Il 15 e 16 maggio, a Milano, si terranno le elezioni amministrative. Tra i redattori del "manifesto dei cittadini" fatto redigere dal candidato Sindaco Giuliano Pisapia ad associazioni, gruppi, partiti e singole donne e uomini figura anche la giovane ricercatrice precaria Laura Di Dio, umanista, candidata al Consiglio comunale assieme ad altri amici, in corsa per il Consiglio di zona. La lotta potrebbe sembrare impari, data la feroce e dispendiosa campagna elettorale di Berlusconi, ma giungere al ballottaggio costituirebbe già un ottimo risultato. Tra i sostenitori dell'avv. Pisapia tutti i rappresentanto della Milano migliore, da Roberto Vecchioni (che terrà un concerto di chiusura venerdì 13 in piazza Duomo) a Benedetta Tobagi, figlia di Walter, agli eredi Ambrosoli, Rossa, Bachelet, vittime del terrorismo negli anni '70, a don Andrea Gallo e moltissimi altri. In bocca al lupo, futuro, in bocca al lupo, Laura.
Milano vive in questi giorni uno straordinario momento di rinascita e speranza: dopo vent’anni di governo della destra, finalmente, con Giuliano Pisapia c’è la concreta possibilità di voltare pagina e di lasciarsi alle spalle razzismo, affarismo, tagli ai servizi sociali e l’arrogante convinzione che il denaro può comprare tutto, anche le persone. Come umanisti ci riconosciamo nei punti cardine del programma di Pisapia – diritti, lotta al precariato, difesa dei beni comuni, partecipazione dei cittadini – e pensiamo di poter contribuire al rinnovamento di Milano portando il nostro patrimonio di ventennale lavoro nei quartieri a favore della nonviolenza, della non discriminazione, del dialogo tra le culture e della democrazia partecipativa.
PERCHE' VOTARE LAURA
E’ donna, giovane (26 anni) e preparata: laureata in Comunicazione politica e sociale, da dieci anni porta avanti attività di volontariato per la tutela dei diritti umani e il dialogo tra le diverse realtà culturali presenti in città.
Precaria, rappresenta la “generazione clandestina”, esclusa dai diritti e privata del futuro e può portare in Consiglio Comunale le esigenze e le aspirazioni dei giovani.
GLI IMPEGNI DI LAURA PER MILANO
DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA
- Modifica dello Statuto comunale per introdurre consultazioni e referendum vincolanti su temi comunali e di zona. - Conferimento di maggiori poteri ai Consigli di Zona. - Verifica periodica dell’operato degli eletti da parte degli elettori.
EDUCAZIONE
- Aumento del numero delle Scuole Materne e degli Asili Nido comunali, fino a soddisfare la domanda, a costi proporzionati al reddito e con tendenza graduale verso la gratuità. - Assunzione di tutto il personale comunale precario. - Gestione diretta delle Scuole Materne e degli Asili Nido, senza appalti a cooperative ed enti privati. - Riapertura delle scuole civiche comunali. - Manutenzione tempestiva degli edifici scolastici.
AMBIENTE E MOBILITÀ
- Impegno a contrastare la privatizzazione del servizio idrico. - Potenziamento dei mezzi pubblici, anche in orari notturni, per decongestionare il traffico e ridurre l’inquinamento dell'aria. - Creazione di piste ciclabili protette che partano a raggiera dal centro a arrivino in tutti i quartieri.
GIOVANI
- Creazione di un organo comunale di controllo dell’utilizzo indiscriminato degli stage da parte delle aziende. - Creazione di un fondo agevolato e di spazi idonei per il sostegno alla microimprenditoria giovanile. - Sostegno agli spazi che permettono aggregazione e offrono cultura. - Assegnazione di alloggi comunali, anche in condivisione, a prezzi accessibili.
IMMIGRAZIONE
- Utilizzo dei fondi UE per le reali necessità delle comunità Rom e moratoria degli sgomberi dei campi. - Sostegno all’inserimento lavorativo e sociale di rifugiati e richiedenti asilo. - Istituzione di una Consulta Comunale dei migranti. - Diritto di voto alle elezioni e ai referendum comunali. - Rifiuto da parte del Comune di ospitare un Centro di Identificazione ed Espulsione come l’attuale Corelli e creazione di strutture di reale accoglienza.
NON DISCRIMINAZIONE E NONVIOLENZA
- Istituzione di un Registro Comunale delle Coppie di Fatto eterosessuali e omosessuali ed equiparazione dei loro diritti a quelli delle coppie coniugate per quanto concerne i servizi comunali. - Patrocinio al Gay Pride e alle iniziative per la Giornata mondiale contro l'Omofobia (17 maggio). - Costituzione a livello comunale e di zona di un Osservatorio per la nonviolenza, che svolga compiti di prevenzione e denuncia, fornisca sostegno alle vittime di ogni forma di violenza e discriminazione e lavori in rete con le scuole e le associazioni operanti sul territorio per promuovere la cultura della nonviolenza.
...e di nuovo arriva il buio, lo sgomento, il tedio di giornate sfatte, ceree, anguste. Giornate irrisolte, così pesantemente vuote, in cui ci si sente inani, come un orologio sbilenco.
Giornate in cui constati che non può migliorar nulla. Giornate disgustate, dove ti lasci travolgere dall'ubbia. Perché ingiustizia e prepotenza ti assediano oltre ogni tollerabilità.
Poi ti càpita di sfogliare un giornale e d'incrociare lo sguardo di lui: un musetto rincagnato, una curiosità inespressiva d'uccello, spumeggiato dai primordi della terra. E d'incerte acque.
Nato su una zattera della disperazione, tra Italia e Africa, tra Eritrea ed Etiopia, fuggite a loro volta dalla Libia dilaniata e dilaniante verso gli ospiti neri. L'hanno chiamato Yeabsera, dono di Dio. Internazionale, di tutti, come di tutti è il dolore, ma anche la gioia. Ci spiazza, quel bambino, perché davanti ai suoi occhi si crea un immediato vuoto; non lo spleen, ma un calore sospeso, un fiato, un silenzio d'ovatta.
E sappiamo tutto. Non viviamo in tiepide case. Intorno querimonie, lagnanze, dolore e, ancora, voci naturali di giustizia. Su cui menti rapaci sono pronte a speculare. Ma un bambino è sempre un miracolo imprevisto. Un atto contro natura (Ungaretti) nel momento in cui pretende, prim'ancora del pensiero, il suo diritto al mondo. Al resto, attorno, per un istante almeno, non vogliamo pensare. Lasciateci ancora di fronte a quel fiat. A quell'"io sono" così disarmante e severo nella sua totale, sgombra innocenza.
Questo giorno 11, così maledetto. Sempre ricorre, ultimamente. E dopo, solo il silenzio. Una strana, forse stolida consolazione, nello stordimento afasico di Hiroki Azuma: "Faccio lo scrittore - egli afferma - ma non sono ancora stato capace di mettere in parole ciò che stiamo vivendo". E, quando tace l'artista, tace l'uomo.
Sconvolto il Giappone da un tremendo tsunami e un altrettanto tremendo maremoto, che ha mietuto cinquemila vittime accertate. E poi, l'incubo nucleare. A Fukushima si sta verificando un principio di fusione. Il resto, per questo popolo che così dignitosamente subisce e galleggia su un infiammato lago di dolore, non riusciamo a immaginarlo. Affermare, come Azuma, che "niente sarà più come prima" non è un'espressione sciatta del linguaggio medio-quotidiano; è semplicemente vero; e la verità è nuda, cruda, scabra, materica.
Noi continueremo a scrivere, per sentirci vivi. Perché siamo obbligati, dannati all'esistenza. Perché non ci è lecito arrenderci, dopo l'ennesimo sfregio alla natura. Natura e cultura costituiscono i due cardini sui quali cresce il vilucchio della persona umana. Scinderli, allo stesso modo in cui avviene una scissione atomica, è contrastare, sovvertire il nostro status.
Rievoco, sgomenta, i miei autori. Il primo, senza dubbio, è Akira Kurosawa che, in quel lussureggiante affresco in celluloide dal titolo Sogni, aveva previsto la catastrofe nucleare. La Ballata del vecchio marinaio di Coleridge, dove il protagonista viene punito con la morte-in-vita per quel gesto di malvagità totalmente gratuita. Un simbolo, l'assassinio dell'albatro, della nostra invidia d'un volo perduto: quello dell'anima.
La profezia di Kurosawa: nel lungometraggio del 1990 era il vulcano Fujiama a risvegliarsi, provocando un'ecatombe nucleare. In basso, l'episodio finale del film: l'umanità riscopre la semplicità e il dialogo con la natura.
Ma, più ancora, mi tornano alla mente versi franti, anch'essi scissi, sbocconcellati, come ruderi immoti dopo un'immane rovina. Sono una creatura di Ungaretti. Sì, egli la compose sotto le armi, mentre infuriava la guerra. Ma anche noi, oggi, siamo in guerra. Contro la nostra stessa ragion d'essere, contro la madre che abbiamo rinnegato.
"Sono una creatura" è un attestato, un vocabolo denso, delicato e donativo, relazionale, sponsale: è forza e fragilità. E' riconoscimento della propria natura, in un contesto del tutto scarnificato e isterilito. Della dipendenza da un'origine. Ma ricapitola, anche, quella cultura, quel progresso, quel futuro che può verificarsi soltanto col riconoscimento del proprio limite. Altrimenti, come il volo d'Ulisse, rimane follia, baratro, mare di fuoco su una terra desolata.
E non ci resta che questo stordimento, questa solitudine tremenda. Siamo creature; lo riconosciamo; come l'aveva riconosciuto l'epilogo del film di Kurosawa. Sono creature le vittime del lontano e vicinissimo Giappone, nostro autentico fratello in questa Terra ormai divenuta limbica, trasparente.
15.2.11
"Rachele piangei suoi figli e non vuol essere consolata, perché non sono più" (Ger 31,15). La madre di Raul, Fernando, Sebastian e Patrizia, i quattro bimbi rom arsi vivi nel rogo del 6 febbraio scorso a Roma, ricorda la biblica Rachele in modo impressionante. Il sindaco Alemanno ha proclamato il lutto cittadino. Eppure, adesso, sia la donna sia la famiglia rischiano di essere imputati di “abbandono di minore”, reato previsto e punito dall’art. 591 del Codice Penale.
L'abbraccio del presidente Napolitano alla madre rom.
L’organizzazione umanitaria Gruppo EveryOne si appella al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affinché, dopo la strazio dei bambini, le istituzioni non colpiscano ancora i genitori.
Sono periti quattro bambini. Questo dovrebbe bastare. Altro non dovremmo aggiungere. Prima delle azioni, contano i segni. I silenzi. Ma non tutti i silenzi sono uguali. Esistono silenzi che impetrano, e silenzi che racchiudono scaturigini di dolore. Silenzi muti e silenzi murati. Silenzi densi e silenzi indifferenti.
Immaginiamo abbia taciuto anche lui. Del resto, stava leggendo, come egli stesso ha dichiarato: ed era talmente immerso nella lettura, da non essersi accorto della richiesta di osservare il minuto di silenzio. Ha taciuto. In quel modo distratto e scialbo che trasmette l'assenza. Bossetti non c'era. Al suo posto, l'involucro senz'anima del passante anonimo. Del vicino di casa perbene. Che odora di chiuso e di muffa. E che, magari, si proclama cristiano.
Bossetti cercava il momento di celebrità e l'ha ottenuto, sappiamo che gli rendiamo un servizio mostrando il suo volto impenetrabile, appena sfiorato da un segmento ghignante. Non ha neppure dovuto sforzarsi di trovare scuse credibili. Non gliene importa nulla. Oggi, manifestare il proprio razzismo, nemmeno ideologico, ma di quella sordidezza vaga, gretta, allineata e conformista come un appunto di computisteria, non scandalizza più nessuno. Anzi, riscuote approvazione. E' la riscossa del vicino perbene. Il rancore del frustrato. Silenzio. Come ombra nel buio.
In una Milano quasi primaverile gli umanisti si sono uniti agli amici egiziani in festa per le dimissioni di Mubarak. "Rispetteremo i trattati", è l'assicurazione rivolta a Israele dal governo provvisorio. Eppure, mai come in questi momenti, euforici certo, ma non meno reali, si avverte un'inebriante sensazione di spossata felicità; quella felicità che proviamo dopo una lunga, dolorosa, spesso frustrante fatica; una felicità fisica e contagiosa, che ripaga delle sofferenze. Una felicità che segue una vittoria conquistata a caro prezzo, e da soli; "dal basso", come usa dire. "La caduta di Mubarak segna una straordinatia vittoria di popolo - commenta Emanuela Fumagalli di Mondo Senza Guerre(a sinistra nella foto, col cartello giallo). - In diciotto giorni di mobilitazione nonviolenta, resistendo ad aggressioni di ogni tipo, gli egiziani sono riusciti a liberarsi di un dittatore che li opprimeva da trent'anni. Il coraggio e la perseveranza dimostrati dai manifestanti sono un esempio che ci auguriamo altri popoli seguano. E non solo nel mondo arabo. Certo - ammette - la transizione verso una vera democrazia e un cambiamento profondo non sarà facile, e il popolo egiziano dovrà restare vigile e pronto a nuove mobilitazioni, ma da oggi nessuno potrà più affermare che una rivoluzione nonviolenta è impossibile".
"Rivoluzione" è una parola risuonata spesso durante la manifestazione; ma accompagnata da un aggettivo; un colore: bianca. "La nostra rivoluzione bianca", ha scandito più volte un giovane, a sottolineare il carattere assolutamente pacifico d'una protesta che è costata trecento vittime ma ha raggiunto il suo primo, importante obiettivo. E tuttavia, ciò che si è maggiormente invocato, ciò di cui anche dalla piazza italiana viene ripetuto come esigenza non più rinviabile, è un altro vocabolo: democrazia. Forse perché di rivoluzioni abortite questo popolo ne ha subìte troppe, e ora si anela a una normalità compiuta, matura, da paese "adulto". "Quelle dell'Iraq, dell'Afghanistan e dell'Iran sono finte democrazie - si è sgolato un altro ragazzo dai microfoni di un improvvisato furgone pavesato a festa - sono regimi che hanno ingannato e terrorizzato il popolo. Noi non siamo come loro, non vogliamo essere come loro", e ha puntato il dito contro la timidezza delle diplomazie occidentali, incapaci di cogliere la differenza. D'altro canto, gli slogan si sono distinti per una grande positività e propositività: in un'atmosfera di giubilo cordiale e accogliente, siamo stati invitati a unirci ai balli e ai canti della comunità egiziana. Forte e convinta la partecipazione femminile, come attestato da queste immagini. Anche se quella che considero maggiormente significativa è un dipinto, l'enorme pannello a olio che ha accompagnato il corteo fino alla conclusione, in Stazione Centrale. Un dipinto espressionista e naif, che ricorda certe tele sudamericane; un'opera laica e sacra (più che religiosa) al tempo stesso, come ci ha spiegato un amico: "La donna è l'Egitto["Misr" in arabo, n.d.A.] , ed è nuda perché spogliata di tutti i suoi beni. Ma poi siamo arrivati noi, col nostro sangue, di musulmani e di cristiani, e l'abbiamo coperta con la nostra bandiera. Pian piano, la rivestiremo tutta". Questa donna nuda e casta, povera e solenne, scarmigliata ed elegante, nel portamento e nei misurati gesti, ci pare oggi la perfetta metafora dell'Egitto in marcia, di tutte le sue anime, una spiritualità della nazione originale e inedita, un corpo femminile e simbolico, strappato al Sultano, che chiede solo d'incarnarsi veramente.
Poco più lontano, al teatro Dal Verme (...), l'ultrà cattolico, vergine e devoto Roberto Formigoni, in prima fila al Family Day e strenuo crociato delle "radici cristiane d'Europa", nonché baluardo impenetrabile contro le depravate coppie di fatto, applaudiva i Ferrara, gli Ostellino, i Sallusti; i quali, in una manifestazione parallela denominata in modo immaginifico In mutande ma vivi, hanno difeso con inesausta veemenza il diritto delle donne a prostituirsi per il Sultano. L'altro. Il nostro. Che però, essendo liberale, marca la differenza. Chissà, forse l'espressione tirata di Formigoni denota un soffuso disagio, ben rintuzzato, del resto, dal piatto di lenticchie puttaneggiato col potere. Non abbiamo molto da commentare: ognuno ha le piazze che si merita.
Esprimiamo la nostra solidarietà per queste persone che hanno visto tutto quel poco che avevano distruggersi in un secondo. C'è chi parla di più di 100000 morti.
Il sisma di magnitudo 7 della scala Richter si è verificato il 12/01/2010. L'epicentro è stato localizzato a 15 km a sud-ovest della capitale, Port-au-Prince. Crollate decine di palazzi, ci sono migliaia di vittime. Si scava tra le macerie alla ricerca dei dispersi.
Per le Donazioni
UNICEF:- c/c postale 745.000, causale: 'Emergenza Haiti'; - carta di credito online su www.unicef.it, - chiamando il numero verde UNICEF 800745000;- attraverso comitati locali dell'UNICEF presenti in tutta Italia (elenco sul sito-web http://www.unicef.it/).
LA CROCE ROSSA ITALIANA: - Conto Corrente Bancario C/C BANCARIO n° 218020 presso: Banca Nazionale del Lavoro-Filiale di Roma Bissolati -Tesoreria - Via San Nicola da Tolentino 67 - Roma intestato a Croce Rossa Italiana Via Toscana, 12 - 00187 Roma. Coordinate bancarie (codice IBAN) relative sono: IT66 - C010 0503 3820 0000 0218020 Causale PRO EMERGENZA HAITI- Conto Corrente Postale n. 300004 intestato a: Croce Rossa Italiana, via Toscana 12 - 00187 Roma c/c postale n° 300004 Codice IBAN: IT24 - X076 0103 2000 0000 0300 004 Causale: Causale PRO EMERGENZA HAITI - Donazioni on line È anche possibile effettuare dei versamenti online attraverso il sito web della CRI www.cri.it all'atto della scelta del progetto selezione "Pro emergenza Haiti".
LA CARITAS: Per sostenere gli interventi in corso si possono inviare offerte a Caritas Italiana tramite C/C POSTALE N. 347013 specificando nella causale: "Emergenza terremoto Haiti".
ALTRE
UniCredit Banca di Roma Spa, via Taranto 49, Roma - Iban: IT50 H030 0205 2060 0001 1063 119 Intesa Sanpaolo, via Aurelia 796, Roma- Iban: IT19 W030 6905 0921 0000 0000 012 Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma- Iban: IT29 U050 1803 2000 0000 0011 113 CartaSi e Diners telefonando a Caritas Italiana tel. 06
Prodotti: Haiti e' uno dei paesi piu' poveri del pianeta - e' classificato al 148 posto su 179 secondo l'Indice di Sviluppo Umano dell'UNDP - e fatica a riprendersi da anni di violenza, insicurezza e instabilita' e da una lunga serie di calamita' naturali.
Riporto integralmente, e senza alcun commento, una lettera inviata al "Giorno" il 18 dicembre scorso, con relativa risposta del direttore di quel quotidiano.
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Trieste, Risiera di San Sabba, proteste antifasciste in un'immagine d'epoca. Profetici quei segni d'interpunzione...
Ho scoperto che mio figlio è un estremista di destra
Ho scoperto che mio figlio di 14 anni frequenta gruppi di estrema destra, che sono razzisti. Per me è stato uno choc. Negli ultimi mesi vedevo che era cambiato ma non sapevo spiegarmi. Mi accorgo ora, e spero non sia troppo tardi, che ho colpe precise se ha sposato idee estremiste, perché in casa indichiamo con troppa facilità come simboli negativi il comunismo e gli immigrati. (Michele Cattaneo, Cremona)
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Mai come in questi giorni scopriamo la necessità di tornare alla moderazione e all'uso controllato delle idee e delle parole. Il malessere prim'ancora che nei partiti è in noi stessi, siamo domincati dalle passioni e dall'intolleranza e i nostri figli sono quel che noi seminiamo. Forse inconsapevolmente, anche se non ci riconosciamo responsabili dell'odio, siamo diventati espressione di insofferenza nei riguardi del prossimo che consideriamo diverso da noi. Da qui ad arrivare alle derive razziste il passo è breve. Le parole sono pietre e lo sono anche quelle usate nelle conversazioni a tavola o in salotti con i figli e gli amici. I figli ci ascoltano e ci guardano come modelli, siamo noi i loro riferimenti. Se usiamo parole e concetti improntati all'intolleranza poi non dobbiamo sorprenderci che i nostri figli ci seguano su questa strada pericolosa. E lo dico con la pena personale di essere padre di un ragazzo, che non ha un'età diversa dal suo. (Giovanni Morandi, direttore de "Il Giorno")
Questo blog e gli umanisti di tutto il mondo manifestano il più profondo sdegno per la profanazione avvenuta ieri ad Auschwitz e, augurandosi che i responsabili dell'infame gesto siano trovati e puniti col massimo rigore, esprimono solidarietà assoluta per gli ebrei e tutte le altre vittime della barbarie nazi-fascista.
L'ingresso di Auschwitz visto dall'interno (foto di Gabriele Muzzarini).
è stato raggiunto, alla faccia di tutti quei morti innocenti.
Nel mezzo ci sono una montagna di soldi spesi per portare la "pace" in quei territori, i soldati morti nella strage di Nassiriya e tante menzogne vomitate dai media per nascondere le vere motivazioni della missione in Iraq.
Come volevasi dimostrare... anche col servizio mandato in onda sempre da Rainews24 In nome del petrolio - la verità scomoda (NASSIRIYA) e ripreso da noi qualche tempo fa...
"Zubair è uno dei maggiori giacimenti di petrolio al mondo". Non nasconde la soddisfazione l'ad Eni, Paolo Scaroni, in un'intervista al "Financial Times": il cane a sei zampe si è aggiudicato la concessione per lo sviluppo del giacimento 'giant' Zubair, in Iraq.
Il campo, spiega Scaroni, "è uno dei pochi in grado di produrre più di un milione di barili al giorno". Scaroni ha poi precisato che l'obiettivo di innalzare la produzione del campo da 200.000 barili al giorno a 1,125 milioni entro sette anni potrebbe richiedere investimenti per circa 10 miliardi di dollari.
No allo spezzatino
L'idea del fondo Knight Vinke, l'azionista Eni che preme per una separazione delle attività del gas da quelle del petrolio, "distruggerebbe valore" del gruppo petrolifero, sostiene Scaroni sul Financial Times. "Essere così grandi nel gas - afferma Scaroni - è molto positivo per la nostra attivita' petrolifera. Il semplice fatto che compriamo gas dall'Algeria, dalla Libia e dall'Egitto ci rende leader nell'upstream (petrolifero) in questi tre Paesi, che rappresentano così il 40% del nostro upstream petrolifero". Nell'intervista, Scaroni nega anche qualsiasi interesse nel nucleare italiano, su cui invece spinge il fondo Knight Vinke: "Al momento - spiega - non fa parte dei nostri piani".
Greggio verso i 70 euro
Nell'intervista, Scaroni si sofferma anche sul prezzo del petrolio, giudicando "realistico" un livello intorno ai 70 dollari e affermando che la crisi ha inciso sui prezzi meno del previsto: "Sono piuttosto sorpreso dai livelli dei prezzi del petrolio attuali, perche' pensavo che sarebbero stati molto più bassi".
Ovunque. Ormai la Marcia Mondiale si è dilatata a macchia d'olio, con una velocità vertiginosa, e impiegherei giorni interi, forse anche mesi, a stilare lo sterminato elenco di eventi e di adesioni che abbiamo ricevuto. Per questo vi rimando al sito. Ma partiamo tutti il prossimo 2 ottobre. Da Roma a Madrid, dal Benin al Messico, dall'Australia al Medio Oriente, la Marcia c'è. In nome di Gandhi, della pace, di noi. Qui mi limito a illustrare il programma milanese, che si svolgerà appunto il 2/10 in Piazza Duomo. Per l'occasione, il luogo-simbolo della "capitale morale" si trasformerà in un immenso palco di pace e nonviolenza. Dalle ore 10 fino alle 18 si esibiranno compagnie teatrali, e stand di associazioni garantiranno la loro presenza per tutta la giornata. Dalle 18 si terrà un happening con testimonial e personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport e della cultura (Emma Re, Gianluca Pessotto, il Trio Medusa, La Pina e molti altri). Alle 18.45, eseguiremo la nota Do diesis per lanciare il progetto Tune the World (Intona il Mondo) mentre il megaschermo, allestito per l'occasione, proietterà il testo Imagine di John Lennon, che canteremo insieme. L’iniziativa sarà seguita da Radio Deejay e Lifegate. In concomitanza con le iniziative in Piazza Duomo, il carcere di Bollate organizzerà una Marcia per la Pace con i detenuti, la direttrice e la polizia. Presso l’Università Bicocca si terranno conferenze e concerti sulla nonviolenza, mentre al Teatro Smeraldo sarà rappresentato uno spettacolo dedicato ai bambini. Alle 20.15, una compagnia teatrale si esibirà all’Istituto Nazionale dei Tumori. Appoggeremo anche, sabato 3 ottobre sempre a Milano (piazza Duomo, ore 17) la manifestazione per la libertà di stampa e d'informazione.
Ne abbiamo, insomma, per tutti. Ed è solo l'inizio. Nel mondo, e a casa nostra.
In Italia, ogni cambiamento è sempre partito da Milano. Siamo certi che anche stavolta andrà così. In Marcia, ragazzi!
Per Gino Strada il sangue non ha un colore diverso a seconda della bandiera e il dispiacere è lo stesso per i soldati italiani uccisi ieri e per tutte le altre vittime della guerra. Non riesce neppure a capire perchè la Fnsi abbia rinunciato alla manifestazione di sabato per la libertà di informazione. «Con decine di morti ogni giorno... donne, bambini...non so, dev’essere per il clima di guerra. Stiamo vivendo da anni in un clima di guerra senza dircelo, anche se solo ultimamente è passata l’ipocrisia di chiamarla “missione di pace”. Un clima che sta avvelenando la coscienza civile, creando intolleranza, criminalità verso il diverso, lo straniero, l’altro da sè. È anche questo, la guerra».Il lascito di una casta, lo chiama. «I politici di 30 anni fa non lo avrebbero fatto in spregio della Costituzione ». Il 7 novembre del 2001: «l’entrata in guerra dell’Italia decisa dal 92 percento del Parlamento italiano, il voto più bipartisan della storia della Repubblica», per puro «servilismo verso gli Stati Uniti». «Che cosa ci avevano fatto i talebani? Niente. E poi cosa avevano fatto anche agli americani?». Forse non è troppo semplice, recentemente anche negli Usa gli analisti cominciano a porsi la stessa domanda: perchè siamo lì, cosa ci stiamo a fare?.Non c’erano afghani nel commando dei terroristi delle Torri gemelle. Ma la rappresaglia di Bush scattò lì, con Enduring Freedom, il 7 ottobre. Per colpire le basi di Bin Laden, si disse. Otto anni dopo più del l’80 percento dell’Afghanistan è tornato sotto il controllo dei talebani, di Bin Laden non c’è traccia, sono morti 1.403 militari stranieri, spesi centinaia di milioni di euro e il Paese è più povero e più criminale, produce il 90 percento dell’oppio del mondo. Dopo otto anni l’unico centro di rianimazione è quello di Emergency a Kabul, sei letti di terapia intensiva per 25 milioni di persone. Spendiamo 3 milioni di euro al giorno per la guerra. Sai cosa avremmo potuto con questi soldi in Italia per i poveri, gli emarginati, chi ha bisogno. In moneta afghana invece avremmo potuto aprire 600 ospedali e 10 mila scuole ». A Khost gli americani hanno costruito una strada, a Kajaki una diga, la Banca Mondiale lo scorso giugno ha stanziato altri 600 milioni di dollari di aiuti per la popolazione afghana... «Se si devono costruire dighe e ponti si mandino commando di ingegneri, non aerei telecomandati e bombe. Non tremila baionette, o fucili, per sostenere il dittatorello di turno ».Quanto ai soldi della cooperazione internazionale, «noi non abbiamo ricevuto una lira quindi non so - dice il fondatore di Emergency - ma gli afghani che si lamentano, anche ora alle presidenziali, dicono che i soldi sono serviti soprattutto a ingrassare funzionari ministeriali e signorotti della guerra». Lasciareil Paese, allora, andarsene unilateralmente o tutti insieme, e lasciare ai fanatici mujaeddin partita vinta? Non una bella prospettiva anche fosse realizzabile. «Finchè c’è l’occupazione militare ci sarà la guerra. Emergency lavora in Afghanistan da 10 anni, da tempi non sospetti. Abbiamo curato 2 milioni e 200 mila afghani, il 10 percento della popolazione. In pratica una famiglia su due, sono famiglie con centinaia di persone, ha ricevuto nostre cure. Per questo a Laskhargah non è mai stato torto un capello al nostro personale internazionale. Tutti dovrebbero porre fine a questa guerra e lasciare che gli afghani trovino la loro soluzione attraverso il dialogo, che per la verità non si è mai interrotto, tra le varie fazioni di talebani, mujaeddin e questo governo. Qual è l’obbiettivo di questa guerra?». Domanda che torna. «Le ultime due guerre internazionali- è la spiegazione di Strada - sono legate ai giacimenti di gas e petrolio. In Iraq perchè ci sono, l’Afghanistan invece è sulla via di transito dal Kazakistan e dalle altre ex repubbliche sovietiche». Pipeline di sangue. La nuova strategia McChrystal o la conferenza sull’Afghanistan, inutile parlarne con un chirurgo. Ad inquietarlo è che dei 35 feriti civili dell’attentato all’ospedale di Emergency a Kabul ne sono arrivati solo tre. Gli altri sono stati dirottati all’ospedale militare detto “dei 400 letti”, «struttura del tutto inadeguata, ma lì possono essere interrogati senza paroline dolci».
Pure lei. Addio, Teresa Strada Sarti, moglie di Gino, presidente di Emergency. Pure lei è volata via, in un caldo pomeriggio di questa città grigia, afosa, tumultuante, ventre molle e meccanico che tutto macina, inesorabilmente. Sembra incredibile, ma proprio questa città ha prodotto persone schiette, terse, dal sorriso lucente come l'acqua, primordiale perché non nascondeva nulla. Sì, anche di questo Milano è stata, sa essere capace.
Foto tratta dall'album di Sirena Milonguera
Figure come Teresa non sono mai sole, dietro di esse si scorgono sempre moltitudini, scie umane, di ogni credo, etnia, cultura, età, sesso. Il suo nome non può essere ovviamente slegato da quello di Gino, ma nemmeno da altri che, alcuni anni fa, imparammo a conoscere: Daniele, Adjmal[nel link viene ricordato anche l'episodio dell'abbandono della sede afgana di Emergency a causa dell'intenzionale dabbenaggine dei nostri insigni "statisti", n.d.A.], Rahmatullah, Said.
Adjmal e Said non ce la fecero, Daniele venne liberato, poi su Teresa, Gino e la loro attività è calato pian piano il silenzio. Solo la morte di lei, ora, ricorda di quali figli è capace questa metropoli senz'anima, sotto i lustrini e i vip incivili. Ma basta coi sacrifici estremi, per favore. Basta con questa maledetta ingiustizia.
Da ieri sera, e per altre ventiquattro ore, la mailing list dedicata a Enzo Baldoni (EnzoB@yahoogroups.com) sarà aperta ai messaggi in occasione dei cinque anni dalla scomparsa del giornalista. Un lustro. Lustro come il ricordo, forse, oppure no. Giorni fa, su Facebook, ho inserito un video di Telepace, che informava dellatitolazione d'una piazza a lui, a Enzo. Non ho ricevuto nemmeno un commento.
Lustra è la nostra memoria, appianata, morta, forse mai vissuta. Enzo è diventato, suo malgrado, un segno e una coscienza.Il corpo di lui, uomo così fisico, ancora non c'è. Enzo è associato a un passato che ci sormonta, alla dabbenaggine dei nostri governanti di allora, che sono gli stessi di adesso, alle ingiurie urticanti della stampa viscida e servile, alla foschia delle sabbie, ad altri Drogo persi, nel sole cisposo, manciate di minuti, secoli fa.C'è chi non ha dimenticato, si capisce. Molti, anzi. Ma non se ne parla in giro, pertanto non esistono. "Ci manchi", "Addio balena" (era il suo soprannome). Per tutti valgano le accuse di Franco Gialdinelli, coordinatore della lista: "...mercoledì 26 agosto saranno trascorsi esattamente 1.825 giorni (comprese 14.600 ore lavorative diurne) durante i quali, mi risulta che nessun politico, nessun intellettuale noto, nessun magistrato e nessun rappresentante delle istituzioni e dello Stato, non ha mai poggiato un solo dito su una tastiera di un telefono o di un computer per denunciare che Enzo era stato trucidato anche grazie all’indifferenza e ai giochetti di scaricabarile del governo, dell’opposizione e della Chiesa". Enzo non era come tanti altri, non era uguale. Non siamo tutti uguali: lo ha ricordato ai sindacati (solo Cisl e Uil, la "sovversiva" Cgil è stata emarginata) il ministro Sacconi, di scuola socialista (craxiana) a proposito della differenziazione dei salari.
Non è mia intenzione disquisire in questa sede di economia. E' ovvio che la distribuzione di denaro varia da lavoro a lavoro. Ed è vero che sono stati commessi, in passato (e nel presente), degli abusi. Ma continuo ad arrovellarmi su quella frase, "non siamo tutti uguali", e, per quanto cerchi di limitarla e contestualizzarla, non posso che trovarla inquietante, sinistra. Disgustosa. E' buttata là, con impassibile sciatteria verbale, tale da non farci stupire se poi, come risulta, le matricole universitarie non conoscono più l'italiano. Le parole sono preziose, vanno centellinate. "Non siamo tutti uguali" sancisce una disparità di principio, genetica, irreversibile, è qualcosa legato al sangue, alle cellule. Il principio di diseguaglianza, innalzato a valore supremo dalla (in)cultura odierna, è l'esatta antitesi del diritto alla diversità su cui la democrazia si fonda e per il quale i nostri predecessori si sono battuti, e sono morti. E' in nome del principio di diseguaglianza ("non siamo tutti uguali") che sono stati condannati a una morte orribile, e nell'indifferenza generale, ottanta eritrei su indegni barconi d'immondizie. Immondizie umane. Non siamo tutti uguali. C'è qualcuno, pertanto, che ha la precedenza, che è più "umano" di altri, che va aiutato; ad altri, meno uguali, tocca necessariamente una sorte diversa. Nell'Ottocento si chiamava darwinismo sociale. E' in nome di questo darwinismo sociale riverniciato che il rappresentante d'un partito di governo può invocare impunemente l'eliminazione dei bimbi rom (o meglio, come dice lui, "dei" zingari).
E' sempre in nome del darwinismo sociale, supportato in questo caso da una massiccia dose di moralismo, che il responsabile dei gay accoltellati a Roma se ne stava a piede libero, e a casa l'hanno anche trovato, una volta che si è deciso di trascinarlo in guardina. Pare lo chiamassero "Svastichella" per note simpatie politiche e l'ammirazione nei confronti di mons. Fisichella, il quale, subito dopo l'aggressione dei due ragazzi, si sarebbe affrettato a premere sui politici affinché non approvassero una legge anti-omofobia, la quale, secondo lui, aprirebbe la strada ai matrimoni gay (!). Ho provato a immaginare la storia di Svastichella, la sua vita senza scopo, senza colori, attratta e insieme terrorizzata dai dolci dolori, dalle dune mosse, dai mille soli, dai domani alternati che la diversità dell'amore sa offrire e profondere. E che tanto sconvolgono gli animi anchilosati dei gendarmi della Diseguaglianza. Nel loro cupo universo non può esserci spazio per le scie dorate. Un coltello ha usato, non una pistola. Nessun modo migliore per deflorare un'assordante tenerezza che lo infastidiva, perché non poteva ammansirla, renderla uguale, lineare. Ed era tanto più convinto di essere nel giusto, che non aveva minimamente pensato a nascondersi. Perché? Da anni, ormai, lo sentiva ripetere, in televisione, dai pulpiti, sui giornali: non siamo tutti uguali. Da un lato noi, i buoni; dall'altro loro, i cattivi, i diseguali. Da eliminare; o, almeno, da prendere a calci in quel posto, come asseriscono altri simpatizzanti del governo in carica.
"Cosa spinge l’uomo a prevaricare un altro uomo fino a giungere alla esclusione e allo sterminio: il potere? Il sadismo? Il danaro? La sopravvivenza? - si chiede acutamente Silvio D'Amico. - Eppure se noi analizziamo i luoghi del razzismo questo attecchisce anche nei luoghi dove maggiore è la ricchezza e il benessere. Da ciò possiamo dedurre che la sopravvivenza poco ha a che fare con il razzismo e molto invece con tutto il resto. Ecco che allora di fronte a questa recrudescenza [...] si cela una battaglia etica. Riportare alla luce l’etica è il compito di chi crede che l’esclusione e il dominio non appartengano ai propri valori... L’universalità del pensiero non deve confondersi con il pensiero unico, in quanto universale essa è capace di racchiudere nell’universalità le diversità. E’ questa la ricchezza dell’Universalità. Cosa diversa è il pensiero unico da cui nasce il Totalitarismo. Se noi ci limitassimo a combattere il neorazzismo perderemmo di vista il problema dell’uomo. La fatica di accettare le diversità esita nel premio della sublimazione e colloca l’uomo e la donna nella sfera del divino. Facile è la condanna e l’esclusione, sublime è il perdono e l’accoglienza. La logica dell’esclusione genera un sentimento di paura che limita l’azione degli uomini e delle donne verso l’evoluzione sociale. La paura blocca le coscienze e innesca un meccanismo di autoconservazione generando l’istinto di sopravvivenza sorretto dalla necessità di esclusione. L’uomo è annichilito, incapace di comprendere le diversità, di accoglierle. Diventa un mero esecutore di azioni indotte da messaggi subliminali che dettano la pratica. Un meccanismo di perversione offusca le coscienze e conduce all’involuzione. Il germoglio della vita subisce il vento della violenza piegandosi fino a insabbiarsi. L’agonia della vita strazia le coscienze e innesca un meccanismo di rimozione che accantona l’evoluzione. Nella scala della vita il gradino più alto diventa insormontabile, meglio tornare indietro. Eppure dopo quel gradino iniziano le distese del mondo che dispiega tutta la bellezza del creato. L’armonia delle diversità si compongono nell’universalità dettando le note per un soave canto. La musica sublime allieta l’esistenza e apre un percorso nuovo di conoscenza. Eppure nella storia quel limite è invalicabile. Perché?". Vi lascio con questo interrogativo.
"La strage degli immigrati a Lampedusa somigliaalla Shoah". Finalmente è arrivato, inequivocabile, duro, senza tentennamenti, l'editoriale di "Avvenire". Termini come olocausto, sterminio, ecatombe e truculenze varie vengono di solito utilizzati dal quotidiano dei vescovi per l'aborto, il testamento biologico e i/le senzadio che li praticano, o vorrebbero praticarli. Sull'infamia delle leggi xenofobe e razziste di questo governo, a parte qualche formale reprimenda, finora mai nulla di veramente significativo. Adesso basta. La misura pare essere colma anche per la tollerantissima gerarchia cattolica.
Sì, dovrei esclamare: "Finalmente!". Dovrei, vorrei poter riabbracciare la mia Chiesa. Dovrei e vorrei. Ma non posso. Verbi servili, verbi che - grammaticalmente - hanno bisogno del predicato cui appoggiarsi per aver senso compiuto. Ma quel predicato non mi esce. Tornare, riabbracciare, esclamare, no, non ci riesco. Spero di poter aggiungere quell'avverbio: non ancora. Perché questa denuncia, pur sacrosanta, giunge dopo troppi, complici e scandalosi silenzi. Giunge dopo il mutismo già menzionato sulle leggi anti-immigrazione, dopo le colpevoli distrazioni nei confronti degli attacchi ai diritti dei lavoratori (e non basta un'enciclica ben scritta per chiudere la questione, inutile denunciare i mali del capitalismo selvaggio se poi ci si allea, di fatto, con governi la cui religione è Mammona), sull'acquiescenza benevola verso la sessuomania misogina (spesso, ragazze) ostentato come virtù e maschia potenza, sull'apparenza, lo sfarzo, il materialismo, la verità liquida come stile di vita, il perdono ai lefebvriani. Eccetera, eccetera.
Giunge dopo che a latrare per la difesa dell'"identità cristiana" (un tempo, si sarebbe detto del "Cristo europeo") si erge il figlio pluribocciato (a sinistra) di un tizio che ha inventato su Facebook un nuovo gioco, Rimbalza il clandestino. Mi dispiace, è veramente troppo chiedermi di voltar pagina. Del resto, finora, non ho sentito nessun principe della Chiesa domandare scusa, o riconoscere che si sono sbagliati, nell'appoggiare così incondizionatamente un governo simile. Non mi sembra ne abbiano intenzione nemmeno adesso, malgrado tutto (del resto, sono infallibili, no?). Sorry, ma la memoria ancora non mi difetta. Adesso più che mai pretendiamo fatti. Le chiacchiere, stanno proprio a zero.
ULTIM'ORA: Facebook chiude Rimbalza il clandestino. In seguito alle numerose proteste, il social network ha deciso di oscurare il trastullo razzista della Lega. E per Renzo Bossi si è trattato dell'ennesima bocciatura. 'mazza, nemmeno coi giochetti, gli riesce... (24 agosto 2009)
Grazie a lei avevamo scoperto Hemingway, Spoon River, e - per quanto mi concerne - la beat generation (fantastico il suo Beat Yippie Hippie), soprattutto Ginsberg. La vidi una volta sola, proprio assieme al suo amato poeta, ai Magazzini Generali a Milano: ultima volta anche per lui, era il 1996 e Allen morì di lì a poco. Adesso anche Fernanda Pivano non c'è più.
Che irritazione, in questi giorni, le fanfaluche dei reduci pentiti di Woodstock, Arlo Guthrie diventato repubblicano, i vecchi ex-spinellati trasformatisi in banchieri, le riviste finto-trasgressive, i sermoncini dei militanti che scuotendo i ricci grigi e cadenti gorgogliano che no, era tutto finto, un sogno, un'illusione (del resto lo aveva predetto persino il ben più autorevole genitore di Arlo, Woody...). Fernanda era, in tal senso, fuori del tempo e della commercializzazione. Rileggetevi l'introduzione a Jukebox all'idrogeno di Ginsberg, e capirete perché quest'ultimo era un vero artista e la generazione "battuta" un fenomeno ben più imprendibile, e profondo, e tragico, della speculazione degenerativa degli organizzatori di tour negli stadi. Il mondo "battuto" era un mondo sconfitto e alla rovescia, che necessariamente doveva venir rovesciato, catapultato, suicidato (e non pochi lo misero in pratica, in effetti). Fernanda aveva afferrato i palpiti di un cuore escoriato e in rovina, i fremiti d'una decadenza forse perdente e disperata, ma al tempo stesso capace di lanciare un ultimo, stramazzato urlo (howl) verso un ordine impassibile e immutabile. Per questa vocazione alla sconfitta tale decadenza è stata mitizzata e strumentalizzata, elevando l'auto-annientamento a pratica seducente e seduttiva. Fernanda l'aveva compreso, e non smetteva di spiegarlo, alla gente, nelle scuole.
Nel giorno in cui scopare la Pivano, si svolgono le convulse elezioni in Afghanistan. Sotto tiro, come sempre, le donne, e le rivoluzionarie di Rawa furono facili profetesse quando denunciarono la truffa del "moderato" governo Karzai (quello che, per accattivarsi - senza successo - le simpatie di quei simpaticoni degli "studenti" talebani, ha permesso lo stupro in famiglia). C'è legame tra le due vicende? C'è, nella misura in cui la Pivano ha scoperto il volto d'una società svanente e inaudita, anarchica, disperatamente gaudiosa, e la ferrigna chiusura dell'ordine eccessivo che è solo il paradigma del desiderio nascosto di (quasi) ogni uomo. La donna muta, fantasmatica, inesistente. Pronta solo a servire. Nella sua bella intervistaCohn-Bendit ha sostenuto che "tutti gli italiani aspirano a diventare [di fatto] piccoli califfi". In verità, sotto sotto, la maggior parte degli uomini coltiva il sogno del piccolo talebano, di cui i tirannelli di ogni latitudine e credo sono le puntuali riedizioni.Non ci sarà pace né pacificazione, noi non la daremo, fin quando il piccolo e grande talebano non sarà sconfitto nelle menti e nelle viscere. Noi non siamo, non vogliamo più essere una generazione sconfitta e battuta. Non ci avrete.
ULTIM'ORA - 1: malgrado le minacce talebane, vota la maggioranza degli afgani. Almeno ciò risulta da fonti occidentali. E poco c'importa, ora, sapere chi dei due pavoni ha effettivamente vinto (Karzai o Abdullah). Correvano anche due donne, senza ovviamente alcuna chance di affermazione, ma presentarsi alle elezioni in un Paese come quello è a dir poco eroico. "Ormai non abbiamo più paura", ha però commentato una di loro. Persino al terrore si sopravvive. Una lezione anche per noi: quando ho visto immagini di donne afgane che, uscendo dal seggio, mostravano trionfanti il loro dito intinto di blu, mi sono commossa. A proposito: oggi (22 agosto) inizia il Ramadan. Auguri a tutti i veri musulmani (pertanto, non agli integralisti).
ULTIM'ORA - 2: altre due ragazze (tra cui una minorenne) violentate nei pressi di Roma. La furia maschile non si arresta. Anzi: non li arrestano proprio.
Dolore e orrore perché il razzismo è ormai “a norma di legge”
“Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35). La Parola di Cristo porta a compimento la logica della Scrittura dal Levitico 19,33-34 –“Tratterete lo straniero che risiede fra voi come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso”, al Deutoronomio 10,19 – “Amate lo straniero perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”, alla Lettera agli Ebrei 13,2 – “Non dimenticate l’ospitalità, perché alcuni, praticandola, hanno ospitato senza saperlo degli angeli”.
Dolore e orrore. Il 2 luglio 2009 è stata votata una legge che rompe l’unità della famiglia umana e ne offende la dignità, prende piede l’idea che esistano esseri umani di seconda e terza categoria, un popolo di “non-persone”, di esseri umani, uomini e donne invisibili. E’ una perdita totale di senso morale e di sentimento dell’umano; questo accade, nel nostro paese che ha prodotto milioni di emigranti. La legge “porterà solo dolore”, osserva Agostino Marchetto del Pontificio Consiglio dei Migranti. Il dolore nasce dall’orrore giuridico e civile del “reato di clandestinità”, dall’idea del povero come delinquente e della povertà come reato. La legge votata non è solo contraria alla nostra Costituzione ma a tutta la civiltà del Diritto. Punisce una condizione di nascita, l’essere straniero, invece che la commissione di un reato. Dichiara reato una condizione anagrafica. Infermieri, domestiche, badanti, lavoratori (vittime spesso di morti nei cantieri) o persone in cerca di lavoro e di dignità diventano delinquenti. A questo punto, quanti stranieri frequenteranno un servizio sociale o si rivolgeranno, se vittime della “tratta”, ad associazioni volontarie o istituzionali, forze di Polizia comprese, oggi messe in un angolo dalla diffusione delle cosiddette “ronde”? Quanti stranieri andranno a far registrare una nascita, si presenteranno in ospedale per farsi curare? Quali gravi conseguenze questo potrà produrre sulla salute di tutti i cittadini è già stato evidenziato da moltissime associazioni di medici. Siamo il paese di Caino?Abbiamo una legge cattiva che ostacola i matrimoni, rompe l’unità delle famiglie. Si introduce il divieto per le donne straniere, in condizioni di irregolarità amministrativa, di riconoscere i figli da loro stesse generati che diverranno “figli di nessuno”, potranno essere sottratti alle madri e messi nelle mani dello Stato. Neanche il fascismo, hanno rilevato alcuni scrittori, si era spinto fino a questo punto. Infatti le leggi razziali del 1938 non privavano le madri ebree dei loro figli, né le costringevano all’aborto per evitare la confisca dei loro bambini da parte dello Stato. La legge è pericolosa perché accrescerà la clandestinità che dice di combattere, favorirà il “si salvi chi può”, darà spazio alla criminalità organizzata, aumentando l’insicurezza di tutti. Non c’è futuro senza solidarietà. La legge, tra l’altro, è inutilmente crudele, ricorda don Ciotti. Ci fa tornare ai tempi della discriminazione razziale. E’ una forma di accanimento contro i poveri anche se la povertà più grande, oggi, è la nostra: povertà di coraggio, di umanità, di capacità di scommettere sugli altri, di costruire insieme una sicurezza comune. La sicurezza basata sulla paura sta diventando un alibi per norme ingiuste e dannose, per scaricare il malessere di molti italiani sugli immigrati, capro espiatorio della crisi, bersaglio facile su cui sfoghiamo il tramonto di ogni etica condivisa e della testimonianza cristiana. La tutela della vita e della dignità umana va assunta nella sua interezza per tutti e in ogni momento dell’esistenza. “Non c’è futuro senza solidarietà” scrive il cardinal Tettamanzi. Non c’è sicurezza senza l’aiuto reciproco, senza l’esercizio dei diritti e dei doveri dentro un’azione comune per il bene comune. Costruire comunità e città conviviali. Benedetto XVI da tempo ci invita come comunità ecclesiale a diventare “casa ospitale per tutti, segno e strumento di comunione per l’intera famiglia umana”. Per il Papa ogni comunità cristiana deve “aiutare la società civile a superare ogni possibile tentazione di razzismo, di intolleranza e di esclusione […]. Solo nella reciproca accoglienza di tutti è possibile costruire un mondo segnato da autentica giustizia e pace vera” (Angelus 17 agosto 2008). Invitiamo, quindi, le comunità cristiane e tutti gli operatori di pace a mobilitarsi per costruire la pace nella vita quotidiana spesso prigioniera di solitudini, governata dalla paura e coinvolta in progetti tribali e autoritari. La gloria di Dio. Nessuno ci è straniero anche perché la distanza che ci separa dallo straniero è quella stessa che ci separa da noi stessi e la nostra responsabilità di fronte a lui è quella che abbiamo verso la famiglia umana amata da Dio, verso di noi, pronti a testimoniare la profezia del Risorto che annuncia la pace. “Dio non fa preferenze di persone” (Atti 10,34, Romani 2,11 e 10,12; Galati 2,6 e 3,28; Efesini 6,9; 1 Corinti 12,13; Colossesi 3,11) poiché tutti gli uomini hanno la stessa dignità di creature a Sua immagine e somiglianza. Poiché sul volto di ogni uomo risplende qualcosa della gloria di Dio, la dignità di ogni uomo davanti a Dio sta a fondamento della dignità dell’uomo davanti agli altri uomini (Compendio della dottrina sociale n. 144). Questi nostri giorni sono difficili ed oscuri. E' stata oscurata la gloria di Dio.
Il regime ha dovuto ammettere che sono andati perduti "solo" tre milioni di voti, ma che le elezioni non verranno annullate e che, anzi, la magistratura si appresta a impartire ai ribelli una "lezione esemplare". Quasi sicuramente ci riuscirà. Il potere è ancora forte, coeso, determinato. E la diffusa ignoranza degli osservatori occidentali (anche dei semplici cittadini e/o della società civile) verso la peraltro complicata situazione non solo politica, ma culturale, e direi sentimentale dell'Iran non aiuta a creare, a livello mondiale, una risposta ferma e convincente (ci sta provando Obama, probabilmente l'unico a poterlo fare benché il successo della sua strategia non sia affatto sicuro). L'Islam iraniano non è né quello saudita né quello cupo e truce dei talebani afghani. E i giovani (il 70% del Paese ha meno di 30 anni) che in questi giorni si battono pacificamente (e vengono uccisi) per le "riforme" non hanno in mente una democrazia di tipo occidentale. Certo nessuno di loro rimpiange i debosciati anni dello Scià. Senza volerci addentrare in analisi che occuperebbero molto, troppo spazio, potremmo dire che in loro si agita il sogno di una cosa.
Una cosa che nasce dentro di loro, dal verde della loro religione ma anche della loro età. E che trae radici nell'antichità della loro cultura, vivificata, e resa fiammante, dal contatto con l'esterno che pure essi hanno, grazie soprattutto ai mezzi informatici. Non sorprende che il regime cerchi in tutti i modi di sopprimerli.
Una cosa che non appartiene a un solo Paese, ma a tutti i Paesi d'ogni latitudine, che viene raggiunta, agognata, ricercata con ogni mezzo: chiamatela umanità, dignità.
Video delle manifestazioni sono facilmente reperibili dal web. Io ho scelto, per il suo valore simbolico, la protesta di medici e infermiere di un ospedale di Teheran. Questa è gente che si vorrebbe spacciare per sovversiva, al soldo degli americani, spie ecc. ecc. Sfila un intero Paese di volti bellissimi, freschi, all'adolescenza della storia. E sono moltissimi volti femminili.
Due occhi giovani, giovanissimi, di sedicenne hanno fatto il giro del mondo assieme a quel volto di bambola tumefatta, lo sguardo ormai sbilenco, semiaperto da un lato e schiacciato, sepolto dall'altro. Il nome è Neda e anche quello lo conosciamo tutti. Oggi da qualche giornale abbiamo scoperto pure che amava la musica e che è stata colpita proprio mentre scendeva dall'auto col suo insegnante. A raccontarlo è stato il fidanzato, con poche e semplici parole che sembravano tocchi essenziali di pennello su una spaziante tela bianca. Ho esitato a pubblicare il video che testimonia l'omicidio di Neda. So bene che circola in Internet e che moltissimi, anche minorenni, l'hanno visto. Poi ho preferito lasciar parlare il silenzio. Lo faccio per pudore, il pudore della morte. Non della violenza. I suoi assassini, si sono già giudicati. I tutori dell'ordine e della religione hanno siglato, con quel sangue, non la sua, ma la loro morte, tanto più tremenda quanto eterna. E' quello sguardo vitreo e al tempo stesso pervasivo, che non abbandona mai, implacabile come un indice puntato, che li condanna senza remissione. E basta quello. Invade ogni spazio. Si dilata come un'onda sulle plaghe delle coscienze. Ed è uno sguardo di donna.
Confrontate la sua solennità raggelata e composta, e quella curiosamente spavalda e pugnace delle sue splendide coetanee coi sorrisi da televendita delle squallide odalische di casa nostra: così fiere di piacere al Padrone - nel quale noi italiani, a detta di uno dei suoi corifei, dovremmo identificarci: a ogni popolo i suoi ideali -. Così desolatamente spenti, inespressivi, degradabili e, a dispetto dell'età, vecchi e sterili. Vuoti.
Obama sta chiedendo con forza al governo di destra di Israele di fermare gli insediamenti, che stanno distruggendo le speranze di pace -- diamo vita ad un coro globale di voci per aiutarlo a sovrastare l'agguerrita opposizione in Israele e negli Usa.
Le cartine della Cisgiordania mostrano come i Palestinesi siano ormai confinati in parti molto ridotte della loro terra: Il Presidente Obama ha appena tenuto un discorso straordinario in Egitto, nel quale si è impegnato personalmente a costruire la pace nel Medio Oriente. La sua prima mossa è stata sorprendentemente di sfidare il nuovo governo di destra di Israele, alleato americano mettendolo sotto pressione per far cessare la politica autolesionistica degli insediamenti (colonie illegali sul territorio riconosciuto dagli Usa e dal mondo come palestinese). Questo è un raro momento di crisi e di opportunità. L'ardita strategia di Obama deve fare i conti con forti resistenze, e avrà bisogno di aiuto da tutto il mondo nei prossimi giorni e settimane per rafforzare le sue intenzioni. Iniziamo subito con un coro globale di voci a supporto dell'affermazione di Obama che gli insediamenti nei territori occupati devono finire. Faremo pubblicare il numero delle firme su importanti giornali in Israele e a Washington (dove ci sono tentativi di alienare a Obama il supporto del Congresso Usa).
C'è ampio consenso sul fatto che gli insediamenti siano un impedimento importante al raggiungimento della pace, un punto di vista condiviso anche da una maggioranza silenziosa di Israeliani. In combinazione con una rete di barriere e posti di blocco queste colonie ormai tappezzano la Cisgiordania, occupando il territorio e obbligando i Palestinesi a vivere come prigionieri in enclavi sempre più piccole. Fino a che questo tema non sarà affrontato sembra impossibile costruire sia un vero stato paestinese che un pace durevole, di qualsiasi sorta Per gli stati arabi che cercano di impegnarsi ad aiutare la pace il fermare gli insediamenti è un test fondamentale per la credibilità di Israele. Dobbiamo chiedere anche alle altre parti in causa di fare passi audaci. Se riusciamo ad aiutare Obama a mantenere questa linea sugli insediamenti, a far cambiare strada alla politica israeliana e a incoraggiare i Palestinesi e altri stati arabi a offrire una mano tesa, un nuovo inizio per il Medio Oriente diventa possibile. Ma nulla di tutto questo potrà accadere senza un movimento di opinione globale che agisca e supporti il processo.
Leggi le parole di Obama, aggiungi la tua firma e fai girare la voce ora:
963 milioni di persone, quasi il 15% degli abitanti del pianeta soffrono la fame: è stato calcolato che basterebbe solo il 10% delle spese militari mondiali per risolvere per sempre questo flagello! L’Unione Europea spende più del 20% del totale, per cui avrebbe la possibilità di farlo da sola semplicemente dimezzando i suoi investimenti militari.
Approfondimento: La fame nel mondo dal punto di vista dell'ecosostenibilità
Secondo l’ultimo rapporto Fao, presentato nel dicembre 2008, oggi nel mondo 963 milioni di persone soffrono la fame. Quaranta milioni in più rispetto allo scorso anno e 115 milioni in più rispetto al biennio 2003-2005. E l'attuale crisi finanziaria potrebbe aggravare ulteriormente la situazione, così come l’aumento del prezzo delle materie prime agricole, che ha fatto precipitare nell'insicurezza alimentare milioni di poveri e ridotto drasticamente la quantità e la qualità del cibo a loro disposizione.
In effetti i fattori che influiscono sulla questione della fame del mondo sono molteplici e diversi tra loro: conflitti armati (guerre civili) variazioni climatiche (cicli naturali di siccità e inondazioni, ma anche l'effetto serra causato dall'uomo) disastri naturali (invasioni di cavallette, terremoti, tsunami) regimi politici oppressivi, che mantengono la popolazione nella miseria ed impediscono l’arrivo di aiuti dall'esterno (come per esempio la Corea del Nord) strutture sociali e infrastrutture inadeguate, che creano forti squilibri tra popolazione ricca e povera in una stessa nazione (mancanza di reti di trasporto, di strutture sanitarie e di ammortizzatori sociali) pressione demografica politiche agricole sbagliate (monoculture, OGM, biocombustibili, ecc.)
La fame sussiste soprattutto in Africa nera, America latina ed in alcuni paesi asiatici. Quasi tutte le maggiori carestie della storia sono state causate da conflitti armati e non da fenomeni naturali (Biafra, Angola, Sudan, Sierra Leone, Eritrea, Somalia). Ma queste carestie drammatiche rappresentano solo il 10 % dei decessi per fame, mentre la malnutrizione resta cronica in gran parte dei paesi nel sud del mondo, causando il 90 % delle morti.
Credo che sia necessario agire su moltissimi fronti per debellare la fame: ci vuole l'impegno per la pace nel mondo, per risolvere i conflitti in modo nonviolento, con il dialogo e non con le armi. Ci vuole la determinazione dei paesi occidentali a portare avanti il disarmo e la riconversione dell'industria bellica. Vanno rafforzati gli organismi internazionali, sia istituzionali (ONU) che di volontariato (le ONG, le Onlus), per intervenire rapidamente e in modo efficace nei momenti di crisi.
Dobbiamo mettere al bando gli organismi geneticamente modificati (OGM), che portano al monopolio delle multinazionali agroalimentari sui semi e fertilizzanti, privando gli agricoltori di ogni autonomia incentivare la coltivazione di cereali e prodotti alimentari compatibili con il tipo di suolo e il clima locale, di modo da garantire l’autonomia alimentare dei popoli disincentivare la produzione agricola basata sulle monocolture da esportazione, che creano dipendenza economica e spesso favoriscono la desertificazione o comunque impoveriscono i terreni.
Ma ci sono altri fattori su cui l'Occidente, i paesi ricchi, devono intervenire: l'uso dei biocarburanti ricavati da alcune colture, ad esempio, rischia di togliere terre preziose alla produzione alimentare. Sarebbe un disastro se nei campi del Terzo Mondo venisse prodotto il combustibile per le automobili dei ricchi, mentre la popolazione locale non ha abbastanza da mangiare. I biocarburanti sono quindi da usare con estrema cautela.Si impone anche una riflessione sulle abitudini alimentari, soprattutto di noi occidentali, che porti a una riduzione del consumo di carne e pesce: le proteine di origine animale, infatti hanno un impatto ambientale ed energetico decine di volte superiore rispetto a quelle vegetali.
Il massiccio consumo di pesce sta impoverendo rapidamente gli oceani e oggi la pesca è in rapida diminuzione. Molti paesi poveri hanno dovuto cedere i diritti di pesca al largo delle loro coste alle multinazionali occidentali sotto la pressione del loro debito estero.
È ambientalmente insostenibile consumare generi alimentari prodotti a migliaia di chilometri di distanza e trasportati in aereo. È solo con accorgimenti di questo tipo che possiamo giustamente affermare che oggi ci sono risorse più che sufficienti a sfamare in modo adeguato tutti gli esseri umani del pianeta.Infine occorrerà riflettere sul tema dell’esplosione demografica: infatti se la popolazione umana continuasse a crescere ai ritmi attuali, le tecnologie alimentari di cui disponiamo nel giro di pochi decenni non riuscirebbero a garantire il sostentamento della popolazione neppure in linea teorica.
Giorgio Schultze
Portavoce europeo del Movimento Umanista
Candidato indipendente nelle Liste di IDV nella Circoscrizione Nord Occidentale
No alla deportazione nei lager di chi chiede asilo, no alle nuove leggi razziali, sì all’applicazione delle norme internazionali per i diritti dei rifugiati
Quella operata sui 227 migranti arrivati nel Canale di Sicilia, tra cui molte donne e bambini va chiamata con il suo nome: è una deportazione! Una deportazione verso i veri e propri campi di concentramento messi in opera dalla Libia, con la piena complicità dei governi europei, nei quali secondo molte testimonianze dirette è praticata addirittura la tortura. Altro che rispetto dei diritti umani!
E dobbiamo sopportare l’esultanza dei leghisti che definiscono questo scempio “un risultato storico”, mentre blindano gli aspetti più discriminatori del decreto sicurezza portando perfino il PD, che non brilla certo per la sua opposizione a tutto questo, a parlare di “nuove leggi razziali”.
E dobbiamo sopportare l’arroganza con cui a Milano si propone addirittura di introdurre norme segregazioniste sui mezzi pubblic riservando alcune carrozze ai Milanesi. Una vera pagliacciata, che non sarà applicabile ma che intanto distoglie l’attenzione dalle azioni riprovevoli che il nostro governo, anche con la complicità dell’Europa sta perpetuando non solo sulla dignità, ma sui corpi stessi di uomini, donne e bambini che spesso stanno fuggendo da guerre e da altre persecuzioni.
Non lo dico io: lo dicono le Nazioni Unite.
Preoccupati per la scelta del governo italiano si dicono soprattutto i rappresentanti dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). «Non abbiamo notizie sulla nazionalità dei migranti spiega la portavoce dell'Unhcr, Laura Boldrini perchè non c'è stata trasparenza nella gestione della vicenda, ma è possibile che tra loro ci fossero richiedenti asilo e rifugiati». «Questo modo di gestire i flussi migratori nel Mediterraneo ‐ aggiunge Boldrini rischia di entrare in rotta di collisione con il diritto d'asilo». L'Unhcr si dice inoltre preoccupato per la permanenza in Libia «dove non c'è un sistema d'asilo funzionante e non potranno usufruire di alcun tipo di protezione». «Il rischio è che siano rispediti tutti nei paesi d'origine dove potrebbero essere in serio pericolo» (Il Manifesto, Venerdì 8 Maggio. Pag. 5).
Quando si parla di rispetto della legalità e si cerca di spacciare gli immigrati per criminali introducendo il reato di immigraione clandestina, bisognerebbe ricordarsi della nostra Costituzione e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, per non parlare delle convenzioni internazionali sui rifugiati.
Chi è il criminale: chi cerca un rifugio per sfuggire a guerre e persecuzioni o chi mette a repentaglio la vita di bambini, donne e uomini innocenti come se si trattasse di rifiuti che non possono essere smaltiti?
Giorgio Schultze
Portavoce europeo del Movimento Umanista
Candidato indipendente nelle Liste di IDV nella Circoscrizione Nord Occidentale