29.12.24

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.






Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo di martello alla testa. Trovata morta Agitu Ideo Gudeta, 42 anni, la "pastora etiope di Frassilongo", in Trentino.
Agitu era una donna etiope arrivata in Italia nel 2010, laureata in sociologia. Era una donna molto intelligente e determinata.
Creò la sua azienda di allevamento "La Capra Felice" nonostante tutte le difficoltà, lei non si arrende. Continuò il suo lavoro che amava così tanto. Quella maledetta sera è stata trovata morta a casa, con ferite sul suo corpo, si trattava di un "femminicidio".È stata assassinata una donna intelligente coraggiosa e determinata.
Che la terra ti sia lieve ovunque  tu  sia   

Diario di bordo n 94 anno II . odio gratutito verso cecilia strada da destra e dal Chef rubio ., i topi di fogna con marce svastiche si preparano al 7 gennaio ricordo ei fatti di acca larentia ., il dramma di una coppia di genitori di Orbassano (Torino), Alessandro e Cristina .,

In queste ore i soliti miserabili (  metaforicamente  parlando  ) stanno infettando   i social e non solo purtroppo  (specie sotto certi giornalacci e siti  di destra extraparlamentare   come  il   ink  citato  nerlle  righe   successive  )  sbavando bile, ignoranza e cattiveria pura contro la giornalista Cecilia Sala, imprigionata da otto giorni in un carcere iraniano.
“Se la tengano pure”.“Si sta facendo le vacanze di Natale in carcere per scrivere il libro”.“La Boldrini
indossi il burka e vada a farla liberare”“ , Diamogli la Salis in cambio”, Fatele fare quello che chiedeva per i Marò in India” Cecilia Sala, mentre frigna dalla prigione, spuntano i suoi post infami che scrisse contro i nostri militari . E poi via delle solite sciocchezze da bar vomitate sotto le decine di notizie sull’arresto. “Cosa ci faceva in Iran?”
Lavorava. Come tutti noi. Di mestiere fa la giornalista. E all’Iran ha dedicato libri, podcast, inchieste.
“Perché andare in un Paese dittatoriale? Se l’è cercata”.
Perché è questo che fanno gli inviati di guerra e nei teatri più pericolosi: documentare le dittature e le violazioni dei diritti umani e farle conoscere. Si chiama giornalismo.
“Dove sono ora le femministe?”
Dove sono sempre state e dove saranno sempre (quelle vere): ad alzarsi in piedi contro un regime liberticida e brutale contro le donne e a sostenere la liberazione di Cecilia Sala.
“E adesso chi paga?”
Nessuno. Donne e uomini di Stato sono al lavoro (giustamente in silenzio) per riuscire a liberarla con ogni mezzo e canale diplomatico. Ma, se fosse necessario, sarei ben felice che le nostre tasse fossero utilizzate per riportare in Italia una giornalista la cui unica colpa è quella di fare il proprio mestiere.
Non c’è cifra, invece, che possa ripagarci di tanta miseria  umana     come  ,  oltre  quella    già citata    dello chef  Rubio .  Infatti egli ha   scritto  « Lunga vita all'Iran e a chi resiste alle ingerenze imperialiste Miracolate sioniste e spie con la passione dei viaggi non dovrebbero essere compiante, ma condannate »  .  Ha  già  detto tutto  mentana  un miserabile  idiota



....... 


In questi giorni centinaia di notissimi topi di fogna della Storia si stanno organizzando alla luce del sole per “commemorare i camerati caduti” ad Acca Larentia, come ogni 7 gennaio.
Questo abominio non nasce col favore delle tenebre in qualche riunione clandestina ma in post pubblici sui social, dichiaratamente e orgogliosamente, senza che nessun organo pubblico o di governo alzi un

dito o muova un sopracciglio. 
Quando, il 7 gennaio, ci sveglieremo anche quest’anno con duecento o più camicie nere con 

( ....  ) 
marce svastiche e federali
sotto i fanali
l'oscurità
e poi il ritorno in un paese diviso
nero nel viso
più rosso d'amore
( ....   ) 
che urlano “Presente” a braccia tese,lo sdegno ipocrita e la finta sorpresa della destra destra, sappiate che tutti sapevano tutto, ma nessuno è voluto intervenire.

 -----

  concludo  questo  numero     con un   classico   post \  commento  a mente    fredda  .  

Infatti    è  proprio   a    freddo   , dopo  qualche  giorno dalla sua  diffusione sui media  , che riesco  a  riportare  una  storia triste     come questa  .
Questa non è una storia di mostri e nemmeno di orchi ma di esseri umani capaci di orrori indicibili e di altri esseri umani che, di fronte a quell’orrore, non riescono a trovare una qualche forma di salvezza terrena.
È la storia di una coppia di genitori di Orbassano (Torino), Alessandro e Cristina, lui medico, lei
farmacista, che si sono tolti la vita insieme, come gesto estremo di rifiuto a una vita a cui non riuscivano più a dare un senso, un verso  dopo  la  tragedia  che  gli  ha  colpiti  .
Due anni prima la figlia di 28 anni Laura (nome di fantasia) si era impiccata in seguito a dei traumi indelebili per le violenze e gli abusi subiti da un parente (deceduto da tempo) quando era bambina.
Laura non si è suicidata, non è corretto, avevano raccontato a chi glielo aveva chiesto.  «Chi pone fine alla sua vita a causa di una violenza è vittima di un omicidio psichico e il suo aguzzino è un assassino. Ora noi siamo soltanto ombre  ».Anche il loro gesto è figlio e conseguenza indiretta di quell’omicidio in vita, in una catena familiare di dolore che Alessandro e Cristina non sono riusciti a spezzare in altro modo.  Ha  ragione    Lorenzo tosa  



Questa storia ti annichilisce, ma racconta anche moltissimo di Noi .          Vicino con ogni cellula intima e personale a questa famiglia, sperando che serva almeno in parte per riflettere sulle conseguenze del dolore, sui muri di omertà che circondano la famiglia come costrutto sociale e la società intera. Voglio ricordarli così, in un momento di felicità, come tanti ne avranno vissuti. Riposino in pace, ora.


Ecco  perchè è necessario  introdurre   fin  dagli asili \  ed  elementari una  cultura  non  violenta  e   lezioni  d'educazione : all'affettività  e alla  sessualità , al rispetto e  ala convivenza \  coesistenza  , alla  legalità . Ma  soprattutto    ricominciamo   ad  introdurre   nelle  scuole il medico  e  lo  psicologo scolastico.  Tutti elementi  che  i  precedenti  governi hanno smatellato .   

28.12.24

Evade il fisco per pagare le cure negli Usa alla figlia malata: artigiano finisce a processo

 Ha percorso tutte le strade per provare a salvare la figlia, colpita da una grave malattia epatica. E nel 2016 ha deciso di evadere il fisco e usare i soldi delle tasse per sostenere le spese di una cura sperimentale negli Stati Uniti. Otto anni più tardi questo padre, un artigiano di 72 anni, sarà costretto ad affrontare un processo: è accusato di dichiarazione fraudolenta. La storia arriva dal Tribunale di Ivrea, dove pochi giorni prima di Natale si è celebrata l’udienza preliminare al termine della quale il gup

Annamaria Tiseo ha disposto il rinvio a giudizio.l'inchiesta ha mosso i primi passi in seguito a un accertamento dell’Agenzia dell’entrate e alla successiva segnalazione in Procura. L’imputato è titolare di una piccola società individuale nel Canavese e opera nel comparto della meccanica. Nel 2015 la figlia trentenne si ammala: le viene diagnosticata una grave patologia epatica. Inizia così un calvario tra medici e terapie, ma nulla sembra funzionare. Una soluzione potrebbe essere un trapianto d’urgenza. Ed è a questo punto che l’imprenditore decide di tentare il tutto per tutto e affrontare le spese per consentire alla donna di curarsi negli Stati Uniti, a Boston, dove può accedere a una terapia sperimentale. I costi, però, sono elevati e l’artigiano ha bisogno di liquidità per affrontare il viaggio e i passaggi sanitari (dall’intervento alla degenza). 

La strada che individua è quella dell’evasione fiscale: accantonare le tasse per un anno, consapevole che prima o poi l’Agenzia dell’entrate sarebbe tornata a bussare alla sua porta. Ed è quello che è successo. Stando al capo d’imputazione, il 73enne avrebbe fatturato operazioni inesistenti per circa 79 mila euro, evitando poi di versare poco meno di 14 mila euro di Iva all’Erario. Da qui l’accusa di dichiarazione fraudolenta. L’uomo, difeso dall’avvocato Edoardo Carmagnola, ha ammesso le proprie responsabilità e sta già rientrando del debito con il fisco attraverso un piano di rateizzazione che comprende interessi e sanzioni. Nonostante il procedimento amministrativo sia concluso e le rate vengano regolarmente pagate, il procedimento penale è andato avanti con la logica del doppio binario: non contestare l’accertamento e versare l’ammanco, infatti, non estingue il reato che c’è e permane. Ad aprile si aprirà il dibattimento ed è in quella sede che il difensore porterà ai giudici gli elementi per sostenere che l’imputato ha agito in stato di necessità: pagare le cure alla figlia, che poi è deceduta. La storia fiscale dell’imprenditore è priva di macchie: non risulta che in passato abbia evaso altre volte le tasse. Non solo, ha sempre pagato regolarmente lo stipendio all’unico dipendente che aveva, compresi i contributi. Nel 2016, prima di scegliere di non adempiere ai propri doveri con lo Stato, l’uomo avrebbe tentato di mettere in vendita la propria casa e chiesto un prestito a una finanziaria: entrambi i tentativi si sono rivelati infruttuosi. L'unica soluzione che trova per avere i soldi necessari è evadere il fisco: fattura operazioni inesistenti per circa 79mila euro, evitando poi di versare poco meno di 14mila euro di Iva all'Agenzia delle entrate. Una cifra che sapeva gli sarebbe stata richiesta e che sta già inziiando a restituire. L'uomo non ha mai negato le sue responsabilità e sta già restituendo il dovuto, comprese sanzioni e interessi, a rate, dopo la conclusione del processo amministrativo. Ma il procedimento penale è ancora attivo: anche se il debito si estingue, il reato rimane. E l'imputato dovrà ora affrontare un nuovo processo.  

27.12.24

Rahma ragazza algerina contro l’Algoritmo: una ragazza tunisina contro gli stereotipi dell’AI

ne  avevo già  parlato    in qualche  post   qui  sul  blog   . Ma  a  grande  richiesta        visto il n   delle  visualizzazioni     riporto   stavoltà  con  più notizie      la  storia      di  Rahma ragazza algerina  contro l’Algoritmo: una ragazza tunisina contro gli stereotipi dell’AI

da https://it.insideover.com/

 Rahma ha quindici anni, lunghi capelli neri ricci e occhi scuri. La faccia pulita, senza trucco né inganno, uno smalto color lilla alle unghie come tante sue coetanee. Ci risponde da casa, sotto l’occhio vigile ma non invadente della mamma, che la aiuta a ricordare luoghi e date. La sua è una piccola grande storia che da Sfax, sua città di origine, sta facendo il giro d’Italia.Ma andiamo con ordine. Rahma studia e vive nel piccolo e delizioso borgo di Lizzanello, in provincia di Lecce. Dalla Tunisia è arrivata come molti connazionali, a bordo di un barcone. È arrivata in Italia il 9 marzo del 2023 assieme a suo fratello Bayrem e alla mamma: una data che in famiglia ricordano con precisione chirurgica, marchiata a fuoco nella mente. Del loro sbarco, Rahma ricorda distintamente un gruppo di Carabinieri: le loro braccia e le loro divise sono le prime figure di accudimento e accoglienza che ha trovato nel nostro Paese: il segno della salvezza, della fine di una traversata che a tanti come lei è costata, invece, la morte.

Poi arriva la scuola, quella piccola splendida realtà che è l’Istituto “De Giorgi” di Lizzanello-Merine, dove da anni si pratica la “public history”, ovvero una metodologia che “fa” ricerca storica con e per le persone. Come ogni anno la scuola partecipa al Festival Internazionale della Public History, quest’anno intitolato “Gente in cammino. Storie di emigrazione di ieri e di oggi”. I ragazzi si mettono a lavoro e si stringono attorno ai loro compagni con background migratorio. La storia di Rahma e Bayrem va raccontata, come quella del loro compagno John, ghanese.Le prof responsabili del progetto, Anna Grazia Visti e Carmen Mazzeo, aiutano i ragazzi a realizzare un fumetto che racconti le peripezie dei ragazzi e delle loro famiglie. Nel tentativo di approcciarsi alle nuove tecnologie, provano a utilizzare l’intelligenza artificiale per creare le tavole del fumetto, di cui i ragazzi scriveranno “sceneggiatura” e dialoghi. Tutto regolare: volti, colori, ambientazioni. Ma al momento di disegnare il volto della piccola grande Rahma dietro il comando “ragazza tunisina”, il PC restituisce l’immagine di una giovane con il velo


Agli altri alunni potrebbe sembrare normale, del resto stanno appena imparando di più su quel mondo così lontano dal Salento.Ma Rahma punta i piedi.“Io non porto il velo!”, sbotta con le insegnanti. Lei vuole che i suoi capelli lunghi e ricci siano ben in mostra.Prova e riprova non c’è verso di “far capire” all’AI che una donna tunisina non necessariamente indossa il velo. E può perfino non essere di fede islamica. Rahma invece musulmana lo è, ma le è stato insegnato dalla sua mamma che può decidere liberamente. Lei l’hijab ha scelto di non indossarlo: è giovane, è libera, e vuole gustarsi quella libertà che dalla Tunisia è partita e che coltiva in Italia. Come racconterà la sua docente, Rahma da piccola ha indossato il velo, ma poi ha scelto di non portarlo più. Rahma ci racconta di essersi sentita triste e arrabbiata, perché l’intelligenza artificiale-che degli uomini dovrebbe raccontare-ha dipinto qualcosa che non le corrisponde e non ammette eccezioni.Alla fine, studenti e insegnanti, spazientiti, per poter creare un fumetto con una giovane tunisina senza velo, si vedono costretti a inserire il comando per generare l’immagine di un ragazzo tunisino. Un maschio. Così, il laboratorio e l’attività si trasformano da ricerca storica a riflessione sulla “stupidità” dell’intelligenza artificiale. O meglio, sugli stereotipi che ricercatori e programmatori hanno “insegnato” all’intelligenza artificiale che, nei fatti, è una macchina.La piccola storia di Rahma mette i bastoni fra le ruote a un meccanismo al quale stiamo affidando il futuro. “L’intelligenza artificiale non è dotata di pensiero. Siamo noi uomini che possiamo fare la differenzaW l’intelligenza umana, ora e per sempre”, chiosa la professoressa Visti. Rahma, intanto, sbalordita da tanta popolarità, prosegue nella sua vita di adolescente: studia, esce con gli amici, le piace fare sport. E poi vuole imparare bene il francese. Ma quando le chiediamo cosa vuole fare da grande, lei non ha dubbi: il carabiniere.

"Io, ebreo, dirigo Wagner perché la cultura è verità" il gesto coraggioso del il direttore d'orchestra Omer Meir Wellber, 43 anni, ebreo-israeliano,

 Che coraggio


  da  msn.it 

Se non avesse coraggio, dovrebbe darselo dati i tempi. Ma non difetta certo per ardore e temperamento il direttore d'orchestra Omer Meir Wellber, 43 anni, ebreo-israeliano, agli sgoccioli del suo mandato al Massimo di Palermo, e in partenza per Amburgo dove ha già pianificato le tre prossime stagioni da direttore musicale della Staatsoper e della Philharmonisches Staatsorchester. Bisogna avere del fegato ad aprire la stagione, come

ha fatto lui a Palermo, con Le Grand Macabre di György Ligeti, non lo conoscete? non preoccupatevi, siete tra i tanti; in compenso sarà a misura d'uomo il concerto di Capodanno con Mendelssohn. Non è finita qui per Wellber, di Gerusalemme da sette generazioni ma nato a cresciuto a Beer Sheva poiché il padre vi si era trasferito su richiesta di David Ben Gurion (fondatore di Israele) per dare dinamismo a questo luogo nel deserto.
Lei esegue spesso Wagner, bandito in Israele essendo il più antisemita dei musicisti. « Invece è importante eseguirlo perché cultura vuol dire verità. Che si corrompe quando entra in campo il politicamente corretto. L'artista dovrebbe identificarsi con ciò che è scomodo e di cui non si parla. Gli artisti sono il termometro della società, ma per poter misurare la febbre bisogna prendere le distanze dalla società, coltivare il dubbio».

Come è cambiata la sua vita professionale dal 7 ottobre 2023?

«Non è stato cancellato un solo concerto. Mi sento però cambiato a livello psicologico. Giorni fa, a Tolosa, prima di salire sul podio mi ha assalito il timore che qualcuno mi urlasse qualcosa. È risaputo che sono contro Netanyahu, ma oggi non conta cosa uno pensa ma da dove viene».

Lo si è visto con la cantante Anna Netrebko «buata» alla Scala perché russa.   «Assurdo. È come se un siciliano venisse buuato a Tel Aviv perché ritenuto mafioso. E poi non mi piacciono i movimenti che chiedono agli artisti di esprimere giudizi sulla propria nazione».

In Israele lei è considerato uno di sinistra.
«Sì, ma in Europa come uomo di sinistra mi trovo in grande difficoltà, tanto che non mi stupisce che in Germania la comunità ebraica voti a destra. Paradossale? No, perché la sinistra ha perso il rapporto con la gente, si è innamorata delle proprie idee. Come è possibile che siano stati levati i crocefissi dalle scuole per esempio? In questi anni non è stata difesa a sufficienza la vostra identità».

Cosa dice delle manifestazioni Pro Pal?
«La Palestina ha il diritto di esistere ma non ha il diritto di tagliare le teste. Mia mamma è andata al funerale di due amici di 80 anni seppelliti senza teste perché non le hanno trovate».

«Nessuno vuole che la propria città si trasformi in un suk, ma tutti si vergognano ad esprimere questa posizione», ha detto.

«Aggiungo che non potersi esprimere liberamente crea rabbia e frustrazione, che vengono espresse attraverso il voto anziché a parole».

Le sale e teatri di musica d'Occidente nel mondo arabo, dal Qatar all'Arabia Saudita, stanno creando ponti o sono vetrine?

«Poiché israeliano, non ci posso andare. Nell'immediato dopoguerra, i militari inglesi in Italia erano invitati ad andare a teatro, alcuni conobbero lì la lirica. L'idea che un Paese consideri i propri teatri come un biglietto da visita è bellissima. Ben vengano in teatri nel mondo arabo quindi».

Il che vale anche per l'Italia contemporanea.

«Un teatro deve avere il respiro internazionale, ma anche essere emanazione delle realtà locali, vivere del proprio territorio e così offrire un prodotto artistico unico. Che senso ha vedere uno spettacolo a Palermo o a Milano che potresti trovare su qualsiasi altro palcoscenico al mondo?».

Come imposterà il suo lavoro ad Amburgo?

«È una città intrigante, ha avuto una vita musicale dinamica, all'avanguardia ma negli ultimi anni più tranquilla».

Quindi spariglierà le carte, corretto? Qualche esempio di programmazione.

«Mi piacerebbe che gli ascoltatori, nel momento del concerto, abbandonassero i soliti meccanismi di difesa. Inizio dalla forma, sostituendo il termine Concerto con Spazio per giochi. Ho commissionato a dieci compositori, tra cui l'italiana Daniela Terranova, nuovi pezzi che vengono inseriti in sinfonie o pezzi storici. Per esempio, una sinfonia di Beethoven avrà al suo interno un movimento di nuova creazione, scritto rispettando ferrei parametri: deve durare come quello di Beethoven, iniziare e chiudere con lo stesso accordo e via discorrendo».

divieto dei fumare all'aperto della regione lombardia "Ambientalismo e proibizionismo talebano".

 Sono  abbastanza  tollerante  ed  in parte  comprensivo  , con il  fumo  ed  i fumatori  essendo  figlio  e nipote  di fumatori  . Ma allo  stesso  tempo  per  motivi  di salute  : asmatico  , congiuntiviti  gravi   sono   contro il  fumo passivo  e  l'accesso o´oltre che ma maleducazione  di ceri fumatori.  Infatti   reputo    una  bellissima legge  a prescindere  dall'appartenenza  politica    di  chi  l'ha  fatta  ,   quella  che  vieta  il  fumo  al  chiuso    nei locali  . Ma  non sono   dello  stesso parere   sul divieto all'aperto   ,istituito  dalla regione  lombardia  ,  è esagerato ed   troppo proibizionista  . Infatti ciò « è l'ennesimo provvedimento ideologico e ipocrita della Giunta Sala», commenta Giulio Gallera suil giornale del 27\12\2024, consigliere in Regione di Forza Italia, paladino anche controcorrente dei diritti e della libertà individuali.

«Vietare di fumare per strada quando chi cammina respira i tubi di scappamento è solo ambientalismo talebano. E poi chi farà rispettare i divieto?» si chiede anche lui, concordando su tutti dubbi con il verde Monguzzi. Saranno forse «i vigili urbani invece di presidiare le periferie o i navigli o la Stazione Centrale?», polemizza sempre lo stesso Gallera. Ma sono commenti che seguono solo logica e buonsenso. Inoltre è il classico ecreto propagandistico \ innaplicabile o applicabile all'acqua di rose visto che , sempre dalla sstessa fonte , A essere critici e quantomeno dubbiosi sono proprio quelli che dovrebbero crederci di più. Come Carlo Monguzzi, storico Verde della Giunta Sala, ormai spesso spina nel fianco dell'amministrazione cittadina, pronto a strappare, peraltro, senza troppa difficoltà, il velo ambientalista di facciata. «Benissimo il divieto di fumo - ovviamente plaude Monguzzi sui social - Che peccato non aver fatto neanche una minima campagna di informazione: c'erano 4 anni di tempo», fa notare. E infatti il provvedimento non è né di oggi né di ieri. La decisione del Consiglio comunale risale al 2020. Entra in vigore mercoledì prossimo, ma bisoga ammettere che in giro al momento non c'è un cartello, non un'informazione diffusa e capillare ai cittadini. «Da tanti anni - continua Monguzzi - c'è il regolamento dell'aria, fatto da Granelli (attuale assessore alla Sicurezza ndr). La prima parte cioè il divieto di fumo nei parchi, stadi, fermate bus, in vigore da 3 anni è stata un flop: 7 multe in 3 anni». Un paio all'anno, praticamente nulla. A Milano è un po' così: i divieti continuano a crescere, ma spesso solo sulla carta, senza essere accompagnati di pari passo con i necessari controlli. E quindi, spesso restano lettera morta. Oppure spariscono, giustamente e fortunatamente. Come non ricordare il divieto di mangiare il gelato durante l'estate... .Monguzzi prosegue. «Pensavo che visti gli errori del passato e l'importanza dell'iniziativa si facessero le cose seriamente». Un pensiero che sicuramente condivideranno in parecchi. «Seriamente» infatti significa ad esempio dare adeguate informazioni ai milanesi, ma anche a chi milanese no è, magari arriva dall'estero in visita alla città e non è tenuto a sapere provvedimenti così importanti ma relegati entro il confine comunale. Ma «seriamente» significa anche altro. «Seriamente» (prosegue Monguzi) significa agire «anche per evitare strafalcioni: sento dire che la sigaretta inquina come il traffico! - commenta con tanto di punto esclamativo il Verde - Non è vero, il contributo al pm 10 del traffico è il 45%, quello del fumo di sigaretta è il 7%. Proprio un peccato - conclude - ma l'unica attività di questa giunta è comunicare ai giornali. Speriamo nella fantasia dei milanesi». Non mancano i commenti che rincarano il tono del suo post. E vanno da un «Tranquilli, il divieto durerà (o avrà l'effetto) di un ghiacciolo ad agosto in piazza Castello», a «Non ci sono controlli! In metropolitana a Crescenzago, le persone fumano sotto i minuscoli cartelli che indicano il divieto. E nessuno vede o sanziona, neppure l'inutile controllore nel gabbiotti». Un provvidimento da "Ambientalismo salutista talebano" Quindi che fare ? semplice evitare il proibizionsmo ed usare  :  il buon senso  ed il galateo del fumatore  \  della  sigaretta  e  la prevenzione anche con immagini shock , un mio amico ha diminuito ed u altro ha smesso di fumare dopo aver visto tale pubblicità straniera . Stavo per premere pubblica quando mi arriva la Newletters di watsapp dell'amico emiliano morone

Buongiorno per tutto il giorno. Dovevo raccontare questa storia esemplare: Salvatore Mazza è campione italiano di #taekwondo, ma soltanto otto anni fa era obeso e fumava come un turco. Il cambiamento è avvenuto con la passione, le motivazioni giuste e la fiducia in se stesso, grazie a due guide di grandissimo livello: i maestri Zeno Mancina e Jessica Talarico. Leggete e condividete, è servizio pubblico del Corriere della Calabria.Grazie per l'attenzione e cordiali saluti.      

https://www.corrieredellacalabria.it/2024/12/27/la-nuova-vita-fino-alla-medaglia-doro-la-storia-di-salvatore-mazza-campione-nazionale-di-taekwondo/

                                                            Emiliano Morrone 



25.12.24

Quando il make-up diventa uno strumento di empowerment femminile, la storia di Beatrice Gherardini

 Fin ora   credevo che il  trucco cioè il make  up femminile  ( ovviamente  non  sto  vietando  niente  ogni donna   è libera  di  fare  quello che vuole , di usarlo o non usarlo  ) fosse qualcosa   d'inutile visto  che  una  donna non dovrebbe   aver  ha  bisogno   di " sovrastrutture  "  ed  orpelli  per     farsi accettare  da  noi  uomini   . Pensavo  (  ed  in parte lo  pensavo  ancora   )   che  Le  donne   dovrebbero dare  valore  a loro  stesse     per  cio'  che  sono    e  non  per  quello  che    gli altri  vogliono   che siano  . Ma ora   la  risposta    di Beatrice Gherardini (  foto sotto al  centro  del post   )    allora  domanda     che  ci poniamo      tutti\e  ,  sottoscritto   compreso  prendiamo    come  esempio  questi    due   video  : di story impact il primo (  da  cui   ho preso  il  frame   riportato   a  sinistra ) e   di  kikko.co il secondo    , Nell’era dei social media è possibile stare bene con sé stessi, anzi con sé stesse, senza dover piacere per forza agli altri ? Sembra  di   si . 

Infatti   Per il suo nuovo progetto, la make-up artist e life coach da oltre 3 milioni di follower sui social, ha scelto un nome emblematico: “La bellezza inizia nel momento in cui scegli di essere te stessa”, un invito forte all’affermazione di genere, che abbia la donna come inizio e fine del trucco, non come mezzo.  




  da   Adnkronos ( mi pare   di una settimana  fa  )  tramite  msn.it  


“Sono convinta – dice Beatrice – che il make-up non sia semplicemente truccarsi, ma prendersi cura di sé, sperimentare e valorizzarsi, è sentirsi bene con sé stessi e con gli altri. Prendetevi del tempo, abbiate cura di Voi, valorizzate il vostro corpo e nutrite la Vostra anima, in questo il make up può essere un prezioso alleato in grado di farvi sentire bene, affrontando la vita quotidiana con la giusta energia. Ogni donna deve sentirsi libera di esprimere la propria personalità anche attraverso il trucco Quel momento in cui ci trucchiamo è un momento sacro, quasi un rito che deve essere solo per noi, una coccola per sentirci meglio e affrontare la giornata con l’energia giusta”.

Partiamo dal nome del tuo progetto: “La bellezza inizia nel momento in cui scegli di essere te stessa”. Le donne oggi sono davvero libere di essere sé stesse? Quali sono i principali ostacoli alla loro affermazione?

“Credo che, oggi più che mai, ci sia un desiderio crescente di autenticità, ma non sempre questo si traduce in libertà di essere sé stesse. Gli ostacoli principali derivano da pressioni sociali, standard di bellezza irrealistici e un uso distorto dei social media, che spesso spingono le persone a confrontarsi con ideali irraggiungibili. Inoltre, molti vivono con il timore del giudizio, che impedisce di mostrarsi per quello che si è veramente. La chiave per superare questi ostacoli è lavorare sull’accettazione di sé e sull’autostima, cosa che cerco di trasmettere anche attraverso il mio lavoro”.

A 29 anni, Beatrice Gherardini è diventata la beauty star, make-up artist e life coach più seguita su Tik Tok Italia utilizzando il trucco come argomento principale per poi dare spazio a tematiche generazionali e di genere molto avvertite nella società. Un report commissionato da Dove ha rivelato che, in Italia, più di una donna su quattro sarebbe disposta a rinunciare a un anno della propria vita per raggiungere il proprio ideale di bellezza. Il dato potrebbe persino peggiorare con la diffusione dell’Ai: dalla ricerca emerge che una donna su 3 sente il bisogno di cambiare il proprio aspetto fisico dopo essere stata esposta a immagini generate con l’Ai che sono ‘perfette’ ma artificiali.

In questo senso, l’impegno di Beatrice è quello di recuperare il senso della bellezza autentica, dove il make-up diventa una forma comunicativa per esprimere anche i lati meno ‘trendy’ della propria personalità. A volte, il trucco serve anche a lenire le conseguenze fisiche e psicologiche che alcune donne devono affrontare.

Con la tua professione hai ascoltato storie di molte donne, che magari si rivolgono a te per ritrovare nel make-up una valvola di sfogo, un modo di esprimere sé stesse. Qual è stata la storia che ti ha colpito di più?

“Una storia che mi ha colpito molto – ci racconta Beatrice – è quella di una ragazza che soffriva di acne severa e mi ha raccontato come il make-up l’abbia aiutata a ritrovare la fiducia in sé stessaNon lo usava per nascondere, ma per valorizzare ciò che la faceva sentire bella. In generale, ho percepito che molte donne vedono il make-up come uno strumento di empowerment, una piccola ‘armatura’ quotidiana che permette loro di affrontare la giornata con maggiore sicurezza”.

In che modo il make-up può aiutare le donne a ritrovare sé stesse e a sentirsi più sicure?

“Il make-up è una forma di espressione che può aiutare a ritrovare sé stesse perché permette di sperimentare, valorizzare e riscoprire aspetti della propria identità”. Diversi studi corroborano la tesi di Beatrice Gherardini. Secondo una ricerca pubblicata dal Journal of Cosmetic Science, le donne che si truccano tendono a sentirsi più attraenti e sicure di sé in un contesto sociale dove il gender gap è ancora molto forte. Un altro report, pubblicato in Psychology of Women Quarterly, ha evidenziato che il trucco può migliorare l’umore fino a ridurre i sintomi di depressione e ansia.

A prescindere dalla tua mission, credi che le donne si trucchino più per sé o per piacere agli altri?

“Credo che la motivazione dipenda molto dalla persona”, spiega la make-up artist, che aggiunge “alcune si truccano per piacere agli altri, altre per sentirsi bene con sé stesse. Il mio obiettivo è incoraggiare la seconda motivazione, mostrando come il make-up possa essere un atto d’amore verso sé stesse, piuttosto che un obbligo a conformarsi”.

In che modo (e in che direzione) i social hanno cambiato il modo di intendere il make-up?

“I social media hanno reso il make-up più accessibile, trasformandolo in un linguaggio universale e aprendo le porte alla creatività. Tuttavia, hanno anche contribuito alla diffusione di standard irrealistici e di una percezione idealizzata della bellezza. Da un lato, sono uno spazio in cui chiunque può condividere la propria passione e imparare; dall’altro, possono creare ansia da confronto. È importante quindi utilizzare i social come una fonte di ispirazione e non come un metro di paragone”, chiosa Beatrice Gherardini che dal 9 dicembre ha lanciato online il nuovo progetto video ‘Glow up secrets’ parte de “La bellezza inizia nel momento in cui scegli di essere te stessa”.

“L’idea alla base dell’ultimo progetto – spiega – è stata plasmata dalla volontà di rendere l’arte del trucco accessibile a tutte, dai livelli base a quelli più avanzati. Osservando la mancanza di risorse inclusive nel settore, ho deciso di creare un corso adatto a donne di ogni età, offrendo loro un percorso dettagliato che copre le diverse tecniche e prodotti ideali per ogni tipo di pelle”.
L’appello di Beatrice Gherardini

Inteso in questo senso, il make-up serve a mettere in risalto le diversità di ciascuna donna, non a reprimerle. “Non ho mai dato retta all’odio in rete e a chi mi attaccava per la mia pelle e per l’acne, ho imparato l’importanza di amarmi per quello che sono e senza nascondere le mie cicatrici. Sono diventata make up artist e life coach, cercando di superare delle convenzioni limitanti andando oltre il semplice make up e abbracciando un approccio olistico che miri a sottolineare che la bellezza va oltre l’aspetto esteriore, incoraggiando le donne a sentirsi bene sia dentro che fuori”, dice Beatrice Gherardini che conclude con un appello “Ricordiamoci che la vera bellezza comincia sempre nel momento in cui decidiamo di essere noi stesse. Nulla nella vita ci può limitare se non noi stessi. Amatevi per quello che siete e portate con fierezza i segni delle vostre battaglie perché vi hanno reso le persone uniche e magnifiche che siete oggi”.

24.12.24

L’AQUILA E LA BAMBINA CIECA e Storia di Gwaihir l'aquila reale che ritrova il padrone


















Il vento sussurrava tra i pini della montagna, portando con sé gli echi di un mondo lontano. Sofía, una bambina di otto anni, era sola. La sua cecità non era l’unico peso che portava: era stata abbandonata da chi avrebbe dovuto proteggerla. Avvolta in una coperta logora, il suo piccolo corpo tremava a ogni soffio di vento gelido. La montagna, apparentemente indifferente, non era però deserta.
Sopra i picchi innevati, un’aquila calva scrutava il panorama. Maestosa e potente, aveva visto la durezza della vita, ma quella figura minuscola, seduta sul bordo di un dirupo, catturò la sua attenzione. Chiamata Falco dagli abitanti del luogo per la sua grandezza e acutezza, l’aquila scese lentamente. Con un battito d’ali leggero, si posò a pochi metri da Sofía.
Sentendo il vento mosso dalle ali, la bambina girò la testa. Non mostrava paura.
"Chi c’è?" mormorò, con una voce appena udibile.
Falco, ovviamente, non poteva rispondere, ma qualcosa lo spinse ad avvicinarsi.
Un incontro inaspettato
L’aquila fece qualche passo verso Sofía, fissandola come se potesse comprendere la sua fragilità. La bambina allungò la mano con cautela nell’aria, e sorprendentemente Falco non si ritrasse. Con un gesto che sfidava la natura stessa, Sofía riuscì a toccare le sue piume morbide.
"Sei un angelo?" chiese con un filo di speranza nella voce. Per lei, il calore che emanava l’aquila era una risposta.
La notte calava, e il freddo diventava più pungente. In un gesto quasi istintivo, Falco allargò un’ala e la avvolse delicatamente. Nessuno avrebbe mai creduto possibile quella scena: un’aquila che proteggeva una bambina cieca. Sofía, per la prima volta dopo giorni, si addormentò sentendosi al sicuro, mentre Falco vegliava su di lei come fosse il suo cucciolo.
Il viaggio verso la valle
All’alba, il canto degli uccelli svegliò Sofía. Sebbene non potesse vedere, sentiva che il mondo intorno a lei era vivo. Falco, irrequieto, si incamminò verso un sentiero. La bambina, intuendo le sue intenzioni, si alzò e lo seguì, cercando il terreno con cautela.
Il cammino era difficile, pieno di pietre e rami. Sofía inciampava spesso, ma ogni volta Falco si fermava pazientemente, emettendo un lieve suono, come per incoraggiarla a continuare.
Giunti a una radura, Falco lanciò un grido acuto. Dall’alto, altre aquile risposero. Sembrava che stesse chiedendo aiuto. Poco dopo, uno stormo iniziò a sorvolare l’area, guidando Sofía verso il fondo valle.
Il viaggio durò ore, ma nel pomeriggio Sofía sentì qualcosa che le fece accelerare il passo: il mormorio di un fiume e voci umane in lontananza.
Il miracolo del villaggio
Quando Sofía raggiunse il villaggio, gli abitanti rimasero senza parole: una bambina cieca, guidata da un’aquila e seguita da uno stormo di uccelli. Era un’immagine quasi sovrannaturale.
Un uomo, Andrés, di 42 anni, corse verso di lei.
"Stai bene, piccola?" le chiese inginocchiandosi.
Sofía sorrise per la prima volta dopo giorni.
"Sto bene, grazie a Falco," rispose, indicando l’aquila, ora posata su una roccia vicina.
Andrés guardò l’aquila, visibilmente colpito. Era come se l’animale capisse tutto ciò che stava accadendo. Gli abitanti del villaggio, commossi dalla storia di Sofía, decisero di prendersi cura di lei. Venne accolta da Clara, una donna di 50 anni che aveva perso sua figlia anni prima. Clara la portò a casa, e da quel momento Sofía trovò non solo un tetto, ma anche una famiglia che la amava.
Un nuovo inizio
Col passare dei mesi, la storia di Sofía e Falco divenne leggenda. L’aquila continuava a visitarla, posandosi sull’albero davanti alla sua finestra, come per assicurarsi che stesse bene.
Sofía imparò ad adattarsi alla sua cecità. Andrés, che era un musicista, le insegnò a suonare la chitarra. Clara le leggeva libri e le raccontava il mondo attraverso le parole.
Un giorno, mentre suonava una melodia davanti al villaggio, Falco riapparve e lanciò un grido che riecheggiò tra le montagne. Per Sofía, quel suono non era solo un richiamo, ma una promessa: non sarebbe mai stata sola.
La bambina abbandonata aveva trovato il calore di un protettore improbabile tra le fredde montagne e, in un piccolo villaggio, un amore che guarì tutte le sue ferite.




------





AGI - L’hanno ribattezzata Gwaihir, come il re delle aquile di Tolkien nella saga Il Signore degli Anelli. Ed è un magnifico esemplare di aquila reale, 4 chili e un’apertura alare di 2 metri, quello trovato disorientato e malconcio in una campagna in provincia di Napoli dal Servizio veterinario dell’Asl Napoli 2 Nord, che ha subito compreso quanto le condizioni del rapace fossero delicate.
Di qui la decisione di affidarlo alle cure del Centro di Recupero Animali Selvatici (Cras) dell’ ateneo Federico II – Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali, attivo presso il presidio ospedaliero veterinario dell’Asl Napoli 1 Centro. Qui, i veterinari hanno stabilizzato le sue condizioni cliniche, scoprendo che l’aquila, dotata di un anello identificativo e microchip, era in realtà un esemplare detenuto legalmente e con un padrone.
Grazie alla collaborazione con i Carabinieri Forestali Gruppo di Napoli Nucleo Cites è iniziata così la ricerca del proprietario e a meno di 48 ore dal suo ritrovamento, dopo le verifiche del caso sulla documentazione, il giovane Gwaihir è stato restituito a chi con cura e rispetto si prendeva già responsabilmente cura di lui.

23.12.24

LE ANIME BELLE ESISTONO E RESISTONO ... Lei si chiama Chiara Trevisan, ha 46 anni e di mestiere legge libri agli sconosciuti.

  da  

Mauro Domenico Bufi  21 dicembre alle ore 11:05 
il suo carretto carico di libri, frasi, parole, storie.
In testa un buffo cappello blu a falde flosce, nella voce un frammento di vita da regalare al mondo.
Si definisce “lettrice vis-à-vis” e da cinque anni la potete trovare in piazza Carignano, a Torino, con la sua cesta di libri e una scatola piena di frasi scritte su quadrati di carta. “Scegline cinque - dice a chiunque si avvicini - In base a quelle che senti più tue, ti leggerò un brano.” Un saggio, un classico, un racconto di Hemingway, i versi della Szymborska, non importa: Chiara ti ruba l’anima e te la restituisce in forma di  parole, riallacciando miracolosamente una relazione tra esseri umani a cui abbiamo rinunciato
Non è una semplice performance e Chiara non è solo un’artista di strada. Chiara è una archeologa delle relazioni sociali, un’artigiana della cultura che, pazientemente, ricostruisce reti emotive attraverso il potere di un linguaggio universale.
In quest’epoca di tenebre attraversate da odio, violenza e ignoranza, in cui metà degli italiani dichiara orgogliosamente di non aver letto neanche un libro in un anno, in cui la cultura è tornata ad essere vista con sospetto, Chiara è una lanterna accesa all’angolo della strada.
Non lasciamola spegnere per nessuna ragione.

Tigri romantiche, trapianti suini, bestemmiatori fatali, smemorati fedeli, babbi Natale atletici, docenti truffaldini e omicidi su Google







Il prof di Economia si laurea in Fisica sfruttando un errore e gli esami di un omonimo

L’accademico dell’anno è il prof. Sergio Barile, docente di Economia alla Sapienza sospeso dalla sua cattedra per aver ottenuto una laurea in Fisica senza aver dato nemmeno un esame. Come ha fatto? Grazia a un incredibile caso di omonimia. La vicenda inizia nel 2018 e ha radici in un errore informatico compiuto durante la migrazione di dati accademici: due carriere universitarie, appartenenti – caso più unico che raro – a persone con lo stesso nome e data di nascita, si sono sovrapposte. Sergio Barile ha fatto il vago: nel 2019 ha sfruttato la carriera del suo omonimo, ha pagato tasse arretrate per oltre 7mila euro e si è presentato bello bello a discutere la tesi di laurea in Fisica, pur non avendo mai sostenuto un esame in quella disciplina. L’irregolarità è stata scoperta da una funzionaria  della segreteria    al momento  di  registrazione della  laurea  , Barile è stato sospeso per sei mesi, con perdita di anzianità e interdizione dagli incarichi istituzionali. Ha fatto ricorso e ha perso, mentre il caso prosegue in sede penale.


----- 


Perde la memoria dopo una truffa, lo ritrovano sotto choc al Circo Massimo: “Ricordo solo che tifo per la Roma”



Fratello romanista, io ti credo. Repubblica Roma racconta l’incredibile storia di Luciano D’adamo: “Non ricordava più nulla, nemmeno il suo nome. Ma la fede, quella sì, impossibile da dimenticare: ‘So da’ Roma’. Il 73enne smemorato che è stato soccorso dagli agenti di polizia al Circo Massimo era uscito dalla sua casa di Primavalle venerdì lasciando un biglietto: ‘Mi tolgo di torno, non servo più a niente’. Lo aveva scritto dopo un aver subito una truffa. Aveva risposto a un sms pensando fosse la sua banca. Invece si era ritrovato con il conto svuotato dei risparmi di una vita: 18mila euro”. Lo shock l’aveva spinto a uscire di casa e camminare senza meta, dimenticando pure il proprio nome. I familiari lo hanno cercato ovunque, coinvolgendo anche Chi l’ha visto?. È stato infine soccorso dagli agenti di polizia locale, che lo hanno trovato infreddolito. Alla domanda su quale squadra tifasse, ha risposto senza dubbi e con giustificato entusiasmo. Poi purtroppo si è ricordato dei risultati.




-----



La tigre Boris percorre 200 chilometri attraverso i ghiacci russi per ricongiungersi alla compagna Svetlaya


Boris e Svetlaya, due tigri Amur orfane, hanno scritto una smielatissima storia d’amore felino, perfetta per la programmazione natalizia. Salvati da piccoli dopo aver perso le madri per mano dei bracconieri, i due gattoni siberiani sono stati riabilitati in un centro specializzato dove hanno imparato a cacciare e sopravvivere senza contatti con gli umani. Crescendo insieme, sembrerebbe che si siano innamorati. Oggi, liberati a oltre 100 miglia di distanza l’uno dall’altra, hanno trovato il modo di ricongiungersi: Boris ha percorso circa 200 chilometri tra foreste, fiumi ghiacciati e lunghissime valli desolate raggiungere la sua amata. Non è stato un viaggio a vuoto: le due tigri, ricongiunte, hanno già dato vita a una cucciolata, nascosta in una tana tra gli alberi. Per le tigri Amur non è solo un romanzo rosa, ma una speranza di rinascita: si tratta di una specie in grave pericolo d’estinzione, con appena 485-750 esemplari rimasti in natura.




------



New York Aveva donato il suo rene alla mamma, oggi si salva grazie al trapianto di un maiale geneticamente modificato


La vita è beffarda e incredibile: aveva donato un rene alla mamma trent’anni fa, oggi le salvano la vita con un rene di maiale. L’avveniristica operazione è stata realizzata con successo il 25 novembre presso il NYU Langone di New York: l’organo del suino geneticamente modificato è stato trapiantato a Towana Looney, 53 anni, in lista d’attesa dal 2017. È il terzo xenotrapianto realizzato negli Stati Uniti, destinato a pazienti non idonei a ricevere organi umani. I primi due sono falliti. Looney aveva donato un rene alla madre negli anni ’90, ma le complicazioni di una gravidanza avevano compromesso il suo rene residuo. Grazie al trapianto, Looney non ha più bisogno di dialisi ed è stata dimessa il 6 dicembre, dotata di dispositivi per il monitoraggio costante dei parametri vitali e sottoposta a controlli quotidiani. I medici sono ottimisti: questo caso incredibile rappresenta una possibilità di raccogliere dati importanti su rigetto, durata e funzionalità negli xenotrapianti.


-----






Gli assassini finiscono nelle foto di Google Maps e la polizia risolve un caso di cronaca nera fermo da 2 anni

Pensavano di aver fregato tutti, invece alla fine è arrivata Google. Le immagini della Street View sono state cruciali per risolvere un caso di cronaca nera in Spagna, nella provincia di Soria: l’automobile dell’azienda di Mountain View ha involontariamente fornito le prove decisive per provare l’omicidio di un cittadino cubano, che era stato denunciato come scomparso a novembre 2023. I due presunti omicidi, un uomo e una donna, sono stati arrestati e si trovano in custodia cautelare. Grazie alle foto della Street View, gli agenti hanno trovato due immagini di diversi prima, difficili da fraintendere: una mostrava un uomo che caricava un cadavere avvolto in lenzuola nel bagagliaio di un’auto, l’altra lo ritraeva mentre trasportava il corpo con una carriola. Seguendo questi indizi, la polizia ha ritrovato la vittima sepolta nel cimitero di Andaluz. La donna arrestata avrebbe avuto una relazione sentimentale con entrambi gli uomini coinvolti. Google non ha specificato se rimuoverà le immagini del crimine.



Torino Il figlio bestemmia mentre gioca alla Playstation: la vicina di casa, esasperata, prova ad accoltellare la madre


Natale santo, ma non santissimo a Torino. Una gioviale signora di 60 anni ha accoltellato la vicina di casa dopo una lite per i continui schiamazzi del figlio trentenne della donna, che giocava alla Playstation gridando parolacce e bestemmie fino a tarda notte. Comportamento spiacevole, ne conveniamo, ma la reazione forse è un filo eccessiva. L’episodio è avvenuto in un condominio di corso Cincinnato. Infastidita dai rumori, la donna ha suonato il campanello dei vicini e ha tentato di colpire il 30enne con un coltello. La madre, cuore di mamma, si è messa in mezzo per schermare i colpi e ha riportato una ferita all’avambraccio. È stata medicata in ospedale e dimessa con pochi giorni di prognosi. La 60enne, denunciata a piede libero per lesioni, ha spiegato il suo esaurimento: “Non volevo fare del male, ma sono mesi che non dormiamo”. Anche il giovane lord passerà dei guai: la polizia ha trovato tre katana nella sua stanza, è stato denunciato per detenzione abusiva di armi.



-----


Kosovo In migliaia (compreso un pastore tedesco) corrono la “Run Santa Claus”, una maratona vestiti da Babbo Natale


Che caldo che doveva fare dentro quei costumi. Domenica scorsa migliaia di persone hanno partecipato alla nona edizione della maratona “Run Santa Claus” a Pristina, capitale del Kosovo. I partecipanti, vestiti da Babbo Natale, hanno corso per raccogliere fondi a scopo benefico. Cittadini e soldati: all’evento, oltre ai locali, hanno partecipato molti militari della missione di pace della NATO. Sfidare il sudore e il senso del ridicolo, ma a fin di bene: come ha spiegato l’organizzatore Jusuf Islami l’obiettivo della maratona, sin dalla prima edizione, è aiutare i bisognosi in un Paese pieno di problemi. Tra i partecipanti c’era anche Edward Berlen, un americano di Los Angeles che si trovava a Pristina per caso, in transito verso l’islanda, e si è unito alla corsa. Ha trovato curioso – dice – vedere un evento natalizio in una città a stragrande maggioranza musulmana (il 97% a Pristina). Tutti i partecipanti hanno ricevuto una medaglia, compreso un cagnone locale, un bel pastore tedesco, che ha completato il percorso insieme ai corridori.


graffiti sui muri due pesi e due misure il caso di Dario Buffa denunciato per aver cancellato da un muro svastiche e altri simboli nazifascisti e il caso di blu a cui no cancellano il suo muralers su ugo russo

Nel Paese al contrario, accade questo.
Questo giovane uomo di 32 anni è un operaio agricolo che di nome fa Dario Buffa(  foto a  sinistra  )  e ha fatto una cosa per cui in un Paese civile avrebbe meritato una medaglia: si è armato di bomboletta spray e con quella ha cominciato a cancellare le svastiche e i simboli nazifascisti dai muri della sua città,Massa.
Lo ha fatto in pieno giorno, a volto scoperto, come atto orgogliosamente antifascista.
Sapete com’è finita? Con un decreto di condanna a 4 mesi e 1.800 euro di multa per imbrattamento di suolo pubblico.
Fare delle svastiche è stato equiparato a chi le ha cancellate.
Dario ha deciso di andare così a processo per contestare la decisione nel merito e sostenere le sue idee. Fino in fondo.
 « Per me è una medaglia al valore, personalmente ne vado fiero ma non mi hanno fatto il processo e per una cosa del genere lo voglio” ha detto.
Sembrerà poco, ma è un gesto di enorme coraggio e di Resistenza civile di cui oggi, in questi tempi di spaventosa indifferenza, abbiamo bisogno. A questo ragazzo va tutta la solidarietà umana e politica. Grazie Dario ! »  Lorenzo  tosa  

la  seconda  storia     invece  viene dal  il  Fq  el  23\12\2024  

per chi  ha  fretta  

CHI È “BLU”? La sua vera identità resta tuttora sconosciuta, anche se il suo profilo su Wikipedia dice che è nato a Senigallia (Ancona) il 1º maggio 1980. Attivo da anni presentandosi sempre con quello pseudonimo, nel 2011 è stato indicato dal quotidiano inglese The Guardian “come uno dei dieci migliori esponenti dell'arte di strada in circolazione”. Blu ha incominciato a farsi conoscere a partire dal 1999 attraverso una serie di graffiti eseguiti a Bologna, nel centro storico, nelle zone adiacenti all'accademia di Belle Arti, e in periferia



29/02/20 LA RICOSTRUZIONE

Ugo Russo, 15 anni, nella notte del 29 febbraio 2020, insieme a un 17enne, aveva tentato di rapinare un militare dell'arma che si trovava in automobile con la fidanzata, in via Orsini a Napoli. Russo lo aveva minacciato con una pistola (che successivamente risultò essere una replica). La vicenda è ora al centro del processo che vede il carabiniere imputato di omicidio volontario



Domani notte arrivano i doni, e io vorrei scrivere una letterina per chiederne uno non a Babbo Natale, ma al sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi – che ricordo come mio intelligente rettore, alla gloriosa Federico II. Quello che è probabilmente il più importante street artist italiano, Blu, ha realizzato negli scorsi giorni un magnifico murale ai Quartieri Spagnoli, in via Croci Santa Lucia al Monte. Racconta la storia di Ugo Russo, il ragazzo di quindici anni ucciso da un colpo di pistola sparato da un carabiniere non in servizio, al quale stava rubando l’orologio minacciandolo con una pistola giocattolo.

SARÀ il processo a dire la verità giudiziaria su questo fatto terribile. Il murale di Blu, invece, dice già –




con la lingua inarrivabile, struggente e straziante dell’arte – l’immutabile verità esistenziale, morale, sociale della Napoli popolare, del suo rapporto col potere, delle sue vite a perdere. Blu ci mostra Ugo Russo: un ragazzo inseguito da enormi proiettili (non solo nell’ultimo giorno della sua vita, ma da quando era nato). Un ragazzo per cui chiedere «verità e giustizia». Un ragazzo: che rappresenta tutti i ragazzi come lui, anche quelli che per fortuna non hanno fatto la fine di Ugo.

Cometutti quelli che dipingono sui muri, Blu ha visto tante volte le sue opere cancellate. A volte le ha cancellate lui, per proteggerle dal mercato e dall’appropriazione. E almeno una volta è finito a processo, per un’opera che rappresentava la rapace speculazione del Tav, e che aveva dipinto su un pilone in Val di Susa. In quel processo, Blu fu assolto.

L’opera

LA SENTENZA

dice che «considerando il pregio estetico dell’opera e la fama del suo artefice in rapporto con la banalità del supporto su cui è dipinta, un anonimo muro di cemento che sorregge un cavalcavia ferroviario, questo giudice ritiene che il dipinto non costituisca ‘imbrattamento o deturpamento’ ai sensi dell’art. 639 c.p. il cui evento tipico consiste nell'alterazione in senso peggiorativo dell’aspetto esteriore o della nettezza della cosa altrui mentre nel caso di specie siamo di fronte ad un’opera di pregio firmata dalla mano di un artista di fama che va piuttosto a recare ornamento, visibilità e valore ad un opera pubblica grigia e anonima. L’autore pertanto va assolto dal reato contestato». Mi permetto di ricordare che partecipai a quel processo, come teste della difesa. La sentenza, nel passaggio subito prima di quello citato, lo registra, ricordando come il sottoscritto avesse spiegato al giudice che «l’autore è conosciuto a livello internazionale come ‘Blu’: uno degli esponenti più significativi della street art in Italia nonché uno dei più importanti d’europa. Le sue opere, di contenuto sociale, sono molto apprezzate e aggiungono valore alle strutture dove sono realizzate».

EBBENE, lo vorrei ripetere oggi al sindaco Manfredi: anche questo murale di Blu è un capolavoro, e cancellarlo sarebbe imperdonabile. Con tutta la retorica profusa sulla cura e sulla bellezza delle città, e con i pochi soldi che ci sono perché quella retorica si avveri, che senso ha andare a distruggere un’opera così bella, importante, gratuita? Ma c’è qualcosa di più profondo, e di ancora più importante. L’ugo che sfreccia in bicicletta nel murale di Blu è in fuga dal mondo degli adulti: un mondo remoto e irriducibilmente altro. Un mondo che gli ha preso tutto: alla fine, anche la vita. Un muro ci divide da questi ragazzi: la loro lingua, le loro aspirazioni, il loro universo simbolico sono lontani dai nostri. E i rari adulti che, con parole o opere, riescono ad attraversare questo muro, ad essere accettati, vanno incoraggiati, premiati, sostenuti: non puniti, o ‘cancellati’.

NESSUNA opera memoriale commissionata dal Comune o dallo Stato potrebbe essere accettata, anzi amata, come questa di Blu è amata dalla gente del quartiere, dalla famiglia e soprattutto dai coetanei di Ugo. Una pittura che costruisce nessi ed empatia come scuola e istituzioni non riescono nemmeno ad immaginare. La storia di Ugo, le infinite storie come la sua, sono ferite sanguinanti che provocano altre ferite. Se c’è una cura, un balsamo, un lenimento, perché gettarlo via? In questi tempi di guerra, si ha la sensazione che non si riesca ad uscire dalla logica della rappresaglia anche in altri ambiti della vita collettiva. Va bene, il murale non era autorizzato: ma è una cosa grande. Un dono. Una benedizione. Come si fa a pensare che da un’altra, da un altro rifiuto, da un’altra ‘prevaricazione’ agita da una istituzione, dagli adulti negazione (non importa se in nome della legge: anzi, peggio), possa venire fuori qualcosa di buono? Quel che ovunque sembra impossibile, a volte a Napoli invece si avvera. Chissà che, in questo Natale, il regalo collettivo del sindaco Manfredi ai suoi concittadini più cari, perché più fragili e irraggiungibili, sia la grazia per questo pezzo di muro dipinto. Che rappresenta uno dei pochi casi in cui un muro può renderci tutti più umani.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...