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12.1.16

La morte dell'idolo ©Maria Antonietta Pinna alias Mary Blindflowers

Ancora  sulla    morte    di  uno dei  padri    del rock   David  Bowie  alias  il Duca  Bianco

da http://controcomunebuonsenso.blogspot.co.uk/








Il "dolore" per la morte di un personaggio famoso è veramente dolore?
Direi proprio di no. In riferimento alla morte di Bowie, frasi del tipo: “oggi è morto dio”, “oggi è morta una parte di me”, “i miei parenti possono anche morire ma non riesco a sopportare la morte di Bowie”, oltre ad essere grottesche, rappresentano la negazione del dolore nel momento stesso in cui lo affermano con tanta insistenza.
Si assiste ad una sorta di identificazione di massa, una mistificazione della coscienza in cui ogni uomo medio si rende conto che anche gli idoli in cui fino al giorno prima si identificava moriranno, esattamente come lui, come tutti. Non è affatto dolore, è soltanto la paura della propria morte veicolata nel simbolo, unita al desiderio che il punto fermo rimanga inossidabile nel tempo e possa perfino sfidare i secoli. Capire questo richiede capacità analitiche che consentano di superare la spiccata tendenza all'investimento ipnotico-narcisistico presente in ogni uomo. Il movimento principale del narcisismo libidico è caratterizzato da un eccesso di idealizzazione del Sé che va nutrito e curato tramite un processo naturale di identificazione con oggetti protettivi ed introiettivi, i cosiddetti oggetti buoni, dotati di qualità particolari.
Nietzsche si chiedeva come mai ci siano al mondo più idoli che realtà. Forse perché l'idolatria è un processo dalle dinamiche elementari, che non richiede grandi sforzi interpretativi del reale, un processo comodo, facile per la massa e gestito opportunamente dalla pubblicità.
L'idolo, che sia dio o una rockstar, infatti è rassicurante, stabilizzante, un punto di riferimento per equilibri fragili, a tal punto essenziale che l'adoratore lo introietta sentendolo parte di sé, di quel sé identificato nella rassicurante sintesi del simbolo buono.
E se il corpo fisico del simbolo dovesse mai morire, deteriorarsi, seguendo la sorte di ogni comune mortale non divino, l'idolatra si sentirebbe perfino stupito.
Ma come? Dio non muore, il vampiro nemmeno, che dolore! Non è possibile!
L'adoratore sentirebbe di morire in parte con lui e confonderebbe il dolore per quel suo Sé identificato e mesmerizzato con il dolore per l'idolo che, di fatto nella realtà è e rimane un perfetto sconosciuto. Non a caso si dice sempre che non bisognerebbe mai conoscere veramente i propri idoli. Infatti, meglio evitare la conoscenza diretta, perché l'idolo attiene ad un mondo che non è reale, fa parte di una sofisticazione, è un miraggio, un inganno del subconscio che ha bisogno di nutrirsi di favole per continuare a darsi una ragione di vita, nel mondo, in poche parole per esserci ancora e sciorinare la propria presunta sensibilità.
Così magari mentre l'idolatra apprende alla Tv la dolorosa notizia della morte di Bowie, il vicino, proprio nell'appartamento accanto, sta riempiendo di botte la moglie. L'idolatra alza la Tv per non sentire niente e comincia a piangere per la morte del mito mentre la signora della porta accanto viene massacrata.






11.1.16

Che ora è di © Daniela Tuscano

“Mi scusi, signorina, che ora è?”. Resto colpita più dalla voce lieve che dall’appellativo, dopo tutto non sono pochi quelli che ancora mi chiamano signorina, ingannati dai miei fagotti, dal mio aspetto mai cresciuto. Me lo domanda una vecchietta. Sono le undici, in realtà il tempo non esiste in questa mattinata brumosa ed eguale. Rispondo, poi proseguo per la mia strada, ho le commissioni da sbrigare. Ma oggi qualcosa manca. Forse è vero, non sono mai diventata adulta, nessuno alla mia età si sentirebbe povero perché da questo lunedì siamo senza David Bowie.

David Bowie visto da Giovanni Barca.
Si può pensare a lui assillati da mille preoccupazioni molto concrete, fra l’acquisto del pane e le tasse da pagare, il lavoro che sì c’è, ma domani chissà? A me succede. E succede che tutto diviene peso, lentezza e confusione. Perché io sono ancora qui, fra queste case che mi han vista crescere, d’età se non di spirito, perché i colori me li sono inventati grazie a lui, perché la fantasia ha spiccato il volo sognando con antichi giradischi. Uh, le stranianti avventure dei pomeriggi. Grevi come questo, interminabili. Che covavano vendetta e vitalità. Quanto crescevano, i nostri umani traguardi. Me lo raccomandavano gli amici: “Compra ‘Heroes’, il cantante è pazzo”. Già, e come si faceva a spremersi così, a spostare sempre più in là l’asticella degli eccessi, non tanto fisici, ma mentali?
Ma noi sapevamo di poterci superare, di non accontentarci mai. Quale Bowie preferivo? Quello di “Heroes”, come scrissi anni fa, e in seguito quello di “Young Americans” con quella chioma bionda da gracile femmina. Sì, ecco. Così era perfetto. Nordico e liberty. Soprattutto lontano dalle nostre inibizioni mediterranee. Aveva un’aria sfaccendata. 
Occidente: in quei tardi ’70 comparvero personaggi che in sé assommarono tutto, tu li voltavi ed essi come specchi riflettevano ogni trapezio esistenziale. Non avevi che da fartene scuotere. Il seguito che hai visto era frammento, variazione, fotocopia. Non è la morte a prostrare. Bensì la consapevolezza d’una non-nascita, d’un terreno mancante. Un nuovo Bowie non tornerà, non ne esistono le premesse. Ed è forse questa percezione, il sentore d’un deserto, che rende, oggi, le ore tutte uguali, il mio passo giovanile un po’ più tardo, e in fondo inutile.

©Daniela Tuscano

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...