presto, prima delle otto, per stare con i suoi compagni. Poi è entrato, accompagnato dall'insegnante di sostegno Alessandra Bonelli, e dall'incoraggiamento di un'intera scuola. Sullo schermo scorrono le immagini del cortometraggio sui 150 anni dell'Unità, un progetto che ha visto Edoardo tra i protagonisti. È il lancio per parlare di Garibaldi e del Risorgimento. Per la fisica, il tema è l'elettricità, si usa un gioco didattico. «Edoardo ha un piano personalizzato, ciò significa che ha i suoi obiettivi», spiega Alessandra Bonelli: «Ha frequentato la scuola regolarmente, tutti i giorni, dalla prima all'ultima ora, ha studiato gli stessi argomenti dei suoi compagni, ma con un linguaggio semplificato».
VITA QUOTIDIANA «Non ho mai detto ad Edoardo, no, questo tu non lo puoi fare . - racconta Sandra Varrucciu - Ho sempre detto, in tutte le cose, proviamo perchè ce la possiamo fare . Ad iniziare dalla scuola. Lui, fin da bambino aveva scelto il liceo scientifico ed eccoci qua, malgrado le tante perplessità della gente che magari pensa che quelli come lui a scuola debbano stare parcheggiati». Edoardo sa cos'è la sindrome di down. «Il professor Albertini, che lo segue a Roma, raccomanda sempre di spiegare ai bambini questa loro caratteristica perché prima o poi lo leggono negli occhi della gente e subentrano i problemi. Edo è molto agevolato dall'avere un fratello quasi coetaneo, nella stessa scuola. Esce, va in pizzeria, in discoteca, vanno dappertutto insieme. Ora vorrebbe fare l'Università ma non ce la sentiamo di mandarlo da solo in un'altra città. I ragazzi come lui sono troppo fiduciosi e possono correre qualche rischio. Quindi si prenderà un anno sabbatico, continuerà a fare teatro e poi vedrà se iscriversi insieme al fratello. Per lui sogno una vita serena, magari con una compagna».
LA SCUOLA Ottocento ragazzi e mai un gesto sbagliato. La mamma racconta così l'accoglienza del liceo Mossa. «Quando è arrivato Edoardo ero dirigente da appena un anno - racconta Luigi Antolini - e lui era il primo ragazzo con sindrome di down ad affrontare un percorso liceale qui ad Olbia. È stata una bella sfida ma abbiano fortemente creduto che anche un liceo possa e debba essere una scuola di inclusione mantenendo i suoi obiettivi di formazione. È stato possibile grazie a un lavoro di squadra e alla collaborazione con la famiglia. Edoardo ci ha insegnato tanto».
IL FUTURO «Ho voluto raccontare la storia di Edoardo per incoraggiare altre mamme», conclude Sandra Varrucciu: «Ne incontro tante, spaventate, con i bambini piccoli, non sanno che futuro li aspetta. Io dico che non è difficile se pensi di avere a che fare con un bimbo qualsiasi». Perchè in fondo, ogni figlio è una sfida diversa.
Caterina De Roberto
CAGLIARI. Consegnata una borsa di studio a sei brillanti studenti della stessa etnia
Elisabetta, la ragazza Rom si diploma
Elisabetta Sulejmanovic, 23 anni, è una ragazza-madre di etnia Rom che sta per coronare il suo sogno più grande: conseguire il diploma. Il traguardo è vicino, manca solo l'orale, dopodiché sarà la prima diplomata Rom cagliaritana. Una bella soddisfazione. Dal 19 giugno è impegnata nell'esame di stato insieme ad altri seimila studenti del capoluogo. «Dovrebbe essere addirittura la prima in Sardegna», riferisce Gianni Loy, presidente della Fondazione Anna Ruggiu, dal 2001 in prima linea per difendere i Rom dalle discriminazioni e sostenerli nel percorso di studio. Elisabetta ha scelto l'istituto professionale Pertini di via Vesalio, indirizzo Servizi sociali. «Ha frequentato da noi il triennio», riferisce la vicepreside, Lucia Usai, «poi è stata costretta a mollare per motivi personali. Ora sta concludendo da privatista. Le tre prove scritte dovrebbero essere andate bene, credo che sarà promossa». La comunità Rom incrocia le dita. Al Pertini tifano per lei e il 3 luglio, giorno dell'orale, la giovane sarà festeggiata dai compagni. Elisabetta rappresenta l'eccellenza ma non è l'unica Rom che si è distinta negli studi.
ECCELLENZE ROM Ieri l'aula consiliare del Municipio di via Roma ha ospitato la cerimonia di premiazione di altri 6 ragazzi che hanno brillato. Iniziativa della Fondazione Ruggiu culminata, per l'undicesimo anno consecutivo, nel conferimento di borse di studio da mille euro ai più meritevoli. Gli onori di casa sono stati fatti dal presidente del Consiglio comunale, Ninni Depau, affiancato dall'assessore alle Politiche sociali, Susanna Orrù, e dal presidente della fondazione, Gianni Loy.
Significativa la presenza del Garante provinciale per l'infanzia Gian Luigi Ferrero (ex giudice del Tribunale per i minori) e della presidente del Comitato Unicef di Cagliari, Rosella Onnis. In un clima di festa sono stati premiati cinque dei sei alunni (mancava Susanna Halilovic, dell'alberghiero Gramsci di Monserrato). Ecco i nomi: Cristian Milanovic di Porto Torres (iscritto al Nautico, promosso a pieni voti al secondo anno), Sanela Majanovic di Pabillonis (della scuola per ragionieri Michelangelo di Guspini), Merfina Selimovic e Teresa Sulejmanovic (studentesse del Gramsci di Monserrato) e Milena Dragutinovic, le cui lodi sono state tessute dalla docente Rosalba Cocco, vicepreside del Liceo delle scienze umane “Tommaseo” di Cagliari.
IL DIPLOMA E LA MARINA Grande emozione in aula quando la docente del Nautico di Porto Torres, Maria Antonietta Cesaracci, ha raccontato la storia del suo alunno Cristian. «Vive in un appartamento perché la sua famiglia ha scelto di non stare nel campo Rom. Ma tutti i suoi familiari e amici vivono ancora lì. Per lui è un periodo drammatico perché il padre ha un tumore e gli hanno dato pochi mesi di vita». Ma Cristian è coraggioso e tiene duro. Ha due grandi obiettivi nella vita: diplomarsi e compiere diciotto anni per acquisire la cittadinanza italiana. Cosa farà dopo? Si arruolerà in Marina per difendere la bandiera del suo paese, l'Italia. Se non è integrazione questa.
infatti è la parafrasi del ritornello : << Storia diversa per gente normale /storia comune per gente speciale /cos'altro vi serve da queste vite /ora che il cielo al centro le ha colpite /ora che il cielo ai bordi le ha scolpite. >> che ho scritto il titolo del post
La storia di Valentina: «Io, l'araba fenice»
a cura di: Alessandra Ghiani
Valentina Pitzalis ( foto a sinistra ) ventottenne di Carbonia, il 17 aprile del 2011 a Baccu Abis è miracolosamente sopravvissuta alla follia del suo ex marito, Manuel Piredda che, dopo averla attirata a casa sua con un pretesto, l'ha cosparsa di kerosene e le ha dato fuoco. Lui poco dopo si è suicidato con lo stesso metodo lasciandola con un viso e con un corpo martoriati, con dei ricordi che pesano come piombo, con una vita che deve riprendere da capo.
C'è una madre con i controattributi, un padre di una dolcezza non comune, una sorella ferma e attenta, una nonna sempre presente. Tutti ospitali e affabili, di quelle persone che ti sembra di conoscere da sempre pur non avendole mai viste prima. E poi c'è lei, Valentina, sopravvissuta all'inferno e sopravvivente alla devastazione della sua vita, che a un anno esatto dalla tragedia sorride celando tutta la disperazione di quella ricorrenza.
Lei inizia a parlare, a raccontare, a descrivere nei particolari il momento che ha sconvolto la sua vita. E restare là ad ascoltare con la sola sensazione di essere davanti a una forza che non sembra nemmeno umana, è tutto quello che si può fare. Vedere un corpo tanto fragile, devastato da un gesto basso e diabolico ma mosso da un coraggio così grande, è destabilizzante.Mentre lei racconta con precisione il dolore e la sofferenza dell'incontro della sua pelle con il fuoco, le difficoltà per riprendere a vedere, a respirare, parlare e il primo impatto con la sua nuova immagine, le sue parole si scontrano con il pensiero dei problemi insignificanti di un'esistenza regolare.
Valentina non si riconosce allo specchio ma gioisce quando scopre di riuscire a muovere le dita della sua mano, l'unica rimasta. Valentina a volte cade in quella che lei chiama la suavalle di lacrimema nei suoi occhi c'è tutto un mondo che vale la pena scoprire.
Ha la finezza d'animo, nonostante la rabbia enorme, di non oltraggiare la memoria di chi l'ha ridotta così. E se le chiedi cosa vorrebbe dire a tutte le persone che seguono la sua storia lei risponde: "Soltanto grazie, grazie a tutto questo affetto, grazie alla sensibilità delle persone che mi danno forza senza nemmeno conoscermi, grazie alla mia famiglia, ai medici e agli infermieri, ai miei amici che non mi hanno mai lasciato sola. Solo grazie, a tutti loro, ai miei angeli".
Valentina vuole recuperare l'indipendenza che le è stata tolta, ha bisogno di tantissime cure e interventi oltre che di una protesi alla mano molto costosa. Chiunque volesse contribuire può farlo utilizzando il seguente IBAN: IT70B0101543850000070291480 intestato a Valentina Pitzalis e Matilde Basciu (sua madre). Info su Facebook a "Un sorriso per Vale"
Il pugile bambino verso Londra 2012
a cura di: Laura Puddu
Manuel Cappai ( foto a destra ) ha solo diciannove anni ma nel suo immediato futuro ci sono le prossime Olimpiadi, che disputerà con un primato già in tasca: è il pugile italiano più giovane in assoluto a partecipare alla competizione. Cagliaritano, figlio d'arte (il padre Fabrizio era un boxeur ed è stato campione d'Italia), andrà a Londra a luglio e combatterà per la medaglia d'oro nella sezione minimosca (categoria 49 chilogrammi). Con grande soddisfazione della Sardegna sportiva e della boxe sarda che, grazie a questo giovanissimo, sarà di nuovo rappresentata nei giochi sportivi più importanti al mondo, dopo ventiquattro anni.
Sono bastati a Manuel poco più di tre anni per bruciare le tappe: la sua favola è cominciata nel gennaio del 2009, quando ha disputato il primo incontro. Sono seguiti dodici mesi di vittorie e di titoli conquistati. La prima convocazione in nazionale arriva nel 2010, ma solo come premio per aver vinto il campionato italiano a soli diciassette anni, perché non riponevano molte speranze in lui. Si sono dovuti ricredere, a suon di pugni. Quelli che Manuel ha dato agli avversari, sempre nel rispetto delle regole del gioco e col massimo della sportività. Poi il grande giorno: il diciotto aprile scorso ha ottenuto in Turchia la qualificazione alle Olimpiadi londinesi. E pensare che fino a quattro anni fa neanche gli interessava il pugilato, c'era solo il calcio che ha praticato per un decennio. Poi ha assistito a un incontro di Luciano Abis e qualcosa in lui è cambiato. Ha appeso le scarpette al chiodo e ha infilato i guantoni..
Furbo, freddo sul ring e sicuro di sé, Manuel pian piano ha convinto tutti, dimostrando di poter battere anche l'avversario più temibile. E' felicissimo perché sa che disputare un'olimpiade alla sua età è per pochi eletti e perché, con il suo traguardo, ha coronato anche il sogno del padre Fabrizio. Manuel quest'anno è diventato poliziotto e abita a Roma. In caserma si allena circa tre ore al giorno. Cinque quando è in ritiro con la nazionale. Le sue giornate scorrono poi accompagnate dagli hobbies, la musica, la fotografia e tanto sport, non solo boxe. Segue sempre il calcio, gli è rimasto nel cuore. E' tifosissimo del Cagliari e dell'Inter. In Inghilterra andrà concentrato, motivato e, come sempre, sereno. Darà il massimo e non avrà paura di nessun avversario. Noi speriamo che a Londra si comporti da (mini) mosca fastidiosa e ci dia delle grandi soddisfazioni.
L'ex pugile è diventato cuoco e combatte per la cittadinanza
a cura di: Laura Puddu
Bakkari nasce in Marocco nel 1972 ma dalla fine del 1993 vive in Italia. Arriva a Cagliari come atleta sportivo, perché è un pugile. Dopo una trentina di incontri, si rende conto che lo sport non basta per sopravvivere e si diploma alla scuola alberghiera di Alghero nel 1997. E' da allora che fa il cuoco nella nostra isola e, pian piano, si innamora sempre più di questa terra che considera la sua seconda casa. D'altronde, è arrivato che era un ventenne ed è cresciuto nel nostro Paese. Nel 2007 chiede la cittadinanza italiana. Per ottenerla, non basta avere posseduto sempre un regolare permesso di soggiorno, ma occorre che un extracomunitario risieda legalmente sul territorio da almeno dieci anni, insieme a un reddito sufficiente, all'assenza di precedenti penali e alla rinuncia alla cittadinanza d'origine (se è previsto). Bakkari ha risieduto in Italia durante il suo soggiorno (quasi sempre a Cagliari, esclusi cinque anni a Vicenza, ma poi è ritornato in Sardegna perché sentiva la sua mancanza).
Non ha mai avuto nessun procedimento penale a suo carico, guadagna abbastanza bene e per quanto riguarda la cittadinanza d'origine, il Marocco consente ai suoi cittadini di acquistarne un'altra anche senza rinunciare alla loro. La risposta alla sua richiesta arriva a Novembre del 2011 e per Bakkari è una doccia fredda: niente cittadinanza. La motivazione? Sua moglie e sua figlia si trovano in Marocco, quindi per lo Stato italiano lui non è stabile al cento per cento. E, legato a questo, il reddito non sarebbe sufficiente. Perché la sua famiglia non viene in Italia? La moglie purtroppo non può raggiungerlo, la mamma è paralizzata a una gamba e lei deve assisterla. E' molto dispiaciuto Bakkari perché, da quando è nel nostro Paese, lavora sodo, è sempre stato regolare e ha versato i contributi. E non può nemmeno pensare di tornare in Marocco. Innanzitutto, l'Italia gli piace e in particolar modo la Sardegna, cui è anche riconoscente. E poi sa che, se tornasse nel suo paese, non gli verrebbero restituiti i contributi versati all'Inps durante questi anni. Lui non si scoraggia e guarda avanti: ha intenzione di chiedere un finanziamento per aprire una sua attività.
Spera un giorno che sua moglie e sua figlia possano raggiungerlo e si augura, nell'eventualità gli concedano il prestito, di dare un lavoro a chi in questi anni gli è stato amico e lo ha aiutato. Intanto, la speranza è l'ultima a morire: Bakkari si auspica che la cittadinanza gli venga presto riconosciuta per potersi sentire ancora più vicino al popolo italiano.
l racconto di Adil Fathi "Qui mi sento a casa"
a cura di: Claudia Sarritzu
Quando abbiamo chiesto ad Adil Fathi di raccontarci la sua storia la prima cosa che ha risposto è stata: «Devo essere onesto, sono molto imbarazzato, mi tormento alla ricerca di un senso alla vostra richiesta di parlare di me, perché non la trovo. Per due ragioni: la prima è che la mia storia non ha niente di straordinario, è uguale a tante altre storie di chi vive all' ombra della società italiana. La seconda ragione è più tosta e sta tutta in una domanda: da quando interessano i casi felici di immigrazione? Non fanno notizia, niente audience».
Ciò che ha incoraggiato Adil a superare questo imbarazzo è il desiderio attraverso il suo racconto di far capire che il fenomeno dell'immigrazione in Sardegna è speciale e diverso da quello italiano. La sua storia si intreccia con quella del padre, piccolo artigiano che decide per avventura di immigrare nel1984 in Libia, lasciando dietro di sè quattro bambini e una consorte che non condivideva la scelta ma la rispettava per amore del marito. Un avventura che si rivelò fallimentare per diversi aspetti, specialmente dopo i bombardamenti degli Usa a Tripoli e l'impossibilità di inviare il denaro guadagnato onestamente. Ecco perché dopo tre anni circa decise di rientrare a Casablanca.
La madre dopo mesi di disoccupazione e incertezze, decide questa volta lei, di partire con i figli e il marito, lasciare il Marocco per sbarcare dall'altra parte del mediterraneo alla ricerca di una nuova prospettiva, l'Italia, "la nuova America" che però era percepita come inaffidabile «Per noi gli italiani non erano un porto sicuro nel senso che potevano cacciarci da un momento all'altro, almeno così si diceva in giro». Non costò solo il viaggio, dovettero pagare anche 50mila lire e una stecca di sigarette a persona al doganiere che altrimenti ti negava l'ingresso nel bel Paese. La prima avventura è stata sopravvivere lavorando nel commercio di biancheria con i fornitori che applicavano alla merce prezzi maggiorati e irragionevoli.
Adil arriva in Sardegna nel 1989 all'età di 10 anni e per due anni frequenta la scuola senza avere il permesso dallo Stato che ci mette ben due anni a fornirgli la documentazione, questo grazie a un'insegnante che si era presa a cuore la situazione della famiglia. Oggi Adil Fathi ha 34 anni una laurea in Economia del Turismo conseguita a Bologna, una moglie due figli e l'identica situazione di precariato lavorativo che colpisce tanti giovani italiani e sardi.
Dopo aver vissuto quattro anni a Londra ha deciso di stabilirsi definitivamente in Sardegna a Sassari ( piazza d'italia a sinistra ) con la sua famiglia perché l'integrazione che ha vissuto Adil è un'integrazione felice che ha reso sia lui che i suoi fratelli e sorelle non solo cittadini italiani ma sardi a tutti gli effetti. Dice Adil: «La Sardegna accoglie noi immigrati senza voler cancellare la nostra identità, ecco perché ci sono tantissime storie come la nostra di interazione e confronto positivo, dovete andare orgogliosi della vostra capacità di parlare e confrontarvi con gli immigrati instaurando rapporti di convivenza felici».