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18.11.24

non sempre è necessario abortire la storia di laura malata di oloprosencefalia alobare, una malformazione congenita del cervello

 Le voci di Andrea Celeste e di Francesco si sovrappongono come in un concerto polifonico, senza mai prevaricare l’una sull’altra. Chi li interrompe è Lucia, la loro bambina. La sua vocina si inserisce nel racconto più di una volta. Forse desidera capire chi è che sta parlando con i suoi genitori e perché è proprio lei la protagonista della storia. O forse vuole solo le «coccole», la prima parola che è uscita dalla sua bocca, ancor prima di mamma e papà, e che continua a ripetere, insieme a «mi piace tanto tanto tanto» – riferendosi alla pasta al pesto che sta mangiando –, a «Parole, parole parole» (sì esatto, la canzone di Mina) e a «Volare» di Domenico Modugno. «Sono i suoi cantanti preferiti – spiega la mamma ridendo –. Non sappiamo proprio come si sia innamorata di loro...».Tante altre cose, in realtà, non riescono a spiegarsi. Perché Lucia è un vero e proprio miracolo. Non ci sono altre parole per descriverla. Non avrebbe dovuto nascere. Due terribili diagnosi prenatali rischiavano di segnarle la vita. Prima la scoperta dell’idrocefalia, l’accumulo di acqua cerebrale nei ventricoli, che «non viene smaltita e quindi ingrandisce la scatola cranica». E poi la diagnosi ancora più grave dell’oloprosencefalia alobare, una malformazione congenita del cervello. «Si tratta del livello più grave – dice Francesco –. Nel 40 per cento dei casi i bambini muoiono entro pochissimi giorni dalla nascita, quelli che sopravvivono non riescono a respirare autonomamente, a mangiare, a muovere le mani, a defecare, e nemmeno a piangere». E invece Lucia ha pianto. Nonostante i medici che avevano consigliato ai suoi genitori di abortire, «perché anche se ce l’avesse fatta dicevano che sarebbe cresciuta come un’ameba».1Tutti tranne uno. Il professor Giuseppe Noia, direttore dell’Hospice - Centro cure palliative prenatali del Policlinico Gemelli di Roma e promotore nel 2015, insieme alla moglie Anna Luisa La Teano e all’amica Angela Bozzo, della Fondazione “Il Cuore in una Goccia onlus”, di cui è presidente. Proprio ieri è iniziato, a Roma, il settimo raduno nazionale che ci conclude oggi con la Messa celebrata da Benoni Ambarus, vescovo ausiliare di Roma. Tanti volontari e famiglie da tutta Italia sono riunite per «rilanciare il concetto di custodia della vita umana in senso globale», spiega Noia. Con storie come quella di Lucia, che non appena è uscita dal grembo materno ha squarciato, tra la sorpresa di tutti, la quiete dei corridoi del Gemelli.
«La tentazione di abortire l’abbiamo avuta», ammettono entrambi i genitori. «Ma poi ho pensato – aggiunge Andrea Celeste – che nella vita la cosa più importante che ho ricevuto è stata l’amore. Se decido di abortire, mi sono detta, che cosa insegno a mia figlia? Che nella vita esiste solo la morte?». Francesco l’illuminazione l’ha avuta davanti al Santo Sepolcro di Gerusalemme: «Il Signore mi ha fatto capire che non poteva esserci dono migliore che potessi fare a mia figlia che farla nascere».
Poi l’incontro con Noia, «un angelo custode. Ci ha detto: “Le speranze di vita sono poche, e probabilmente Lucia avrà deficit neurologici molto gravi, ma tutti nasciamo malformati dalla storia, dal peccato e dalle sofferenze, eppure Dio ci ama». Lucia è nata al Gemelli un mese e mezzo prima del previsto con un cesareo. Altrimenti non ce l’avrebbe fatta. Oggi ha tre anni e mezzo ed è stata operata già undici volte. La sua testa, per dimensioni, è quella di una bambina di 12 anni. Ma respira autonomamente, mangia, vede (nonostante non possieda la struttura cerebrale della vista). I medici non si spiegano come ci riesca. E sente, «anche meglio di me, che sono musicista», aggiunge la mamma. Per muoversi usa un deambulatore. Ma per i medici è solo questione di tempo: prima o poi camminerà da sola. Così come si riuscirà a toglierle il pannolino.
La sua storia insegna che «ci vuole uno sguardo umile e grato sull’esistenza, senza cedere alla tentazione dell’autodeterminazione assoluta», sottolinea Ambarus. «Il nostro intento – aggiunge Noia – è contrastare la cultura dello scarto con la scienza, l’umanità, la formazione e la ricerca». Lo dimostrano i numeri: «Sono 824 le famiglie che l’Hospice ha aiutato nei suoi anni – conclude il professore –. Il 40 per cento dei bambini sembrava non avere speranze. E invece oggi è in braccio alle proprie mamme».

17.6.24

Linda Feki, la musicista: «In ospedale a Napoli hanno provato a non farmi abortire con ecografie falsate. È stato umiliante»

 

di   solito   questo nostro blog   non racconta  storie    di  vip  ed  influenzer    hanno  già  troppa (  al  90 %  dei casi autoidotta  e  creata  ad  arte  )   pubblicità  per i  fatti loro   .....   nella maggior  parte  dei  casi   . Ma qui   si tratta   di  una  storia      vergognosa    che  non riguarda    solo  lei  ma  tutte le  donne     che decidono   d'intrapendere  il percorso dell'aborto  .Scelta    condivisibile  o meno     di vita .  Scelta  \  decisione    che   dovrebbe    essere   rispettata     , ma  soprattutto   la  donna  che  decide    di farlo    va  tratta    con umanità  .Quello     che    ha  subito   , e  che  subiscono  tutte le  donne  ,   che 
vogliono  intrapendere  tale  dolorossima  scelta    è  violenza  psicologià ed  etica pari  a quella  del  femminicidio .  on sapendo  cos'altro  dire    se  non  solidarietà  e  vicinanza   al lei    vi  lascio   con la  sua  storia  .  A    voi  ogni  ulteriore     commento



Linda Feki, 33 anni, conosciuta come LNDFK, è una musicista e producer emergente. Di 
padre tunisino e madre italiana, vive a Napoli e attualmente lavora al suo nuovo album. Tre mesi fa ha deciso di abortire, un'esperienza che si è rivelata drammatica e che ha voluto condividere sui social. «Mi sono sentita umiliata. Per questo ho voluto raccontare cosa mi era successo. E moltissime mi hanno scritto, raccontandomi esperienze simili, anche peggiori della mia», ha raccontato in un'intervista al Corriere della Sera.
L'aborto
Linda Feki ha descritto l'inizio del suo incubo presso l'ospedale San Paolo di Napoli. «Il ginecologo mi visita, non chiede nemmeno il mio nome, ma se avessi un partner e che lavoro facesse. E poi il suo conto non mi tornava». Il medico affermava che Linda fosse alla decima settimana, mentre lei era sicura di essere all'ottava. «Aggiunge che se eravamo arrivati fino a questo punto, parlava al plurale nonostante mi fossi presentata da sola, voleva dire che il bambino in realtà volevamo tenerlo». Decisa a chiarire la situazione, Linda ha consultato un ginecologo privato che ha confermato la sua valutazione: «Mi spiega che erano stati messi dei parametri sbagliati. Conferma che ero all’ottava, come dicono anche al Cardarelli, l’ospedale dove a questo punto decido di andare». Ma anche qui non è stato facile. «La ginecologa decide per l’intervento, nonostante ci fossero le condizioni per accedere all’IVG con farmaco, mi mettono in una stanza con altre due donne proprio di fronte alle partorienti. Né al mio compagno né a quello delle altre è consentito l’accesso».Linda ha denunciato anche altre difficoltà significative: «Quando ho chiesto a un’infermiera di staccarmi la flebo lei mi ha risposto di no perché era un’obiettrice. Alla fine dell’operazione il personale medico ci ha tenuto a ribadire il messaggio secondo cui dal momento che la pratica era risultata così dolorosa ci avrei dovuto pensare bene la prossima volta e stare attenta. È stato brutale, hanno fanno di tutto per farmi sentire in colpa».






La condivisione
Linda ha deciso di condividere la sua storia sul suo profilo Instagram per sensibilizzare e dare voce ad altre donne, e dopo averlo fatto ha ricevuto molti messaggi di solidarietà, ma anche di odio: «Moltissime donne mi hanno raccontato le loro esperienze, troppo spesso traumatiche. Mi ha colpito il fatto che la maggior parte di loro non ha potuto raccontarlo a nessuno, per il giudizio subito che alimenta il senso di colpa, e mi hanno ringraziato per averlo fatto al loro posto. C’è chi ha segnalato anche esperienze più positive della mia, soprattutto in regioni come la Lombardia o la Toscana, e sto lavorando ad una lista di ospedali consigliati in base a tutte le esperienze inviatemi. Ho ricevuto anche tanti messaggi di odio, in cui sono stata insultata e definita un’assassina».

7.11.23

“Dovete ascoltare il battito del fetto prima d'abortire !”, la proposta shock antiabortista di Fratelli d’Italia

Non sono una  donna     .  Ma  so  che   è  una  decisone   che  si  rende  a  cuor leggero    . E  che  in molti  casi  non si tratta  di  una  pazzia    di una notte    o  un metodo  anticoncezionale  .  ma   esso  è   frutto  di decisioni  e storie  dolorose    che   neppure  immaginiamo   . Capisco    essere contro l'aborto    ed sensibilizzare  le  donne  a  non farlo   . Ma  non  è questo     il modo   . In  maniera    cosi  violenta  . L’ultima mostruosità - non ho altri termini - di questa destra immonda .Obbligare le donne che vogliono abortire ad ascoltare il battito del cuore del feto. Addirittura nel VI Municipio di Roma a trazione meloniana hanno promosso una petizione di un’associazione cosiddetta Pro Life che vorrebbe modificare la legge 194 obbligando letteralmente il medico a far sentire il battito alla donna prima dell’interruzione di gravidanza.Ma vi rendete conto della violenza immane di una cosa simile?



 Della brutalità retrograda di questa gente Ottusa, incapaci di distinguere un diritto personale da uno collettivo, incapaci di distinguere la libertà personale dall' anarchia e l ' imposizione.? Dell’arroganza con cui un gruppo di maschi fanatici e intolleranti si permette di sindacare sul corpo delle donne e addirittura a indurle una sofferenza atroce e un possibile senso di colpa mentre esercitano un proprio sacrosanto diritto? Sapete come si chiama una cosa del genere? Si chiama violenza.Spettabili   pro life L'amore per la vita si dimostra accogliendo nei migliori modi i bimbi gia' nati e, soprattutto, quelli speciali. Non umilando e facendo soffrire donne che devono prendere una decisione dolorosa. E poi facendo educazione all' affettività e sessuale nelle scuole per far arrivare sempre meno donne all'aborto !

17.11.22

che bisogno c'è de La giornata della Vita Nascente, proposta dal deputato Malan e dalla senatrice Rauti, quando ttale giornata esiste già e si chiama Natale ?



La proposta d'istituire la giornata della Vita Nascente,  richiesta  dal deputato Malan e dalla senatrice Rauti, esiste già e si chiama Natale. Esso  Cade a ridosso del solstizio d'inverno, quando le giornate ricominciano ad allungarsi e l'umanità, da molto prima che nascesse Gesù, celebra la sconfitta delle tenebre e il ritorno della luce. Il bambinello, come tutti i neonati, risplende nella sua culla ("astro del ciel") e allontana da ogni casa l'ombra della morte.
È il momento nel quale il messaggio cristiano parla a tutti e diventa universale. Se anche i non credenti
amano il Natale è perché la nascita è una festa per ogni persona, non solo per chi crede che quel bambino fosse il figlio di Dio. Ogni nascita (non solo umana ma  di ogni essere vivente) è una sconfitta del nulla. Illumina il mondo, e rallegra.Ecco quindi  che l'idea di una specie di doppione del Natale nel giorno dell'Annunciazione dell'angelo a Maria, al contrario, rabbuia e rattrista. Perché ha un'evidente intenzione politica, e al tempo stesso confessionale. Quella politica è antiabortista (come se esistesse qualcuno, al mondo, che festeggia l'aborto), quella confessionale mette l'accento non sulla nascita, ma sulla trascendenza del concepimento, che è invece un dogma. Chi abortirebbe  senza  dolore  ed  rimpianti \   rimorsi  il figlio di Dio ?  Qui  si propone dunque alla Repubblica, ovvero a tutti gli italiani, di trasformare la più ardua delle credenze (partorire da vergine) in una festa ppolitico  ideologica  , per giunta molto di parte. Tutto ciò  non è altro  che lennesima conferma che la componente cattolico-reazionaria, ora  in questo governo, è quella più aggressiva e  poco rispettosa   della  laicità  o presunta tale secondo alcuni  dello  stato  Italiano  ed  le lotte   ottenute   per  poterla ottenere  e liberarci  da quella  che  era la  religione di stato .

27.6.22

non sempre chi è contro l'aborto lo vieta a gli altri o è che aderisci a quella teoria fondamentalista che ritiene che la vita si formi sin dal concepimento.

  ho ricevuto all'email del blog   un commento   al mioprecedente    post        : << in italia  succedera  la stessa  cosa  che  negli Usa ? vieteranno  l'aborto  e  si ritonerà alle mammane  o ad  andare  all'estero   ?  >>    da una  che  deve avere  letto  i miei  post  precedenti  su tali argomenti     sei  contro


l'aborto  e  poi   pubblichi  tali  post  a  favore  . ?  Io  sono   a favoire  della libertà da  parte  della donna  di scegliere  o  se metterlo   in atto    o meno    sono due  cose  diverse  . Lo Consideravo come un  omicidio , poi leggendo  testimonianze pro e contro   e  soprattutto la  storia  dell'aborto* ,   ho capito  che non è solo quello   ed riuduttivo   

considerarlo  tale  .  Infatti  da qualunque parte  lo si veda   è una situazione  drammatica  e  dolorosa    che  la  donna  sia che    ci debba ricorre per motivi di salute   sia   che ci debba ricorre  per   scelta personali  sia  consapevoli  che   prese  alla legera  ,  mette  in atto   .Riporto   con   sotto le mie opinioni  il  post    da te  citato 



"Caro ragazzo, per affermare che l'aborto è un omicidio significa che aderisci a quella teoria fondamentalista che ritiene che la vita si formi sin dal concepimento. Ti pongo una semplice domanda: senza l'utero della donna quell'agglomerato informe di cellule potrebbe sopravvivere? Stiamo parlando di un ovulo e di uno spermatozoo che accidentalmente si sono uniti e non sono ancora vita, non c'è distinzione tra apparato gerente e sistema nervoso, non c'è differenza tra sistema muscolare e apparato osseo, si tratta di embrione e non di bambino. La differenza terminologica è differenza sostanziale. Tra questo grumo di cellule informi e la volontà della donna di tenerselo in grembo, io dico che deve essere preferita la volontà della donna. .


Non è propriO vita al 100 % ma è vita in formazione che sta per diventare . Per quello tu la uccidi impedendo di svilupparla ?

La maternità è un atto consapevole e l'utero di una donna non è un forno a microonde dove, una volta che hai inserito i popcorn devi per forza farli scoppiettare. Il concepimento non è un atto divino, è un atto sessuale, con o senza piacere. La maternità indesiderata è tra le peggiori sciagure che una donna sente di dover sopportare e se desidera interrompere una gravidanza indesiderata, nessuno può permettersi di giudicare. Lo Stato non può permettersi di limitare un diritto ma deve dare assistenza sanitaria altrimenti la partita si gioca, come al solito, tra donne ricche che trovano comunque una modalità per interrompere la gravidanza, e donne povere che lo faranno ricorrendo a mezzi di fortuna. Ricordati che quando una donna non vuole una gravidanza, non la ferma nessuno, soprattutto se ha subito uno stupro e quella gravidanza ne è la conseguenza.

come non essere d'accordo meglio i contraccettivi che l'aborto  


Se ti dispiace che una donna si trovi nella dolorosa circostanza di interrompere una gravidanza, hai un solo modo per dimostrarlo: combatti per una consapevole educazione sessuale nelle scuole, fai in modo che l'uso degli anticoncezionali diventi argomento di discussione tra le persone che conosci, agisci sulla prevenzione, e soprattutto studia le fasi dell'ovulazione e della produzione di spermatozoi, oltre che gli stati embrionali e fetali. L'aborto è comunque una violenza che la donna accetta di subire su se stessa perchè l'idea di un figlio indesiderato è un tormento peggiore. Quando avrai capito questi passaggi sarai più credibile se parli di aborto."

gli ho già capiti grazie

approfondimenti

* https://it.wikipedia.org/wiki/Aborto#Storia Aborto - Wikipedia


14.9.21

in italia stiamo regredendo fra sessimo , razzismo , talebani nostrani parte 1

 Infatti Al patriarcato italico come dimostra anche il mio post precedente non servono barbe e kalashnikov, gli basta l’ipocrisia.

Perché lui:
1) non vieta l’aborto, ma riempie gli ospedali di ginecologi obiettori, i consultori di personale cattolico e nega qualsiasi forma di educazione sessuale ed affettiva a scuola
2) non chiude in casa le donne, ma applica male una legge contro lo stalking che lascia a piede libero gran parte dei persecutori obbligando le vittime a vivere nel terrore o peggio essere uccise
3) non lapida le mogli infedeli in piazza, ma non fa nulla contro una cultura che legittima i maschi a stuprare ed ammazzare le donne che li hanno delusi
4) non impedisce alle donne di lavorare, ma le paga il 30% in meno dei maschi e le obbliga a chiedere il part time per potersi occupare gratuitamente dei lavori domestici.

E dopo l’ennesime donne sgozzata dal marito, anche questa sera ci indigneremo perché i talebani impongono la sharia, e così dormiremo tranquilli convinti di essere quelli bravi, belli e buoni.

proprio mentre finisco questo post leggo sulla home di facebook questo post di

È il minuto 60 di Milan-Lazio.Tiémoué Bakayoko, centrocampista francese del Milan di origini ivoriane, fa il suo esordio in campionato a San Siro.Dal settore ospiti cominciano a partire fischi, insulti e cori razzisti al suo indirizzo. Uno, in particolare, su tutti: “Questa bana** è per Bakayoko”.
Come due anni fa, come sempre. Come se fosse una cosa normale.Al punto da costringere lo stesso giocatore a scrivere un post su Instagram che fa malissimo leggere: “Per tutti i laziali che hanno insultato me e Franck (Kessie, ndr), siamo forti e orgogliosi del colore della nostra pelle”. L’idea stessa che nel 2021 un calciatore, un essere umano, arrivi a scrivere pubblicamente di essere orgoglioso di essere nero, il fatto che ci sia bisogno di ribadirlo, è già di per sè una sconfitta clamorosa.E non chiamateli “tifosi”, questi sono fascisti, quelli veri. E in uno stadio o in una manifestazione sportiva non devono entrare mai più, semplicemente non hanno diritto di cittadinanza. Solidarietà totale a Bakayoko e Kessie, ma abbiamo tollerato anche troppo.

12.9.21

Per Adinolfi non va bene che una donna vinca il Leone d’Oro con un film sull’aborto

 molti mi diranno ma perché dai spazio a tali imbecilli . Perche non è più tempo dei moderati e del silenzi o del lasciamoli perdere sono dei bigotti e retrogradi , sono solo una minoranza , ecc. infatti uno dei principali motivi per cui tali individui crescono ed si sviluppano ed la cultura sessista e patriacarle che sta alla base dei femminicidi \ violenze di genere ancora resiste è grazie alla nostra tolleranza ed alla nostra sottovalutazione . Dopo questo spiegazione. venivo alla cazzata del giorno detta da uno dei loro leader /punti riferimento .

Mentre tutti in Italia celebrano (giustamente) Paolo Sorrentino, a conquistare il Leone d’oro a Venezia è stata lei, Audrey Diwan 41 anni, regista, scrittrice, sceneggiatrice francese di origini
libanesi, è la sesta donna a vincere in 78 edizioni. La sesta. E lo ha fatto mostrando fisicamente uno di quei temi di cui al cinema non si parla (quasi) mai, come fosse tabù, intoccabile, non pronunciabile: l’aborto. “L’événement” racconta l’odissea di una studentessa universitaria costretta ad abortire clandestinamente, in condizioni estreme e a rischio del carcere, nella Francia del 1963, ma riporta in superficie un rimosso anche della società italiana, in cui conquiste

[....] 
Italia[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Legge 22 maggio 1978, n. 194.

La legge italiana che regola l'accesso all'aborto è la Legge 22 maggio 1978, n. 194, approvata dal parlamento dopo vari anni di mobilitazione per la decriminalizzazione e regolamentazione dell'interruzione volontaria di gravidanza da parte del Partito Radicale e del Centro d'informazione sulla sterilizzazione e sull'aborto (CISA), che nel 1976 avevano raccolto oltre 700.000 firme per un referendum - patrocinato dalla Lega XIII maggio e da L'Espresso - per l'abrogazione degli articoli del codice penale riguardanti i reati d'aborto su donna consenziente, di istigazione all'aborto, di atti abortivi su donna ritenuta incinta, di sterilizzazione, di incitamento a pratiche contro la procreazione, di contagio da sifilide o da blenorragia. Solo l'anno precedente il referendum sul divorzio aveva mostrato la distanza tra l'opinione pubblica e la coalizione a guida democristiana al governo. La Corte Costituzionale inoltre nel 1975 consentiva il ricorso all'aborto per motivi molto gravi.La legge 194 consente alla donna, nei casi previsti, di poter ricorrere alla IVG in una struttura pubblica nei primi 90 giorni di gestazione; tra il quarto e quinto mese è possibile ricorrere alla IVG solo per motivi di natura terapeutica. La legge 194 istituisce inoltre i consultori come istituzione per l'informazione delle donne sui diritti e servizi a loro dovuti, consigliare gli enti locali, e contribuire al superamento delle cause dell'interruzione della gravidanza. La legge stabilisce che le generalità della donna che ricorre all'IVG rimangano anonime. Il ginecologo può esercitare l'obiezione di coscienza. Tuttavia il personale sanitario non può sollevare obiezione di coscienza allorquando l'intervento sia "indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo" (art. 9, comma 5). La donna ha anche il diritto di lasciare il bambino in affido all'ospedale per una successiva adozione e restare anonima.Questa legge è stata confermata dagli elettori con una consultazione referendaria il 17 maggio 1981. L'8 agosto 2020, l'uso della pillola abortiva Ru486 è stato esteso fino alla nona settimana di gestazione senza l'obbligatorietà del ricovero ospedaliero.[20]La sentenza n. 25767/2015 delle Sezioni unite della Corte di Cassazione ha stabilito il diritto della madre e del concepito al risarcimento del danno medico in virtù del diritto alla salute, all'integrità psicofisica e alla uguaglianza delle pari opportunità, negando l'esistenza di diritto a "non nascere se non sani" e il ristori risarcitorio del danno lamentato in relazione alla mancata opportunità abortiva che sarebbe scaturita da una diagnosi omessa o non sufficientemente accurata.[21][22] Il TULPS (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) vieta la pubblicità delle tecniche e dei farmaci abortivi (artt. 112 e 114). 
[...]


che credevamo ormai assodate sono state ufficialmente rimesse in discussione, dove il tasso di obiettori di coscienza in alcune zone è talmente alto da costringere alcune donne a tornare all’aborto clandestino o andare all'estero . Uno squarcio nel silenzio, finalmente.

Ma per qualcuno

Per Adinolfi non va bene che una donna vinca il Leone d’Oro con un film sull’aborto

Il film che ha vinto il Leone d’Oro alla Mostra del cinema di Venezia, “L’événment” della regista francese Audrey Diwan, parla di una studentessa che sceglie l’aborto clandestino nella Francia degli anni ’60. Questa cosa non è piaciuta ad Adinolfi, che ha avuto da ridire anche sul sesso del vincitore

adinolfi audrey diwan leone d'oro aborto

Sa di rischiare la prigione, la vergogna di chi le sta intorno e la sua stessa vita, ma va avanti per la sua strada. Anamaria Vartolomei è la protagonista di “L’événment” di Audrey Diwan, film che ha vinto il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia: è una  giovane brillante universitaria che nella Francia di inizio anni ’60 con l’aborto ancora illegale è determinata a non proseguire la gravidanza per continuare a inseguire i suoi sogni. Con l’avvicinarsi degli esami finali e la gravidanza sempre più evidente, Anne si decide quindi a praticare un aborto clandestino, pur sapendo di rischiare molto. Un film emozionante e che tocca temi sociali importanti, che non è piaciuto però a Mario Adinolfi
“È l’ennesima propaganda abortista che ormai subiamo con quotidianità”, ha detto il leader del Popolo della famiglia. “Sembra che la libertà del nostro mondo occidentale – ha aggiunto – sia la libertà di uccidere i bambini non nati e gli anziani malati o sofferenti con l’eutanasia. Questa è diventata la grande vittoria dell’Occidente”.
Ad Adinolfi non torna neanche che per il secondo anno consecutivo a vincere il premio sia stata una regista donna: “Ci pieghiamo a dei cliché, siamo obbligati a cercare la regista donna per dare il premio, è il secondo anno consecutivo, e anche questo sta diventando un cliché. E i cliché sono l’opposto dell’arte”. “Io ho paura che questa atmosfera cupa che ci stiamo portando dietro – ha concluso il guru cattolico – in cui libertà e diritti significano solo aborti ed eutanasia significhi che qualcosa sta andando storto nella nostra riflessione”.Per lui, a meritare il Leone d’Oro era il film di Paolo Sorrentino “È stata la mano di Dio”: “Davanti a un’esperienza di morte, perché muoiono i suoi genitori, il protagonista risponde con un grandissimo inno all’esistenza che passa anche attraverso quell’immagine di Maradona”. Fortunatamente non lo ha diretto una donna, altrimenti l’Adinolfi critico cinematografico avrebbe rischiato un cortocircuito.

N.b
  va bene     essere  contro l'aborto   ma  come  giustramente  ha  risposto    questa  senatrice  degli  Statri uniti  

 dev'essere  lasciata libertà alla  donna  di scegliere   cosa  fare  e  soprattutto   di poterlo fare  in sicurezza  . Cosi  come    dipoterne  parlare  , raccontare   d tali tematiche . 
Se  la  cosa   , cari  Adinolfi  e   company   vi dovese  dare  fastidio  , invece  di  dire  .....  o proibire  agli altri\e  di  parlarne    fate  un film  o    un altra  forma  artistica   dover  esprimete  il  vostro pensiero  .  Insomma  non rompete  ....    con le  vostre  crociate  ,  nella ,maggior  parte dei casi ,  per  lo più ipocrite    ed opportunistiche    . 

17.8.21

Troppi obiettori in Sicilia, gli aborti tornano clandestini di Eugenia Nicolosi



Cinque ginecologi su sei rifiutano di interrompere le gravidanze. La denuncia delle associazioni: "Molte donne costrette all'illegalità"
17 AGOSTO 2021 


Un tasso di obiezione di coscienza inferiore solo al Molise e alla provincia autonoma di Bolzano rende la Sicilia il posto in cui gli aborti clandestini e la legge 194, quella che dal 1978 regola le interruzioni volontarie di gravidanza in Italia, coesistono. Tenendo presente che i tempi per questi interventi sono limitati, visto che le donne — a seconda del metodo — possono interrompere una gravidanza al massimo entro i primi 90 giorni dal concepimento, chi decide di farlo nell’Isola si scontra con intoppi di ogni genere. E non sono poche le donne che valicano i confini regionali o della legge pur di farlo.
Obiettori 5 ginecologi su 6
Il calvario inizia con la difficoltà di sapere come, quando e dove: i siti del ministero della Salute e dell’assessorato regionale alla Sanità non fanno cenno alle modalità di accesso. Da quanto emerge dalle testimonianze, da Palermo a Catania il sistema è ipertrofico: i consultori spesso ignorano il telefono e gli ospedali tendono a rimandare di settimana in settimana l’appuntamento, anche solo telefonico, chiesto da chi ha bisogno di informazioni. A monte di tutto ciò, i report del ministero e degli osservatori indipendenti concordano nel registrare un tasso di obiezione di coscienza dell’82,7 per cento, che in alcune province è pari al 100 per cento, come per esempio a Marsala. Di conseguenza, nel 2019, l’Istat dava 5.281 interruzioni volontarie di gravidanza in tutta la Sicilia, un numero inferiore a quello della sola città di Milano, 5.326. Ancora un dato: grazie alle mappe online delle associazioni pro-choice si scopre che l’accesso all’Ivg farmacologica con Ru486, possibile solo entro le prime 9 settimane, è attuata solo in otto strutture in tutta la Sicilia.
Toppi obiettori in Sicilia, la denuncia di operatori e volontari: "La legge 194 è disattesa"
Alla ricerca di un ambulatorio
Le storie dietro questi numeri sono violente: Sara racconta di aver litigato con lo staff sanitario che per ore ha tentato di dissuaderla, Claudia ha ascoltato le preghiere di una suora a fianco a lei durante tutta l’attesa, Valentina non trova nel suo Comune ginecologi che le facciano l’ecografia che certifica lo stato di gravidanza fondamentale per procedere e Lucia, lavoratrice con due bambini, deve affrontare dei pellegrinaggi a ovest perché in Sicilia orientale nessuno le fornisce la Ru486. Messina è dove inizia l’avventura di Virginia che dopo decine di telefonate e viaggi in lungo e in largo durante un periodo di “zona rossa” è riuscita a interrompere la gravidanza a Palermo pochi giorni prima dello scadere dei termini legali. «Io non sono obiettore ma tutto lo staff lo è, quindi non facciamo Ivg — racconta Giorgio, ginecologo di una struttura nel messinese — sono una decina all’anno le donne che vengono per questo e cerco di aiutarle mettendole in contatto con colleghi altrove».
Le scelte del personale non medico rispetto a come porsi davanti le Ivg sono un’altra variabile che incide: il ministero della Salute, nel 2016, dava un tasso di obiezione di coscienza negli staff delle strutture italiane pari all’85,2 per cento. Dalla zona di Agrigento raccontano: «Ho fatto l’Ivg farmacologica al Giovanni Paolo II di Sciacca. Dopo diverse ricerche ho capito che potevo rivolgermi solo a un ginecologo in tutta la provincia».
In viaggio verso il nord
Nell’intero territorio trapanese c’è un solo ospedale in cui si può abortire per scelta e a Catania «abbiamo dovuto aprire un consultorio noi — dice Maria Giovanna Chiovaro, del collettivo “Non una di meno” — tra ospedali che chiudono e consultori fantasma le donne sfiorano la disperazione delle ultime ore. Alcune per avere la certezza di farlo partono per il nord perché qui a Catania la Ru486 praticamente non esiste, quando arrivano da noi sono esauste». A Palermo il tasso di obiezione è leggermente inferiore, tuttavia «il diritto all’Ivg è in pericolo: noi stiamo andando tutti in pensione e oggi le classi di specializzazione sono tutte di futuri obiettori», dice Francesco Gentile, dell’ospedale Cervello.
Ma perché? «A parte un esiguo gruppo di colleghi che lo fa per motivi religiosi gli altri scelgono di dare le spalle a un carico di lavoro enorme e meno siamo più è difficile applicare la legge». Alcuni anni fa al Cervello fu finanziato un progetto che agevolava e sveltiva le Ivg. «Mi riferiscono che in quel periodo nessuno era più obiettore, poi finito il progetto e quindi i soldi ecco di nuovo l’obiezione — sottolinea Gentile — ne deduco che se ci fosse un riconoscimento economico il tasso di obiezione si dimezzerebbe. È un invito a valutare l’idea di incentivare queste procedure. Non è più possibile che in una nazione esista una legge e contemporaneamente una percentuale così alta di obiettori». Una visione confermata da una collega più giovane che attacca: «Sono una delle poche in Sicilia a praticare l’Ivg — dice Rosalia, ginecologa non obiettrice — E confermo anche che la Ru486 è difficilissima da trovare, nonostante la legge, soprattutto dalle parti di Messina». Poi c’è il problema dei colleghi obiettori: «Mi ci scontro spesso — racconta — d’accordo non fare le Ivg ma nemmeno è giusto scaricare tutte le pazienti a noi negando informazioni e a volte anche esami specifici. Siamo sommersi di lavoro».
Una questione di fede
Chi fa obiezione di coscienza si appella spesso alla fede. «L’ho fatto per motivi religiosi — spiega un medico di Palermo — mi sentivo troppo in colpa e ho smesso. Credo sia però doveroso aiutare le pazienti a procedere facendo da tramite tra loro e i colleghi: non occorre entrare nel merito della loro decisione, presa giustamente in autonomia». Da Catania una ginecologa obiettrice spiega che non ha mai praticato le Ivg per motivi religiosi e che «l’obiezione quando c’è è totale: non fai differenza tra Ivg e aborto terapeutico, non interrompi nessuna gravidanza». Il che rimanda all’articolo 9 della legge 194: «L’obiezione di coscienza — si legge nella norma — non può essere invocata quando l’intervento è indispensabile per salvare la vita della donna». La legge del 1978, però, è di fatto una legge costantemente disapplicata.
«Se non ci fossero le associazioni — commenta Maria Angela Fatta, attivista di Non una di Meno — tante donne non saprebbero come fare, per non parlare di migranti o altre fasce fragili: stiamo tornando a parlare di aborti clandestini e conosciamo i rischi che ne derivano, ma purtroppo alcune non hanno altre modalità. Tutto a causa della mancanza di controlli sul tasso di obiezione, di informazione pubblica e di amministrazioni locali che operano secondo la loro morale lasciando le donne a informarsi tramite passaparola». Dalle diverse province sono tante le ragazze che contattano la rete associativa del capoluogo per essere aiutate: «Grazie alle reti si sa che qui va un po’ meglio — continua Fatta — ma siamo ben lontane da una situazione dignitosa».
Boom di anestesisti obiettori
E se il tasso di obiezione tra i ginecologi cresce di anno in anno, lo stesso accade tra gli anestesisti: nel 2017 le statistiche del ministero della Salute registravano un’obiezione di coscienza tra gli anestesisti pari al 49.3 per cento su tutto il territorio nazionale, in sostanza la metà. Anche in questo caso il tasso di obiezione è più alto a Sud e in Sicilia il valore è del 79,2 per cento. «Non stento a crederlo — commenta Silvia Peralta, anestesista e rianimatrice del Cervello — quello sull’obiezione è un dialogo aperto a livello nazionale tra noi, anche se al momento rispetto a quanto accade tra i ginecologi c’è più equilibrio». Semplicemente gli anestesisti obiettori non vengono messi di turno quando ci sono da fare le Ivg.
«Li comprendo — continua Peralta — nemmeno io lo faccio a cuor leggero, mentre sono lì cerco di convincermi che sto facendo altro». Un tema sollevato da molti medici è l’abuso della procedura, anche quella chirurgica, da parte di donne che sembrano non usare contraccettivi: «Ero a Trapani anni fa e ho visto praticare l’Ivg a una donna per l’ottava volta — conclude l’anestesista — e non è un caso rarissimo. È chiaro che c’è un problema di informazione generale rispetto alla salute riproduttiva».
C’è dell’altro che cresce di anno in anno: sono i collettivi, le associazioni e i canali informativi che sollevano la questione tra sit-in, tour di sensibilizzazione e richieste di ascolto rivolte alle istituzioni. «La questione delle Ivg annulla per magia il divario tra nord e sud — osserva Adele Orioli, responsabile delle iniziative legali dell’Unione atei e agnostici razionalisti — la Sicilia e Bolzano negano questo diritto in modo identico. In Italia l’obiezione è al 70 per cento e sulle spalle dei pochi non obiettori grava anche la responsabilità di assistere le donne di San Marino e di Città del Vaticano, dove le Ivg sono ancora un reato con tanto di pena detentiva, sono costrette a valicare i loro confini. Accade qui e accade ora».

30.4.21

intervista ad Alice Merlo che Tra insulti e complimenti, Alice Merlo porta avanti la sensibilizzazione sul tema del'aborto farmacologico, pratica molto osteggiata in Italia.

 La protagonista della storia  d'oggi,  che  poi  è  anche  quella  della  foto  del manifesto   che riporto a  destra   ,  si  si chiama Alice  Merlo  ha  26  anni ,  uno spirito libero  o meglio  una  di quelle  nuove  femministe     da quel  che  si vede    sul  suo  account   di  fb    , una  ragazza  coraggiosa    tanto  da  rompere un tabù .  Infatti   , come  potete   notare  dalle  mie  domande  sotto  riportate  , Tra insulti per   a ver proposto   di vedere  l'aborto non solo     come  dramma   e senso di colpa  , Alice Merlo porta avanti mettendoci la  faccia   la sensibilizzazione sul tema dell'aborto
farmacologico, pratica molto osteggiata in Italia. che è diventata testimonial della pillola abortiva RU486. Una giovane ragazza ventiseienne, nata e vissuta a Genova. A settembre del 2020 Alice ha deciso di interrompere volontariamente una gravidanza indesiderata ricorrendo ad un aborto farmacologico. Fin qui  niente  di eccezionale   visto    che succede    tutti i giorni  o quasi   . Il  fatto  che  io reputo  eccezionale  è che   come raccontano  diversi siti femminili  soprattutto  , in particolare  https://www.donnemagazine.it/alice-merlo-chi-e/ a meno di sei mesi dall’accaduto la giovane ha deciso di fare della sua esperienza personale una testimonianza per tutte le donne , di metterci la  faccia   ,  di non nascondersi  , è  di  accettare   critiche ( alcune comprensibili  \ legittime  , altre  meno) e  d insulti  anche  pesanti e  personali .  Infatti   visto     che  Lei   è diventata testimonial della campagna pro-aborto farmacologico sostenuta dall’UAAR, l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti. ed  ha sottolineato come in rete gira molta disinformazione sulla RU486, così ha deciso di prendere in mano la situazione e sensibilizzare su questo tipo di aborto .  Sentendo   su   https://rep.repubblica.it/audiovideo/audio-rubrica/rep/rubrica/maree  e   leggendo  la  sua  storia   fra  siti  che trovate  a   fine post    ho deciso d'intervistarla


Iniziamo a sciogliere il ghiaccio con una domanda banale ed forse scontata per chi conosce il problema ma non tanto per chi si approccia a tali temi che differenza c'è l'interruzione volontaria di gravidanza con la terapia farmacologica e l'aborto chirurgico?

L’aborto farmacologico è una procedura medica che prevede l’assunzione di due principi attivi a distanza di 48 ore l’uno dall’altro: il mifepristone (conosciuto col nome di RU-486) che interrompe lo sviluppo dell'embrione e un farmaco della categoria delle prostaglandine, che ne determina l’espulsione. La RU486 può essere presa in ospedale e in consultorio, dopodiché la persona va a casa e 48 ore dopo si reca in ospedale per il day hospital.
L’intervento chirurgico, definito isterosuzione, consiste nel rimuovere embrione ed endometrio dall'utero per mezzo di un'apposita cannula mentre la paziente è in anestesia totale.

Come fai a dire ho abortito e ne sono felice?

Lo dico perché è così. Sono serena, grata e felice. Serena perché era la scelta giusta per me, grata e felice perché ho potuto usufruire di un mio diritto senza scontrarmi con l'obiezione di coscienza, che in Italia è un enorme problema, e potendo scegliere la terapia che ritenevo migliore per me.

Come sei arrivata a questo: «Il nostro vissuto ha un valore e deve di diritto entrare nel dibattito pubblico. Solo così potremo superare lo stigma intorno all'aborto.
Perché è un diritto imprescindibile delle persone quello di autodeterminarsi. E sarebbe bello che, in futuro, chi accadesse all'IVG non dovesse scontrarsi con la riprovazione sociale e/o con l'imposizione del senso di colpa e del dolore.»?

Per troppo tempo le persone non hanno potuto parlare dei propri aborti con sollievo e gratitudine, o se lo facevano la società ricordava immediatamente loro che dovevano sentirsi in colpa, provare vergogna e considerare se stesse delle assassine o delle fallite. Ecco, tutto questo deve cambiare. Sta finalmente cambiando, ma bisogna accelerare, perché le donne devono poter scegliere serenamente cosa fare col proprio corpo senza scontrarsi col bigottismo, con l’obiezione di coscienza e con la riprovazione sociale.
Dire “io ho abortito” è già un fatto rivoluzionario in una società che dopo più di quarant'anni continua a non parlare serenamente di IVG. Dire “io ho abortito e sto benissimo” serve a cambiare mentalità, a sradicare pregiudizi e stereotipi, a combattere l’obiezione di coscienza. Io e milioni di altre persone siamo la prova vivente che l’aborto può essere un sollievo, e di conseguenza pretendiamo che l’accesso all’aborto sia il più facile e sereno possibile.

Secondo te la 194 va modificata e se si dove?

Il movimento transfemminista lo dice molto chiaramente: vogliamo l'obiezione di coscienza fuori dalla sanità pubblica. Le 194 è una legge nata male, perché non è stata lungimirante: era sì doveroso inserire l'obiezione di coscienza per chi già praticava ai tempi, per tutelare il diritto alla libertà di scelta e il diritto del lavoratore. Ma bisognava pensare alle future generazioni, chiarendo subito che l'IVG sarebbe stata parte integrante della formazione in ginecologia. Invece oggi ci troviamo una legge che tutela e fa fare carriera a chi obietta, e lascia sole le persone che vogliono abortire.
Inoltre parte integrante della legge 194 erano i consultori. Dove sono oggi? Dove sono i finanziamenti, la formazione, il personale? Lo Stato ha tagliato tutto quello che poteva tagliare, penalizzando un servizio fondamentale.

Saltando di palo in frasca visto che ti occupi dei diritti di tutti tutte tutt* e dici che: «Il #ddlZan contro l'omobilesbotransfobia, la misoginia e l'abilismo è una legge necessaria e urgente.» ti chiedo che ne pensi delle obiezioni delle femministe anche lgbtq+, quindi non solo pillonisti e company ad alcuni articoli fondanti?


Che se ti definisci femminista ma non difendi i diritti delle persone trans e non binary, allora sei solo una Adinolfi qualunque.
Trovo vergnoso, inaccettabile e meschino che persone che hanno vissuto sulla propria pelle lo stigma e la discriminazione, siano oggi in prima linea per voler togliere diritti alle persone trans e non binary.

Secondo me la discussione del decreto zan è come quello sulla legge sull'aborto ci vuole un compromesso tra cattolici e laici, ma soprattutto tra movimenti femministi quello nuovo e radicale (il tuo) e quello classico (vedi l'url della pagina facebook I-dee  )  tu cosa ne pensi?

Quando si parla di diritti che incidono concretamente sulla vita delle persone, non esiste compromesso. Non esiste equilibrismo, non esiste lotta al ribasso.
Anche perché abbiamo visto cosa succede quando le leggi vengono fatte sul compromesso: la 194 non funziona oggi ed è una conquista continua per una persona accedere all'aborto. Non voglio di certo che la stessa capiti col DDL Zan, vorrebbe dire non aver imparato niente dalla Storia.
Il mio femminismo non è radicale o nuovo, la corrente a cui sento di appartenere è quella del femminismo intersezionale, presente in Italia da più di 25 anni. Non siamo radicali, siamo consapevoli che tutte le battaglie sono collegate tra loro. Se il DDL Zan passerà escludendo dalle tutele le persone trans e non binary sarà una sconfitta per tutte le persone. Perché come posso gioire per una legge che esclude le categorie più oppresse, marginalizzate e discriminate?




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