non sapevo che avere pietà verso i morti fosse un crimine
da Lorenzo Tosa
Quello che sta subendo in queste ore il sindaco di San Giuliano Terme Matteo Cecchelli è sconvolgente e dà la misura del clima avvelenato e disumano a cui siamo arrivati.
Qualche settimana fa Cecchelli - [ lo ricorderete ne avevo parlato anche in qiuesto pagine ] - aveva compiuto un gesto di grande, grandissima umanità, celebrando un funerale islamico per Marah, la ragazza palestinese morta di fame all’ospedale di Pisa, e dandole una sepoltura in un’area del suo Comune rivolta verso la Mecca, smentendo anche chi aveva diffuso la falsa notizia della sua morte per lecuemia.Per tutto questo Cecchelli è finito nel mirino di una campagna d’odio violentissima orchestrata da oltranzisti filo-israeliani e americani. Fino a poche ore fa quando il sindaco si è ritrovato addirittura sulla scrivania una lettera proveniente da Chicago piena zeppa di insulti e vere e proprie minacce per aver osato accogliere la giovane Marah.Lui allora ha fatto una cosa semplice. Ha denunciato tutto alle autorità competenti. E poi ha risposto con parole da incorniciare."Il fatto che un sindaco italiano venga insultato e minacciato da Oltreoceano per aver accolto con rispetto e dolore una giovane vittima civile dimostra quanto sia profondo il clima di disumanizzazione e di avvelenamento del dibattito pubblico mondiale. Ma se chi minaccia crede di intimidirci, sbaglia profondamente.Marah non è morta per caso. Marah è morta di genocidio, un genocidio portato avanti dal Governo Israeliano. È una delle oltre 64.000 vittime civili della carneficina in corso a Gaza, un'area martoriata dove i diritti umani vengono calpestati ogni giorno. E sconcertano il silenzio e l'indifferenza delle istituzioni più alte del nostro Paese".Ogni riferimento a Meloni, Tajani e Salvini è puramente voluto. Voglio esprimere tutta la solidarietà e ogni stima possibile al sindaco Cecchelli. Per quello che ha fatto, per quello che sta subendo, per quello che ha detto.
Avercene oggi di esseri umani e politici [ a prescindere dal raggruppamento politico ] come il sindaco Matteo Cecchelli.
lo so che dovrei come ho ripetuto più volte ( ma ci sto lavorando fra alti e bassi ) smetterla di : leggere e ascoltare chiunque ogni lamento (cit musicale cantantoriale degli anni 70 ) e dovrei lasciarli perdere ed essere meno polemico Ma a volte ci sono dei casi ,è questo uno dei casi, in cui è impossibile non esserlo,soprattutto quando i miei post vengono fraintesi ed equivocati e la gente insinua ad altri dubbi inutili . Infatti ho ricevuto per il mio post su Sergio Ramelli intitolato : << Se non riusciamo a riconoscere e a onorare una vittima della violenza politiva e dopo mezzo secolo non abbiamo pietà e rispetto di un ragazzo, allora il fascismo che lo abbiamo buttato giù a fare ? >>da parte d'amici\che ( e non solo ) fra gli eredi della sinistra extraparlamentare ho ricevuto delle email alcune personali e di gente che non legge le Faq o fraintende quello che scrivo . eccone alcune piene di dubbi e contraddizioni con sotto la mia replica .
Ma tu non eri anifascita e ricordi \ celebri un fascista
lo sono ancora sia contro le scorie del vecchio fascismo [ quello di Mussolini ] , del neofascismo [ destra extra parlamentare anni 60/80] e quello più recente alla Umberto Eco e alla Michela Murgia [ sovranismo /nazionalismo estremo e complottista vedi gruppi su telegram che parlano alla pancia della gente e usano fondendoli con il nazionalismo elementi che dovrebbero essere di sinistra ] . Inoltre il nazionalismo soprattiutto quello estremo criticato da diversi cantanti in particolare Giorgio Gaber in << Io Non Mi Sento Italiano >> è sempre difficile da riconoscere a prima vista visto che si maschera e si unisce al patriottismo nostante le differenze notevoli come spiega questo libro di cui trova a sinistra la locanona
Ricordare le vittime senza retorica e apologia di un periodo di violenza ideologica cioè gli an 60\80 val di la delle categorie ideologiche culturali .
Basta con sta pippa sugli anni piombo ormai è solo roba da nostalgici
Non sono molti di più quelli rimasti aperti, le storie degli anni di piombo senza morale, senza risposta e senza giustizia: i delitti della destra eversiva e della sinistra rivoluzionaria, le vite perdute degli irriducibili rossi e neri. Storie catartiche o inquietanti, storie di estremisti e terroristi ma anche di madri, sorelle e fratelli delle vittime, che per decenni hanno attraversato un dramma personale e pubblico, tentando di far luce sulla verità. Luca Telese raccoglie in Cuori neri e Cuori contro testimonianze e i documenti, entra negli eventi e nei processi, analizza le azioni, le reazioni e le interpretazioni dei fatti di sangue della nostra più recente come la definiscono alcuni guerra civile. << [ ...] E non fa sconti ai silenzi e ai revisionismi, perché oggi che i protagonisti di quegli anni scompaiono, oggi che il passato prossimo diventa storia, oggi che la cronaca continua a restituirci usi strumentali di tragedie mai chiarite del tutto né elaborate, «indagare nella zona grigia dove tutto rischia di confondersi è forse più utile di ieri».Così, come il suo predecessore Cuori neri, questo è un libro che non finisce: impossibile da chiudere. «La memoria degli anni di piombo è un organismo vivo, continuamente in evoluzione [...] », scrive l’autore in Cuori Contro N.B non ricordo la fonte . E scriverla, riscriverla ricomporla , farne i conti è il dovere civile di una nazione.
Sergio Ramelli era un picchiatore e sosteneva gli squadristi .
Mah da letture che ho fatto ; cuori neri , wikipedia , ecc non ho trovato conferma, in quanto tutti affermano che era una diceria messa in giro per giustificarsi dai suoi assasini . Infatti da Omicidio di Sergio Ramelli - Wikipedia( pagina a cui rimando per approfondimenti ) << [...] Ramelli svolgeva il ruolo di referente (detto “fiduciario”) del movimento presso l’istituto che frequentava: pur non nascondendo le sue posizioni politiche, non si era segnalato per fanatismo[8]. Noto all’ufficio politico della Questura di Milano per affissione abusiva[9], non aveva però precedenti penali[10], non aveva partecipato ad aggressioni, risse o minacce e non aveva attaccato manifesti né distribuito volantini a scuola, come stabilito dalle inchieste della magistratura e dagli atti del processo[11].L’inchiesta giudiziaria accertò[12]che Ramelli in un tema scolastico aveva espresso posizioni di condanna delleBrigate Rosse, aggiungendovi una nota di biasimo verso il mondo politico per il mancato cordoglio istituzionale di fronte alla morte di due militanti del MSI, Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, uccisi durante l'assalto alla sede del MSI di Padovaavvenuto l'anno precedente (17 giugno 1974). Il tema, dopo essere stato sottratto al professore, fu affisso in una bacheca scolastica, tacciato difascismoe usato come elemento accusatorio[13][14]. Alcuni amici ricorderanno successivamente che fu quell’episodio ad indurre Ramelli ad iscriversi al Fronte della Gioventù in cerca di protezione[15], mentre la madre e altre fonti hanno riferito di una precedente frequentazione, seppur recente, del movimento[10][16]. [...] >>
La pietà è per i deboli c'era una guerra civile a bassa intensità tra noi e loro e quindi in guerra nessuna pietà .
Vero in guerra la pietà muore . Ma è tropo riduttivo ridurre quel periodo solo allo scontro politico fra due schierament ideologici quando anche lo stato stesso pratico il terrorismo ed alimentò tali scontri . "La pietà è per deboli" è un'espressione che spesso si collega a una visione di forza come sinonimo di impassibilità o mancanza di emozioni . Tuttavia, potremmo anche considerare che la pietà, l'empatia e la compassione richiedano un'enorme forza interiore. Riconoscere il doloree la sofferenza di qualcun altro ( vedi url di wikipedia citato prima in cui si descrive gli attti di prepotenza e bullismo che dovette subire prima d'essere ucciso vigliaccamente ) , mettersi nei suoi panni e scegliere di agire con gentilezza o comprensione sono atti che non tutti sono in grado di fare facilmente.Se ti va, possiamo esplorare il tema più in profondità. Hai in mente un contesto particolare per questa frase o un significato specifico che vuoi discutere ?
Se il solito democristiano buonista
se raccontare a 360 gradi le cose si lo sono . poi fate voi se volete insermi e classificarmi \ etichettarmi fate pur e , tanto per quell che me ne frega .
GRAZIE FRATELLO
Non ho mai amato avere gli animali tra i piedi.
Non amo i cani, non amo i gatti.
Però.....
Però due giorni fa è entrato al bar un cane abbandonato, ha vagato un po’ per la sala e si è poi accucciato davanti all’ingresso, come a guardare il viavai di gente.
Ho cercato più volte di portarlo fuori, di accompagnarlo verso l’uscita.
Lui magari esce ma poi rientra e si accuccia nello stesso punto di prima.
Ieri sera, quando abbiamo tirato giù la saracinesca, ha forse capito che era arrivato il momento di togliersi dai piedi e se n’è andato, e mentre lo vedevo andare via ho pensato che non l’avrei più rivisto.
È tornato stamattina, è un cane con la faccia buona, non abbaia, non disturba.
È un cane triste.
In altre circostanze, in altri momenti, l’avrei cacciato (ho pur sempre un bar e io il bar tendo sempre a privilegiarlo su qualsiasi altra cosa perché è il mio sostentamento e se mi fanno chiudere finisco in strada.) ma non so come spiegarvelo, stavolta non va così.
Ho chiamato qualcuno che se ne possa prendere cura, aspetto che arrivi, se arriva.
Intanto me lo tengo qui, so che non sa dove andare, né che fare, e me lo tengo qui al bar.
I clienti entrano e lo vedono accucciato, penso al buon nome del bar e un po’ mi dispiace, però vi dico la verità: per una volta, per questo cane con la faccia triste, il buon nome del bar può andare a farsi fottere.
Questo ho pensato stamattina quando non ho trovato la forza di cacciarlo via.
Che per una volta il buon nome del bar pazienza.
Francesco Massaro
Qualche mese fa ero in un liceo di Milano per dialogare con gli studenti durante l’autogestione. Avevo scelto di raccontare alcuni episodi della Resistenza durante la Seconda guerra mondiale. All’inizio dell’incontro ho chiesto dove fosse stato esposto il cadavere di Mussolini, il 29 aprile 1945. “Piazzale Loreto!”, mi hanno risposto in coro. “Bravi. Ora qualcuno mi sa dire perché è stato scelto proprio quel punto?” Davanti a me si sono materializzate facce stranite, occhi in cerca di un’imbeccata. Dopo qualche secondo, si sono alzate un paio di braccia. “Perché lì erano stati uccisi degli operai, mi pare” ha detto un ragazzo.
Il 10 agosto 1944 a piazzale Loreto quindici uomini tra operai, impiegati, un poliziotto, un ingegnere e un insegnante furono trucidati da una delle squadre nere più fanatiche della repubblica di Salò
Il 10 agosto 1944 incombeva su Milano un caldo afoso, nonostante il cielo limpido. I fascisti scelsero piazzale Loreto come luogo dimostrativo, perché era lo snodo principale dei tram che portavano gli operai nelle fabbriche. Da lì, insomma, passavano ogni giorno migliaia di cittadini. C’era da eseguire una rappresaglia. Due giorni prima era saltato un camion delle SS in viale Abruzzi, ed erano morti alcuni passanti, e il giorno prima i partigiani avevano ucciso un fascista nell’attuale piazza Ascoli, ferendone un secondo. Le SS volevano impartire una lezione ai milanesi. Quindici uomini furono svegliati alle 4.30 nel carcere di San Vittore. Erano operai, impiegati, un ingegnere, un poliziotto, un insegnante,tutti accomunati dall’antifascismo. Furono caricati su camion, trasportati in piazzale Loreto e lì, davanti a una staccionata di legno su cui venivano affissi i cartelloni degli spettacoli teatrali in programma, vennero trucidati da un plotone di uomini della Legione Muti, una delle squadre nere più fanatiche della repubblica di Salò.Si chiamavano: Gian Antonio Bravin, Giulio Casiraghi, Renzo Del Riccio, Andrea Esposito, Domenico Fiorani, Umberto Fogagnolo, Tullio Galimberti, Vittorio Gasparini, Emidio Mastrodomenico, Angelo Poletti, Salvatore Principato, Andrea Ragni, Eraldo Soncini, Libero Temolo, Vitale Vertemati.
Nel libro “I giorni della libertà” (Mondadori) racconto la storia di donne e uomini che in quegli anni hanno combattuto il fascismo. Tra questi Libero Temolo, uno dei quindici, la cui vicenda umana mi è stata raccontata dal figlio Sergio. Due anni fa Sergio mi ha aperto la porta di casa, mi ha raccontato della sua giovinezza, fatta di giochi per strada, dell’amicizia con Franco Loi, che sarebbe diventato un celebre poeta e scrittore, della banda di via Teodosio e via Casoretto, delle scuole frequentate in via Mercalli, e della sua vita da staffetta partigiana. Il padre, Libero, andava alle riunioni segrete nella casa di Alessio Lamprati, nome di battaglia Nino, uno dei fondatori delle Sap (Squadre di azione patriottica), e Sergio sgambettava dietro di lui,nascondendo sotto la maglietta fogli clandestinie stando a dieci metri di distanza, perché in caso di fermo del padre doveva proseguire per la via come se nulla fosse. «Devi avere fede» gli diceva sempre papà Libero, e non si riferiva a Dio, ma alla fiducia nel futuro, allasperanza di un domani migliore.Era, quella, la Milano delle fughe in cantina per scampare ai bombardamenti incessanti, del mercato nero, della fame vera, del pane fatto con la segatura, delle delazioni dei vicini di casa, delle torture, delle deportazioni. Sergio, a 91 anni, ancora ricordava il profumo di un panetto di burroche la zia nel 1943 era riuscita, non si sa come, a recapitargli dal paese di origine, Arzignano. Il 10 agosto 1944, quando Libero Temolo fu ucciso dai fascisti in piazzale Loreto, Sergio era dai parenti in Veneto.Nessuno ebbe il coraggio di dirglielo. Lo scoprì solamente a ottobre, quando un amico di famiglia lo riaccompagnò a Milano a bordo di un camion. Passando a piedi per piazzale Loreto, sulla via verso casa, quell’uomo si fermò ed esclamò: «Xé qua che i gà copà to pare».È qui che hanno ucciso tuo papà.
La targa in onore di Libero Temolo in via Casoretto 40, a Milano
Nessuno spazio per la commiserazione, nessuna pietà. Si era in guerra, e in guerra si muore. Sergio mi ha raccontato di avere provato una rabbia tremenda, in quell’istante. Una rabbia silenziosa, che in bocca sa di ferro. Non ha urlato, nessuno avrebbe ascoltato. Non ha pianto, nessuno lo avrebbe consolato. Ha pensato solamente, nella sfrontatezza dei suoi quattordici anni: «Ti avrei salvato io, papà». Sergio Temolo era a piazzale Loreto, il 29 aprile 1945, con Franco Loi. Ha visto Mussolini pendere a testa in giù, insieme a Claretta Petacci e agli altri gerarchi fascisti.Ha visto le persone sfogare la propria rabbia sul corpo del Duce, ma di quel giorno, di quella vendetta perpetrata in nome dei Quindici martiri di Loreto, e dunque anche di suo papà, non ha mai conservato un bel ricordo. Anzi. «È stato tremendo» mi ha detto, abbassando lo sguardo.Sergio ha vissuto per decenni senza un briciolo di spirito di vendetta, ma solo per ricordare e tramandare il valore della libertà, vissuta come un vessillo da sventolare e non come un’arma da brandire.
Libero Temolo insieme a sua moglie Olga e al figlio Sergio ai giardini di Porta Venezia nel 1938
Sergio Temolo ci ha lasciato un anno fa, con il timore che le future generazioni possano dimenticare.
“I giorni della libertà” racconta la storia di Sergio e di suo padre Libero, la storia di Angelo Aglieri, segretario di redazione al Corriere della Sera, e di sua moglie Aldina, la storia di Carmela Fiorili, che nascose in casa uno dei dirigenti comunisti della Resistenza, e di sua figlia Francesca, staffetta partigiana. Sono donne e uomini comuni, i cui destini si sono intrecciati come fili. Sono persone che hanno lottato per regalare a sé stessi e a noi il dono più prezioso che abbiamo: la libertà.
*Alessandro Milan, classe 1970, giornalista e scrittore. Lavora dal 1999 a Radio24, dove conduce attualmente “Uno, nessuno, 100Milan” insieme a Leonardo Manera. Ha scritto tre libri, “Mi vivi dentro” (DeA Planeta), “Due milioni di baci” (DeA Planeta) e “Un giorno lo dirò al mondo” (Mondadori). È presidente dell’associazione culturale “Wondy Sono Io” che organizza il “Premio Wondy di letteratura resiliente”.
Questa donna straordinaria si chiama Nicoletta Parisi, ha 80 anni, calabrese, vive a Botricello (Catanzaro), e quello che ha fatto è una autentica boccata di ossigeno e di umanità, dopo tanto orrore.Quando ha visto
le immagini strazianti dei 67 migranti morti sulle coste di Crotone, ha compiuto un gesto commovente: ha offerto la propria cappella di famiglia per dare una degna sepoltura a ognuno dei bambini morti così lontani da casa, accanto a suo marito.
Si è chiesta solo una cosa:
"Cosa posso fare io per queste piccole creature morte in mare senza aver potuto capire il gesto delle loro madri che era quello di portarli via da una civiltà crudele?
Mi è tornato alla mente mio zio disperso in Russia, che non ha mai potuto essere sepolto. Voglio che a questi bambini sia data questa possibilità. Noi fondamentalmente su questa terra siamo tutti profughi e tutti abbiamo necessità di avere la Misericordia divina. A mio marito ho detto: non sei più solo, avrai tanti bambini a farti compagnia”.
Ecco cosa significa essere cristiani veri, in un Paese di gente che brandisce rosari, va a messa la domenica e poi lascerebbe annegare donne e bambini in mare.
Questa donna la abbraccerei forte forte, solo questo.
Questi sono veri preti o rapppresentanti \ messaggeri di Dio
da repubblica del 03 dicembre 2018
Il prete da anni si occupa di accoglienza. Ora attacca il decreto sicurezza di Salvini: "Applaudire le sue politiche e poi preparare le statuette è schizofrenia pura. Un Natale senza il simbolo della Natività è più coerente con questo clima volgare"
di ENRICO FERRO
Don Luca Favarin, al centro, con i ragazzi provenient
i dall'Africa di cui si occupa
PADOVA. "Oggi fare il presepio è ipocrita. Il presepe è l'immagine di un profugo che cerca riparo e lo trova in una stalla. Esibire le statuette, facendosi magari il segno della croce davanti a Gesù bambino, quando poi nella vita di tutti i giorni si fa esattamente il contrario, ecco tutto questo lo trovo riprovevole". Don Luca Favarin, il prete che a Padova gestisce nove comunità e aiuta 140 ragazzi africani, sferza i predicatori di presepi e crocifissi. Lo fa toccando uno dei simboli del Natale, il presepe appunto, icona della Natività, con il cammino di Giuseppe e Maria. Ecco, quel cammino a don Luca evoca la traversata di migliaia di migranti alla ricerca di un orizzonte nuovo. "Il nuovo decreto sicurezza costringe le persone a dormire per strada, quindi l'Italia si è schierata per la non-accoglienza", ragiona il prete. "Poi però, a casa, tutti bravi a esibire le statuette accanto alla tavola imbandita, al caldo del termosifone acceso".
Luca Favarin ha scelto la domenica mattina, nel momento della messa settimanale, per scrivere su Facebook un post con il suo pensiero: "Quest'anno non fare il presepio credo sia il più evangelico dei segni. Non farlo per rispetto del Vangelo e dei suoi valori, non farlo per rispetto dei poveri".
Non ha paura don Luca delle critiche che gli stanno arrivando in queste ore, non teme di esternare un sentimento che gli viene da dentro, dopo anni di impegno con gli "ultimi", gli "invisibili". Nel 2012 ha tolto la tunica e chiuso il capitolo del prete di parrocchia per buttarsi anima e corpo come responsabile della Diocesi di Padova prima della tratta degli esseri umani e poi dell'accoglienza dei migranti con la cooperativa Percorso Vita. Ha modellato un sistema che sta dando lavoro e speranza a tanti profughi. Ha aperto un ristorante etnico e un bar-fast food, oggi interamente gestiti da loro. I piatti vengono preparati con la verdura prodotta in due appezzamenti di terreno, dove ragazzi provenienti dall'Africa subsahariana hanno imparato a cimentarsi con piantagioni di radicchio, cavoli e patate. Dove gli alberi da frutto vengono coltivati con cura e amore, perché poi da quei frutti nascono le marmellate biologiche.
"Ci vuole una coerenza umana e psicologica", continua il prete. "Applaudire il decreto sicurezza di Salvini e preparare il presepe è schizofrenia pura. Come dire: accolgo Dio solo quando non puzza, non parla, non disturba. Lo straniero che incrocio per strada, invece, non lo guardo e non lo voglio". Ancora: "Credo che un Natale senza presepio sia più coerente con questa pagina volgare e infame della storia del nostro Paese. Va in scena il teatrino del Natale e poi si lascia morire la gente per strada. Vorrei ricordare ai cristiani che ci sono migliaia di Gesù-bambino in giro per le strade, sotto i ponti".
Anche se vado a messa , vado solo nelle feste , perchè anche se certi preti e parrocci li stimo , sono anti clericale perchè penso che la vera fede devi trovarla da te e apllicare ed interpretare da te il messaggio di che Do tramite Gesù ed gli apostoli ci hanno trasmesso oralmente e per iscritto . Per spiegare meglio lo faccio e qui concludo il post con due canzoni
La seconda che poi è quella che concludo il post e che ora è in canna allo stereo l'agnello di Dio - Francesco de Gregori che insieme alle prime sono preghiere moderne,molto piu' intense di vecchi passi della Bibbia.
Quella pace che non so augurarti. E di cui tu pure hai diritto. Quella pace, parola grande, imprendibile, quella pace oggi forse t'accoglierà. Cerco le tue immagini - non voglio affiancarti al poeta vivo, meglio il monumento - e ti vedo sempre estraneo, mai protagonista.
Non so se incarnassi la mutazione antropologica preconizzata da Pier Paolo. Eri semplicemente capitato lì, come un grande punto interrogativo, vagante e privo di curiosità. Con quelle rughe sbagliate, incapaci di far storia. Ogni tanto perfino sorridi, accanto ai manifesti del poeta. Ed è un sorriso, purtroppo per te, inopportuno e scentrato. Dolente? Semmai, umiliato. Vedo alle tue spalle una notte remota che mi spira ancora addosso, e vorrei tornare a quel novembre del '75, a quel tavolo, alle chiacchiere. Vorrei riavvolgere il nastro e implorare: "Fermatevi!". Oppure no, oppure mi ripeto che non può finire così, che PPP ce la farà comunque, malgrado te, malgrado anche se stesso. Ma è andata diversamente. E bestemmio quei passi, quel tragitto e quelle pietre e le erbe marce e gli avanzi di civiltà industriale vomitati tutti lì, assieme a voi, in quel nero di petrolio, e pretendo mi restituiscano Paolo. Sono i testimoni di tutte le pesanti disgraziate notti d'Italia. Più eloquenti, nel loro solido silenzio, delle tue mille evocazioni, troppe volte smozzicate e rimangiate. Eri solo, ostinatamente e forzatamente solo. Anzi, isolato. Anche in questo, cifra del nostro millennio al declino, lo sbriciolarsi degli ideali, degli abbracci, delle relazioni, degli inni e delle bandiere. Dei cori e dei baci. Eri il nostro rischio, la nostra perdizione. Sì, abbi pace. Hai sepolto con te ogni segreto, ogni verità. L'umana, inesausta domanda s'arresta davanti ai misteri, ma la coscienza individuale può sempre aprirsi al Mistero, supremamente giusto ma immensamente misericordioso.
«Adliana, troverai riposo a Valle»
Il sindaco Gatti Comini offre una tomba per la giovane lucciola assassinata nella sua casa di Pavia
di Maria Fiore
Alla rotatoria della ex statale Bronese, a due passi dal ponte della
Becca, dove la giovane si prostituiva, sono comparsi vasi di fiori e
rose bianche. Messì lì forse da un cliente oppure da qualche
automobilista che, passando ogni giorno in quel punto, si era abituato
alla presenza di quella ragazza. Una giovane descritta da tutti come
molto «riservata» ma la cui dolcezza, oggi, è ricordata con tristezza e
smarrimento. «Ci siamo sentiti tutti toccati da questa vicenda – dice
ancora il sindaco –. Per questo, siamo disponibili a trovare una
soluzione per i funerali, se fosse necessario. Come Comune non abbiamo
purtroppo soldi a disposizione, ma alcuni cittadini si sono già offerti
di dare un contributo per i funerali»
Due fratelli della ragazza avrebbero risposto all’appello della questura, non appena hanno ricevuto la notizia dal consolato. Resta però ancora da capire se l’intenzione della famiglia è di portare la salma in Albania oppure di celebrare i funerali in Italia, a Pavia o a Torino, dove la giovane donna si era sposata, un paio di anni fa. Un matrimonio forse contratto per il permesso di soggiorno. Adliana Picari si era infatti trasferita a Pavia da sola, nell’appartamento al numero 501 di viale Cremona, dove lunedì sera ha trovato la morte. La donna, secondo quanto ricostruito dalla polizia, è stata uccisa in un raptus da Losio, che era un cliente abituale. L’indagato ha spiegato di essersi invaghito della giovane e di avere pensato di fuggire con lei. Per questo aveva cercato di uccidere l’anziana madre, di 89 anni, aprendo il gas della casa di Canneto, prima di andare a prendere Adliana alla rotonda della Bronese, dove era certo di trovarla. Quindi i due erano andati a casa della giovane, per consumare un rapporto. Ma nella casa era esplosa la follia.
Nessun ricordo ufficiale per il volontario sardo-ligure che ha donato la vita per salvarne altre
Per Lui, SANDRO USAI, nessuna diretta televisiva... solo: Sul coperchio un mazzo di piccole orchidee e le lacrime della moglie Elena, che non ha abbandonato un istante la bara... è quello che capita spesso ai "veri eroi"...
...e di nuovo arriva il buio, lo sgomento, il tedio di giornate sfatte, ceree, anguste. Giornate irrisolte, così pesantemente vuote, in cui ci si sente inani, come un orologio sbilenco.
Giornate in cui constati che non può migliorar nulla. Giornate disgustate, dove ti lasci travolgere dall'ubbia. Perché ingiustizia e prepotenza ti assediano oltre ogni tollerabilità.
Poi ti càpita di sfogliare un giornale e d'incrociare lo sguardo di lui: un musetto rincagnato, una curiosità inespressiva d'uccello, spumeggiato dai primordi della terra. E d'incerte acque.
Nato su una zattera della disperazione, tra Italia e Africa, tra Eritrea ed Etiopia, fuggite a loro volta dalla Libia dilaniata e dilaniante verso gli ospiti neri. L'hanno chiamato Yeabsera, dono di Dio. Internazionale, di tutti, come di tutti è il dolore, ma anche la gioia. Ci spiazza, quel bambino, perché davanti ai suoi occhi si crea un immediato vuoto; non lo spleen, ma un calore sospeso, un fiato, un silenzio d'ovatta.
E sappiamo tutto. Non viviamo in tiepide case. Intorno querimonie, lagnanze, dolore e, ancora, voci naturali di giustizia. Su cui menti rapaci sono pronte a speculare. Ma un bambino è sempre un miracolo imprevisto. Un atto contro natura (Ungaretti) nel momento in cui pretende, prim'ancora del pensiero, il suo diritto al mondo. Al resto, attorno, per un istante almeno, non vogliamo pensare. Lasciateci ancora di fronte a quel fiat. A quell'"io sono" così disarmante e severo nella sua totale, sgombra innocenza.
Questo giorno 11, così maledetto. Sempre ricorre, ultimamente. E dopo, solo il silenzio. Una strana, forse stolida consolazione, nello stordimento afasico di Hiroki Azuma: "Faccio lo scrittore - egli afferma - ma non sono ancora stato capace di mettere in parole ciò che stiamo vivendo". E, quando tace l'artista, tace l'uomo.
Sconvolto il Giappone da un tremendo tsunami e un altrettanto tremendo maremoto, che ha mietuto cinquemila vittime accertate. E poi, l'incubo nucleare. A Fukushima si sta verificando un principio di fusione. Il resto, per questo popolo che così dignitosamente subisce e galleggia su un infiammato lago di dolore, non riusciamo a immaginarlo. Affermare, come Azuma, che "niente sarà più come prima" non è un'espressione sciatta del linguaggio medio-quotidiano; è semplicemente vero; e la verità è nuda, cruda, scabra, materica.
Noi continueremo a scrivere, per sentirci vivi. Perché siamo obbligati, dannati all'esistenza. Perché non ci è lecito arrenderci, dopo l'ennesimo sfregio alla natura. Natura e cultura costituiscono i due cardini sui quali cresce il vilucchio della persona umana. Scinderli, allo stesso modo in cui avviene una scissione atomica, è contrastare, sovvertire il nostro status.
Rievoco, sgomenta, i miei autori. Il primo, senza dubbio, è Akira Kurosawa che, in quel lussureggiante affresco in celluloide dal titolo Sogni, aveva previsto la catastrofe nucleare. La Ballata del vecchio marinaio di Coleridge, dove il protagonista viene punito con la morte-in-vita per quel gesto di malvagità totalmente gratuita. Un simbolo, l'assassinio dell'albatro, della nostra invidia d'un volo perduto: quello dell'anima.
La profezia di Kurosawa: nel lungometraggio del 1990 era il vulcano Fujiama a risvegliarsi, provocando un'ecatombe nucleare. In basso, l'episodio finale del film: l'umanità riscopre la semplicità e il dialogo con la natura.
Ma, più ancora, mi tornano alla mente versi franti, anch'essi scissi, sbocconcellati, come ruderi immoti dopo un'immane rovina. Sono una creatura di Ungaretti. Sì, egli la compose sotto le armi, mentre infuriava la guerra. Ma anche noi, oggi, siamo in guerra. Contro la nostra stessa ragion d'essere, contro la madre che abbiamo rinnegato.
"Sono una creatura" è un attestato, un vocabolo denso, delicato e donativo, relazionale, sponsale: è forza e fragilità. E' riconoscimento della propria natura, in un contesto del tutto scarnificato e isterilito. Della dipendenza da un'origine. Ma ricapitola, anche, quella cultura, quel progresso, quel futuro che può verificarsi soltanto col riconoscimento del proprio limite. Altrimenti, come il volo d'Ulisse, rimane follia, baratro, mare di fuoco su una terra desolata.
E non ci resta che questo stordimento, questa solitudine tremenda. Siamo creature; lo riconosciamo; come l'aveva riconosciuto l'epilogo del film di Kurosawa. Sono creature le vittime del lontano e vicinissimo Giappone, nostro autentico fratello in questa Terra ormai divenuta limbica, trasparente.