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3.3.17

L’infermiera simbolo della lotta a Ebola lasciata morire dopo il parto. Il marito: “Nessuno voleva toccarla”



per parafrasare una bellissima canzone di Guccini : << che sempre l'ignoranza è uguale a morte ed il silenzio fa paura >>

 da http://sociale.corriere.it/ 2 marzo 2017 Luca Mattiucci


L’infermiera simbolo della lotta a Ebola lasciata morire dopo il parto. Il marito: “Nessuno voleva toccarla”







ROMA – In Africa si può morire ancora di Ebola, ma per colpa dello stigma che colpisce gli ex malati. È così che ha perso la vita l’infermiera liberiana Salome Karwah (operatrice del centro di Medici Senza Frontiere), simbolo della lotta al virus e per questo tra i nominati come persona dell’anno nel 2014 della rivista Time per il suo lavoro in prima linea contro la malattia. È morta a Monrovia, la capitale dello Stato africano, la scorsa settimana dopo aver dato alla luce un figlio, ha raccontato il marito alla BBC, perché gli infermieri non hanno voluto toccarla per paura di contrarre Ebola, anche se era risultata negativa al test della malattia.
James Harris ha detto che la moglie aveva dato alla luce il loro quarto figlio con parto cesareo il 17 febbraio – ma era stata ricoverata di nuovo in ospedale a causa di gravi complicazioni. «Siamo stati tenuti in attesa nella nostra auto per tre ore, perché le infermiere avevano paura di toccarla» ha dichiarato Harris. «Io personalmente sono andato in pronto soccorso per portare una sedia a rotelle a mia moglie e accompagnarla in sala operatoria. Quello che davvero fa male era vedere una infermiera di turno che, invece di occuparsi dell’emergenza, è rimasta alla reception guardando Facebook». Gli operatori sanitari non hanno agito con maggiore urgenza, continua il marito, «perché era un superstite Ebola e forse hanno pensato che lei avesse ancora la malattia» denuncia Harris. I funzionari dell’ospedale hanno fatto sapere che il caso è oggetto di indagine.
Il caso di Salomè evidenzia come lo stigma ancora circondi la malattia, nonostante grazie allo sforzo dell’Oms e di organizzazioni umanitarie si sia riusciti a bloccare i contagi. Harris ha spiegato che sua moglie aveva perso molti parenti a causa di Ebola compresi i suoi genitori, ma era sopravvissuta e aveva potuto beneficiare di un vaccino. Time Magazine aveva descritto Salomè come “una donna straordinaria” che era tornata alla clinica dove era stata curata come prova vivente che Ebola può essere battuto.La Liberia, il cui sistema sanitario era già in crisi, è stato devastato a partire dal 2014 dall’epidemia di Ebola. Prima dello scoppio dell’emergenza c’erano solo circa 50 medici che lavoravano in tutto il paese, nonostante gli aiuti internazionali l’assistenza sanitaria è oggi ancora ai minimi storici ed è quasi inesistente nella maggior parte dello stato.






quasi inesistente nella maggior parte dello stato.

3.6.15

ed io che credevo che gli eroi della grande guerra fossero solo uomini e militari invece .. la storia di Margherita Kaiser Parodi ( 1897-1918 ) unica donna sepolta nel sacrario di re di puglia

Serena Zoli Il libro: Stefania Bartoloni, «Italiane alla guerra. L’ assistenza ai feriti 1915-1918», Marsilio, pagine 233, euro 24 Serena Zoli Il libro: Stefania Bartoloni, «Italiane alla guerra. L' assistenza ai feriti 1915-1918», Marsilio, pagine 233, euro 24 (  http://storicamente.org/suriano

La  storia   che  vi accingete  a leggere , ha  messo la  parola fine  alla  convenzione  più  volte messa in discussione ma mai   cancellata    dei  <<  ( miti eterni  della  patria  e dell'eroe  >> ( cit Gucciniana   ) provenienti  dai racconti  (  indiretti  , in quanto  i mie nonni erano piccoli rispetto ai loro fratelli  o cugini  che  combatterono nella  grande guerra  )  ,  dei nonni  sui  mie prozii,  da  loro  lettere  . Ma  soprattutto    da letture  scolastiche    e non    di  libri  di memorie (  fanterie  sarde  all'ombra  del tricolore di Alfredo Graziani il tenente  Grisoni  di un anno sull'altipiano  di Emilio Lussu   , ecc )
Ecco che   Ringrazio quindi   per la memoria  Michele  Corona .non conoscevo la storia, mi hai fatto venire i brividi...certe persone meritano di essere ricordate ! Ma  soprattutto ha  rimesso in discussione  le mie conoscenze   sula prima guerra mondiale  . Infatti   dai libri  di mio nonno  e    da  suoi racconti   credevo  che    gli atti  d'eroismo  della grande guerra  fossero solo maschili . Apprendo sempre  dallo stesso Michele Corna  che  : <<  Ad oggi, ci sono solo due donne decorate di Medaglia d'Oro al Valore Militare nel Regio Esercito: il caporale infermiera Maria Brighenti ed il Caporale infermiera Agliardi Laura>> 
Non posso nemmeno pensare a ciò che hanno dovuto vedere queste ragazze giovani. Ci vuole una forza tremenda a dovere agire in un contesto simile, soprattutto a livello psichico. Io sono un pacifista, sono solo un essere umano che pensa che nessun essere umano debba vivere esperienze simili. Sono cose disumane, non si può vedere tanta sofferenza senza impazzire.Ed  è per  questo che   E' necessario ricordare...spesso.... Fa bene al cuore e alla testa....  


Lorenza Brugo Questa è una bella storia...sconosciuta ai più ma che merita recuperare alla memoria...Grazie!



Ma ora basta   parlare io , lasciamo che  a  parlare  sia la  sua storia .

Nell'epoca della Belle Époque, le discriminazioni sessuali sono estremamente radicate nella società italiana ed europea.
Nonostante l'Inghilterra e la Francia siano sconquassate dai moti femministi, l'Italia, paese conservatore per antonomasia, è una società estremamente maschilista dove alle donne è concesso poco se non essere suore, madri o mogli.
La grande guerra cambierà le cose.
Caporale infermiere Margherita Orlando (Roma, 16 maggio 1897 – Trieste, 1º dicembre 1918).
Medaglia di Bronzo al Valore Militare.

Nell'epoca della Belle Époque, le discriminazioni sessuali sono estremamente radicate nella società italiana ed europea.
Nonostante l'Inghilterra e la Francia siano sconquassate dai moti femministi, l'Italia, paese conservatore per antonomasia, è una società estremamente maschilista dove alle donne è concesso poco se non essere suore, madri o mogli.
La grande guerra cambierà le cose.
Allo scoppio della guerra in Italia ci sono meno di 40.000 studenti di medicina e poco meno circa 70.000 medici di cui solo pochi sono militari.
La mobilitazione generale porta nel 1915 due milioni di uomini sotto le armi, e questo pone un enorme problema: chi aiuterà i medici ad accudire e curare i feriti.
Il comando inizialmente pensa di usare le suore, cosa che certamente è possibile ma l'ordinariato militare ancora non esiste (il primo ordinario fu investito solo il 29 Luglio 1915 nella figura del Tenente Generale, Monsignor Angelo Bartolomasi), quindi non esiste una autorità militare autorizzata dal Papa che possa imporre alle suore di servire negli ospedali militari.
Essendoci in circolazione meno di 10.000 infermieri, il governo autorizza il comando ad arruolare donne volontarie per servire come infermiere.
Margherita Orlando è membro di una benestante famiglia imprenditoriale romana imparentata coi tedeschi Kaiser Orlando e di forti sentimenti nazionalisti.
Allo scoppio della guerra i quattro fratelli di Margherita si arruolano volontari ma suo padre non le permette di seguirli.
Malgrado ciò, Margherita disobbedisce (e ci vuole una buona dose di coraggio per farlo all’epoca) e si arruola volontaria.
Assegnata come tirocinante all’Ospedale di Napoli dove dopo sei mesi viene assegnata col grado di Soldato Semplice al Corpo di Infermiere volontarie, le Dame Infermiere, che prestino servizio negli ospedali militari ed in quelli da campo.
Il corpo nel 1915, ha in forze circa 1500 infermiere che nel 1918 saranno più di 20.000.
Il Corpo risponde all'Intendenza generale della Sanità Militare, ed è affidato al comando del Tenente Colonnello Anselmi Emilia (Medaglia d'Oro di Benemerenza della Croce Rossa Italiana, e Medaglia d'Argento al Valore Militare).
Orlandi non ci pensa nemmeno ad andare negli ospedali militari, vuole servire negli ospedali da campo.
Un ospedale da campo è la cosa più vicina all’inferno che si possa vedere senza andare in trincea: quattro tende fatiscenti, quando ci sono, od una dolina a cento metri dalla linea del fuoco dove arrivano feriti con le piaghe aperte, mutilati in maniera orrenda, l’aria è appestatata dal fetore della cancrena, del sangue dai gemiti e dalle urla.
Li si opera alla bene meglio spesso senza anestesia, la gente muore sotto gli occhi di medici ed infermieri spesso impotenti davanti alla gravità della ferita.
Il dolore e la frustrazione per chi vi opera è tremendo, molti non ce la fanno: impazziscono o si uccidono.
Per di più a rendere il lavoro pericoloso ci sono gli austriaci.
Gli ospedali da campo sono il boccone prediletto dell’artiglieria nemica, più dei reggimenti in linea: sanno che uccidendo un infermiere dieci uomini muoiono senza assistenza.
La Convezione di Ginevra vieta di tirare sulla Croce Rossa ma tanto gli austriaci quanto gli italiani se ne fregano ed alla fine saranno oltre 6000 le infermiere uccise da fuoco nemico durante la guerra.
Ed è cosi che Margherita Orlando lavora: una donna coraggiosa, inesauribile, tanto da guadagnarsi il rispetto degli ufficiali medici che la raccomandano perché sia promossa al grado di Caporale.
Nel Maggio del 1917 si trova nell'ospedale mobile n. 2 di Pieris, alle foci del Timavo quando un ricognitore avvista l’ospedale da campo.
Tempo tre minuti e l’artiglieria nemica scatena il finimondo.
In quel momento allo scoperto ci sono una ventina di feriti, rimasti esposti al fuoco: Margherita si rifiuta di mettersi al riparo, e trascina al coperto quanti più feriti può ma non può fare molto.
Solo cinque su venti si salvano, ma cinque uomini devono la vita al valore di questa donna che non passerà inosservato: per l’azione viene insignita di Medaglia di Bronzo al Valore Militare.
Orlando resterà al fronte anche dopo Caporetto servendo dapprima a Treviso e poi a Fagarè di Piave.
Arriverà a Trieste col le truppe supplettive del XXIII Corpo d’Armata (Tenente Generale Carlo Petitti di Roreto) nel Novembre del 1918.
La guerra è finita ma non per questo si è smesso di morire: la febbre spagnola sta devastando quel gigantesco cimitero che è l’Europa.
Arrivata negli ultimi mesi del 1918 dilagò come un soffio di vento uccidendo più persone della guerra: nell’Ospedale di Trieste il sovraffollamento è enorme: ci sono più di mille persone quando potrebbe contenerne 300.
Feriti italiani, prigionieri austro ungarici anch’essi feriti.
Margherita Orlando contrarrà la febbre poco dopo essere arrivata a Trieste: continuò ad esercitare finché potè reggersi in piedi.
Quando sentì che non le restava molto, chiese di potersi sdraiare in una branda accanto a quei soldati per i quali aveva dato tutto e corso mille pericoli chiedendo di essere sepolta con loro.
Morì il 1 Dicembre. Le sue spoglie riposano per sua volontà nel Sacrario Militare di Redipuglia.
Margherita Orlando è l’unica donna ad essere sepolta nel celebre sacraio.
Tanta abnegazione impressionò il celebre poeta Gabriele d’Annunzio, che a Margherita Orlando dedicò i versi che alle Crocerossine cadute sono dedicate oggi a Redipuglia:
“A noi, tra bende, fosti di carità l’ancella;
morte tra noi ti colse, resta con noi, sorella!”.
Cent’anni dopo, Margherita Orlandi è ancora li, e con lei le 6000 Crocerossine cadute nella Grande Guerra.

6.3.14

8 marzo io non ho mai creduto alle mimose di un giorno , ma al rispetto e all'uguaglianza ogni giorno della vita.


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il  titolo  del post  d'oggi  è  preso  dalla discussione   sul  8  marzo   avvenuto  nel gruppo  di facebook   del gruppo  del corso  di fotografia  . Lo so  che non è  mia  ma  ricalca  ala perfezione il mio pensiero . cosi  come  questa  foto  di franco pampiro


Le donne: sottovalutate, insultate, maltrattate, uccise ... troppo spesso dimentichiamo che ci hanno dato la vita.
Perchè questa giornata non sia solo le mimose di un giorno, ma l'impegno per salvaguardare e tutelare le donne e tutte le categorie più deboli.




17.12.12

Antiche come le montagne



Victoria, Lauren, Dawn, Mary. Tenetele a mente. Non dimenticatele. Ripetetele in continuazione, come un mantra, anzi, come un Rosario. Ripetetele, con quei loro nomi evocativi e luminosi: Vittoria, Laura, Alba, Maria. Più semplici e antichi come le pietre. Loro, però, erano giovani e belle, e tali resteranno per sempre. Victoria, 27 anni, e Lauren, 30, erano insegnanti, Dawn ne aveva 47 ed era preside; Mary, 56 anni, svolgeva la sua professione sempre lì, all'interno di quella scuola, la Sandy Hook di Newtown dove, assieme a venti bambini, i "loro" bambini, hanno trovato la morte.
Sono state falciate dalla mitragliatrice di Adam Lanza, 20 anni, armato fino ai denti, che, prima di trasformarsi in Erode, era già stato matricida. Victoria è riuscita a mettere in salvo tutta la sua classe: poi è rimasta sola, sola davanti al Male. Ormai tutto era compiuto.
Come stridente anche quel nome, Newtown, dove invece si è consumato un olocausto arcaico, affondato nella notte dei tempi. Il sacrificio di donne e bambini in pasto al "dio delle armi", come correttamente l'ha denominato Vittorio Zucconi su "Repubblica"; in un Paese, gli Stati Uniti, dove l'assassino - sempre un maschio, annota ancora Zucconi, sempre bianco, "che impugna quel moltiplicatore della propria virilità" per trasformarlo "nel padrone della vita e della morte" - può acquistare un arsenale al supermercato, dove le lobby dell'industria di morte è in grado di determinare le fortune o le sconfitte d'un candidato alla Presidenza. Nulla di "inspiegabile" nel folle e sacrilego gesto, dunque, al contrario di quanto asserisce ipocritamente la stampa asservita e potentissima di quei luoghi.
Ma lasciamo ad altri le analisi psico-sociologiche della tragedia, ad altri le speculazioni sul delirio omicida (e suicida) d'un disgraziato. Di lui e dei suoi emuli (in Oklahoma, nelle stesse ore, un altro maschio bianco stava accingendosi a compiere una strage simile, fortunatamente bloccato in tempo) ci si deve certo occupare così come delle mani assassine che l'hanno armato, e di cui conosciamo bene l'identità. Non è però su di lui che devono accendersi i riflettori del cuore. Il male assoluto resta oscuro, materia vile. Resta niente. Chi splende, chi ha creato davvero una Città Nuova, sono quelle martiri: forse per loro, inconsapevolmente, venne intonato quel canto: "Cieli nuovi e terra nuova". La terra è ancor vecchia, invece; vecchia finché continuerà a prevalere la logica della forza, dell'asservimento, del predominio sull'essere umano, del denaro. Per ora, solo i cieli sono nuovi, e per questo le hanno accolte, tutt'e quattro, in alto, ed esse sono andate a irrorarli. Ma qui, qui hanno lasciato un corpo, un corpo d'intatto splendore, occhi aperti, fame di vita. Volevano vivere, e continuavano a farlo, normalmente, come tutti i martiri e le martiri. Non avevano "naturalmente coraggio" (A. Manzoni); avevano un senso. Quante volte, nei miei interventi, ho usato questa parola. Sì, senso, perché senza quest'ultimo la vita non è nemmeno esistenza. Non lo era, infatti, quella di Adam Lanza, che per motivare il suo nulla ha dovuto tramutarsi da dio alla rovescia, sfogando la sua inutilità sui suoi simili (sulle sue simili) che non sopportava fossero migliori di lui. Invidia d'un frustrato, d'uno sconfitto. Invidia d'un senzadio.
Victoria, Lauren, Dawn, Mary si sono date così, senza volerlo e senza saperlo, in modo del tutto irriflessivo perché spontaneo: il senso era diventato in loro una seconda natura. Erano insegnanti, erano madri: non nell'accezione corriva e sminuente conferita a questo sublime termine dalla vulgata maschile, non perché biologicamente avessero tutte partorito, ma per quell'empatia, per quell'identificazione dell'altro non come nemico, ma come Sé. Veramente hanno amato il loro prossimo come sé stesse, anzi di più.
Erano insegnanti. Lasciavano cioè un "sigillo"(tale l'etimologia del vocabolo) nei loro alunni e alunne. Erano educatrici. E-ducere, tirar fuori. Aprivano le giovani generazioni al mondo, al rispetto delle diversità. Portavano la speranza in quella "terra nuova" ancora impreparata ad accoglierle. La reazione del mondo ottuso e vecchio non si è fatta attendere. Il miracolo va spento sul nascere. Perché non ci si accorga che non è un evento straordinario, ma è, dovrebbe essere, la normale cifra delle nostre vite.
Ripetiamo insieme i nomi di quelle martiri. Ne scaturirà una forza di pace. Non lasciamole raggelare in foto che sbiadiranno. Non permettiamo che la loro luce, il senso della loro piena umanità venga annebbiato, sui media, sul web, soprattutto nelle nostre menti, da altre figure, immagini caricaturali di femmine incapaci di diventar donne, e a cui noi prestiamo, di solito, molta attenzione, foss'anche per esecrarle. Ringraziamo Dio per essere padre e madre e per averle create donne, per aver creato le donne. Ma chiediamo perdono, se perdono può esistere, per quest'ennesima blasfemia nei confronti della vita autentica.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...