Visualizzazione post con etichetta valentina pitzalis. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta valentina pitzalis. Mostra tutti i post

16.6.20

Valentina Pitzalis, la surreale richiesta della famiglia di Manuel: vogliono riesumare il suo cadavere


Valentina Pitzalis: come una vittima di "tentato" femminicidio è stata  messa alla gognaValentina Pitzalis fu quasi uccisa dal suo ex Manuel Piredda [  foto a  destra  ] nove anni fa. Lui l’aveva attirata a casa con una scusa e le aveva gettato addosso della benzina, per poi darle fuoco con un accendino. Nel tentativo di dare fuoco a tutta la casa, lui morì di asfissia. Valentina è sopravvissuta, pur perdendo una mano e con ustioni gravissime che le hanno sfigurato parte del volto e del corpo. I genitori del ragazzo (Roberta Mamusa e Giuseppe Piredda) da 9 anni cercano di convincere l’opinione pubblica e il tribunale di Cagliari che fu Valentina a dare fuoco a Manuel. E lo fanno con metodi che possono essere elencati così: una pagina Facebook insultante in cui Valentina è additata come puttana e assassina dalla madre di Manuel e dai migliaia di adepti.Ne ho letto e sentito di storie di femminicidi e o di amori ( se cosi si può chiamare ) criminali \ malati ed anche di genitori ed amici\che può essere comprensibile che difenda il proprio amico \ congiunto e si cerchi di dimostrare che non è vero quello di cui lo accusa la  contro parte 





LA NOTTE IN CUI MANUEL PIREDDA DIEDE FUOCO A VALENTINA PITZALIS - Nera e  Dintorni
quando  erano ancora  una  coppia                                     
Se non ci fosse una tragedia al centro di questa storia iniziata nel 2011, forse verrebbe anche da sorridere nell’assistere ai suoi sviluppi, ormai tra il patetico e l’assurdo , infatti arrivare a tali livelli si è in malafede e che coloro che li seguono soprattutto andando oltre i fatti accertati archiviazione delle accuse a Valentina , condanne per diffamazione della madre della vittima è da gente malata e d idiota solo per andarci leggeri ed non scendere al loro livello. Io sono talmente schifato da non riuscire a a continuare ed lascio i compito all'articolo di https://www.tpi.it/cronaca/ ed ai link sotto per chi volesse approfondire la vicenda 

da https://www.tpi.it  del   16 Giu. 2020 alle 12:03



Seguono due processi, uno civile e uno penale ancora in corso per diffamazione. Nel civile la madre di Manuel viene condannata a pagare i danni a Valentina e a chiudere la pagina Facebook, si dichiara nullatenente, non paga nulla e riapre la pagina Facebook indisturbata. Nel frattempo per due volte il pm, a seguito di indagini, chiude la vicenda “per morte del reo” (ovvero per morte del colpevole Manuel Piredda). I legali della madre di Manuel denunciano il pm (già qui siamo nella sfera dell’incredibile). Che va via. Ne arriva un altro, che riapre le indagini. Valentina è indagata per omicidio.A quel punto il team difensivo di Manuel e la madre di Manuel chiedono la riesumazione della salma di Manuel, sostenendo varie tesi, alcune surreali: Valentina ha sparato a Manuel, Valentina lo ha colpito con un bastone, Valentina è stata aiutata dalla sorella, Valentina si ispira a Freddy Krueger, Valentina potrebbe aver organizzato il pestaggio di Manuel settimane prima, Valentina ha inciso una scritta sulla caviglia di Manuel dopo averlo ucciso, Valentina agisce il giorno 17 perché è un numero simbolico per lei, uno dei ragazzi che pestò Manuel è morto ingoiando un pezzo di pane, va aperta una nuova indagine (chissà, Valentina lo ha forse soffocato con una baguette?) e così via, in un valzer di assurdità che a leggerle tutte insieme, come dicevo all’inizio, verrebbe perfino da ridere. Comunque, la riesumazione del corpo ha escluso proiettili, bastonate, incisioni alle caviglie e fantasie varie. Fantasie partorite in massima parte dalla mente della criminologa/consulente della madre di Manuel, Elisabetta Sionis, che si avventura in analisi personologiche e accurati trattati psicologici sulla personalità, a suo dire, borderline di Valentina, senza che l’abbia mai incontrata, senza che le sia consentito fare valutazioni psicologiche da depositare in procura (che infatti le vengono restituite dal giudice) e senza avere una laurea in psicologia perché è laureata in pedagogia. Incredibile ma vero, proprio la Sionis porta avanti anche la tesi dei proiettili e dell’incisione della caviglia, mentre una procura, in qualche modo, per tre anni le va dietro, mentre la povera Valentina continua a subire non solo la gogna del sospetto, ma anche le persecuzioni social della signora Mamusa, tanto che la denuncia per stalking.Addirittura, a sostenere il team legale della signora che lo ricordo, si dichiara nullatenente, arriva uno dei medici legali più noti e autorevoli del paese, Vittorio Fineschi, già visto nel caso Cucchi. Ed è una bizzarra coincidenza perché sia il perito del giudice, la dottoressa Mazzeo, che i suoi ausiliari, sono tutti professionalmente ed accademicamente vicini al professor Fineschi (chi è stata sua allieva, chi ha scritto un libro con lui…). Cosa ci fa Fineschi a dare manforte a queste tesi sgangherate, in una storia come questa, in cui chiunque dia una letta alle carte capisce che la Pitzalis è vittima due volte, dell’ex marito e di questa surreale vicenda giudiziaria? Beh, Fineschi aggiunge un altro tassello surreale alla storia: afferma, davanti al giudice, durante l’incidente probatorio, che Manuel non è morto respirando fumo, ma che Valentina potrebbe aver soffocato Manuel con un corpo soffice, magari una calza di seta, ecco perché non ha segni sul collo. Peccato che Manuel sia morto con una sciarpa annodata al collo, quindi sarebbe stato soffocato con una calza di seta su una sciarpa, senza reagire. Sempre più surreale.
Poi finalmente a maggio di quest’anno arriva la richiesta di archiviazione, la terza. A quel punto la Pitzalis si aspetta, ovviamente, l’opposizione all’archiviazione. Figuriamoci se si rassegnano. Quello che però anche in una vicenda oltre ogni immaginazione come questa non ci si può aspettare è che l’asticella delle assurdità si alzi ulteriormente. E invece. L’ultima notizia è che tra due giorni, in una conferenza stampa in un hotel di Cagliari (!), i genitori di Manuel e il loro team legale annunceranno l’opposizione all’archiviazione e udite udite, la richiesta dell’esumazione STRAORDINARIA del corpo di Manuel. Cioè, vogliono una nuova autopsia. Un’altra. Chissà cosa cercano questa volta. Forse delle frecce o il veleno di un cobra reale.
Inoltre mostreranno delle foto inedite ai giornalisti (nelle ultime foto inedite individuarono dei bossoli inesistenti sulla scena del delitto, l’incisione sulla caviglia e chissà cos’altro)! Giornalisti che, notate bene, sono invitati da loro e si devono registrare per entrare. Quindi stranamente i detentori della verità non vogliono giornalisti non selezionati, che magari possano far notare il valzer delle assurdità su cui ruota tutta questa orribile, grottesca, drammatica vicenda. Ah, la conferenza sarà il 18. Un giorno come un altro a Cagliari, ovvero quello in cui si aggiunge un nuovo tassello surreale a questa vicenda, sperando che nessuno vada più dietro a queste tesi grottesche, soprattutto la stampa.









URL

23.6.13

Valentina racconta le emozioni del cielo "Dopo l'inferno ho imparato a volare" Valentina P racconta le emozioni del cielo "Dopo l'inferno ho imparato a volare"

ne  avevo  già parlato  in alcuni post  ( li  trovate  tramite la tag  valentina  pitzalis  ) è leggo sull'unione sarda  del 23\6\2013   che  si  sta  rincominciando a vivere





                  VALENTINA PITZALIS DURANTE IL LANCIO COL PARACADUTE


Valentina Pitzalis, di Carbonia, è il volto simbolo della violenza sulle donne, ma anche del riscatto e della speranza. Suo marito ha tentato di ucciderla. Ora lei ha imparato a volare.

di STEFANIA PIREDDA

Il 17 aprile 2011 suo marito, a cui aveva comunicato la volontà ferma della separazione, le si è presentato davanti. L'ha cosparsa di liquido infiammabile, dopo essersene a sua volta riempito. E poi ha acceso il fuoco. Lui è morto tra le fiamme. Valentina è sopravvissuta. Sfigurata nel volto e nel corpo. Ferita nell'anima. Ma dopo l'inferno è rinata. E' diventata simbolo nazionale della lotta contro la violenza sulle donne e alcuni giorni fa ha spiccato il suo primo volo. Accompagnata dal suo istruttore si è lanciata col paracadute. "Volevo volare anche se con un'ala spezzata - racconta - volare e allontanare ancora di più quell'inferno che da due anni e due mesi ha sconvolto la mia vita e quella della mia famiglia".Ho chiuso gli occhi per mezzo instante e mi sono buttata. Ho sentito l'aria fredda sulle guance, ho avvertito il vuoto ma non ho avuto paura. Una volta sono caduta in un abisso senza fondo ed ero terrorizzata ma non sapevo, allora, che avrei trovato tante mani pronte a sorreggermi. Ora le sento, sono migliaia, e niente mi fa più paura. Sono rinata, volo e mi riprendo la mia vita.Quando le hanno proposto di lanciarsi con il paracadute Valentina Pitzalis non ha esitato un solo momento. I suoi occhi si sono illuminati, ha incrociato per un istante quelli dei genitori cercandone l'approvazione e, un minuto dopo, era al telefono con i medici, che da due anni sono la sua ombra, per chiedere di essere aiutata a realizzare questo nuovo incredibile traguardo: «Volevo volare anche se ho un'ala spezzata - racconta con gli occhi capaci di regalare voglia di vivere a chiunque l'ascolti - volare e allontanare ancora di più quell'inferno che da due anni e due mesi ha sconvolto la mia vita e quella della mia famiglia».Vorrebbe non parlare più di quella terribile notte in cui un amore malato ha devastato la sua giovinezza. Di quei terribili momenti in cui il marito, incapace di accettare la separazione decisa da lei dopo che la vita a due si era fatta impossibile, l'aveva attirata con una scusa banale nella sua casa e le aveva gettato addosso del cherosene per poi darle fuoco. Lui a sua volta si era cosparso dello stesso liquido deciso a morire accanto alla “sua” donna. Era il 17 aprile del 2011 quando i soccorritori accorsi per quel terribile rogo in una palazzina popolare di Bacu Abis, frazione di Carbonia, trovarono Valentina in fin di vita in una stanza e il marito Manuel Piredda morto nel corridoio. Avevano entrambi ventisette anni e in quel momento finiva in tragedia la loro vita insieme; finiva quel grande amore che la giovinezza, l'inesperienza e l'incapacità di chiedere aiuto, quando i problemi si erano fatti troppo grandi da gestire, avevano trasformato in qualcosa di malato, ingestibile, mortale.Ricordare oggi quei momenti e il calvario che ne é seguito, quelle terribili ustioni che le hanno fatto perdere una mano e compromesso la funzionalità dell'altra, devastato il viso e buona parte del corpo, fa ancora tanto male. Parlare fa ritornare l'angoscia e quel senso di impotenza che toglie il respiro, ma Valentina sa che il suo dolore può aiutare tante donne a ribellarsi alla violenza fisica e psicologica ed è per questo che accetta di raccontarsi, di farsi accompagnare a convegni, incontri, dibattiti «anche se a volte il viaggio in macchina mi distrugge e mi muovo per tutto il percorso da una parte all'altra del sedile: prendere per sbaglio anche un solo raggio di sole sulla pelle ustionata mi fa un male incredibile. Anche se la mia mente vuole andare avanti, il mio corpo ha bisogno di tanto, tantissimo tempo per ripartire come vorrei».Non ha ancora compiuto trent'anni Valentina e mai, in quella che chiama la sua “vita passata”, avrebbe pensato di poter diventare un simbolo e un punto di riferimento per tante donne: «Ho smesso di ascoltare i tg perché ogni volta che sento una storia che mi ricorda la mia, come quella della ragazzina siciliana recentemente uccisa dal fidanzatino, mi ribolle il sangue. Non riesco ad accettare che la nostra società non riesca a mettere un freno a questo tipo di violenza, non posso concepire che tante denunce o segnalazioni restino inascoltate. Ogni volta è la stessa storia, ogni volta c'è una donna che finisce male e soltanto dopo si dice che aveva tentato di chiedere aiuto. Eppure le persone che le stavano accanto dicono di aver percepito chiari segnali di pericolo. Ma allora perché non intervenire prima? Può sembrare una domanda banale ma non lo è affatto. Esiste una violenza psicologica che arriva molto prima di quella fisica. È fatta di piccole cose, di frasi reputate di poco valore, di gelosie incomprensibili, di offese e piccoli maltrattamenti quotidiani. Io lo ripeto sempre quando parlo di mio marito: nonostante quello che mi ha fatto, ed è un gesto mostruoso dal quale non si torna indietro, non era un mostro. Era un ragazzo fragile, che aveva bisogno d'aiuto e probabilmente anche io visto che non sono riuscita a percepire il pericolo. Ma, e ne sono certa, da questa situazione si può uscire. Servono leggi giuste, servono istituzioni capaci di offrire supporto, serve la certezza della pena: troppe donne non denunciano per paura di provocare maggiormente il proprio aguzzino che poi tornerà subito in circolazione. Troppe donne si ritrovano faccia a faccia con un uomo incattivito e vendicativo e allora, tante volte, non c'è più nulla da fare».Queste parole Valentina le ripete ogni volta che ha qualcuno davanti disposto ad ascoltare e fare tesoro della sua testimonianza. L'ultima volta lo ha fatto a Villanova Monteleone davanti ai ragazzi della Consulta giovanile, qualche settimana prima davanti agli studenti dell'istituto superiore Alessandro Volta di Guspini che, per tutto l'anno scolastico, si sono impegnati a raccogliere fondi per aiutarla: «Sono giovanissimi e il loro entusiasmo mi ha contagiato - racconta - credo sia fondamentale trasmettere il mio messaggio alle giovani generazioni, sono convinta che sentire le mie parole e guardare il mio corpo sia un sistema per fare arrivare forte e chiaro il messaggio».Che stia arrivando lo dimostrano i quasi centomila iscritti alla sua pagina di Facebook Un sorriso per Vale aperta due anni fa non appena Valentina ha riaperto gli occhi in una camera del Centro grandi ustionati di Sassari e ha deciso di voler riprendere in mano la sua vita anche a costo di chiedere aiuto all'Italia intera: «Non tutte le cure di cui ho bisogno sono pagate dal Sistema sanitario nazionale e in ogni caso la mia famiglia, che non dispone di mezzi economici, ha difficoltà anche ad anticipare quanto poi potrà essere rimborsato - sottolinea e la sua voce si intenerisce quando nomina i genitori, la sorella e quanti non hanno smesso un solo istante di starle accanto e darle forza - la ricerca per chi come me ha bisogno di un arto nuovo fa passi da gigante e il mio più grande desiderio è di poterne usufruire. Durante quest'ultimo anno anche l'associazione Doppia difesa , guidata da Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno ha preso a cuore la sua causa e sta raccogliendo fondi che serviranno per la protesi al braccio e per la ricostruzione delle orecchie: «Mi commuove tanta generosità che spesso arriva da chi, soprattutto nel Sulcis, vive una crisi terribile». Valentina li ripaga con quel sorriso che ha accompagnato anche la sua ultima avventura resa possibile, a Reggio Emilia, dai paracadutisti della Protezione civile Lombardia: «Mi sono lanciata da 4.500 metri d'altezza - conclude - è stato incredibile, in quel momento ho realizzato che la mia vita sta davvero ripartendo».

11.11.12

l'altro lato della vita . Amore e aborto . le storie di Valentina pitzalis e Gianna Jessen

Lo so che odio tali trasmissioni  , del genere  ma  non ho trovato   altri siti ( in italiano  del  secondo caso ) che raccontano tali vicende  .La  prima di cui avevo   ho  già parlato qui. ma concordo con le parole di  Giulioa Bongiorno ( vedere filamto )  e quindi parlo ancora di Lei  Video Pubblicato in data 25/mag/2012 da  http://www.youtube.com/user/rai/videos : << Ieri, dagli studi di Rai Uno de "La vita in diretta",
 la terrificante storia di Valentina Pitzalis ha raggiunto i milioni di telespettatori che seguono la trasmissione condotta da Mara Venier.La giovane di Carbonia è stata affiancata da Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno, fondatrici di "Doppia difesa"la fondazione nata proprio per difendere le donne vittime di violenza. Tratto da "La vita in diretta" del 24 maggio 2012. >> .E la  utilizzo per  smontare il mito dell'amore  eterno  e  de del'amore rosa e  fiori  che ancora resiste nonostante  s'inizi a parlare in tv  d'argomenti  tabù  fino a qualche tempo  fa  d'amore  criminale  e  amore malato 
 La seconda storia è nata per  caso  . Avevo  su un calendarietto da  tavolo regalatami da un amico  ecumenico   dei lei  ecco  cosa  ho trovato in rete  in italiano  e in inglese   il primo video  è tratto da  dal canale   di  delay75



il secondo   dalla trasmisione italia sul Due del 6-2-2012

Oltre il link dela foto sotto  a destra   che in inglese  ho trovato   qualcosa in italiano  su Wikipedia,  alla voce Gianna Jessen 
da http://news.bbc.co.uk/2/hi/health/4500022.stm
Gianna Jessen è nata a Los Angeles nel 1977 in una clinica per aborti legata alla associazione Planned Parenthood. La clinica aveva consigliato alla madre di Gianna, giunta al sesto mese e mezzo di gravidanza, di abortire con aborto salino, una tecnica abortista usata prevalentemente dopo il primo trimestre. Essa consiste nell'iniettare nell'utero una soluzione salina che corrode il feto e porta alla sua morte, dovuta, tra l'altro, all'alterazione delle funzioni della placenta. In seguito, a causa delle contrazioni uterine, il feto viene espulso morto entro le seguenti 24 ore. Nel caso di Gianna, la tecnica non funzionò e la bambina nacque viva, dopo 18 ore. Gianna venne trasferita in ospedale e riuscì a sopravvivere, nonostante pesasse solo nove etti; tuttavia la carenza di ossigeno causata dall'aborto le ha procurato una paralisi cerebrale e muscolare. Nonostante la paralisi cerebrale Gianna Jessen imparò a camminare con tutore all'età di 3 anni.La bambina fu adottata a tre anni. A vent'anni, grazie alle cure mediche e alla fisioterapia, riuscì a ottenere la capacità di camminare senza tutore, seppure con notevoli difficoltà.Attività nei movimenti pro life Nonostante la grave paralisi cerebrale, Gianna è sempre stata molto attiva nei movimenti che si oppongono all'aborto e ha raccontato la sua storia al Congresso degli Stati Uniti d'America e alla Camera dei Comuni del Regno Unito [1].Il suo caso è divenuto noto quando, in occasione del novantesimo anniversario dalla fondazione dell'associazione abortista Planned Parenthood, celebrata dal Senato del Colorado, il senatore Ted Harvey invitò Gianna a raccontare la sua storia ai membri del Senato [2]. Inoltre, per sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema dell'aborto, nel 2006 è riuscita a partecipare e a completare la maratona di Londra, nonostante la difficoltà a correre.Nel 1999 è uscita una sua biografia, curata dall'autrice statunitense Jessica Shaver.




Note
^ BBC NEWS | Health | 'I survived an abortion attempt'
^ Ted Harvey for US Congress - Gianna's Story
E smonto i mito dell'aborto come  metodo  anticoncezionale  e  riduzione delle nascite  insomma  qualcosa di positivo  , ma  a nche  una cosa  che fa  male   che uccide la vita 

29.10.12

storie diverse per gente normale , storie comuni per gente speciale

questa  canzone  m'aiuta   a  raccontare queste  storie



 infatti  è la  parafrasi   del ritornello  : <<  Storia diversa per gente normale /storia comune per gente speciale /cos'altro vi serve da queste vite /ora che il cielo al centro le ha colpite /ora che il cielo ai bordi le ha scolpite. >>  che  ho  scritto il titolo del post


La storia di Valentina: «Io, l'araba fenice»

a cura di: Alessandra Ghiani

Valentina Pitzalis (  foto a  sinistra   ) ventottenne di Carbonia, il 17 aprile del 2011 a Baccu Abis è miracolosamente sopravvissuta alla follia del suo ex marito, Manuel Piredda che, dopo averla attirata a casa sua con un pretesto, l'ha cosparsa di kerosene e le ha dato fuoco. Lui poco dopo si è suicidato con lo stesso metodo lasciandola con un viso e con un corpo martoriati, con dei ricordi che pesano come piombo, con una vita che deve riprendere da capo.
C'è una madre con i controattributi, un padre di una dolcezza non comune, una sorella ferma e attenta, una nonna sempre presente. Tutti ospitali e affabili, di quelle persone che ti sembra di conoscere da sempre pur non avendole mai viste prima. E poi c'è lei, Valentina, sopravvissuta all'inferno e sopravvivente alla devastazione della sua vita, che a un anno esatto dalla tragedia sorride celando tutta la disperazione di quella ricorrenza. 
Lei inizia a parlare, a raccontare, a descrivere nei particolari il momento che ha sconvolto la sua vita. E restare là ad ascoltare con la sola sensazione di essere davanti a una forza che non sembra nemmeno umana, è tutto quello che si può fare. Vedere un corpo tanto fragile, devastato da un gesto basso e diabolico ma mosso da un coraggio così grande, è destabilizzante.Mentre lei racconta con precisione il dolore e la sofferenza dell'incontro della sua pelle con il fuoco, le difficoltà per riprendere a vedere, a respirare, parlare e il primo impatto con la sua nuova immagine, le sue parole si scontrano con il pensiero dei problemi insignificanti di un'esistenza regolare.
Valentina non si riconosce allo specchio ma gioisce quando scopre di riuscire a muovere le dita della sua mano, l'unica rimasta. Valentina a volte cade in quella che lei chiama la suavalle di lacrimema nei suoi occhi c'è tutto un mondo che vale la pena scoprire. 
Ha la finezza d'animo, nonostante la rabbia enorme, di non oltraggiare la memoria di chi l'ha ridotta così. E se le chiedi cosa vorrebbe dire a tutte le persone che seguono la sua storia lei risponde: "Soltanto grazie, grazie a tutto questo affetto, grazie alla sensibilità delle persone che mi danno forza senza nemmeno conoscermi, grazie alla mia famiglia, ai medici e agli infermieri, ai miei amici che non mi hanno mai lasciato sola. Solo grazie, a tutti loro, ai miei angeli". 
Valentina vuole recuperare l'indipendenza che le è stata tolta, ha bisogno di tantissime cure e interventi oltre che di una protesi alla mano molto costosa. Chiunque volesse contribuire può farlo utilizzando il seguente IBAN: IT70B0101543850000070291480 intestato a Valentina Pitzalis e Matilde Basciu (sua madre). Info su Facebook a "Un sorriso per Vale"




Il pugile bambino verso Londra 2012

a cura di: Laura Puddu
Manuel Cappai (  foto a  destra  ) ha solo diciannove anni ma nel suo immediato futuro ci sono le prossime Olimpiadi, che disputerà con un primato già in tasca: è il pugile italiano più giovane in assoluto a partecipare alla competizione. Cagliaritano, figlio d'arte (il padre Fabrizio era un boxeur ed è stato campione d'Italia), andrà a Londra a luglio e combatterà per la medaglia d'oro nella sezione minimosca (categoria 49 chilogrammi). Con grande soddisfazione della Sardegna sportiva e della boxe sarda che, grazie a questo giovanissimo, sarà di nuovo rappresentata nei giochi sportivi più importanti al mondo, dopo ventiquattro anni. 
Sono bastati a Manuel poco più di tre anni per bruciare le tappe: la sua favola è cominciata nel gennaio del 2009, quando ha disputato il primo incontro. Sono seguiti dodici mesi di vittorie e di titoli conquistati. La prima convocazione in nazionale arriva nel 2010, ma solo come premio per aver vinto il campionato italiano a soli diciassette anni, perché non riponevano molte speranze in lui. Si sono dovuti ricredere, a suon di pugni. Quelli che Manuel ha dato agli avversari, sempre nel rispetto delle regole del gioco e col massimo della sportività. Poi il grande giorno: il diciotto aprile scorso ha ottenuto in Turchia la qualificazione alle Olimpiadi londinesi. E pensare che fino a quattro anni fa neanche gli interessava il pugilato, c'era solo il calcio che ha praticato per un decennio. Poi ha assistito a un incontro di Luciano Abis e qualcosa in lui è cambiato. Ha appeso le scarpette al chiodo e ha infilato i guantoni.. 
Furbo, freddo sul ring e sicuro di sé, Manuel pian piano ha convinto tutti, dimostrando di poter battere anche l'avversario più temibile. E' felicissimo perché sa che disputare un'olimpiade alla sua età è per pochi eletti e perché, con il suo traguardo, ha coronato anche il sogno del padre Fabrizio. Manuel quest'anno è diventato poliziotto e abita a Roma. In caserma si allena circa tre ore al giorno. Cinque quando è in ritiro con la nazionale. Le sue giornate scorrono poi accompagnate dagli hobbies, la musica, la fotografia e tanto sport, non solo boxe. Segue sempre il calcio, gli è rimasto nel cuore. E' tifosissimo del Cagliari e dell'Inter. In Inghilterra andrà concentrato, motivato e, come sempre, sereno. Darà il massimo e non avrà paura di nessun avversario. Noi speriamo che a Londra si comporti da (mini) mosca fastidiosa e ci dia delle grandi soddisfazioni.

L'ex pugile è diventato cuoco e combatte per la cittadinanza

a cura di: Laura Puddu

Bakkari nasce in Marocco nel 1972 ma dalla fine del 1993 vive in Italia. Arriva a Cagliari come atleta sportivo, perché è un pugile. Dopo una trentina di incontri, si rende conto che lo sport non basta per sopravvivere e si diploma alla scuola alberghiera di Alghero nel 1997. E' da allora che fa il cuoco nella nostra isola e, pian piano, si innamora sempre più di questa terra che considera la sua seconda casa. D'altronde, è arrivato che era un ventenne ed è cresciuto nel nostro Paese. Nel 2007 chiede la cittadinanza italiana. Per ottenerla, non basta avere posseduto sempre un regolare permesso di soggiorno, ma occorre che un extracomunitario risieda legalmente sul territorio da almeno dieci anni, insieme a un reddito sufficiente, all'assenza di precedenti penali e alla rinuncia alla cittadinanza d'origine (se è previsto). Bakkari ha risieduto in Italia durante il suo soggiorno (quasi sempre a Cagliari, esclusi cinque anni a Vicenza, ma poi è ritornato in Sardegna perché sentiva la sua mancanza). 
Non ha mai avuto nessun procedimento penale a suo carico, guadagna abbastanza bene e per quanto riguarda la cittadinanza d'origine, il Marocco consente ai suoi cittadini di acquistarne un'altra anche senza rinunciare alla loro. La risposta alla sua richiesta arriva a Novembre del 2011 e per Bakkari è una doccia fredda: niente cittadinanza. La motivazione? Sua moglie e sua figlia si trovano in Marocco, quindi per lo Stato italiano lui non è stabile al cento per cento. E, legato a questo, il reddito non sarebbe sufficiente. Perché  la sua famiglia non viene in Italia? La moglie purtroppo non può raggiungerlo, la mamma è paralizzata a una gamba e lei deve assisterla. E' molto dispiaciuto Bakkari perché, da quando è nel nostro Paese, lavora sodo, è sempre stato regolare e ha versato i contributi. E non può nemmeno pensare di tornare in Marocco. Innanzitutto, l'Italia gli piace e in particolar modo la Sardegna, cui è anche riconoscente. E poi sa che, se tornasse nel suo paese, non gli verrebbero restituiti i contributi versati all'Inps durante questi anni. Lui non si scoraggia e guarda avanti: ha intenzione di chiedere un finanziamento per aprire una sua attività. 
Spera un giorno che sua moglie e sua figlia possano raggiungerlo e si augura, nell'eventualità gli concedano il prestito, di dare un lavoro a chi in questi anni gli è stato amico e lo ha aiutato. Intanto, la speranza è l'ultima a morire: Bakkari si auspica che la cittadinanza gli venga presto riconosciuta per potersi sentire ancora più vicino al popolo italiano.


l racconto di Adil Fathi "Qui mi sento a casa"


a cura di: Claudia Sarritzu


Quando abbiamo chiesto ad Adil Fathi di raccontarci la sua storia la prima cosa che ha risposto è stata: «Devo essere onesto, sono molto imbarazzato, mi tormento alla ricerca di un senso alla vostra richiesta di parlare di me, perché non la trovo. Per due ragioni: la prima è che la mia storia non ha niente di straordinario, è uguale a tante altre storie di chi vive all' ombra della società italiana. La seconda ragione è più tosta e sta tutta in una domanda: da quando interessano i casi felici di immigrazione? Non fanno notizia, niente audience». 
Ciò che ha incoraggiato Adil a superare questo imbarazzo è il desiderio attraverso il suo racconto di far capire che il fenomeno dell'immigrazione in Sardegna è speciale e diverso da quello italiano. La sua storia si intreccia con quella del padre, piccolo artigiano che decide per avventura di immigrare nel1984 in Libia, lasciando dietro di sè quattro bambini e una consorte che non condivideva la scelta ma la rispettava per amore del marito. Un avventura che si rivelò fallimentare per diversi aspetti, specialmente dopo i bombardamenti degli Usa a Tripoli e l'impossibilità di inviare il denaro guadagnato onestamente. Ecco perché dopo tre anni circa decise di rientrare a Casablanca.
La madre dopo mesi di disoccupazione e incertezze, decide questa volta lei, di partire con i figli e il marito, lasciare il Marocco per sbarcare dall'altra parte del mediterraneo alla ricerca di una nuova prospettiva, l'Italia, "la nuova America" che però era percepita come inaffidabile «Per noi gli italiani non erano un porto sicuro nel senso che potevano cacciarci da un momento all'altro, almeno così si diceva in giro». Non costò solo il viaggio, dovettero pagare anche 50mila lire e una stecca di sigarette a persona al doganiere che altrimenti ti negava l'ingresso nel bel Paese. La prima avventura è stata sopravvivere lavorando nel commercio di biancheria con i fornitori che applicavano alla merce prezzi maggiorati e irragionevoli. 
Adil arriva in Sardegna nel 1989 all'età di 10 anni e per due anni frequenta la scuola senza avere il permesso dallo Stato che ci mette ben due anni a fornirgli la documentazione, questo grazie a un'insegnante che si era presa a cuore la situazione della famiglia. Oggi Adil Fathi ha 34 anni una laurea in Economia del Turismo conseguita a Bologna, una moglie due figli e l'identica situazione di precariato lavorativo che colpisce tanti giovani italiani e sardi. 
Dopo aver vissuto quattro anni a Londra ha deciso di stabilirsi definitivamente in Sardegna a Sassari ( piazza d'italia a sinistra ) con la sua famiglia perché l'integrazione che ha vissuto Adil è un'integrazione felice che ha reso sia lui che i suoi fratelli e sorelle non solo cittadini italiani ma sardi a tutti gli effetti. Dice Adil: «La Sardegna accoglie noi immigrati senza voler cancellare la nostra identità, ecco perché ci sono tantissime storie come la nostra di interazione e confronto positivo, dovete andare orgogliosi della vostra capacità di parlare e confrontarvi con gli immigrati instaurando rapporti di convivenza felici».



emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...