
Questo video nella dopia versione in inglese e in italiano che fra tanta melensaggine che circola sui social network, all’improvviso ci sferra un pugno allo stomaco come quello avvenuto qualche giorno fa a carta bianca con le immagini senza filtri dei bambini che muoiono di fame e per la mancanza di medicine perchè la democratica israele e l'alleato Usa disribuiscono , quando gli istribuiscono , gli aiuti con il contagocce . È pensato soprattutto per i ragazzi e le ragazze di oggi, li ritrae al cinema con i loro figli bambini tra 15 anni. I bimbi guardano le terribili immagini delle continue uccisioni, anche per fame, dei bambini nella Striscia di Gaza. In quelle immagini del futuro si vedono i video di oggi dei piccoli palestinesi tra le macerie, malati senza cure, sanguinanti per le ferite causate dai bombardamenti. Colpiti dalla fame. I bimbi al cinema sono molti, in quel video. Lo sono anche le mamme e i papà ai quali chiedono, dopo aver visto le immagini dell’orrore: «Ma tu dov’eri, quando succedeva tutto questo?». Quei genitori di domani siete voi, ragazzi di oggi. E anche noi più anziani siamo tra quelli che non stanno facendo nulla: né a Gaza né in Ucraina. Solo pochi pungolano i nostri governi affinché intervengano per interrompere quello scempio compiuto da russi e israeliani: nella terra di Netanyahu sono sempre di più a manifestare contro il premier per i crimini contro l’umanità che Israele sta commettendo. In Russia, evidentemente, non è possibile. Ma da noi sì. Dove siamo noi, adesso? E dove diremo che eravamo, quando i nostri figli e nipoti ce lo chiederanno?
Andrea Casula oggi avrebbe 51 anni, un lavoro, forse una famiglia e magari dei figli. Per lui però le lancette della vita si sono fermate improvvisamente il 29 maggio del 1985, a Bruxelles, nel settore Z dello stadio Heysel, un’ora prima che iniziasse la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Su quegli spalti Andrea, 11 anni, morì insieme al padre 43enne Giovanni, schiacciati dalla folla mentre cercavano di fuggire dalla furia degli hooligans, lontanissimi dalla loro casa di Cagliari, in un Paese che non avevano mai visto prima. E con loro persero la vita altri 37 tifosi juventini, compresi altri due sardi emigrati da tempo, Barbara Lusci, originaria di Domusnovas, e Mario Spanu, nato a Perfugas.
Il ricordoSono passati 40 anni esatti da quella tragedia enorme che ha segnato per sempre il calcio europeo, cambiandolo nel profondo, mettendo in chiaro che con la violenza negli stadi non si poteva più continuare, che si doveva fare qualcosa. Ma il dolore e il ricordo sono ancora vivi, indelebili. Ieri a Torino, in occasione dell’annuale commemorazione dell’Heysel, a due passi dalla Continassa, la casa della Juventus, è stato inaugurato un nuovo monumento dedicato alle 39 vittime intitolato “Verso Altrove”: una rampa a spirale illuminata dai neon per essere vista anche a distanza, con alla fine un cannocchiale con lenti montate al contrario in modo da allontanare il fuoco sull’orizzonte. Ma di Andrea, Giovanni e degli altri “angeli dell’Heysel” non si sono di certo mai scordati i tifosi bianconeri che, nelle partite casalinghe, al minuto 39, ammutoliscono per qualche secondo per poi rompere il silenzio con un applauso scrosciante. Così ogni volta, ogni match, da 40 anni a questa parte.
Il ricordoSono passati 40 anni esatti da quella tragedia enorme che ha segnato per sempre il calcio europeo, cambiandolo nel profondo, mettendo in chiaro che con la violenza negli stadi non si poteva più continuare, che si doveva fare qualcosa. Ma il dolore e il ricordo sono ancora vivi, indelebili. Ieri a Torino, in occasione dell’annuale commemorazione dell’Heysel, a due passi dalla Continassa, la casa della Juventus, è stato inaugurato un nuovo monumento dedicato alle 39 vittime intitolato “Verso Altrove”: una rampa a spirale illuminata dai neon per essere vista anche a distanza, con alla fine un cannocchiale con lenti montate al contrario in modo da allontanare il fuoco sull’orizzonte. Ma di Andrea, Giovanni e degli altri “angeli dell’Heysel” non si sono di certo mai scordati i tifosi bianconeri che, nelle partite casalinghe, al minuto 39, ammutoliscono per qualche secondo per poi rompere il silenzio con un applauso scrosciante. Così ogni volta, ogni match, da 40 anni a questa parte.
Padre e figlio
Anno 1985, dunque. Andrea Casula, abitava insieme alla famiglia in un appartamento al secondo piano di una palazzina di via della Pineta, zona residenziale del capoluogo sardo. Amava il calcio e la Juventus era la sua seconda squadra del cuore dopo il Cagliari. Qualche settimana prima del 29 maggio, il padre Giovanni gli aveva annunciato che sarebbero andati a Bruxelles a vedere la finale della Coppa. Quel biglietto era il regalo per la sua promozione. «L’ultima immagine che ho di mio figlio e di mio marito è in aeroporto prima della loro partenza - aveva raccontato la madre Anna Passino qualche anno fa -. Andrea era felicissimo, non stava nella pelle. Era un golosone e pure cicciotello, si era mangiato una pasta enorme al bar. Era emozionato di andare col padre che imitava in tutto, per lui era una meravigliosa gita».
La tragediaLa sera del 29 maggio, un paio d’ore prima dell’inizio del match, scoppiarono i disordini. I tifosi inglesi, ubriachi e armati di cinte e spranghe, assaltarono il settore Z dove erano stipati – divisi da una rete da pollaio – normali e innocui tifosi italiani, famiglie con bimbi e anziani al seguito, non certo ultras. La Uefa non si mise neanche il problema di una decisione tanto folle, soprattutto alla luce della sinistra fama degli hooligans. Scoppiò il panico e a migliaia cercarono di riversarsi in campo per sfuggire alle botte, trovando però i cancelli sbarrati, pochi poliziotti belgi impotenti e nessuna uscita di sicurezza. Sotto il peso della folla, il parapetto del settore Z crollò inghiottendo la maggioranza delle 39 vittime. La partita si giocò lo stesso: “motivi di ordine pubblico”, fu la giustificazione. Andrea e il padre Giovanni invece tornarono a casa qualche giorno dopo, dentro due bare. Morti per una partita di calcio.
Anno 1985, dunque. Andrea Casula, abitava insieme alla famiglia in un appartamento al secondo piano di una palazzina di via della Pineta, zona residenziale del capoluogo sardo. Amava il calcio e la Juventus era la sua seconda squadra del cuore dopo il Cagliari. Qualche settimana prima del 29 maggio, il padre Giovanni gli aveva annunciato che sarebbero andati a Bruxelles a vedere la finale della Coppa. Quel biglietto era il regalo per la sua promozione. «L’ultima immagine che ho di mio figlio e di mio marito è in aeroporto prima della loro partenza - aveva raccontato la madre Anna Passino qualche anno fa -. Andrea era felicissimo, non stava nella pelle. Era un golosone e pure cicciotello, si era mangiato una pasta enorme al bar. Era emozionato di andare col padre che imitava in tutto, per lui era una meravigliosa gita».
La tragediaLa sera del 29 maggio, un paio d’ore prima dell’inizio del match, scoppiarono i disordini. I tifosi inglesi, ubriachi e armati di cinte e spranghe, assaltarono il settore Z dove erano stipati – divisi da una rete da pollaio – normali e innocui tifosi italiani, famiglie con bimbi e anziani al seguito, non certo ultras. La Uefa non si mise neanche il problema di una decisione tanto folle, soprattutto alla luce della sinistra fama degli hooligans. Scoppiò il panico e a migliaia cercarono di riversarsi in campo per sfuggire alle botte, trovando però i cancelli sbarrati, pochi poliziotti belgi impotenti e nessuna uscita di sicurezza. Sotto il peso della folla, il parapetto del settore Z crollò inghiottendo la maggioranza delle 39 vittime. La partita si giocò lo stesso: “motivi di ordine pubblico”, fu la giustificazione. Andrea e il padre Giovanni invece tornarono a casa qualche giorno dopo, dentro due bare. Morti per una partita di calcio.






