È stata già rimossa la targa firmata "i camerati" che era stata affissa abusivamente a Roma vicino alla vecchia sede del Msi di Acca Larentia, luogo dove nel 1978 furono uccisi a colpi di pistola due militanti del Fronte della Gioventù: Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, mentre Stefano Recchioni morì qualche ora dopo durante gli scontri con le forze dell’ordine.
La targa affissa ( vedi foto a sinistra ) è dedicata proprio a quest'ultimo e recita così: "1958-1978. Stefano Recchioni. Chi si è sacrificato nei valori eterni della tradizione è esempio immortale nella rivoluzione".
E Finalmente qualcuno che s'oppone ai topi di fogna ( vedere link precedente è il secondo articolo ) , speriamo che non sia il solito fuoco di paglia , visto che ogni anno al 7 di gennaio giorno della strage di Acca Larentia ci troviamo con i soliti saluti fascisti e le solite marce svastiche ."Chi usa la tragedia dei morti di ieri strumentalmente per propagandare nel presente le follie del fascismo di oggi ne infanga la memoria e non merita alcun rispetto. In quanto vuole usare quelle vicende dolorose di quel periodo terribile che ha insanguinato l'italia per 30 anni per scopi strumentali
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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30.12.24
Targa abusiva ad Acca Larentia. Il Pd insorge e il Campidoglio la rimuove . farà una cosa simile per la manifestazione del 7 gennaio ?
8.10.17
Perdono difficile Da Walter Rossi alla strage di Primavalle famiglie divise sulla strada del perdono ...Da Walter Rossi alla strage di Primavalle famiglie divise sulla strada del perdono
film
Invictus
le 2 vie del destino
il velo dipinto
libri
Il perdono assoluto. Perdonare per crescere
di Colin Tipping
I 7 Passi del Perdono - La Scienza della Felicità -
di Daniel Lumera
La forza del perdono
L' amore può salvare il mondo, il perdono può guarirci
di Gerald Jampolsky
La saggezza del perdono
di Gyatso Tenzin (Dalai Lama),Victor Chan
La Forza del Perdono
La via della guarigione e della felicità
di Virginia Clarke
Il perdono che guarisce. Come il perdono può sanare la tua vita
di Walter Nitsche
Come è difficile la via del persono e della riconciliazione sopratutto quando si tratta di momenti drammatici della nostra storia nazionale come gli anni di piombo e delle stragi nere e di stato . Infatti leggo su repubblica repubblica del 8\10\2017 questo articolo
C'è un precedente: anche dentro la famiglia di Walter Rossi - ucciso a 20 anni dai Nar nel '77 nel quartiere Balduina a Roma - ci fu a un certo punto un dissidio, dopo che il padre del ragazzo, Franco, aveva iniziato un dialogo con la giunta Alemanno. «Sputa sulla sua memoria», lo liquidò pubblicamente, nel 2011, il fratello di Walter, Gianluca.
Invictus
le 2 vie del destino
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Il perdono assoluto. Perdonare per crescere
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I 7 Passi del Perdono - La Scienza della Felicità -
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L' amore può salvare il mondo, il perdono può guarirci
di Gerald Jampolsky
La saggezza del perdono
di Gyatso Tenzin (Dalai Lama),Victor Chan
La Forza del Perdono
La via della guarigione e della felicità
di Virginia Clarke
Il perdono che guarisce. Come il perdono può sanare la tua vita
di Walter Nitsche
Come è difficile la via del persono e della riconciliazione sopratutto quando si tratta di momenti drammatici della nostra storia nazionale come gli anni di piombo e delle stragi nere e di stato . Infatti leggo su repubblica repubblica del 8\10\2017 questo articolo
ROMA.
«Mia madre è morta senza che ci parlassimo più». Quasi dieci anni fa Giampaolo Mattei, che perse due fratelli nel rogo di Primavalle a Roma nel'73.
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L'abitazione della famiglia Mattei nel quartiere romano di Primavalle in una foto del 16 aprile del 1973 poche ore dopo il rogo in cui morirono i due fratelli Virgilio e Stefano. |
– uno dei delitti più atroci della violenza politica in Italia – abbracciò su un palco all'Eur Carla Verbano, la mamma di Valerio, il militante di Autonomia operaia ucciso nel febbraio dell'80 dai fascisti a Montesacro: un delitto altrettanto feroce. Tre uomini col volto coperto suonarono a casa dei genitori, si fecero aprire con una scusa, legarono e imbavagliarono la coppia nel letto matrimoniale e aspettarono l'arrivo del giovane militante di estrema sinistra, che fu ucciso sul divano, a 18 anni. Un omicidio senza giustizia. Quella pubblica riconciliazione ruppe un tabù: appartenevano a due mondi inconciliabili, Mattei e Verbano. Giampaolo Mattei era il figlio del segretario di sezione del Msi Mario, i cui i fratelli Virgilio (22 anni) e Stefano (8 anni) morirono carbonizzati dopo un attentato di alcuni membri della formazione di estrema sinistra Potere operaio, Achille Lollo, Manlio Grillo e Marino Clavo, che appiccarono il fuoco sull'uscio di casa per puro odio politico. Erano soprattutto due vittime, Giampaolo e Carla, che l'allora sindaco di Roma Walter Veltroni riuscì a fare incontrare: perché, come disse Carla, «i morti non hanno colore ».
Ora grazie al nuovo libro di Luca Telese Cuori contro, il sequel di Cuori neri, (Sperling&Kupfer), scopriamo cosa accadde dopo quell'abbraccio: Mattei venne abbandonato dal suo mondo, («tu parli troppo con i comunisti», gli disse un missino storico come Gramazio durante un incontro alla Fondazione Almirante), perse la stima di amici storici come Graziano Cecchini, che lo aveva protetto negli anni dopo la tragedia, e persino la famiglia gli voltò le spalle. «Mia madre è morta senza che potessimo chiarirci », dice Mattei a Telese. «Quella rottura non era solo personale, ed era accompagnata da un dubbio più profondo. Come era possibile che molti di quei ragazzi, degli angeli custodi della mia infanzia – pensa a Guido Zappavigna o Dario Pedretti – fossero diventati dei terroristi dei Nar? E se io mi ritenevo, ed ero, vittima, quando incontravo una vittima dei Nar come mi dovevo considerare?».
Nel 2005 anche Carla aveva rifiutato un confronto televisivo con Maria Lidia, la madre di Mario Zicchieri, il militante del Fronte della Gioventù ucciso a Roma nel '75: un faccia a faccia delle Iene. Disse prima di sì, poi ci ripensò, «perché so che Valerio non avrebbe voluto». Alla fine l'intervista la fece Danila Tinelli, la madre di Fausto, ucciso nel 1978 a Milano con Iaio Iannucci dai fascisti: anche questi due delitti sono senza colpevoli.
Giampaolo Mattei con Carla Verbano
La frattura con i propri cari è insanabile. Dice Mattei: «L'idea che non fossi più soltanto un custode del sacrario di famiglia ha scavato un fossato tra me e una parte della famiglia, tra me e mia madre. Sono cose che passano nell'aria, come i virus».

Il rapporto tra Mattei e Verbano s'intensifica. Si vedono a Montesacro, nella casa di lei, in via Monte Bianco, trasformato in un mausoleo in onore di Valerio. «Vedi Giampaolo – dice un giorno Carla – io non odio i fascisti, io odio con tutte le mie forze i fascisti che hanno ammazzato mio figlio». «Se ci pensi – risponde Giampaolo - avrei potuto dire esattamente lo stesso, all'opposto». Quindi nasce tra le due vittime – il fascista che ha perso i fratelli e la comunista che ha perso il figlio – una comunanza profonda: quell'abbraccio sul palco ha fatto il miracolo. Al punto che a un certo punto Carla invita Giampaolo alla veglia per Valerio. «Mi facevo molte domande: aveva senso? Ci avrebbero preso per pazzi?».
Poi Carla muore prima, nel giugno 2012, a 88 anni. «E io – dice Giampaolo – non sono potuto andare né alla veglia, né al funerale. Ma questa ultima scelta per me è stata dolorosa. Era come se dopo essere stati persone tornassimo a essere personaggi. E io non volevo accettarlo. A un certo punto mi sono vestito, sono uscito, e mi sono detto: Vado. Vado per lei. Ma era un rischio che non potevo correre. Non quello di non essere ancora una volta non capito. Così mi sono fermato, sono tornato indietro e sono rimasto in macchina, appoggiato al volante. Solo».
credo che comprerò o lo prenderò in biblioteca il libro in questione ( copertina a sinistra ) anche se Luca Tese non mi piace perchè è fra
ma cazzo scrive bene e ti trascina e ti affascina
ma cazzo scrive bene e ti trascina e ti affascina
26.2.16
Benedetta fra i fiumi
Chiedo scusa al compagno di strada Matteo se introduco un post mandando a Fncl coloro che mi dicono che riportando tali post invito la gente a drogarsi . Perchè tale gente non ha capito niente degli anni 70 \80 o gli ricorda solo come anni di droga e terrorismo . Ma soprattutto non conosce la situazioni \ le storie di chi ci è caduto come quella di Matteo e di questa ragazza
di cui parla questo documentario di
Regia: Antonello Branca
Formato originale: negativo 16mm
Produzione: Antonello Branca
Italia, 1976, bn, 66'
Documentario sulla penetrazione della droga a Milano negli anni '70. Filomena ha solo 24 anni e racconta con una lucidita' che toglie il fiato il suo percorso di bimba rinchiusa in collegio, scappata di casa, ripresa dalla famiglia e trattata come donna perduta. Racconta il matrimonio con un ragazzo emigrato in Germania, e la sua incapacita' di adattarsi a questa nuova situazione. Narra l'arrivo a Milano, l'incontro con Antonio e quello con la droga. Un dialogo a due voci traccia il quadro spietato della tossicodipendenza, della ricerca quotidiana della dose e dei tentativi di venirne fuori. Si tratta di un documento struggente, soprattutto per la lucidita', la misura, la maturita' e l'intelligenza di due figure indimenticabili.
Ora dopo questa premessa lascio la parola a Matteo ed al suo post
Benedetta fra i fiumi
Come Paz avrebbe disegnato Benedetta
Il Paz, Benny e io
di Matteo Tassinari
Per quel che ne so, la vita è breve, l’uomo è cacciatore, gli italiani sono tutti allenatori e per molto tempo saremo morti. Rimanemmo sull’ultimo concetto in forzosa meditazione, per la durata di diverso tempo. Da una busta quelle internamente con le bolle incellofanate da far scoppiare, trassi due insuline Terumo sterili da 5 cc l'una e in due cucchiaia sciogliemmo polvere bianca (Thailandia) e di brown (Turchia).
Infilai il braccio nel vuoto in modo che fosse teso con vene ben gonfie, pronto a farmi un dose d'ingiustizia pagata con soldi miei trovati chissà dove, ma vallo a spiegare alla gente, a chi si ritiene ragionevole, quindi bravi e zelanti indicatori di quale strade imboccare. Bazzecole? Non ho problemi. Però fatti una pera, poi diventane schiavo, scappagli se ti riesce e trovati, se non sei ancora morto nel frattempo, per lei malato fino alla morte dopo 33 anni che non vedo un milligrammo d'eroina. Allora, forse, potremmo intavolare un discorso, di quelli che si fanno guardandosi in faccia, alla pari. E sentirti dissociato ti farà solo bene, restando per sempre coinvolto in cose che preferisci non sapere. Non scrivo tutto ciò in giugno, a caso, e il giusto lavoro "sporco", lo faccio sempre molto volentieri. Un 16 giugno di 24 anni fa, a Montepulciano, per un pera qualsiasi, morì il miglior fumettista e pittore italiano del secolo scorso, Andrea Pazienza detto il Paz!, come fosse stato spintonato, ubriaco di Toradol, per poi essere appeso ad un vortice di polvere divenuto sciarada, ma non sappiamo cosa.
“Siamo qualcosa che non resta,
frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno”
frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno”
(Francesco Guccini, “Incontro”)
Non so che anno fosse, forse il 1982, quando un giorno accadde un fatto che oggi ricordo con buona memoria e vivido ricordo e non perché fosse più truculento di altri, niente affatto, perché era gelido come la Tramontana dopo che ha attraversato i Pirenei. Anche se sono trascorsi 33 anni, lo scrivo al presente quel giorno privo di compassione e vissuto con una mia amica, molto speciale.
Il linguaggio gonfio
Una donna che sapeva leggere il linguaggio del non detto per pura nostra incapacità nell'essere leali, senza lasciare nulla d'incompiuto. Emergendo dagli abissi come un cadavere gonfio di un annegato di droga, Benedetta è alle prese coi fiumi che le fluttuano plasma. L'adolescenza sorprese a tradimento le nostre giovanissime vite e la schiantò con la furia indifferente e sciatta di un uragano, senza che nessuno se ne accorgesse. Nell'anonimato che vi rende tutti colpevoli nei confronti di Benedetta e di me, vigliacchi ipocriti falsi, che appena vi brucia un tendine pensate subito al tumore. Come si capisce che non siete abituati a dolore. Come si vede che vi piace da morire fare le vittime, anche quando siete dei soverchiatori. Vergognatevi di tutte le fandonie che avete detto su questo terreno.
L'oppio,
la nostra religione
E’ in una rovinosa ricerca di una vena. Le braccia di Benedetta, più grande di me di un paio d'anni, sono un cimitero di cicatrici: tagli, fori, calli, buchi, tentati suicidi, tatuaggi alla come viene viene. Febbricitante s’infila la spada e comincia il rituale ululato, poi il risucchio per vedere se l’ago aveva centrato la vena oppure no. Benedetta sta da far schifo, astinenza esplosa da un pezzo, per di più suda e trema dal dolore. E’ seduta su di una sedia in cucina. Assisto in silenzio, strafatto per conto mio e steso sul divano con gli occhi a fessura e la tv accesa con il volume al minimo, per cui non le dedico alcuna attenzione.
E' un pò più chiaro?
L’astinenza la costringe a scoreggiare forte e assumere piegamenti nel volto che la sua femminilità non avrebbe voluto. Spiegazione dovuta ai più: quando si è in down forte, come quello di Benedetta e hai la roba pronta nell'insulina già calda, l’emozione ti prende così forte allo stomaco che rischi di cagarti addosso senza dedicare al fatto molta attenzione, per cui continui a praticare l’iniezione ignorando completamente l’evacuazione solido-corporea. Se qualcuno storce il naso per lo schifo, allora vorrei dirgli quanto segue. Alla base dell'assunzione delle droghe, di tutte le droghe, anche tabacco e alcol, c'è da considerare se la vita offre un margine di senso sufficiente per giustificare tutta la fatica che si fa per vivere. Se questo senso non si dà, se non c'è neppure la prospettiva di poterlo reperire, se i giorni si succedono solo per distribuire insensatezza e dosi massicce di insignificanza, allora si va alla ricerca di qualche anestetico capace di renderci insensibili alla vita. E' un pò più chiaro? Non penso.
Aiutami, cazzo, aiutami!!!
Benedetta tira su il primo risucchio e dalla cannula della Terumo esce il primo fiotto di sangue. Ma la spada, come un gancio che si stacca dalla propria presa, esce dalla vena. Benedetta torna coll'ago a farsi spazio dentro il braccio. Con quella spada rimestola come avesse in mano un cucchiaio e girasse del minestrone. “Cazzo Matteo, aiutami! Non vedi che son fuori vena?! Dammi una mano, fa qualcosa, per la miseria! Qua si sta seccando tutto! Sto andando giù di testa! Aiutami, cazzo, aiutami!!! Mi scoppia la testa, mi tremano le mani e non riesco a beccare la vena più grossa per non andar fuori vena. La roba mi si raggruma tutta col sangue”. Più che pompargli l’avambraccio, cosa potevo fare? Le presi il braccio e strinsi forte per riuscire a vedere meglio dov’erano 'ste vene. Schizzò un fiotto di sangue sulle pareti e una piccola parte sulla pasta rimasta dal pranzo. Un fatto, in quell’istante, che a Benedetta importava quanto gliene poteva fregare di chi aveva vinto il campionato di Golf americano quell'anno, non essendosene accorta mai di entrambi i fatti.
La Flebo
spontanea
Eccola di nuovo tornare alla carica come una Giovanna D'Arco di provincia. Inizia a forarsi in una mano, ma a nulla servì. Poi riprova in una gamba. Niente. Le vene erano massacrate e seccate. Nella furia di pizzicare un rigagnolo di sangue, mi butto e provo anch’io nella ricerca di quel rosso che ti fa capire di essere ad un passo dalla felicità malata, ma ridotto com’ero e beccare la vena, era come iscrivere uno che soffre di vertigini ad un corso di paracadutismo.
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Il figlio illegittimo di Patty Pravo
Vene otturate
|
Le vene erano tutte otturate a forza di darci dentro, negli anni con furioso sdegno verso sé stessi, si formano canali che poi seccano, quelli che i tossici chiamano "Flebo spontanea".“No, no, sto perdendo la mia pera! Non ci posso credere, mezzo grammo buttato via! Si sta solidificando tutto, ummfff...”. L’angoscia è spessa: “Come cazzo faccio, non becco la vena, non becco la vena. Non la becco, ti sto dicendo”. Paranoia full immersion. Non beccare la vena significa non sentire il flash, l’impatto che l’eroina ti offre appena saluta il tuo sangue, cioè la parte migliore della storia, quella che ti stravolge e ti lancia per un periodo di tempo precisato nel regno dell’ovatta e degli abbandoni globali per poi ritornare come zombi. “Ma porca puttana vacca troia, evvaffanculo!". E' Benedetta, va capita.
"Oggi avrei
voglia di quiete"
"Come faccio con ‘staroba! Non becco la vena" e imprecazioni di ogni risma e un suo urlo agghiacciante chiuse per un attimo quella follia, nel tentativo di farsi sta cazzo di pera, mentre con l'ago frugava nel crocevia della mano sinistra. Inizia ad emettere rumori strani, più strani degli altri. Dal suo stomaco partono gorgoglii in continuazione. Come rutti e scoregge si succedono uno dietro l’altra. Sarà al quarto buco. L’astinenza gli sta soffiando addosso tutta la sua inquietante per quanto certa presenza, avendo in mano l’arma che potrebbe spegnere tutte le sue angosce in un solo secondo. Non ho dubbi, è palese, direi.
E ribuca la carne
Il liquido rosso nell’ago sta coagulandosi. Benedetta sa, e questo la manda in maggior tormenta, s'è possibile. Buca, buca, buca. E ribuca la carne color madre perla. Fruga e buca, fruga e buca, cerca, buca, fruga una vena che da qualche parte nel corpo avrai?! Con mani tremanti tira su lo stantuffo per vedere se l'ago è in vena. Niente. Nella spada solo aria, niente ampolle rosso sangue. Ci riprova, ancora. Poi ancora. Buca, fruga e stramazza. Benedetta mi guarda con uno sguardo mai visto prima, fra il terrore e l’impotenza. Decisa come pochi essere umani al mondo, tira su la maglietta per iniettarsela nel Deltoide, il muscolo dell’avambraccio, almeno, l’effetto della roba le verrà su parzialmente venti minuti dopo e senza risucchio, che è tutt'altra roba, per un tossico o tossica. Un esempio: è come per un alcolista mangiarsi una caramella al liquore oppure tracannarsi con infamia un bicchiere ricolmo di Vodka.
Urlerà ancora?
Benedetta becca il muscolo, non la vena, fa pressione sullo stantuffo e stak!, il plasma ormai denso ottura l’ago e schizzandomelo in vari punti della camicia, la faccia. le mani. Benedetta fugge, non so dove. Io rimango a casa sua da solo, bollito come un patata, o forse più lessato come quel tubero. Mi metto a sedere nel suo divano e piano piano mi allungo fino a stendermi. Apro gli occhi e mi trovo di fronte sua madre che mi chiede chi ero e cosa facevo in casa sua. In realtà mi conosceva e sapeva già di sua figlia e di me.
Sapeva che ci facevamo insieme al ritmo della mattanza, che eravamo quanto non si può dire, che avevamo fatto qualche colpettino assieme (furti, scippi, situazioni strane come trovarsi con un avvocato stimato e danaroso di Bologna in un divano galattico in un attico a far maialate di ogni tipo per poi farci sganciare una cospicua parcella per il nostro impazzimento). Sapeva tutto sua madre perché Benedetta, prima o poi, le raccontava tutto. Bella donna, dall’aspetto giovanile, nonostante gli anni.
Le rispondo con notevoli ammaccature grammaticali, di sintassi neanche parlarne: “Signora, come sta? Quando c’ero, lei c’era. Benedetta, Benedetta, Benedetta, dove ti trovi? Vuoi fuori? Non vedi, c'è mamma?!”.La madre mi guarda come si guarda un beota e parte:“Ascolta scemo quindicenne ho già troppi casini con mia figlia e il resto della mia vita. Se Benedetta fosse qui me ne sarei già accorta. Ma qui non c’è. Si può sapere dov’è?”, mi staffilò secco. Risposi: “Signora, guardi niente storie strane, cioè, non le sto facendo le menate, lo capisce no? Per davvero, non so dov’è Benedetta. Sarei il primo a saperlo volere”. Mi cacciò di casa come un appestato, e non (forse) aveva torto.
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L'eroina è come una donna. Non ti perdonerà se oltrepassi la misura
L'eroina degli dei
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M’incamminai verso il Ronco, un fiume di Forlì dove c’era un bar, Il Lido, che ci radunava un po’ tutti, un luogo proprio adatto per gente come noi, isolato, pieno di scappatoie in caso di "perquise" e tante altre piccole comodità. Non c'ero con la testa. Pensavo a Benedetta. L'episodio in se non mi pare più terribile di altri, la differenza la faceva Benedetta.
Rivedendola, una decina di giorni dopo, fredda, occhi chiusi, bella e ben vestita di una cassa di legno. Un'overdose le aveva schiantato ogni legame con questo detrito di realtà dove c'è anche chi riesce a divertirsi. Pensai subito che non era la peggiore delle notizie che potessero darmi di Benedetta, fra tossici si fa presto a capire ciò che è riparabile e ciò che non lo è più e mettersi, non dico il cuore in pace, ma a farsene un ragione. Ma non so se questo serva qualcosa per aiutare a capire il modus-vivendi di chi, per un periodo della propria vita, ha scambiato Dio con l'eroina.
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