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5.12.25

Procuratrice Ancona, 'non tutti i casi di violenza sono uguali'




© Provided by ANSA

(ANSA) - ANCONA, 04 DIC - "Questa storia lascia l'amaro in bocca, non si possono trattare tutti i casi di violenza nello stesso modo. Credo che questo caso avrebbe meritato una corsia preferenziale, che nel caso in specie non c'è stata". Così la procuratrice capo della Repubblica ad Ancona, Monica Garulli, ha risposto alle domande dei cronisti sul femminicidio avvenuto ieri a Pianello Vallesina di Monte Roberto (Ancona).
Nazif Muslija, il 50enne principale sospettato e ancora ricercato, doveva frequentare un percorso per uomini maltrattanti della durata di un anno. Un percorso legato al suo patteggiamento a un anno e dieci mesi di reclusione per le aggressioni e i maltrattamenti alla moglie, Sadjide Muslija, trovata morta ieri con segni di violenza in casa. L'uomo aveva un anno di tempo per svolgere il percorso da quando la sentenza era passata in giudicato a settembre 2025: avrebbe dovuto fare incontri ogni due settimane per una durata totale di 60 ore. L'avvocato dell'uomo, Antonio Gagliardi, ha tuttavia affermato che "non c'era posto per l'uomo nell'associazione indicata dal percorso". La Procura sta preparando un fermo con mandato internazionale a carico dell'uomo, indagato per omicidio volontario.
"Io penso che nel momento in cui si individua una struttura deputata al percorso di recupero, per evitare il pericolo di recidiva bisogna comprendere qual è il pericolo di recidiva e differenziare i percorsi a seconda della gravità dei fatti. - ha aggiunto Garulli - Credo che questo caso avrebbe meritato una corsia preferenziale che nel caso in specie non c'è stata. La legge però non lo consente, perché il giudice quando emette una sentenza deve individuare e subordinare la sospensione condizionale della pena alla partecipazione al percorso. Poi c'è la parte dell'esecuzione che è rimessa a organi diversi da quelli giudiziari e non abbiamo possibilità di intervento. Lì andrebbero meditate le situazioni che hanno una valenza prioritaria, ma il giudice non può intervenire dando una corsia preferenziale, ma penso che sarebbe auspicabile. Bisogna modellare il trattamento in relazione alla gravità della situazione, bisogna che si consideri questo aspetto, che è un profilo sostanziale, non formale". (ANSA).





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Oltre all'articolo preso  dal  n  della  scorsa settimana  di topolino   che trovate sotto ,vi segnalo , amati delle due ruote , questo progetto di www.lentamente.net  « un progetto nato da un gruppo di amici con in comune la passione per i motorini e per tutti quei veicoli inadeguati che a volte usiamo per i nostri piccoli viaggi e per le nostre avventure.Attraverso questo sito ed attraverso i principali social raccontiamo le nostre avventure , piccole imprese di riders con mezzi assolutamente inadatti per queste fantastiche esperienze. Attraverso il nostro BLOG e tramite i canali social ci scambiamo consigli, stringiamo amicizie e creiamo gruppi di viaggio fantastici »  








4.12.25

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educazione, linguaggio rispettoso e interventi culturali e istituzionali. La prevenzione passa soprattutto da un cambiamento sociale e comunicativo, non solo dall’osservazione dei gesti.  Infatti    ha  ragione   Antonio Bianco nella puntata  odierna   sul settimanale   Giallo (  foto a  sinistra  ) il linguaggio     del corpo  può avere  un ruolo    🔍in quanto esprime  

  • Segnali di disagio o paura: posture chiuse, sguardi sfuggenti, tensione muscolare possono indicare che una persona si sente minacciata. Riconoscerli può aiutare a intervenire prima che la situazione degeneri.

  • Indicatori di aggressività: gesti ampi e invadenti, tono di voce crescente, avvicinamenti fisici forzati possono segnalare un rischio imminente.

  • Limiti: il linguaggio del corpo è interpretativo e non sempre affidabile. Non può sostituire strumenti di prevenzione strutturali come educazione, supporto psicologico e tutela legale.

Però oltre  al  linguaggio del corpo  anche     🗣️ Il linguaggio verbale  può  fungere  come prevenzione Gli studi sottolineano che il linguaggio verbale e culturale è centrale nella prevenzione della violenza di genere:Il presidente Mattarella ha ribadito che “parità significa educazione al linguaggio del rispetto”, evidenziando come parole e comunicazione possano alimentare o contrastare stereotipi e abusi.Espressioni sessiste e stereotipi verbali  , e  scritti  " murali  " ( vedere    elenco  da  ragazze  da    struprare  sui bagni  scolastici )  rafforzano la cultura patriarcale e normalizzano la violenza.Mentre  l’uso di un linguaggio inclusivo e consapevole contribuisce a ridurre discriminazioni e a promuovere rispetto.Infatti      dati recent  📊 hanno  dimostratro     che   nel 30,9% dei femminicidi la vittima aveva già subito maltrattamenti, e nel 25% minacce: segni “visibili” che spesso non vengono presi sul serio.Ecco quindi     che   i segnali (verbali e non verbali) esistono, ma servono strumenti sociali e istituzionali per riconoscerli e intervenire. Ora   però  se  da  un   lato è  utile    ci  sono  come in tutte  le cose   dei ⚖️ Rischi e sfide. Infatt
  • Interpretazione soggettiva: il linguaggio del corpo può essere frainteso, rischiando di colpevolizzare la vittima.

  • Spettacolarizzazione mediatica: concentrarsi solo sui gesti rischia di ridurre la violenza a “segnali da decifrare”, invece di affrontarne le radici culturali.

  • Soluzione reale: educazione al rispetto, linguaggio inclusivo, supporto alle vittime e responsabilità istituzionale.

👉 In conclusione, il linguaggio del corpo può essere un campanello d’allarme, ma la vera prevenzione dei femminicidi e delle violenze passa da:  educazione, linguaggio rispettoso, cambiamento culturale e interventi concreti non  solo   ,  ma   in mancanza o presenza lasciata all'improvvisazione  , la sensazione   come  dice  lo  stesso Bianco    nell'articolo   citato    è un arma  di  prevenzione e   di autodifesa    

un confessionale moderno davanti al quadro di Carracci divide . il caso della chiesa di Santa Maria della Carità a bologna il caso dai social passa alla Soprintendenza ., Pavarotti ‘ghiacciato’, il pasticcio di Pesaro fa il giro del mondo: dall’Europa all’America, passando per l’Africa

premetto  ch e  non  sono  contrario   all'arte  moderna    e contemporanea    o quando meno  ad  ispirazione  e  contami.nazione ei classici   ma     qui si tratta   di deturpamento mancanza di rispetto per i monumenti  antichi  


da https://incronaca.unibo.it/archivio/2025/12/02/



                            Il confessionale sotto il quadro di Carracci
                        (foto realizzata per la parrocchia da Alessandro Ruggeri)


Nella chiesa di Santa Maria della Carità, in via San Felice, nell’ultimo mese c’è una novità. Un parallelepipedo nero, lucido, imponente, ai piedi dell’opera di Annibale Carracci “Crocifissione e santi” del 1583. È il nuovo confessionale insonorizzato, riscaldato e ventilato in cui il prete don Davide Baraldi ascolterà i peccati dei suoi parrocchiani. I molteplici significati associati da Baraldi alla nuova installazione, la superfice lucida per riflettere sé stessi, la geometria che vuole ricordare il movimento dell’abbraccio, l’assenza di un tetto per permettere allo sguardo che si alza di chi è seduto all’interno di incrociare quello del Cristo in croce di Carracci, non hanno però convinto i detrattori. In prima fila il Comitato per Bologna storica e artistica, che in una comunicazione sul proprio profilo Facebook ha parlato di “sinistro squallore” e ha auspicato che venga ristabilito il necessario rispetto culturale per il quadro di Carracci, a loro dire oscurato dal confessionale, arrivando anche a richiedere la rimozione coatta del “lugubre catafalco”.
Mentre l’esposto del Comitato viene analizzato dalla Soprintendenza, ufficio periferico del Ministero della cultura per la tutela dei beni culturali, il verdetto dei commentatori sotto il post è abbastanza unanime: “un frigorifero”, “un bagno chimico”, “un rifiuto dimenticato durante un trasloco”, “e il cardinale Zuppi non ha niente da ridire?”. C’è anche chi dalla rabbia dimentica di parlare in italiano e passa al dialetto: “Oddiomè che brot lavurir…int onna cisa…al starev mei int on uffezi postal” (Oddio che brutto lavoro…in una chiesa…starebbe meglio in un ufficio postale). Se si vanno a guardare le opinioni di chi invece ha scritto sotto l’annuncio del nuovo confessionale sulla pagina della parrocchia, si trova un clima del tutto diverso, che loda l’innovazione e il valore artistico della struttura.
I pareri negativi di sicuro non scoraggiano don Davide Baraldi, primo ideatore e sostenitore dell’opera, che rivendica il sì ricevuto dalla commissione di arte sacra della diocesi. «Anche Carracci che oggi viene considerato un classico – aggiunge il prete - fu aspramente criticato dai suoi contemporanei per le innovazioni che aveva apportato. Arte sacra e contemporanea possono coesistere».

da Open
Il comitato per Bologna storica e artistica promette battaglia: «Incompatibile con il contesto storico della cappella, oscura il quadro di Carracci»

Per alcuni è un’opera innovativa, per altri è un «obbrobrio». È scoppiata la polemica tra i fedeli di Santa Maria della Carità, a Bologna, per un nuovo confessionale installato nella chiesa. Inaugurato a inizio autunno, contestualmente alla fine dei lavori di restauro. A prima vista, l’opera è piuttosto impattante e assomiglia a una sorta di monolite nero, posto peraltro proprio sotto la “Crocifissione e santi”, un’opera di Annibale Carracci datata 1583.
Le proteste dei fedeli
A scagliarsi contro l’opera non sono solo alcuni parrocchiani, ma anche il Comitato per Bologna storica e artistica: «È incompatibile con il contesto storico della cappella, oscura il quadro e offende la memoria del Carracci». Anche sui social il nuovo confessionale non ha ricevuto molti commenti negativi. «Sembra un frigorifero», scrive un utente. «Un bagno chimico», suggerisce un altro. Mentre c’è chi arriva addirittura a chiedere un «intervento coatto di rimozione» e prepara un esposto da presentare alla Soprintendenza.







Comitato per Bologna Storica e Artistica
22 ottobre ·


Avevamo inizialmente pensato di tacere - “per carità di patria” - il nome della chiesa. Ma un articolo ha già mostrato il nuovo "confessionale" di Santa Maria della Carità in tutto il suo sinistro squallore collocato sotto la "Crocifissione e Santi", il primo capolavoro di Annibale Carracci nonché dipinto rivoluzionario noto in tutto il mondo. Non servono ironie: l’oggetto si commenta da sé. Ci limitiamo a poche, necessarie osservazioni. La cosiddetta “tutela dei monumenti” appare ormai estinta: un simile intervento, in altri tempi, non sarebbe stato né autorizzato né tollerato. Lasciano allibiti, nell’articolo online, anche i richiami all’arte contemporanea - o meglio, alle convinzioni correnti, del tutto errate, sull’arte contemporanea - ormai invocata per avallare qualsiasi cosa, anche la più orrenda, in modo acritico, trasformandola in un comodo passe-partout. E, per quanto discutibile, neppure l’arte contemporanea merita un simile trattamento. La trasformazione della cappella in un obbrobrio, e la presenza di un oggetto pseudo-artistico che nulla ha a che vedere con il dipinto di Annibale e la chiesa, impongono una riflessione urgente sullo stato della vigilanza istituzionale e sull’effettiva capacità di garantire il rispetto dovuto ai grandi artisti del passato e ai monumenti della città. Chiediamo pertanto che vengano intraprese alcune azioni semplici ma necessarie per ristabilire un minimo di civiltà e rispetto culturale:
1. Rimuovere quanto prima l’elemento estraneo, incompatibile con il contesto storico-artistico della cappella e fonte di evidente offesa alla memoria di Annibale Carracci, nonché alla sensibilità dei Bolognesi di ieri, di oggi e di domani.
2. Ripristinare l’altare originario, dal momento che, fino a prova contraria, si tratta pur sempre della cappella di una chiesa. Anche il "vero" confessionale, collocato nella cappella di fronte, andrebbe rimosso per restituire alla cappella il suo aspetto tradizionale.
3. Disporre un intervento coattivo, qualora non si intendesse procedere spontaneamente alla rimozione - nella speranza che, per eludere ogni responsabilità, non ci venga opposto l’argomento secondo cui, essendo il lugubre catafalco “appoggiato” e non murato, possa legittimamente restare lì in eterno. Se tutto questo non dovesse avvenire – come è probabile – è evidente che non esistono più risposte istituzionali alla mancanza di rispetto per i monumenti.
La spiegazione di don Davide
A difendere l’opera, invece, ci pensa don Davide, il parroco della chiesa di Santa Maria della Carità, che ha spiegato ai fedeli il significato del confessionale “atipico”: «Il rivestimento esterno, oscuro e lucido crea un effetto specchiato, così che chi si avvicina a questo sacramento possa prima di entrare guardarsi meglio». All’interno, il confessionale è riscaldato, ventilato e insonorizzato. Le sedute sono una di fronte all’altra, disposte – spiega ancora don Davide – «in una geometria che riproduce il movimento dell’abbraccio».
Il paragone con il quadro di Carracci
Le spiegazioni del parroco, che veste quasi i panni del critico di arte contemporanea, non hanno convinto i detrattori. Ma don Davide ha un’ultima arma da sfoderare: il parallelismo con l’opera di Carracci che campeggia proprio sopra il confessionale. «Noi oggi guardiamo al Carracci come a un classico, ma in realtà il suo fu un lavoro di rottura, d’avanguardia, anche per il modo in cui questa Crocifissione utilizza la luce, e che a molti non piacque». Proprio come il nuovo confessionale della discordia.


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da  Il Resto del Carlino  tramite  msn.it 


Pesaro, 2 dicembre 2025 – Ma davvero? Nel giro di 48 ore la statua di Luciano Pavarotti, tombata fino alle ginocchia nell’ovale di plexiglass della pista natalizia di ghiaccio a Pesaro, è diventata una figuraccia planetaria. La vicenda è finita sulle testate di mezzo mondo come esempio di come non si celebra un’icona della cultura italiana.
giro nel mondo in meno di 48 ore
Dal Brasile al Portogallo, dall’Argentina alla Bolivia, passando per il Regno Unito, l’Uganda e la Germania: tutti stanno raccontando lo stesso incredulo copione. O Globo, quotidiano brasiliano, titola indignato: "Estátua de Pavarotti fica ‘presa ao gelo’ em pista natalina na Itália e causa indignação em viúva do tenor: ‘Absurdo’ ("Statua di Pavarotti resta ‘intrappolata nel ghiaccio’ in una pista natalizia in Italia e provoca l’indignazione della vedova del tenore: ‘Assurdo’". Il Diário de Notícias, dal Portogallo, rincara: "Autarca pede desculpa à família do tenor" ("Il sindaco chiede scusa alla famiglia del tenore"). In Argentina, Radio Rafaela parla di "escultura ‘congelada’ hasta las rodillas" (scultura ‘congelata’ fino alle ginocchia).


E in Bolivia il sito Instantáneas sintetizza impietoso: "Pesaro encierra la estatua de Pavarotti en una pista de hielo navideña" (Pesaro imprigiona la statua di Pavarotti in una pista di pattinaggio natalizia) e aggiunge, riferito al sindaco Andrea Biancani, "el alcalde de Pesaro se disculpò". Del pasticcio si è accorto anche l’Uganda: il Nile Post spiega che "Italian town freezes Pavarotti statue knee-deep in Christmas ice rink" (una città italiana ha congelato la statua di Pavarotti fino alle ginocchia in una pista di ghiaccio natalizia"). E la Bbc, con la solennità inglese di un requiem, commenta che "Pavarotti statue frozen knee-deep in ice rink strikes wrong note in Italy" (La statua di Pavarotti, congelata fino alle ginocchia nella pista di ghiaccio, stona in Italia). Bbc Radio 5 ha anche contattato la redazione di Pesaro del Resto del Carlino per un’intervista, per capire come sia potuto succedere questo pasticcio.

La statua di Pavarotti 'affogata' nella pista del ghiaccio: il video a Pesaro
In Europa i primi a fare da detonatore dopo gli articoli del Carlino erano stati The Telegraph, The Guardian, The Times, l’Independent, Der Spiegel e Die Welt: tutti a chiedersi, tradotto in pesarese, "Ma davvero?" Nicoletta Mantovani a Londra, ignara del nuovo allestimento, era trasecolata guardando le foto. Una doccia gelata, letteralmente. La vedova del Maestro aveva parlato di "ridicolizzazione" della memoria di Pavarotti.
Sui social l’ironia dell’hashtag coniato dal sindaco di PesaroDa Pesaro il sindaco Andrea Biancani, raggiunto oggi al telefono, si è detto "molto impegnato" per rispondere a domande dirette. Giorni prima, però aveva presentato le sue scuse alla famiglia Pavarotti tramite questo giornale. Un passo obbligato, prima che l’eco del pasticcio attraversasse almeno tre continenti in meno di un giorno. E mentre i portali internazionali continuano a rilanciare la notizia, sui social esplode l’ironia: l’hashtag coniato da Biancani #DaiUnCinqueAPavarotti, nato per "sdrammatizzare", oggi rimbalza nelle lingue più disparate. E il risultato è che Pesaro, Capitale Italiana della Cultura 2024, teoricamente abituata a ben altre luci, si ritrova immortalata come la città che ha messo in freezer il Maestro.

dolce dolore

  N.B il post  odierno    è  una  mia rielaborazione    di  quello    'oggi   4\1212025      della rubrica    dell'unione  sarda   caffè scorretto  

canzoni   suggerite 


Quella d’oggi è l’Italia della terza età. Ogni anno il divario fra le morti e le nascite aumenta. Tra poco più di un decennio il numero dei lavoratori sarà superato da quello dei pensionati. Si andrà in quiescenza a 70 anni. Sarà un male necessario per evitare un tracollo delle casse pubbliche dello Stato. La terza età incomincerà più tardi e sfumerà rapidamente nella quarta. L’anzianità sarà più breve, la vecchiaia più lunga. Da una notizia di cronaca scaturisce una domanda: ma quand’è che si diventa vecchi? Si diventa vecchi quando l’anzianità, con i suoi sussulti di appannato vigore, comincia a avvertire una certa sazietà di vita. Quando ti accorgi che non sei più attore ma spettatore. Quando il mondo intorno a te si restringe e nella tua dotazione di amici e affetti le assenze hanno superato le presenze. Quando dall’azione passi alla contemplazione della vita. Non solo quella che ti scorre davanti, ma anche quella del tuo passato, di un mondo che credevi di avere dimenticato; invece l’avevi soltanto accantonato, e ora sotto forma di nostalgia ritorna. La nostalgia è fascinosa, è un dolore dolce che mentre fa male lenisce. A evocarla bastano   delle  canzoni (  vedere  canzoni consigliate  e  colonna  sonora )  ,  una o  più fotografie in bianco e nero  come  quelle   della  mia famiglia  e  delle  altre   degli  avi  di parte materna  e paterna  sui mobili     libreria  di casa   immagini di persone che si animano, ti parlano, raccontano. Sei colto da stupore. Come quello che ti assale quando vai in pensione saltando l’anzianità. E entri direttamente nella vecchiaia.Anche   se  gli imminenti  50 anni  sono   ancora  pochi per  arrivare   alla   vecchiaia  . Anche  se    i pressuposti  ci sono    tutti   .  Basta  vedere i  continui  richiami sulle  bache  e  pagine  o    il proliferare  sui  social  in particolare    su fb   di gruppie  pagine  (  a  cui     anche il sottoscritto è  iscritto  )   sugli  anni  dal 60  al 90   e  la  loro   mitizzazione   della  loro  cultura   e arte  \ letteratura . Non so altro   dire  . se lasciarvi alla  musica . Infatti   eccovi  oltre  a quelle  tre   :   una  ora in onda  alla  radio   e  le  altre    due  ricordo mentale  risvegliatosi   all'ìimprovviso   , la  selezione  di  IA  di bing    da  me  consultata   in proposito  ,  canzoni italiane e internazionali che evocano la nostalgia del tempo passato, perfette per accompagnare riflessioni e ricordi : 

Cantautori italiani: ritorno al passato su Apple Music. https://music.apple.com/it/playlist/cantautori-italiani-ritorno-al-passato/pl.2272c91f5f4e4460bc539922af120846
Le migliori canzoni sui ricordi - Billboard Italia. https://billboard.it/musica/canzoni-sui-ricordi/2024/10/31169333/
10 CANZONI NOSTALGICHE SUL RICORDO DEL PASSATO - VITA - 2025https://it.goodlifestudio.net/10-nostalgic-songs-about-remembering-past

Concludo    in base  alla  strada   fin qui fatta    che ha  ragione  la  IA quando dice  che   « La nostalgia musicale può essere potente: rischia di idealizzare il passato e di fe usata come strumento creativo, diventa un ponte tra memoria e riflessione, proprio come piace a te Giuseppe: trasformare l’ambiguità del ricordo in energia poetica e critica. »

3.12.25

«Il mio sogno? Lavorare con babbo nell’ovile»


unione  sarda




Da qualche anno Chantal Ruggeri, ragioniera di 25 anni, frequenta l’ovile del padre, a “S’Arriu de sa pira”, periferia di Sinnai. Pietro Ruggeri è uno dei pochi allevatori del paese ancora sulla breccia. La crisi non manca mai, a volte è difficile far quadrare i conti. Ma Chantal non si fa scoraggiare. Oggi si occupa di assistenza domiciliare, pulizia delle case compresa. Il sogno però è soprattutto quello di affiancare il babbo Pietro, 61 anni, una vita dietro le greggi, i cavalli e gli asini dell’azienda di famiglia. «Non mi sono mai tirata indietro. Tanto che all’ovile ci vado sempre più spesso. Faccio quello che c’è da fare, compresa la mungitura a mano. Conosco bene i sacrifici del pastore, la crisi del settore, ma penso anche che c’è la possibilità di rilanciare un comparto che visti i numeri del passato, ha fatto la storia di Sinnai e della sua economia. Il mio futuro? Vorrei costruirlo seguendo proprio l’attività di mio padre, magari legandola all’agriturismo. Credo molto in questa scelta. Babbo pure, tanto che è pronto ad appoggiarmi. Io ci credo. Un futuro che vorrei costruire con mia sorella più grande e con un mio fratello più piccolo che studia all’Agrario. Esistono tutte le condizioni per realizzare questo nuovo progetto di famiglia».
L’impegno
Oggi Chantal il suo futuro lo sogna così: «Ma questo è più di un sogno», dice, «la campagna e le pecore, come i cinque cavalli ed i tre asini dell’azienda, fanno già parte di questa mia sfida: vado a mungere senza mettermi alcun problema. E vado anche a pulire l’ovile. D’altronde in Sardegna ci sono già tantissime donne che seguono sul campo piccole e medie aziende. E lo fanno anche con successo. Allevare il bestiame bene si integra con l’agriturismo. Una sfida da vincere, contando inizialmente sull’appoggio di mio padre che fa il pastore da sempre».
La crisi
Chantal non si preoccupa neppure della crisi che sta travolgendo il settore agro pastorale. Una crisi che parte da lontano. I tempi in cui il patrimonio zootecnico nel territorio di Sinnai e dintorni, raggiungeva i 40mila capi ,sono lontani anni luce. Oggi questo patrimonio è ridottissimo. Non più di 6mila capi di bestiame. Comprese le greggi di pastori non sinnaesi, ma che gravitano nell’agro comunale, a Tasonis e Solanas. «Siamo rimasti davvero in pochi», dice Pietro Ruggeri, proprietario di 500 capi. «Con me, a fare i pastori sono rimasti Eugenio, Pierpaolo e Angelo Spina, Luca e Roberto Frigau, Franco e Piero Zanda, Mosè Farci, Emiliano Saddi. E, ancora Paolo Aledda, Sisinnio e Vittorio Sanna, Gianni e Michele Locci. Ho paura che saremo sempre di meno: i costi di produzione crescono a dismisura, il prezzo del latte diminuisce. Sono pronto ad appoggiare il progetto di mia figlia. Vuole seguire la mia strada facendo anche l’agriturismo? Io ci sto. Bisogna credere nei figli e nei giovani».

Le tre vite in una di Antonio Maricosu, campione di boxe che divenne medico e poi anche ingegnere

  da  la  nuova  sardegna 


Nuoro
Tre vite in una. La prima, da sportivo, che lo ho portato a diventare campione prima sardo e poi italiano di boxe a 17 anni. La seconda da medico, professione che ne ha plasmato e forgiato l’esistenza. Ed infine la terza e attuale, quasi una nuova giovinezza, da ingegnere elettronico. In mezzo, giusto per non farsi mancare nulla, anche un intervento a cuore aperto a Milano nel 2018, ma questo lui lo archivia come un dettaglio.Il dottore-ingegnere- campione di boxe (con tutti questi titoli c’è il rischio di confondersi) Antonio Maricosu, 67 anni, nuorese (di origini olianesi) da cinque in pensione da medico dopo aver esercitato la per trent’anni, la laurea triennale in ingegneria il l’ha conseguita nel 2021. Questo percorso, che agli occhi degli altri (inclusi quelli del cronista) appare straordinario, per lui è una cosa normale, sempre vissuta con i piedi per terra, all’insegna della semplicità e concretezza. Sorprende poi la capacità non comune di aprire e chiudere le pagine della sua vita senza rimpianti e sentimentalismi. Ha giusto conservato in un’apposita cartella le fotografie in bianco e nero e le cronache dei giornali di cinquant’anni fa che celebravano le sue imprese da pugile. Riaffiora il ricordo di quel nomignolo che lo fa sorridere. «Mi chiamavano “Antonio il bello” - dice Maricosu - perché dicevano e scrivevano che salivo sul ring pettinato e ci scendevo con la capigliatura in ordine».Oggi ha dismesso il camice da medico e appare avviato con il piglio giusto verso il prossimo traguardo: «Mi mancano pochi esami per la laurea magistrale in Ingegneria. Rispetto a quando lavoravo ho molto più tempo. Prima per la triennale mi ritagliavo due ore la mattina presto e due la notte. In mezzo c’era l’ambulatorio anche con 60 – 70 pazienti al giorno. Qualche dose fisiologica di stress e stanchezza, ma niente di più». La facoltà di Medicina a 18 anni è stata una seconda scelta, ma poi una volta medico ha svolto con passione e una professione per tanti versi totalizzante, sia come guardia medica all’inizio o come condotto, senza dimenticare una stagione di quasi 27 anni da medico nel carcere di Badu’ e Carros. «In effetti volevo iscrivermi in Ingegneria a Torino, ma i miei genitori mi convinsero a rimanere in Sardegna. Non si sentivano sicuri visto quello che accadeva in quegli anni nel capoluogo piemontese, particolarmente caldo anche per il pericolo dell’eversione e della presenza delle Brigate rosse», confida Maricosu. «Ho fatto il medico e non me ne sono pentito. Un’esperienza bellissima così come lo sono stati gli anni giovanili da pugile».L’incontro con la nobile arte nacque per caso: «Mio padre faceva l’insegnante ed era collega e amico di Piero Merche, un maestro della boxe nel nuorese. Mi ha affidato alle sue cure in palestra anche per farmi irrobustire dato che allora ero molto magro». «Nel ring - ricorda -mi trasformavo, tanto che divenni campione sardo e poi nel 1974 a Paola in Calabria vinsi il tricolore. Avevo 17 anni e fui molto felice. Quando poi in quello stesso anno mi arrivarono per natale gli auguri con dedica di Nino Benvenuti con una cartolina del Coni toccai il cielo con un dito; per me era un idolo, un campione a cui ispirarmi», ricorda Antonio Maricosu mentre sfoglia l’album dei ricordi ricco di istantanee in bianco e nero con la maglia della Gennargentu Nuoro che sembrano ancora profumare di olio di canfora. «La laurea in Medicina fu una soddisfazione immensa. Io ero sposato con mia moglie Rosa. A lei devo tutto, senza il suo supporto non avrei mai raggiunto questi traguardi. Avevo già due figli quando mi sono laureato, poi arrivò anche il terzo (sono tutti e tre laureati e vivono e lavorano fuori Nuoro), insomma quando mi laureai ero già padre di famiglia».La seconda laurea in ingegneria ha avuto un sapore diverso. «Ci ho messo più tempo perché lavoravo. Poi, sono stato un anno fermo per l’intervento al cuore. È stato un sacrificio gigantesco, con materie sconosciute, ma anche nessuna voglia di desistere testimoniato anche dal fatto che ho fatto per ben tre volte il test di ammissione. Ma è stato bellissimo anche il rapporto costruito con tanti docenti e colleghi di corso, anche se molto più giovani di me. Passione e costanza sono state le mie armi. Io ci ho messo lo spirito da lottatore, il pugile che era in me. Ora che ci penso la boxe mi ha forgiato per la vita con le sue regole», conclude con in mano la sua foto con il viso da ragazzo, avvolto dal caschetto di protezione prima di salire sul ring.

DUE PAROLE ALLA POLITICA IN TEMA DI GIOVANI di Emiliano morrone

 Ma noi li abbiamo visti, sentiti, capiti i ragazzi, i giovani, i rappresentanti dell'ultima generazione? Ci siamo chiesti il perché della loro incertezza, della loro mancanza di controllo, di autostima, di obiettivi? Per quali ragioni riflettono, nel volto, nelle movenze, nei discorsi confusi, questo presente privo di riferimenti, sostanza, regole e orizzonti? C'è un motivo per cui si sfondano di alcol, cercano l'annebbiamento a ogni costo oppure l'eccitazione artificiale? Abbiamo capito perché spesso non riescono a relazionarsi con i loro coetanei, non
hanno un credo, un senso, un sistema di regole e soprattutto il rispetto della propria persona e dignità? Li abbiamo gratificati? Siamo intervenuti per sostenerli, guidarli, aiutarli a camminare verso la socialità, il senso critico, la capacità di giudizio, il coraggio e la libertà personale?
Abbiamo idea di che cosa facciano, di come trascorrano il loro tempo e la loro esistenza? Fino a che punto l'istruzione e la scuola attuale riescono a formarli, orientarli nella lettura della vita e del mondo, della storia e del futuro? Quanto si parlano tra di loro? E che cosa si dicono? In che modo li considera la componente politica? Che cosa pensa e prevede per la loro crescita? Quanto si preoccupa per loro, a partire dalla cura del corpo e della mente, dall'alimentazione, dalla salute e dal benessere psicofisico, dall'educazione e dall'istruzione, dalla cultura e dalla prevenzione, dalla salubrità ambientale e dell'universo digitale? Quanto, per tutti questi aspetti, è attivo e presente lo Stato? Quanto lo sono i Comuni con i loro organi esecutivi, di controllo e di amministrazione, con le giunte, i Consigli e gli uffici?E gli eletti a palazzo non sono tante volte genitori? Ecco, le domande poste ci servono a introdurre, non soltanto in questo spazio, il tema politico dell'infanzia e dell'adolescenza, oggi intermittente nel dibattito pubblico e molte volte inquadrato in maniera frammentata e parziale.




Nei Comuni ci sono al riguardo delle consulte, degli organi e luoghi in cui discutere – istituzioni e famiglie – in ottica convergente e progettuale? Il futuro dei più giovani deve essere un punto fondamentale dell'attività politica, dell'elaborazione di un pensiero politico che abbia la forza e l'onestà di contestare e contrastare i modelli imposti dal capitalismo onnivoro e spregiudicato, l'organizzazione del sistema bancario e finanziario, i condizionamenti sociali e antropologici che i centri di potere reale determinano nel breve, medio e lungo periodo.Vogliate perdonarmi se non pongo l'attenzione su questioni fuorvianti: se non attacco i privilegi dei papponi della casta, i compensi dei parlamentari nazionali o regionali, gli sprechi amministrativi e la posizione delle statue in 100 metri lineari di demanio pubblico.

2.12.25

confine sempre più labile fra antisionismo e antisemitismo dei pro palestina .


Lo so che perderò contatti ma d'altronde se si vuole essere intellettualmente onesti e liberi non si può iacere a tutti\e . Ma ci sono deim casi in cui l'antisionismo degnera e sconfina nel becero antisemitismo . Ecco due casi avvenuti di recente .

Quello sottile a caldo ma poi a freddo vergognoso soprattutto per il deturpamento della lapide dell' Attentato alla sinagoga di Roma avvenuto il 9 ottobre 1982.
Il secondo caso, più diretto sia a caldo che a freddo cioè più enequivocabile empre a Roma



Infatti commentando sulla mia bacheca facebook i fatti di Roma ho scritto a caldo che


Giuseppe Scano
3 h ·
non sapevo che Una notte di vandalismo ha colpito il quartiere Monteverde di Roma, dove due individui incappucciati hanno imbrattato la sinagoga locale con scritte di sostegno alla causa palestinese fosse antisemitismo . Mentre è esecrabile e unica cosa deprecabile , offensiva è l'imbrattimento della lapide della vittima della strage della sinagoga del 1982 .

Ma poi ragionando      e    discutendo  a   mente  fredda  con  

Daniela Tuscano
Non è antisemitismo? E come lo chiami, nobile resistenza?


Giuseppe Scano
Daniela Tuscano no vandalismo e nel caso della lapide mancanza di rispetto per un morto .


Daniela Tuscano
Giuseppe Scano sono antisemiti

Giuseppe Scano
Daniela Tuscano in base a cosa lo affermi ? illuminami grazie



Daniela Tuscano
Giuseppe Scano scusa ma hai bisogno di prove? Ma hai visto cosa hanno fatto? Sai chi era Stefano Gaj Taché, quanti anni aveva? Per tua informazione li stanno condannando tutti, pure il PD che tanto li ha coccolati, e stanno anche ritirando la domanda di cittadinanza onoraria all'immonda Albanese, per le sue ripugnanti dichiarazioni. No, non ti illumini, puoi trovare da solo i ragguagli, non è che possa spiegare tutto io.
(A parte che, ripeto, qui non c'è nulla da spiegare. Uno che sfregia la lapide di un bambino ebreo di 8 anni in nome di «antisionismo» e Palestina libera non è un semplice vandalo. È un razzista di . Spero li mettano in galera.


Giuseppe Scano
Daniela Tuscano si aveva uno\ due anni e fu ucciso nella strage della sinagoga fatta mi pare dall'olp. infatti è ignobile , come ho già detto , da la deturpazione \ sfregio della lapide . e odio verso gli ebrei .E concordo con te . sono stati di vigliacchi nel nome dell'antisionismo ma ripeto le scritte non mi sembrano antisemite



Daniela Tuscano
Giuseppe Scanone aveva 8 non 1

Giuseppe Scano
Daniela Tuscano ok ricordavo male . grazie dell'informazione



Daniela Tuscano
E basta sostenere H., basta con gli imam estremisti portati come eroi, basta con le Grete 



Giuseppe Scano
Daniela Tuscano non sto difendendo nessuno . sto solo dicendo quello che mi sembra , poi magari può esere sbagliato  e smentito dai fatti .

 Così   è stato .

il caso di Paride La Mantia : «Vietato abbellire il cimitero dei bambini».,Padre e figlio uniti nel volontariato Sergio e Francesco Asunis insieme sull’ambulanza del 118

da  unione  sarda  2\12\2025 
  




Cagliari 
Cimitero di San Michele, domenica, ore 10,30. L'area dedicata alle sepolture dei bambini, nel versante nord ovest del camposanto, è deserta.
A pregare, inginocchiato in silenzio, c'è soltanto un uomo. Nella lapide di fronte a lui è impressa un'unica data: 13 settembre 2002. Maria Eleonora, infatti, è morta quasi subito, appena poche ore dopo essere venuta alla luce. «Un piccolo infarto, forse, non si è mai capito». Da allora sono trascorsi 23 anni, ma per lo sfortunato papà quel giorno il mondo si è fermato. Non ha potuto vedere la figlia crescere, laurearsi, sposarsi, dargli un nipotino magari. Il destino ha voluto così. Tuttavia, anche se non ha fatto in tempo a conoscerla, l'ha sempre amata e di certo non l'ha mai dimenticata.
Un fiore ogni domenica
Ogni domenica Paride La Mantia, imprenditore edile cinquantenne, divorziato e padre di un altro figlio di 21 anni, si reca in cimitero a salutare la sua piccola e a portarle un fiore sempre diverso. Una tomba che spicca tra tutte le altre quella di Maria Eleonora, perché suo padre ha deciso di abbellirla posizionando un prato artificiale e realizzandovi intorno una struggente cornice di pietre bianche candide. Ma non si è limitato a questo. Stufo della desolazione tutt'attorno, ad ottobre ha scritto al Comune per chiedere di poter intervenire a proprie spese, con i suoi operai, per restituire decoro all'intera area dei bambini.
La visione
«Non prendetemi per matto», racconta, «ma dopo aver attraversato un brutto periodo ho avuto una specie di visione, mi è apparsa una bimba con un mazzolino di fiori in mano e ho pensato che mia figlia mi stesse chiedendo di fare qualcosa. Sarà una coincidenza, ma da quel momento mi sono risollevato e ora sento di avere una missione da compiere». Non solo per Maria Eleonora ma per tutti i bimbi che riposano accanto a lei. «A seguito delle mie segnalazioni sullo stato di incuria in cui si trova lo spazio», recita il testo dell'accorata missiva, «avrei il piacere di proporre alcune soluzioni, tali da renderlo più decoroso e fruibile. In base alla mia attività di piccolo imprenditore edile e visionando alcuni interventi in altri cimiteri dei comuni limitrofi, ho infatti avuto modo di farmi un'idea». Tra le proposte: il livellamento del terreno, la messa a dimora di un prato, l'utilizzo di ghiaia colorata. «L'auspicio è di poter contribuire ad una sistemazione più dignitosa per i nostri angeli».
Lo stop
La risposta è arrivata il 14 novembre, ma non è stata quella sperata. «Purtroppo, con dispiacere, dobbiamo comunicarle che, per quanto alcune idee siano positive ed esteticamente belle», scrive via mail la vicesindaca Maria Cristina Mancini, «per motivi di rispetto di norme di legge non sono realizzabili. La ringrazio, ma l'area sulla quale proporrebbe gli interventi è soggetta a stringenti norme e ampiamente regolamentata. Le salme sono destinate all'inumazione per un periodo di dieci anni e, quindi, sull'area verte l'attività del Servizio legata sia all'inumazione che all'esumazione. L'amministrazione ha potuto discrezionalmente evitare l'esumazione delle salme dopo i dieci anni nel Quadrato 3, dedicato ai bambini, ma non possiamo non considerare la possibilità, per necessità di spazi e gestione, che si debba farlo in futuro». Niente da fare insomma. Dal Comune grande sensibilità e vicinanza, ma la burocrazia, si sa, non ha cuore.

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Uno dei desideri più grandi per un genitore è quello di condividere un’esperienza importante con il proprio figlio. Per il 63enne Sergio Asunis, residente ad Assemini e volontario da vent’anni nell’“Sos volontari San Sperate”, il sogno si è avverato: la scorsa settimana è salito alla guida dell’ambulanza con al suo fianco il figlio neo diciottenne Francesco.
Un turno serale, fino a mezzanotte, durante il quale padre e figlio hanno salvato, insieme ad altri volontari, due vite, quella di una donna di 96 anni («Continuava a ripetere di stare bene per tutto il tempo», hanno raccontato i due sorridendo), l’altra di un giovane coetaneo di Francesco: «Il soccorso è una passione, uno stile di vita e un atto di altruismo che mi dà la forza di continuare e di trasmetterlo a mio figlio», ha detto Sergio.
Il “battesimo”
Sergio Asunis, operaio edile, da una ventina d’anni vive ad Assemini insieme alla moglie Angela e al loro figlio unico. Proprio ad Assemini ha conosciuto una volontaria (vicina di casa) che gli ha dato l’input per iniziare un percorso che sognava da quando, giovanissimo, era rimasto miracolosamente illeso in un incidente in sella al suo “vespino”.
Sergio ricorda benissimo la sua prima notte in ambulanza: «Era l’8 di marzo: codice rosso, incidente stradale, neanche un graffio. Rientrati in sede nuova chiamata: altro rosso, incendio, un morto». Visibilmente emozionato nel ricordare quel giorno, Sergio non nasconde che ad averlo scosso maggiormente è stato un’incidente sulla Statale 131 in cui erano rimaste coinvolte una ventina di suore: «Bisogna cercare di mantenere la calma, non sempre è facile». Tra le esperienze più divertenti ricorda un uomo che era andato a sbattere su un guardrail: «Indossava pantofole e vestaglia, senza mutande sotto!». Ciò che invece lo turba maggiormente? «Gli infarti, quasi mai ci si salva», ma soprattutto «i giovani coinvolti in incidenti che si potrebbero evitare».
L’eredità
Giovani che, inevitabilmente, gli ricordano il suo “bambino” diventato da poco maggiorenne: «Sono uno studente di quinta superiore - racconta, orgoglioso, Francesco - e circa un anno fa ho iniziato a collaborare col 118 in veste di centralinista. Ora sono un allievo assistente e posso finalmente salire in ambulanza». Il ragazzo dimostra maturità nonostante la giovane età: «Riesco a far coincidere senza problemi studio e volontariato». La curiosità gli è nata vedendo uscire il padre in turno: «Ascoltando i suoi racconti mi sono appassionato». Passione che, tuttavia, non dovrebbe sfociare in un lavoro: «Vorrei studiare Giurisprudenza, non Medicina». Mai dire mai, considerato il suo entusiasmo: «Quando arriva la chiamata l’adrenalina è alle stelle». Francesco è convinto che l’empatia sia fondamentale: «Io stesso sono stato trasportato una volta in ambulanza. Ero stato rassicurato e ora voglio aiutare gli altri». E conclude con un appello: «C’è bisogno di volontari, è sempre più difficile coprire i turni mensili».

ANIME IN APNEA di lavinia Marchetti


[Illustrazione dal saggio di Jules Verne "Edgard Poë et ses œuvres (Edgar Poe and his Works, 1862) disegnato da Frederic Lix or Yan' Dargent]






























Da bambina amavo i vortici, i gorghi, i mulinelli. Mi piaceva anche crearli nei fiumiciattoli, in montagna, disponendo i sassi in un certo modo, oppure interponendo le dita all'acqua creando piccole dighe. Ero attratta dal fatto che ruotando su se stessa l'acqua creasse un vuoto e nel vuoto ci fosse solo aria. Togliendo una materia liquida potevo, come Dio, far vivere qualcosa di etereo, leggero, e soprattutto invisibile. Era come dare un'anima al ruscello senza togliergli qualcosa, anzi, mi sembrava che quel vuoto fosse un valore aggiunto. Nell'odine dell'assenza si creava una presenza per
sottrazione. E così, anche da adulta sono sempre stata attratta da ciò che è vuoto, ma spesso, vuoto, perché, appunto, traboccante. Come l'anima, indipendentemente dal fatto che esista o meno. Il vortice è qualcosa di pericoloso, lo troviamo frequentemente in letteratura (specie quella ottocentesca dove si parla di viaggi per mare), se ci finiamo dentro può diventare una trappola letale. Ed è quello che mi attrae del vortice, al pari dell'abisso che è, in cuor suo, ancora più indeterminato. Non ne sono attratta su un piano metonimico, men che mai metaforico, ma come specchio del fatto, apodittico, che il movimento di per sé ha una fine e la sua apocatastasi, il suo punto cieco, "camera oscura" da cui dipingiamo l'esistente. Spesso lo sentiamo dentro di noi questo movimento rotatorio, quella vertigine che non proviene dalla vista, ma dalle emozioni intense che gorgheggiano, e noi vi galleggiamo sperando di non finire in fondo, sperando di risalire. E' in un preciso momento che possiamo capire, dentro al vortice, se annegheremo o se la nostra forza pari e contraria riuscirà a farci riemergere. Creare vortici può aiutarci a capire, nello scorrere della nostra vita, in quale punto ci collochiamo. L'esercizio di per sé non ha nessun valore euristico, ma aiuta a comprendere i sommersi ed i salvati. Sì, ho capito Levi ricordando me, bambina, che giocavo a fare Dio. C'è chi sta in centro, fuori dall'acqua, all'asciutto, facendo finta che il gorgo non esista, per noi salvi il vuoto è l'incoscienza, al massimo la colpa, che è comunque un privilegio. Poi ci sono quelli che annaspano, ma ancora hanno la testa fuori, e infine ci sono i sommersi, quelli che dal centro neanche vediamo più. Un gioco di prospettive, di vuoti e pieni, di pieni vuoti e di vuoti stracolmi. Il gorgo ha una fenomenologia che offre vari punti di sguardo, da lì tendo a vedere vedermi guardare. Da lì, con Levi, «Il dolore è la sola forza che si crei dal nulla, senza spesa e senza fatica. Basta non vedere, non ascoltare, non fare», lì, dal centro, all'asciutto.



Matilde Sorrentino: la mamma coraggio uccisa per essersi ribellata alla camorrra denunciando gli abusi sul figlio

Visto    che   «Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda”. Chi fa questo mestiere per raccontare la verità, diventa una minaccia. Per questo molti scelgono la via più comoda: quella di fare da portavoce del potere. Noi no, noi tutti i giorni decidiamo di rischiare. Ma per farlo abbiamo bisogno anche di te.»  Lascio   che  a raccontare  la  storia    di Matilde    sia  il video     che  trovate   sotto   e  quest  articolo :   
Uccisa per aver salvato i bimbi dai pedofili: la storia di Matilde Sorrentino  della stessa  fonte  del  video     che    riporta  la storia  .
Ma  prima   di  lasciarvi al  video     un  sunto  della   vicenda  trattata 
 Matilde Sorrentino è una donna uccisa dalla camorra nel 2004 a Torre Annunziata. Dopo oltre 20 anni il mandante resta sconosciuto. Matilde si era ribellata al clan che controllava la città ma nonostante questo nessuno conosce le ragioni di questo omicidio. È una storia dimenticata e mai raccontata perché il giorno dopo il suo omicidio venne uccisa a Forcella Annalisa Durante. A Confidential vogliamo raccontare la sua storia per cercare di squarciare il velo d'omertà. Ne parliamo con Tommaso RIcciardelli (Parliamo di Mafia), Marta Casà (Mente Criminale) e Chiara Freddi, l'autrice dell'approfondimento.



riposta alla domanda di mia nipote : cosa è l'Identità ? una frontiera mobile: tra protezione e apertura

Canzoni  suggerite \   colonna  sonora  
Sweet dreams  - Eurythimcs
Walk don't run - Sur faris 
La    tuas  libertà -  Frncesco Guccini ⁕
 
La  nostra identita   è  circostritta    da precisi  confini  . Comprendere   cosa  si colloca   al di fuori  d'essa   è  un esercizio   certo  non semplice ma  utile . 




Un atto     di chiarezza   utile   per  capire  meglio    chi siamo e  cosa  vogliamo   lavorando ,  a seconda  dei casi ,  per   sottrazione o  aggiunta  Serve  coraggio ed  è   uno sporco lavoro   ma  necessario    per   allenarci  nella  vita di tutti  i  giorni
ad   avere o L'altro  mantenere  il bicchiere  mezzo pieno e  mezzo vuoto   . Ora mia  nipote  e  l'altro mio  IO \ Grillo Parlante   mi    potrebbero     chiedere    quali  sarebbero    questi  confini   ?  . La  prima  risposta  che   mi  viene   in mente    è   che  dipende  da come intendiamo l'identità  se  qualcosa  di Chiuso o Aperto  verso l'esterno  .  Ma poi  ,  coerentemente    con i percorso   fatto   sia  con  il  blog   e non solo in  tutti  questi ani  mi  accorgo   che   i confini della nostra identità m almeno  per  me ,  non sono muri o  prigioni  , ma soglie. i proteggono e ci espongono, ci separano e ci uniscono. Ogni incontro  \  scontro  ridisegna la mappa di chi siamo Ogni incontro ridisegna la mappa di chi siamo, come onde  del mare che cancellano e riscrivono la sabbia.Infatti  essi    possono essere  :

  • Biologici: il corpo come primo limite, ciò che ci distingue fisicamente dagli altri.
  • Psicologici: la coscienza, la memoria, il senso di continuità che ci fa dire “io”.
  • Sociale: i ruoli, le appartenenze, le lingue e i simboli che ci collocano in comunità.
  • Culturale: tradizioni, valori e storie che ci plasmano e ci differenziano.
  • Digitale: oggi la nostra identità si estende nei profili online, negli avatar, nelle tracce che lasciamo.


Sta a noi essendo : « un uomo\uno fra milioni\e come gli altri ho il peso della vitae la mia strada\lungo le stagioni \ può essere breve, \ ma può essere infinità [... ] » *  decidere   se   Sono porosi: ci apriamo agli altri,assorbiamo influenze, cambiamo.Sono difensivi: servono a proteggere la nostra unicità e intimità.Sono creativi: nel loro movimento nascono nuove forme di sé, nuove possibilità di espressione.Uso una  📖 una metafora : Immagina l’identità come una carta geografica incompleta: i confini non sono tracciati una volta per tutte, ma vengono ridisegnati ogni volta che incontriamo qualcuno, che viviamo un’esperienza, che raccontiamo la nostra storia.Quindi    come  ho detto   I confini dell’identità sono un tema che si muove tra filosofia, psicologia e cultura. Non sono linee nette, ma piuttosto zone di tensione e di dialogo. Possiamo pensarli come frontiere mobili, continuamente ridefinite dalle relazioni, dalle memorie e dalle narrazioni che ci attraversano.Un  qualcosa    che    non è un’entità fissa, ma un processo di negoziazione continua.
I confini servono a difendere la nostra unicità, ma sono anche permeabili: attraverso relazioni, linguaggi e memorie si trasformano.
La società digitale ha reso questi confini ancora più fluidi: avatar, profili e tracce online ampliano e complicano il nostro senso di sé.
La tensione etica sta nel bilanciare apertura e protezione: quanto lasciamo entrare, quanto difendiamo, quanto reinventiamo.
Pensare l’identità come “soglia” ci permette di superare la logica del muro e di abbracciare la creatività del cambiamento.

Procuratrice Ancona, 'non tutti i casi di violenza sono uguali'

© Provided by ANSA (ANSA) - ANCONA, 04 DIC - "Questa storia lascia l'amaro in bocca, non si possono trattare tutti i casi di violen...