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30.3.11

L'alieno


...e di nuovo arriva il buio, lo sgomento, il tedio di giornate sfatte, ceree, anguste. Giornate irrisolte, così pesantemente vuote, in cui ci si sente inani, come un orologio sbilenco.

Giornate in cui constati che non può migliorar nulla. Giornate disgustate, dove ti lasci travolgere dall'ubbia. Perché ingiustizia e prepotenza ti assediano oltre ogni tollerabilità.

Poi ti càpita di sfogliare un giornale e d'incrociare lo sguardo di lui: un musetto rincagnato, una curiosità inespressiva d'uccello, spumeggiato dai primordi della terra. E d'incerte acque.

Nato su una zattera della disperazione, tra Italia e Africa, tra Eritrea ed Etiopia, fuggite a loro volta dalla Libia dilaniata e dilaniante verso gli ospiti neri. L'hanno chiamato Yeabsera, dono di Dio. Internazionale, di tutti, come di tutti è il dolore, ma anche la gioia. Ci spiazza, quel bambino, perché davanti ai suoi occhi si crea un immediato vuoto; non lo spleen, ma un calore sospeso, un fiato, un silenzio d'ovatta.

E sappiamo tutto. Non viviamo in tiepide case. Intorno querimonie, lagnanze, dolore e, ancora, voci naturali di giustizia. Su cui menti rapaci sono pronte a speculare. Ma un bambino è sempre un miracolo imprevisto. Un atto contro natura (Ungaretti) nel momento in cui pretende, prim'ancora del pensiero, il suo diritto al mondo. Al resto, attorno, per un istante almeno, non vogliamo pensare. Lasciateci ancora di fronte a quel fiat. A quell'"io sono" così disarmante e severo nella sua totale, sgombra innocenza.

Morning has broken di Cat Stevens (Youssef Islam)





22.12.10

Nun te piace, 'o presepe?...


Mica vero che "non fa male a nessuno". Anzi, nuoce gravemente alla salute. Chi? Meglio domandare "cosa", ma in verità è proprio quel "chi" a disturbare. Il presepe fa male. E, dietro e dentro di lui, la statuina di quel bimbo seminudo. Ciò ch'essa simboleggia.

Il presepe realizzato dagli allievi del liceo artistico "De Nicola" di Sesto San Giovanni (Milano), frequentato da giovani di diverse confessioni. In basso: la "crèche des santons" a Mentone (Francia).

Il collegio docenti della scuola materna di via Forze Armate, a Milano, aveva infatti stabilito di celebrare un Natale senza Natività. Via stelle comete, grotte o capanne, pastori e pecorelle, San Giuseppe, Madonne e quel povero cristo di Gesù Bambino. Al loro posto renne dal naso rosso, Babbi Natale paffuti e gaudenti, canti e cori inneggianti alla festa, ma, per carità, senza il minimo accenno alla religione. Per rispetto dei bambini, si capisce. Perché l'asilo di via Forze Armate è multietnico e multireligioso. Perché una festa cristiana scandalizzerebbe ed emarginerebbe i piccoli musulmani, indù, buddisti frequentatori di quell'istituto.

E pensare che, per anni, questi difensori a oltranza della pluriconfessionalità avevano bellamente irriso il Natale - e coloro che lo celebravano come zotici e ignoranti - non mancando mai di puntualizzare che in origine si trattava di tutto, tranne che di "festa cristiana". Era nient'altro che la festa del Sol Invictus, nella quale si annunciava il solstizio d'inverno e ci si scambiavano doni e si preparavano ricchi banchetti, che talora sconfinavano in orge. Più di recente, i divulgatori hanno trovato legami col culto tardoantico del dio Mitra e antiche celebrazioni egizie e mesopotamiche (cui potremmo aggiungere, per le analogie con l'uomo-dio, il Poema di Gilgamesh). Non si trattava tanto d'informare, quanto di screditare il 25 dicembre cristianizzato in nome di un'oggettiva e rispettosa laicità.

Peccato che oggi, la stragrande maggioranza dei cristiani grandi e piccini sia perfettamente a conoscenza di tutto ciò, per averlo appreso proprio a scuola; e persino un Papa, Giovanni Paolo II, ha riconosciuto senza alcun problema l'origine extracristiana del Natale. I fenomeni d'inculturazione, le maestre di Forze Armate dovrebbero saperlo, costituiscono l'ossatura delle civiltà, recuperano, fondano, rimescolano culture antiche, perdute, ritrovate, e ne ricavano un nuovo capolavoro, una serendipity di creatività. Una rinascita, ecco; un "far nuove le cose antiche", come appunto recita il Vangelo (che, non casualmente, significa "buona novella").

Le religioni, e il cristianesimo in particolare, non appartengono alle sfere celesti. Sono parti umani, storici, esattamente come non mancano mai di sottolineare i razionalisti dello "spiritually correct". Il cristianesimo è terrigno; lo ripete continuamente san Paolo: la vita è qui, adesso, e ciò che di noi resterà non sarà la fede né la speranza, bensì l'amore; quello gratuito, che non attende ricompensa, e che i greci chiamano carità. La relazione con l'altro. Con l'uomo. E' una terra, è addirittura un parto: una nascita. Fisica. Totale. Al punto di trasumanarsi. E' il dono che segna la insanabile differenza con la concezione dei summenzionati razionalisti.

L'irripetibilità del Natale cristiano non coincide con l'unicità dell'evento storico nudo e crudo. Ma col suo significato. Il dio bambino esiste in moltissime culture. Il dio bambino straniero, minuscolo e affondato nelle carovane delle quotidiane esistenze, invece no.

E solo i bambini possono comprenderlo compiutamente. Perché non si pongono domande. Non ne hanno bisogno. I bambini sono orizzontali e circolari. Percepiscono. Sono privi di voce. Ma non desiderano che qualcuno parli per loro, ne interpreti e ne immeschinisca gl'irrinunciabili sogni. Hanno fame di felicità assoluta. Sono già leopardiani, ma senza disperazione. Il Natale "cristiano", quindi, non li disturba. Non disturba i piccoli musulmani, che rispettano e venerano il profeta Gesù (accompagnando il suo nome con la formula "su di lui la pace di Allah", mentre qui da noi, non di rado, udiamo governanti "cattolici" infiorare le loro barzellette con allegre bestemmie). Non disturba i giovani indù, così come non disturbava Gandhi, che "sarebbe stato cristiano, se i cristiani lo fossero stati due volte al giorno". Non disturba i buddisti, i quali nutrono profondo rispetto per quel maestro religioso ebreo. Non disturba, Gesù, perché è come loro, tra loro. Un bambino. Ma i bambini possono terrorizzare i potenti della Terra. Gli Erode, quelli sì, sono turbati. I vecchi. Coloro che si volgono indietro nei loro pensieri cristallizzati. Coloro che "roba mia, vientene con me". Coloro che invidiano il fanciullo che non possiede niente, ma che li soppianta nella corsa verso un domani rivoluzionato e inquieto. E che gode, ed è beato, per il solo fatto di esistere, come gli uccelli e i cani.

Le maestre avevano pensato "per il loro bene". I buoni consigli. Di cui è lastricata la strada per l'inferno. E così, invece di cogliere l'occasione per illustrare parallelismi culturali, magari ricordando quel Francesco d'Assisi cui si deve l'invenzione del presepe e che, in tempi di Crociate, stabilì un legame d'amicizia col sultano islamico, le maestre di Forze Armate non avevano offerto ai loro alunni altra alternativa che un'infiocchettata paccottiglia da soap americana, con un pingue e rubizzo signore a dispensare i simboli di quel consumismo pacchiano e limaccioso da esse più volte denunciato.

Ho usato il passato perché, nel frattempo, pare abbiano desistito dal proposito. A causa delle proteste dei genitori e degli educatori. Anche non cristiani, certo. Ovviamente. Fanciulli, proprio perché naturalmente terrestri, non stancatevi d'incarnarvi nel seno di qualche donna, cristiana, shintoista o atea. Proprio perché naturalmente terrestri, potete aspirare al cielo. Nascete. Siate nuovi. E lasciate che i morti seppelliscano i loro morti.



11.7.10

L'ultima cena?

Io non canterei vittoria a proposito del presunto "fallimento" del simposio Vespa-Bertone-Berlusconi. E attenti a considerare quest'ultimo un fesso. Non lo è affatto. Il suo lessico è elementare, ridotto all'osso: tipico delle persone incolte e dei pubblicitari. Per questo fa leva sul popolo italiano, notoriamente poco incline alla lettura e all'approfondimento. E', soprattutto, un ladro di linguaggio, astuto nel cooptare le parole più in voga per stravolgerne il senso. Avete notato come si è disinvoltamente appropriato del termine "bavaglio"? Dai suoi tg, soprattutto quello sulla prima rete Rai, ha fatto sapere che l'imbavagliato è lui, in nome d'un diritto che non può essere assoluto: quello della libertà di stampa. Perché prima di essa esiste il diritto alla privacy, come usa dire con orribile anglismo, e che è tutt'altra cosa dall'intimità.

A rigor di termini sarebbe pure incontestabile, e infatti egli spera che molti italiani lo seguano. Ci pare di udirli, gli adoratori di "Silvio": c'ha ragione, è un bravo ragazzo (malgrado le 74 primavere, “Silvio” è sempre il bravo e intraprendente ragazzotto della porta accanto), vuole proteggere i “fatti nostri”. Senonché sono state proprio le sue televisioni, in 25 anni, a spadellare qualsiasi fatto nostro, a far dilagare l'onda volgare e melmosa del voyeurismo: grandifratelli, uominiedonne, e lui stesso, col suo corpo, le sue avventure sessuali (per B. le donne non contano come persone, ma come oggetti) squadernate a destra e a manca. Ora, proprio lui, invoca la "pràivasi". Credibile come uno squalo affamato davanti a una preda ferita, ma gli italiani possono cascarci. Quanti slogan disattesi, dal 1994 ad oggi! Il primo fu "Il nuovo miracolo italiano", seguito da "un milione di posti di lavoro" per giungere ai più recenti "daremo un posto fisso a tutti", "via la tassa dalla prima casa", per tacere del martellamento, durato quasi un anno, sul tema della "sicurezza" e delle fantomatiche ronde, subito fallite, anzi mai iniziate, di cui nessuno ormai parla più.

Egli sa che basta far colpo, promettere senza mantenere, soprattutto senza faticare: perché i cittadini, vale a dire il pubblico, sono, per sua stessa ammissione, come un bimbo di dodici anni nemmeno troppo intelligente.

Anche per questo piace così tanto alla Chiesa (intesa come gerarchia vaticana) e non si speri venga meno tale alleanza: i preti la sfrutteranno fino all'ultimo. Sia perché naturalmente inclini ai regimi di destra, anche dittatoriali, sia perché troppi sono i vantaggi materiali che possono trarre da questa (santa?) alleanza; e non si dimentichi che il Vaticano è lo Stato più materialista e mondano esistente sulla terra. La cena a casa di Vespa e il suo corredo simbolico-blasfemo può e deve farci fremere di orrore, soprattutto a noi credenti, ma stupirci, no davvero: rientra nella normalità delle cose. Potere puro, o meglio: fondamentalismo del potere.

Insomma Berlusconi continua a godere dell'appoggio d'Oltretevere, del resto la pseudo-opposizione è inetta e inesistente, quindi ci propineranno tutto ciò che vorranno. Ma per fortuna non verrà promulgata alcuna legge sulle coppie di fatto, alleluia.


P.S.: Ho usato "per fortuna", e non "grazie a Dio", perché Dio, in tutta questa storiaccia, non c'entra un beneamato cavolo, povero Cristo.



10.3.10

L'Avversario

E così, grazie al decreto "interpretativo" , la legge non è più uguale per tutti, ma solo per i privilegiati. Parlare di abuso di potere mi sembra persino limitativo. Qui siamo di fronte a un vero e proprio "potere assoluto". Mi ricorda la celebre battuta di Mel Brooks-Luigi XVI: "Bello fare il re". Ma questa fa meno ridere.

Il poco onorevole Nicola Di Girolamo lascia, ma i compagni di partito gli tributano l'onore dell'applauso, come a un caduto in battaglia. A Milano, il bravo ragazzo Milko Pennisi viene cuccato con le mani nella marmellata, anzi, nella mazzetta. Denis Verdini finisce nei casini per gli stessi motivi. La Chiesa intanto è travolta dagli scandali pedofili e il gentiluomo del Papa Angelo Balducci, tra una Messa e l'altra, trovava il tempo per farsi procurare robusti fotomodelli per sentirsi meno solo. Il Vaticano ha promesso il massimo rigore e tempestività per punire crimini commessi soltanto quarant'anni fa (i tempi della Chiesa, si sa, non sono quelli miserrimi dei comuni mortali). Hanno persino scoperto che la pedofilia "è un grave peccato". Complimenti per il discernimento! Per certi alti e potentissimi prelati l'omosessualità adulta, consenziente e dichiarata è un abominio inammissibile, mentre è tollerata quella occulta, pervertita e violenta che sfocia nella pederastia: basta resti sommersa. Il prete pedofilo, al massimo viene spostato in un'altra diocesi. Si sono mai domandati perché padre Dante pose i "sodomiti" nel girone dei violenti, non dei lussuriosi? "Molti fur cherci/e litterati di gran fama". Abbiamo udito, tanto per cambiare, illustri porporati tuonare contro il fumo di Satana introdottosi nella Chiesa per colpa, ovviamente, degli omosessuali. Satana esiste e agisce, questo è assolutamente sicuro, ma quella praticata dai pochissimo reverendi padri non è una condizione umana, problematica quanto si vuole, ma degna di ascolto e rispetto. E', appunto, un atto prepotente, nefando, malsano, frutto di una sessualità deviata e distorta, e di una subcultura sessuofoba e misogina che la alimenta. Ma figuriamoci se avvieranno una riflessione seria sul fenomeno.

Continua la campagna contro acqua privata e l'assassinio del Lambro che, come la caccia, ha dimostrato che pure sulla tutela ambientale il dio denaro, l'idolo muto, ha messo le zampe (e la coda). Verrà un giorno... Presto, speriamo.

Viva gli sposi. Angelo Izzo ha impalmato Donatella Papi, giornalista. "E' il mio angelo", insomma il suo alter-ego, dice della dolce consorte il neomarito estasiato. Nel frattempo ha disinvoltamente confessato che nel generoso periodo di semilibertà concessogli da giudici maschi, malgrado le inutili proteste di Donatella Colasanti (ora morta di cancro al seno, malattia curabile nel 90% dei casi, ma che la donna aveva trascurato per ottenere una giustizia che non le è arrivata), in quel periodo, dicevamo, qualche marachella ha continuato a commetterla. Sarà robetta di ordinaria amministrazione, qualche altro stupro, qualche altro assassinio di donne, certo la parte del leone è stata fatta con una sventurata donna con la figlia quattordicenne, violentate e uccise. "E' stato un lavoro relativamente semplice", ci ha informati, con un tono da travet. Proprio così: lavoro. Del resto la mogliettina lo considera innocente. Un vero Angelo, insomma.

Funzionari dello Stato in odor di sagrestia incassano tangenti poi chiedono la benedizione del prete. Devoti frequentatori di stanze vaticane si trastullano con piaceri ben più carnali (e carnosi). Angeli caduti sposano vergini stregonesche che curiosamente si chiamano con lo stesso nome delle loro vittime sacrificali. La più grande astuzia del diavolo è far credere che non esiste, sentenzia Baudelaire. Eppure, qui, si vede benissimo. Siamo entrati in Quaresima, e la prima domenica ci presenta Cristo tentato dal demonio. Un motivo forse ci sarà.



20.12.09

Quell'odio nato dalla "normalità"


Riporto integralmente, e senza alcun commento, una lettera inviata al "Giorno" il 18 dicembre scorso, con relativa risposta del direttore di quel quotidiano.
***
Trieste, Risiera di San Sabba, proteste antifasciste in un'immagine d'epoca. Profetici quei segni d'interpunzione...
Ho scoperto che mio figlio è un estremista di destra
Ho scoperto che mio figlio di 14 anni frequenta gruppi di estrema destra, che sono razzisti. Per me è stato uno choc. Negli ultimi mesi vedevo che era cambiato ma non sapevo spiegarmi. Mi accorgo ora, e spero non sia troppo tardi, che ho colpe precise se ha sposato idee estremiste, perché in casa indichiamo con troppa facilità come simboli negativi il comunismo e gli immigrati. (Michele Cattaneo, Cremona)
***
Mai come in questi giorni scopriamo la necessità di tornare alla moderazione e all'uso controllato delle idee e delle parole. Il malessere prim'ancora che nei partiti è in noi stessi, siamo domincati dalle passioni e dall'intolleranza e i nostri figli sono quel che noi seminiamo. Forse inconsapevolmente, anche se non ci riconosciamo responsabili dell'odio, siamo diventati espressione di insofferenza nei riguardi del prossimo che consideriamo diverso da noi. Da qui ad arrivare alle derive razziste il passo è breve. Le parole sono pietre e lo sono anche quelle usate nelle conversazioni a tavola o in salotti con i figli e gli amici. I figli ci ascoltano e ci guardano come modelli, siamo noi i loro riferimenti. Se usiamo parole e concetti improntati all'intolleranza poi non dobbiamo sorprenderci che i nostri figli ci seguano su questa strada pericolosa. E lo dico con la pena personale di essere padre di un ragazzo, che non ha un'età diversa dal suo. (Giovanni Morandi, direttore de "Il Giorno")

19.12.09

Satana tra noi

Questo blog e gli umanisti di tutto il mondo manifestano il più profondo sdegno per la profanazione avvenuta ieri ad Auschwitz e, augurandosi che i responsabili dell'infame gesto siano trovati e puniti col massimo rigore, esprimono solidarietà assoluta per gli ebrei e tutte le altre vittime della barbarie nazi-fascista.


L'ingresso di Auschwitz visto dall'interno (foto di Gabriele Muzzarini).

29.11.09

Il Crocifisso: braccia aperte per ogni uomo

Vi sottopongo un'altra interessante riflessione.

In queste settimane noi pastori siamo stati più volte interrovati da cristiani e non cristiani sulla vicenda del Crocifisso. In molti siamo stati toccati dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che ne proibisce l'esposizione nelle aule scolastiche italiane perché sarebbe contraria al diritto dei genitori di educare i figli in linea con le loro convinzioni e per salvaguardare il pluralismo educativo di una società democratica.

Ci pare opportuno offrire a tutti queste considerazioni:

- Condividiamo le parole dei nostri vescovi e di tutti coloro che hanno espresso amarezza e perplessità sulla sentenza che ha colpito il segno che più rappresenta una grande tradizione, non solo religiosa, del Continente europeo. Con tale miopia come può l'Europa camminare?

- Facciamo nostro l'invito del Papa ai cristiani di avere coraggio nell'esprimere la propria fede, anche nelle forme pubbliche: troppe volte è pavido l'atteggiamento del cristiano ed insignificante la testimonianza di una fede che feconda tutti gli ambiti di vita.
Gerusalemme, via Dolorosa: un artigiano palestinese vende croci per la settimana della Passione.


- Ci sta a cuore domandare ai cristiani: questo segno del Crocifisso ha un senso vero per la tua fede, per la tua vita? Davvero richiama, appeso nelle nostre case o portato al collo, quella fiducia in Dio e quell'amore senza confini che sulla croce Gesù ci ha mostrato? Qui c'è la radice dell'identità del cristiano della quale, nella mitezza, siamo fieri.


- La rappresentazione della passione e della morte di Cristo, concentrata nel segno del Crocifisso, nei secoli è divenuta anche un simbolo umano, culturale, oltre che religioso. Il Crocifisso indica il prezzo pagato per creare pace, giustizia, fraternità, rispetto del valore di ogni persona. In questo senso non è offensivo né discriminatorio per nessuno ed è giustamente riconosciuto nel nostro ordinamento come un segno della nostra cultura, e non solo il segno confessionale della maggioranza degli italiani. Ecco il perché dell'opportunità dell'esposizione del Crocifisso nei luoghi pubblici ed istituzionali, in particolare nelle scuole: un segno a favore di tutti e mai contro qualcuno.

- La non cristiana Natalia Ginzburg scriveva nel 1988 in un articolo dal significativo titolo: Non togliete quel crocifisso: è il segno del dolore umano: "Il crocifisso non genera nessuna discriminazione, è l'immagine della rivoluzione cristiana che ha sparso per il mondo l'idea dell'uguaglianza fra gli uomini fino allora assente". E aggiungeva: "Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo".

- Per questo motivo non sono condivisibili dalla comunità cristiana atteggiamenti che fanno del Crocifisso un segno identitario brandito contro qualcuno: il Crocifisso non va strumentalizzato, né può essere usato in alcuna battaglia; né contro alcuna persona. Anche la storia lo ha insegnato. E' l'icona di chi alla violenza e all'ingiustizia risponde con parole di pace e gesti d'amore. Quelle braccia aperte sulla croce lo dicono più di molte parole.

- Eco perché difendendo il Crocifisso sui muri non si può restare indifferenti a quei "crocifissi" della vita (poveri, disoccupati, immigrati, disabili...) che esso tutti abbraccia: lui chiede a noi di fare altrettanto. Questo vale per tutti.

Affidiamo con amicizia queste parole alla riflessione dei cristiani e di chi non si riconosce in questa fede; crediamo infatti che il Crocifiso abbia la capacità non tanto di scaldare e dividere gli animi, quanto di stimolarli a guardare a Dio come al nostro miglior alleato e agli uomini come a fratelli di cui prendersi cura.
Fraternamente.


I preti del decanato di Bresso, Cormano, Cusano ("Informatore San Carlo", dicembre 2009)

5.11.09

No, la laicità non significa togliere il crocefisso, simbolo d'amore


Non sono d’accordo con la sentenza della Corte europea dei diritti e non mi piacciono la gran parte delle reazioni della politica e della chiesa italiane. D’impulso direi: giù le mani dal crocefisso, chiunque voi siate, cattolici, cristiani, atei, agnostici, giudici europei o italiani, cardinali, leader politici. Non si cancellano consuetudini (non tradizioni) con sentenze anche illuminate e dal punto di vista della difesa della laicità dello Stato ineccepibili. So che mi attirerò le ire di tante e di tanti, ma trovo la polemica sul crocefisso inutile, sopra le righe e soprattutto ipocrita. L’Italia è un paese cattolico e non si può offendere il sentimento popolare rispetto alla religione? Forse no, forse sì, non è questo il punto. Il nostro paese ha un lungo percorso da fare dal punto di vista dell’emancipazione dai poteri superstiziosi delle gerarchie cattoliche. Il misticismo cristiano, dopo alcuni falliti tentativi di correzione da parte del Concilio Vaticano II, è di nuovo ripiombato nella magia blasfema, nei riti di guarigione fisica e spirituale saccheggiati da tutte le tradizioni religiose precedenti e coeve. In questo clima, si è scientificamente lavorato per l’ampliamento della devozione infantile del popolo di Dio, che è tagliato fuori da qualsiasi dibattito e determinazione teologica, dalle approfondite riflessioni esegetiche. Quando una religione è utilizzata da ristrette schiere, che a seconda delle posizioni dominanti propinano visioni parziali se non strumentali del Vangelo, è destinata a essere tragicamente faraonica, imbellettata da ori, pietre preziose, incensi, pompose processioni. Un’egoistica aridità che negli ultimi ventanni ha dato sfoggio di se, facendosi scudo di migliaia di nuovi santi presentati come il rinnovato pantheon a difesa di una fede, che lascia il posto alla credulità. Naturalmente certa politica ci va a nozze: più c’è dipendenza morale, incapacità di discernere, e più il potere agisce indisturbato, tronfio di un’alleanza affaristica con i gerarchi cattolici. Tutto questo non centra proprio nulla con il crocefisso che è il simbolo dell’estremo amore, del disinteresse, del rifiuto di ogni compravendita della fede. Cancellare di colpo il simbolo della cristianità dagli uffici pubblici sarebbe un buon passo in avanti verso un completamento della laicità dello Stato? No, credo solo che riproporrebbe una antica e non paritaria lotta tra credenti e non credenti, élites guelfe e ghibelline, cui non interessano affatto comprendere che il sentimento religioso travalica i loro maneggi di potere. Farsi il segno della croce dentro una chiesa o davanti a un cimitero è usuale, mentre quasi nessuno pensa di compiere quel gesto davanti a un crocefisso appeso in un’aula di tribunale. Ritornare al pre fascismo sarebbe auspicabile, ma la storia dovrebbe aver insegnato che ogni tempo ha bisogno di soluzioni possibilmente nuove. Con quale educazione religiosa dobbiamo fare i conti? Quale senso civico e gelosa separazione tra Stato e chiesa sono maturati grazie all’opera delle classi dirigenti italiane? Strappare il crocefisso da quei muri, non ascoltando le starnazzanti urla delle potenti sottane degli eunuchi per il regno dei Cieli, o peggio dei disgustosi politici devoti (non al Cristo, ma all’organizzazione del papa Re) significa offendere non Dio, ma l’amore che milioni di italiani hanno nei confronti di un simbolo di genuina pietas. In questi tempi di sprofondamento morale, se proprio dobbiamo togliere simboli religiosi, separare i mercanti del Tempio da Dio, inizierei dalle pesanti collane d’oro, di cui si ornano schiere di monsignori, cui sono appesi orribili croci tempestate di preziose pietre. Riporterei all’essenza il messaggio cristiano, senza arrivare alla spogliazione, almeno cercando di avvicinarmi al buon gusto. Invece di perdersi in assurde diatribe, perché non apriamo una vera e concreta riflessione su cosa oggi è la religione cattolica, perché continua a persistere nel 2009 il Concordato, perché a ogni inaugurazione, cerimonia ufficiale dello Stato siano necessarie schiere di edonisti preti, che senza alcun senso di preservazione della decenza, benedicono eserciti, monumenti, onorificenze, e così via? La croce, simbolo per quanto mi riguarda anche di tutte le malefatte e tragedie consumate nel suo nome, è la nostra possibilità per ricordare come esista una volontà altra di amore, di cui gli umani difficilmente riconoscono l’importanza, che siano cristiani o meno. Vi è poi un punto non indifferente che va indagato con serietà: quanto quel simbolo sia oggi percepito come invasivo dalle minoranze religiose non cristiane così fortemente in ascesa nel nostro Paese. Anche in questo senso mi sembrerebbe utile aggiungere nuove culture, credenze e aspirazioni, più che cancellare un simbolo che per la stragrande maggioranza degli italiani significa unità e non divisione, nonostante il cattivo spettacolo che i suoi tanti interessati sostenitori propugnano sulle televisioni nostrane. E ai miei amici e compagni Radicali e del Prc, vorrei solo dire, che testimoniare la laicità come hanno sempre fatto, è un bene prezioso per tutta l’Italia, quindi, comprendo le loro prese di posizioni. Mi permetto di rilevare che la sottrazione di quel simbolo non sarebbe oggi una vittoria della libertà sulle visioni autoritarie, ma sarebbe interpretato dai più come un protervo gesto di violenza culturale. Le posizioni devono rimanere ferme: dai a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. La commistione tra politica e pregiudizio è talmente forte che il primo segno di buon senso è quello di impegnarsi in un lungo percorso di cambiamento educativo, che non passa attraverso le scorciatoie, come troppe volte ultimamente sta imboccando la sinistra politica e mediatica italiana; alla fine si sbatte sempre la testa.


Aurelio Mancuso - presidente Arcigay

29.10.09

Il serpente antico

L'ultima ingiuria, adesso, sarebbe definirla "donna con le palle". L'ultimo, estremo affronto del paganesimo sessista a Roberta Serdoz e, con lei, a tutto il genere femminile.

Negarne l'alterità, quindi la ragion d'essere. "Donna con le palle": cioè coraggiosa, nobile, forte, determinata, razionale. Cioè, maschio. Una donna che dimostra le qualità elencate, secondo la vulgata pagano-sessista, non può appartenere a sé e al suo sesso. Sesso viene da "secare", dividere, e il sesso femminile, per il paganesimo sessista, è di per sé divisione, mancanza. Peggio: nullità.

Il paganesimo sessista procede per sottrazione, poiché teorizza l'esistenza d'un solo vero sesso, quello maschile. Il quale però, contrariamente all'etimologia del vocabolo, è esaltato a paradigma assoluto, parabola suprema, e divinizzata, dell'intera umanità. Relativo che diventa totalità.

Per il paganesimo sessista nessuna donna possiede pertanto qualità positive, né i suoi comportamenti possono essere presi a modello. Se ciò avviene, è perché essa ha rinunciato alla sua femminilità-inesistenza per riempirsi e significarsi (travestirsi?) del divino maschile. "Donna con le palle", quindi: fatta uomo.

Roberta sta reagendo con una dignità che sfiora l'eroismo allo scandalo che ha travolto il marito. Il marito? Lei stessa, in realtà, e, ancor prima di lei, le figlie dei due, in particolare la più piccola, che a otto anni ha visto infrangersi contro il turpe muro d'un'umanità brutta, dentro e fuori, l'idolo paterno destinato a diventare, soltanto e naturalmente, l'uomo più amato.

Roberta reagisce restando al suo posto, continuando a lavorare, intenzionata a non abbandonare il consorte. Il più debole è lui, s'è detto da più parti, il più bisognoso d'aiuto, ed ecco accalcarsi attorno al pover'uomo schiere di psicologi, monaci, amici, politici, anime pie, tuttologi e professionisti della lotta alle discriminazioni. Militanti gay hanno espresso la loro vicinanza all'ex-governatore del Lazio e denunciato l'"imperante clima di transfobia e omofobia"; ma nei confronti di Roberta e delle bambine nemmeno una parola.

Tanto, è una "donna con le palle"! E' tenace, resisterà. Più probabilmente, di lei non s'è curato nessuno.

Nessuno si domanda quanto dolore, quale immane catastrofe psicologica si nascondano dietro il volto deciso, il sorriso franco e commovente di Roberta. Al paganesimo sessista importa solo l'apparenza, la lacrima esibita, la parodia della sofferenza. In una parola: la sceneggiata. Viviamo o no, nel gran teatro del mondo?

Soprattutto Roberta e le figlie, in questo momento, necessitano dell'aiuto maggiore. Ne hanno bisogno, anzi, diritto, proprio perché non lo invocano. Perché sono le più umiliate, le più negate. E, si badi bene: l'intenzione di chi scrive non è nemmeno quella di demolire Marrazzo e le sue personali miserie. Che, come dice la parola stessa, in senso stretto meritano soltanto commiserazione. Piero Marrazzo non è più colpevole d'un Cosimo Mele che va a mignotte e coca dopo aver sfilato al Family Day, né d'un Sircana che s'intrattiene - anche lui - con una trans sul marciapiede della capitale, né, naturalmente, di "utilizzatori finali" (elencare tutti i link a questo proposito sarebbe impossibile...) che non solo gozzovigliano con prostitute e minorenni (parola di moglie), ma se ne vantano pure, non sognandosi di dimettersi, bensì elevando a valore il loro degradato stile di vita.

L'uomo Marrazzo risponde soltanto alla sua coscienza (del presidente Marrazzo ci occuperemo più avanti). La donna Roberta Serdoz rappresenta tutte noi.

Tra i tanti commenti che hanno riempito le pagine dei quotidiani in questi giorni, ne ho trovati tre degni di nota, firmati rispettivamente da Giulia Bongiorno e Marina Terragni ("Corriere della Sera").

"Di fronte a un tradimento, qualunque tradimento, si tende a ritenere che una donna abbia una sola alternativa: tutelare la propria dignità chiudendo il rapporto, oppure custodire l'unità familiare e la sua immagine", annota Bongiorno. Ma quest'ultimo caso - la salvaguardia delle apparenze e il dovere coniugale - è la tipica scelta coatta delle donne sottomesse e tradizionaliste; non certo di Roberta Serdoz che invece, libera ed emancipata, svolge anche una solida professione di giornalista e conduce una vita sua. Nulla di più logico, quindi, dell'abbandono del tetto coniugale. Ma non accade: "Perché lei ha deciso, in piena libertà, che in questo frangente la priorità non è lei stessa. E così ha compiuto una vera scelta di emancipazione: si è emancipata persino dal bisogno di dimostrare la propria dignità. Ci ha rinunciato, sapendo di non esserci costretta", conclude la presidente della commissione Giustizia.

Ci troviamo di fronte a un passaggio fondamentale. Da sempre, e anche in questa particolare situazione, i sacerdoti del paganesimo sessista agitano lo spettro della femmina diabolica, il cui sesso è contemporaneamente nullificato e tenebroso, la cui natura è inesistente ma pericolosa, imperfetta ma temibile. Ancora qualche giorno fa, il cardinale Antonelli ha tuonato contro il femminismo che, assieme a gay, neomarxisti e addirittura "ambientalisti estremi" (?!?), insidierebbero la sacertà della Famiglia Tradizionale (E anche il suo Papa, spalancando scandalosamente le porte agli anglicani più retrivi e intolleranti - gesto empio reputato, da osservatori accecati e storditi,"Corriere" in primis, addirittura ecumenico... -, si muove nella stessa direzione.)

Secondo Antonelli, Ratzinger e gli alfieri del paganesimo sessista, unico compito della donna, per la sua natura incompiuta e peccaminosa, è stare asservita all'uomo, subire le sue prepotenze senza lagnarsi mai, partorire con dolore, ché questo è lo scotto da pagare per averlo strappato all'Eden. Poiché la donna non si può eliminare, come pure sarebbe desiderabile secondo tale visione, la si deve tenere a bada, negarle una propria e individuale personalità, la quale, se affermata, costituirebbe necessariamente un contro-valore rispetto all'Ordine Costituito, maschile. In questa prospettiva il femminismo, che al contrario esalta la diversità-ricchezza delle donne e si batte per la loro affermazione indipendentemente da chiunque, non può che risultare eretico e perverso, foriero di sovvertimenti e di divisioni.


La vicenda di Roberta Serdoz smaschera, ancora una volta, la menzogna di queste tesi. Roberta resta accanto al marito non perché deve farlo, ma perché lo vuole; e lo vuole seguendo una sua libera scelta, ascoltando il suo cuore, valutandolo, rispettandolo. E' vero: le donne amano vivere in relazione. Ma non perché non abbiano valore in sé; bensì perché valorizzano gli altri e loro stesse attraverso una spontanea auto-donazione. Gli uomini sono manichei; le donne in tale ottica, forzando il concetto, più "naturalmente" cristiane.

E, sempre in tale ottica, il femminismo aiuta la famiglia (certo, anche quella tradizionale mitizzata dal card. Antonelli), e non la insidia affatto. Tantomeno la distrugge.

Gli uomini non l'hanno ancora compreso, né sono stati in grado di fornire una risposta altrettanto valida al femminismo. L'hanno dapprima combattuto, poi irriso, infine subìto, ma mai sfruttato come occasione di crescita anche per loro.

Pertanto l'esortazione a "pensarci un po' su", che si legge nel contributo di Marina Terragni, può e deve essere accolta soprattutto dagli uomini; viceversa, frasi come "Dispensatrici di bellezza e di gioia, le donne hanno rinunciato per sempre a questa prerogativa divina... Valgono questo prezzo, i loro strepitosi guadagni?", rischiano di suonare terribilmente ambigue e fuorvianti. Come se l'attuale distorsione maschile sia imputabile, ancora una volta, al femminismo aggressivo ed emancipatore. Terragni continua così: "Mi scrive, straordinariamente sincero, un lettore sul blog: 'Il vero unico desiderio è vivere momenti di bel cameratismo con altri maschi... Anche il travestito, ama esclusivamente il mondo maschile e ritiene che la sua missione sia dare amore ad altri maschi, di cui comprende le sofferenze profonde che nessuna donna potrebbe lenire' [...]. Molti maschi regrediscono a un consolatorio 'tra uomini'. Un mondo a cui le donne non hanno accesso; solo maschere di donne, come sulle scene del teatro medievale; solo pseudo-donne, a misura di un immaginario semplificato e un po' autistico. Un'omosessualità spirituale e culturale che può contemplare anche un passaggio strettamente sessuale". Qui emerge un'altra e, se possibile, più complessa questione, che le analisi attuali, sia per effettiva mancanza di basi culturali, sia per timore d'infrangere il "politically correct", non affrontano mai del tutto. Ci ha provato Umberto Galimberti, che non a caso è stato in malafede accusato, di omofobia, transfobia ecc. ecc.

Poniamoci, innanzi tutto, una domanda. La regressione menzionata da Terragni e Galimberti, e che quest'ultima sembra attribuire all'autonomia e alla libertà femminili, è realmente una malattia contemporanea? In parte, senza dubbio, sì.
Abbiamo accennato all'uomo Marrazzo. Ma il governatore Marrazzo è altra cosa. L'ozio d'un potere molle e sfatto arriva a sfigurare i luoghi più evocativi, sacri e (perché no?) nobilmente "paterni" in cui si riconosce la comunità (Marrazzo consumava i suoi piaceri in via Gradoli, memoria storica del rapimento Moro, B. riceveva la sue cortigiane a palazzo Grazioli; e i carabinieri corrotti e ricattatori, privi di volto e d'anima, hanno persino abdicato alla loro storica ragion d'essere). La mercificazione del corpo; la (in)cultura del qui e ora; l'impotenza da Basso Impero o, meglio da Impero (del) Basso, anatomicamente inteso; il ripiegamento su sé stessi; la serra riscaldata della compagnia d'un proprio simile, anziché la sfida ma anche l'entusiasmo di mettersi in gioco con qualcuno opposto a te; tutto quanto è tipico del nostro tempo. Quanto all'"omosessualità culturale e spirituale" denunciata da Terragni, e che ha ben poco da spartire con l'effettiva condizione vissuta da alcuni uomini e donne, sarebbe più appropriato definirla, con Luce Irigaray, "uomosessualità". Conta relativamente poco, infatti, il sesso dell'altro, perché conta poco l'altro. Conta la sessualità dell'uno, o il suo degrado, la sua insaziabilità e, al tempo stesso, la folle ricerca di piaceri tanto più proibiti quanto più facilmente "degradabili". La donna è accettata solo come prostituta, poiché merce in vendita, sottomessa per contratto. Ma la trans va oltre, donando all'uomosessuale l'illusione d'un potere assoluto, che nemmeno la prostituta donna, per quanto assoggettata, ormai accetta più. Lo scambio non è mai alla pari e non si crea nessuna vera relazione, ma una masturbazione a due (o a più), un moltiplicarsi di specchi che riproducono un'unica immagine.

E' contro questa cultura che si scagliarono san Paolo e Dante. I quali, non per nulla, additavano il vizio in personaggi di alto livello sociale, politico e culturale; nei potenti dell'epoca. E il potere è prevaricazione.

Eccoci tornati, quindi, al punto di partenza. Il disfacimento è senz'altro un "segno dei tempi"; diciamolo senza tema, un rifiuto dell'altro che è anche un rifiuto del totalmente altro: Dio. Una forma di idolatria che però, contrariamente a quanto afferma Galimberti, non è ancora la più grave delle regressioni. Già se ne profila una peggiore, dopo il mercimonio di entrambi i sessi e il prevalere dell'uno sull'altro: la pedofilia. La soglia d'attenzione rispetto all'abuso del minore si sta pericolosamente abbassando. Personaggi noti, spettacoli, giornali e persino annunci pubblicitari veicolano messaggi sempre più espliciti, a cui ci si sta quasi abituando. E niente più della pedofilia dà sfogo al delirio d'onnipotenza e di sottomissione, una "prova di forza" ottenibile senza alcuno sforzo ai danni di un individuo per sua natura debole e non formato. La pedofilia, dunque, è il punto d'arrivo e costituisce un arretramento verso la bestialità.

E' un segno dei tempi. Ma è anche un segno senza tempo; un serpente antico. La tentazione primordiale. Perché fin qui non si è parlato di sesso, ma di violenza, blasfemia, dominio, superbia. Violenza e superbia che, nel corso della storia, si sono manifestate in diverse forme, ma che hanno un'unica origine.

Questi sono i frutti del paganesimo sessista; questo è il risultato del rifiuto del dialogo, della sottomissione forzata d'una metà del genere umano, spesso benedetta persino da rappresentanti della religione (non a caso, uomini). E' fenomeno recente? E' colpa delle femministe? Degli omosessuali? Dei marxisti? Degli ambientalisti? O non è, piuttosto, colpa di tutti noi, quando puttaneggiamo, in misura maggiore o minore, con l'ingiustizia, la soverchieria e il potere?

15.10.09

FINE DELLA MISSIONE A NASSIRIYA PER L'ITALIA: L'Eni si è aggiudicata Zubair, uno dei maggiori giacimenti di petrolio al mondo

Fine della nostra missione a Nassiriya...

è stato raggiunto, alla faccia di tutti quei morti innocenti.

Nel mezzo ci sono una montagna di soldi spesi per portare la "pace" in quei territori, i soldati morti nella strage di Nassiriya e tante menzogne vomitate dai media per nascondere le vere motivazioni della missione in Iraq.

Come volevasi dimostrare... anche col servizio mandato in onda sempre da Rainews24 In nome del petrolio - la verità scomoda (NASSIRIYA) e ripreso da noi qualche tempo fa...


"Zubair è uno dei maggiori giacimenti di petrolio al mondo". Non nasconde la soddisfazione l'ad Eni, Paolo Scaroni, in un'intervista al "Financial Times": il cane a sei zampe si è aggiudicato la concessione per lo sviluppo del giacimento 'giant' Zubair, in Iraq.

Il campo, spiega Scaroni, "è uno dei pochi in grado di produrre più di un milione di barili al giorno". Scaroni ha poi precisato che l'obiettivo di innalzare la produzione del campo da 200.000 barili al giorno a 1,125 milioni entro sette anni potrebbe richiedere investimenti per circa 10 miliardi di dollari.

No allo spezzatino

L'idea del fondo Knight Vinke, l'azionista Eni che preme per una separazione delle attività del gas da quelle del petrolio, "distruggerebbe valore" del gruppo petrolifero, sostiene Scaroni sul Financial Times. "Essere così grandi nel gas - afferma Scaroni - è molto positivo per la nostra attivita' petrolifera. Il semplice fatto che compriamo gas dall'Algeria, dalla Libia e dall'Egitto ci rende leader nell'upstream (petrolifero) in questi tre Paesi, che rappresentano così il 40% del nostro upstream petrolifero". Nell'intervista, Scaroni nega anche qualsiasi interesse nel nucleare italiano, su cui invece spinge il fondo Knight Vinke: "Al momento - spiega - non fa parte dei nostri piani".

Greggio verso i 70 euro

Nell'intervista, Scaroni si sofferma anche sul prezzo del petrolio, giudicando "realistico" un livello intorno ai 70 dollari e affermando che la crisi ha inciso sui prezzi meno del previsto: "Sono piuttosto sorpreso dai livelli dei prezzi del petrolio attuali, perche' pensavo che sarebbero stati molto più bassi".

Fonti:


(A cura di STOP THE CENSURE)

19.9.09

Abominio - 2

Mette a dura prova i nostri ideali - e Giuseppe Scano l'ha lucidamente sottolineato - ma le tentazioni appartengono alla vita umana. Proprio perché non sono un'imbelle irenista, e ho sempre scritto con onestà, non temo di mostrare il seguente filmato.

E poiché, anche in queste ore buie per l'umanità, non temo le parole, spero abbiate fissato bene i volti dei due assassini di Sanaa Dafani, la cui vicenda ricalca quella della tristemente nota Hina Saleem. Li ho nominati al plurale, perché, se solo il maschio ha scatenato materialmente la sua furia belluina ("voleva decapitarla", ha accusato il fidanzato), la femmina che giustifica il suo complice-padrone è colpevole quanto lui. Maschio e femmina, non uomo e donna, non marito e moglie, non padre e madre, non famiglia. 45 anni lui, 39 lei, e ci appaiono così decrepiti e inguardabili. Tanto bella la ragazza, quanto brutti gli assassini. Orrenda la femmina, orrendo e senza scampo quel suo sguardo fisso, ottuso, cieco. La bruttezza dell'ignoranza, della cattiveria, e, sì dell'inferno che certamente attende lei e il suo compare. Bene ha fatto il Comune a giudicarla indesiderata e, come speriamo, a toglierle la potestà sulle altre due bimbe, sorelline di Sanaa, concepite in modo insano e inconsapevole (anche i ratti figliano) assieme al correo, nella probabile, vana attesa del nuovo Maschio Dominatore, l'Erede del Capo di Casa.

L'ignoranza non merita perdono umano, perché alla sua base c'è sempre un atto di volontà. Tutto il resto, la sventatezza, l'annullamento, deriva da questa radice malata. Non ho più nulla da aggiungere se non l'affilata condanna di Michele Serra, comparsa ieri su "Repubblica":

La pena peggiore, per il padre assassino di Sanaa Dafani e per tutti quelli come lui, sarebbe esere costretto ad assistere al futuro del mondo. Vedere morire lentamente il dominio dei padri, dei fratelli, dei mariti sulle mogli e le figlie. Vedere morire lentamente tutte quelle orribili leggi scritte da preti (maschi) di ogni religione bestemmiando e usurpando il nome di Dio, leggi e regole fonte di prigionia, di lutto, di mortificazione, di tristezza, di senso di colpa, di ignoranza, di esclusione, di discriminazione, di sottomissione per miliardi di esseri umani passati e presenti. Vedere la forza dell'eros che schianta l'albero fradicio della supersitizione e della costrizione. Vedere il disordine della libertà che vince sull'ordine cupo e idiota nel quale credono i padri padroni e le loro vecchie mogli asservite. Vedere la giovinezza (Sanaa aveva diciotto anni) trionfare sulla decrepitezza delle regole arcaiche.
Succederà. Ci vorranno ancora secoli, ma succederà. Peccato che il padre di Sanaa, e tutti quelli come lui, non possano essere puniti assistendo fino in fondo al crollo del loro orribile mondo, che mostra il bastone, la frusta, il coltello alla figlia che tenta la fuga. Famiglia e religione devono servire alle persone. Nessuna persona deve essere serva della famiglia e della religione.

Michele Serra

Fotogramma dal film Una questione d'onore (1965): un contadino sardo (Tognazzi) canta una serenata alla fidanzata. Pur amandola, l'uomo la uccide sospettandola di adulterio: tutto il paese (donne comprese) approva il gesto.










29.8.09

La trappola

Altri gay malmenati, ingiuriati, minacciati di morte. Persino Daniele Priori, presidente di GayLib, associazione legata al centro-destra (pur se non ne capirò mai le ragioni, in questo momento storico). Per il resto non mi stupisco, il clima che si respira ormai da diversi ha dato la stura all'omofobia più vieta e truculenta, che un tempo, per motivi di decoro, si tendeva almeno a occultare - leggetevi un po' i commenti al menzionato link di Priori... -. E nulla di sorprendente se gli Svastichella agiscono in tutta pace, pienamente liberi, e non si scomodano neppure a fuggire; tanto, sono nel giusto! Sale la rabbia, incontenibile, verso i 15 - ripeto: quin-di-ci! - delinquenti in erba che hanno cercato di accoppare due tizi solo perché sembravano gay, pardon, froci (si è tornati a chiamarli così). Roba che accadeva, al massimo, negli anni Cinquanta. L'ennesima vittima è stato il cantautore e trasformista Emilio Rez: non ha perso l'ironia, ci ha informato che "le sue paillettes sono salve".

E' comunque bene ricordare che la legge anti-omofobia non è mai andata in porto a causa della contrarietà del Vaticano, del Pdl e dei (cospicui) settori clericali dell'"opposizione" facenti capo all'illibata Binetti. Buttiglione, poi, non sarebbe nemmeno il caso di citarlo: secondo lui, una legge di tal fatta ci riporterebbe niente meno che "al Medioevo, perché si priviligerebbe una classe sociale" (!). Ma sappiamo bene che, fosse per il nostro filosofo ciellino, i sodomiti meriterebbero il rogo. Qualcuno, a quanto sembra, ci sta comunque pensando seriamente.

Mi tocca, adesso, affrontare un argomento che avrei evitato, tanta è la ripugnanza che mi suscita. Purtroppo, vi sono costretta.

Ci hanno risparmiato la pagliacciata blasfema della Perdonanza, con B. che ovviamente se ne impipa di penitenza e comunione, ma teneva molto ad apparire accanto al cardinale potente e benevolente (cfr. l'analisi di Vito Mancuso). Non è accaduto, ma è una magra consolazione perché ad abominio s'è aggiunto un abominio peggiore. Mi riferisco al killeraggio giornalistico di Feltri ai danni del direttore di "Avvenire", Dino Boffo. Ricorro proprio al termine di quest'ultimo, perché di killeraggio si tratta. A scanso di equivoci: della sessualità di Boffo, etero o omo che sia, non me ne importa - in senso letterale - proprio niente. Io non considero una persona migliore, o più buona, o più intelligente, solo perché gay. Esistono gay buoni e gay cattivi, gay geniali e gay assolutamente stupidi, artisti e portalettere, ecc. ecc.

Nel caso del Boffo, un'eventuale omosessualità costituirebbe semmai un'aggravante, poiché non solo non ha fatto nulla, nella sua attività giornalistica, per liberare i gay dai pregiudizi, ma li ha anzi alimentati diffamandoli, chiamandoli pervertiti, malati, miscredenti ecc. Mai uno sguardo non dico cristiano, ma umano su di loro. E qui casca l'asino: Feltri è un uomo che confonde artatamente il senso morale (di cui lui, peraltro, è del tutto privo) col moralismo. Della "condanna" di Boffo [risalente, secondo lo stesso "Giornale", al 2004, ma subito bollata come un'"emerita patacca"] era certo a conoscenza da diverso tempo, ma non ne ha mai fatto cenno, per non turbare gl'idilliaci rapporti tra il suo padrone e le gerarchie ecclesiastiche. Poi, a un certo punto, qualcosa s'è rotto. Poco, in verità (non s'illuda la sinistra): malgrado le recenti scaramucce, Vaticano e Pdl cercheranno in tutti i modi di salvare il loro "patto d'acciaio". Ma anche quel "poco", ormai, al piccolo Cesare non va più bene. Altro che "Repubblica", ormai non sopporterebbe più nemmeno se il maggiordomo Ghedini osservasse che ha la cravatta storta. Ed ecco il suo arciere, l'indomito Feltri, parte lancia in resta, smarronando anche un po', risultando, alla fine, più realista del re: al punto che gli ha rovinato il desiderato incontro rappacificatore. A B. devono essere girate un bel po' le balle: ma, ormai, la frittata era fatta: Perdonanza archiviata.


Berlusconi si auto-assolve sghignazzando: "Non sono un santo...". Il machismo va sempre di pari passo con l'omofobia.



Non posso pertanto condividere l'entusiasmo di Franco Grillini e la sua miope lode al "Bravo Vittorio". Egli scrive che Boffo ha "passato il proprio tempo a sparare a zero sugli omosessuali, sulle donne che abortiscono, su chi si rivolge ai centri per l'inseminazione assistita, sui divorziati, e chi più ne ha più ne metta". Tutto vero, ma forse Grillini dimentica che è esattamente quanto ha fatto Feltri, prima da "Libero" poi dal "Giornale", fino a poche ore fa: plausi al Vaticano (e a Boffo), e attacchi inverecondi agli omosessuali, una volta Marcello D'Orta (lo stesso di Io speriamo... o si tratta d'un omonimo?) se la prese addirittura con Renato Zero (e col Renato del 2006, mica dei tardi '70). Non è che adesso siano diventati improvvisamente pro-gay. Semplicemente, scrivono a suocera perché nuora intenda. Ciò che preme davvero a Feltri non è certo smascherare l'ipocrisia, bensì, ancora una volta, difendere il Capo. Dimostrando che "semo tutti ladri", che "il più pulito c'ha la rogna", Feltri vuol instillare negli italiani, più di quanto non esista già, che i valori sono chiacchiere, che il bene non esiste, o meglio, che la verità in quanto tale è liquida (Z. Baumann), e, in ultima analisi, niente è vero perché tutto è vero. E' quello che nel Vangelo si definisce "peccato contro lo Spirito santo", l'unico, non a caso, irremissibile per sua natura. Come nell'epilogo del Grande Fratello (il libro, non il reality): se lo ricordate, l'ispettore della polizia segreta tormenta il protagonista con una domanda banalissima, quanto dà uno più uno. Il disgraziato imbastisce alcune risposte sperando di compiacere il suo aguzzino: fa due? no? fa tre? nemmeno?... Al termine, esausto, capitola: "Non lo so". E a quel punto l'ispettore è contento. "Non lo so": cioè, non so più dove stia il bene né il male, è tutto così confuso, e solo allora la mente è manipolabile dall'imbonitore di turno. Se non si capisce questo, l'attacco finale alla democrazia è già vinto senza che ce ne accorgiamo. Proprio come accade al protagonista del Grande Fratello.

26.8.09

Non siamo tutti uguali

Da ieri sera, e per altre ventiquattro ore, la mailing list dedicata a Enzo Baldoni (EnzoB@yahoogroups.com) sarà aperta ai messaggi in occasione dei cinque anni dalla scomparsa del giornalista. Un lustro. Lustro come il ricordo, forse, oppure no. Giorni fa, su Facebook, ho inserito un video di Telepace, che informava dellatitolazione d'una piazza a lui, a Enzo. Non ho ricevuto nemmeno un commento.

Lustra è la nostra memoria, appianata, morta, forse mai vissuta. Enzo è diventato, suo malgrado, un segno e una coscienza.Il corpo di lui, uomo così fisico, ancora non c'è. Enzo è associato a un passato che ci sormonta, alla dabbenaggine dei nostri governanti di allora, che sono gli stessi di adesso, alle ingiurie urticanti della stampa viscida e servile, alla foschia delle sabbie, ad altri Drogo persi, nel sole cisposo, manciate di minuti, secoli fa.C'è chi non ha dimenticato, si capisce. Molti, anzi. Ma non se ne parla in giro, pertanto non esistono. "Ci manchi", "Addio balena" (era il suo soprannome). Per tutti valgano le accuse di Franco Gialdinelli, coordinatore della lista: "...mercoledì 26 agosto saranno trascorsi esattamente 1.825 giorni (comprese 14.600 ore lavorative diurne) durante i quali, mi risulta che nessun politico, nessun intellettuale noto, nessun magistrato e nessun rappresentante delle istituzioni e dello Stato, non ha mai poggiato un solo dito su una tastiera di un telefono o di un computer per denunciare che Enzo era stato trucidato anche grazie all’indifferenza e ai giochetti di scaricabarile del governo, dell’opposizione e della Chiesa". Enzo non era come tanti altri, non era uguale. Non siamo tutti uguali: lo ha ricordato ai sindacati (solo Cisl e Uil, la "sovversiva" Cgil è stata emarginata) il ministro Sacconi, di scuola socialista (craxiana) a proposito della differenziazione dei salari.

Non è mia intenzione disquisire in questa sede di economia. E' ovvio che la distribuzione di denaro varia da lavoro a lavoro. Ed è vero che sono stati commessi, in passato (e nel presente), degli abusi. Ma continuo ad arrovellarmi su quella frase, "non siamo tutti uguali", e, per quanto cerchi di limitarla e contestualizzarla, non posso che trovarla inquietante, sinistra. Disgustosa. E' buttata là, con impassibile sciatteria verbale, tale da non farci stupire se poi, come risulta, le matricole universitarie non conoscono più l'italiano. Le parole sono preziose, vanno centellinate. "Non siamo tutti uguali" sancisce una disparità di principio, genetica, irreversibile, è qualcosa legato al sangue, alle cellule. Il principio di diseguaglianza, innalzato a valore supremo dalla (in)cultura odierna, è l'esatta antitesi del diritto alla diversità su cui la democrazia si fonda e per il quale i nostri predecessori si sono battuti, e sono morti. E' in nome del principio di diseguaglianza ("non siamo tutti uguali") che sono stati condannati a una morte orribile, e nell'indifferenza generale, ottanta eritrei su indegni barconi d'immondizie. Immondizie umane. Non siamo tutti uguali. C'è qualcuno, pertanto, che ha la precedenza, che è più "umano" di altri, che va aiutato; ad altri, meno uguali, tocca necessariamente una sorte diversa. Nell'Ottocento si chiamava darwinismo sociale. E' in nome di questo darwinismo sociale riverniciato che il rappresentante d'un partito di governo può invocare impunemente l'eliminazione dei bimbi rom (o meglio, come dice lui, "dei" zingari).

E' sempre in nome del darwinismo sociale, supportato in questo caso da una massiccia dose di moralismo, che il responsabile dei gay accoltellati a Roma se ne stava a piede libero, e a casa l'hanno anche trovato, una volta che si è deciso di trascinarlo in guardina. Pare lo chiamassero "Svastichella" per note simpatie politiche e l'ammirazione nei confronti di mons. Fisichella, il quale, subito dopo l'aggressione dei due ragazzi, si sarebbe affrettato a premere sui politici affinché non approvassero una legge anti-omofobia, la quale, secondo lui, aprirebbe la strada ai matrimoni gay (!). Ho provato a immaginare la storia di Svastichella, la sua vita senza scopo, senza colori, attratta e insieme terrorizzata dai dolci dolori, dalle dune mosse, dai mille soli, dai domani alternati che la diversità dell'amore sa offrire e profondere. E che tanto sconvolgono gli animi anchilosati dei gendarmi della Diseguaglianza. Nel loro cupo universo non può esserci spazio per le scie dorate. Un coltello ha usato, non una pistola. Nessun modo migliore per deflorare un'assordante tenerezza che lo infastidiva, perché non poteva ammansirla, renderla uguale, lineare. Ed era tanto più convinto di essere nel giusto, che non aveva minimamente pensato a nascondersi. Perché? Da anni, ormai, lo sentiva ripetere, in televisione, dai pulpiti, sui giornali: non siamo tutti uguali. Da un lato noi, i buoni; dall'altro loro, i cattivi, i diseguali. Da eliminare; o, almeno, da prendere a calci in quel posto, come asseriscono altri simpatizzanti del governo in carica.

"Cosa spinge l’uomo a prevaricare un altro uomo fino a giungere alla esclusione e allo sterminio: il potere? Il sadismo? Il danaro? La sopravvivenza? - si chiede acutamente Silvio D'Amico. - Eppure se noi analizziamo i luoghi del razzismo questo attecchisce anche nei luoghi dove maggiore è la ricchezza e il benessere. Da ciò possiamo dedurre che la sopravvivenza poco ha a che fare con il razzismo e molto invece con tutto il resto. Ecco che allora di fronte a questa recrudescenza [...] si cela una battaglia etica. Riportare alla luce l’etica è il compito di chi crede che l’esclusione e il dominio non appartengano ai propri valori... L’universalità del pensiero non deve confondersi con il pensiero unico, in quanto universale essa è capace di racchiudere nell’universalità le diversità. E’ questa la ricchezza dell’Universalità. Cosa diversa è il pensiero unico da cui nasce il Totalitarismo. Se noi ci limitassimo a combattere il neorazzismo perderemmo di vista il problema dell’uomo. La fatica di accettare le diversità esita nel premio della sublimazione e colloca l’uomo e la donna nella sfera del divino. Facile è la condanna e l’esclusione, sublime è il perdono e l’accoglienza. La logica dell’esclusione genera un sentimento di paura che limita l’azione degli uomini e delle donne verso l’evoluzione sociale. La paura blocca le coscienze e innesca un meccanismo di autoconservazione generando l’istinto di sopravvivenza sorretto dalla necessità di esclusione. L’uomo è annichilito, incapace di comprendere le diversità, di accoglierle. Diventa un mero esecutore di azioni indotte da messaggi subliminali che dettano la pratica. Un meccanismo di perversione offusca le coscienze e conduce all’involuzione. Il germoglio della vita subisce il vento della violenza piegandosi fino a insabbiarsi. L’agonia della vita strazia le coscienze e innesca un meccanismo di rimozione che accantona l’evoluzione. Nella scala della vita il gradino più alto diventa insormontabile, meglio tornare indietro. Eppure dopo quel gradino iniziano le distese del mondo che dispiega tutta la bellezza del creato. L’armonia delle diversità si compongono nell’universalità dettando le note per un soave canto. La musica sublime allieta l’esistenza e apre un percorso nuovo di conoscenza. Eppure nella storia quel limite è invalicabile. Perché?". Vi lascio con questo interrogativo.

13.8.09

Ormai la conoscono tutti. Ormai lo sanno, che è stata nuovamente, ignominiosamente condannata ad altri inutili, protervi, impacciati, stupidi (poiché inutilmente crudeli) 18 mesi di arresti domiciliari. E' un problema di democrazia, hanno detto. Certo. Perché è un problema di donne. E di uomini.

Non per nulla un raro uomo che l'aveva compreso si chiamava Walt Whitman. For you o democracy, ricordate? No, arrestate i sorrisini. Non alludeva solo al "dolce amore dei compagni". Voleva pure le compagne, lui. Femminista, cioè compiutamente uomo, come Pasolini.

Aung la conoscono tutti, dicevo. Ma non si tratta solo di lei. Isabella Bossi Fedrigotti scrive di donne sole, libere e coraggiose. Concordo solo in parte. Nel suo commento usa il termine "fragilità". Sono forse fragili, Natalia Estemirova, Zarema Sadulayeva, Clotilde Reiss e, nemmeno a dirlo, Anna Politkovskaia e l'arcinota Neda Agha Soltan? E' forse fragile una giornalista come Lubna Ahmed al Hussein, che ha anzi preteso di essere ripresa il giorno che verrà frustata per aver "portato i pantaloni" (contrari alla tradizione islamica secondo le maschie corti sudanesi, e nemmeno sanno, ignoranti!, che lo stesso Profeta che tanto costoro affermano di venerare raccomandava i calzoni per le donne, in particolare per recarsi in moschea). Perché "fragile" è un aggettivo ambiguo, dolciastro, venato d'un tradizionalismo sospetto. Le donne sono sole, da sempre, questo è vero; non potrebbe andare diversamente, in una società dominata dal patriarcato più fosco e vieto. Ma la loro resistenza non è fragilità. A meno che non si consideri fragile un Gandhi, e, perché no, un Cristo, con buona pace del Vaticano che inorridisce al vederlo accostato a una femmina peccatrice.

Non è stata fragile Cory Aquino, prima presidente democratica di un Paese d'Asia (in Italia, una carica del genere ancora non è concepibile). Se ne è andata quasi dimenticata, uccisa da un cancro, mentre la compagna del dittatore assassino di suo marito, quel mélange tra Moira Orfei e Eva Peron Duarte che risponde al nome di Imelda Marcos presentava la sua fastosa collezione di orpelli, e si permetteva pure una preghiera per la "rivale". Santa donna! Magari un domani, sulle gesta di costei, gireranno un film, e pure una canzone; mi permetto di proporne il titolo: "Don't cry for me Philippina".

Non è stata fragile neppure Barbara Bellerofonte, forse per quel suo nome mitologico, peraltro d'un eroe così controverso. Lei no, a differenza delle congeneri sunnominate non era un'eroina. Non ne aveva bisogno, come non ne ha bisogno alcuna donna. La mentalità maschile, sessista e discriminatrice, pervasa da immaginifiche esaltazioni, per arginare il nemico sente sempre l'esigenza di dipingerlo come angelo o diavolo. Ma Barbara, come le altre, voleva solo essere sé stessa, vivere in pace col mondo e nel mondo. In tal senso non c'è differenza tra le coraggiose martiri della libertà e una ragazza calabrese stanca d'un fidanzato violento e prevaricatore, che non amava più. Lui, naturalmente, non poteva sopportare di perdere una "cosa" sua. Libero e spensierato dopo due anni, stranamente l'hanno riacciuffato, e le altre "sue donne" si lagnano frignando, povero, bravo ragazzo... Proust, sia pure in un contesto tutt'affatto differente, parlava di "uomini-donne", ma tra questi ultimi e le "donne-uomo" che perpetuano il machismo, non so chi sia il peggiore. Per loro vale il mio vecchio post; a tanto porta la "cultura" delle veline. E per adesso mi astengo, dato che mi trovo ancora al mare, dall'approfondire il discorso sulla feroce e pronta scomunica del Vaticano della Ru486 e delle donne "assassine" (seguita dalla barzelletta di quello spiritosone del sig. card. Poletto, secondo cui "l'omicidio comporta sempre una scomunica": infatti abbiamo visto come sono stati scomunicati i vari Hitler, Pinochet, mafiosi e pedofili... Il sig. Poletto ignora, o forse non gl'importa, che il numero delle donne vittime di omicidi da parte di mariti, padri e familiari ha superato quelli di mafia). Già lo scatenato don Paolo Farinella ha risposto agl'interrogativi, sia pur retorici, formulati da Vito Mancuso e Franco Monaco. La Chiesa sta coi ricchi, constatava a suo tempo Odon Von Horvàth in Gioventù senza Dio e, più tardi, lo stesso Pasolini. Aggiungiamo: coi ricchi di sesso maschile. Lo capiamo, politicamente è forse stato indispensabile per la sua sopravvivenza nel mondo. In questo mondo. Ma il cristianesimo è altro e altrove, e, come preannunciato, riprenderò il discorso di qui a qualche giorno.

5.6.09

LA CHIESA E I REGIMI DI DESTRA

La componente del mondo cattolico italiano più sensibile ai valori democratici prova, e in alcuni casi esprime a chiare lettere, un sincero sgomento per l'assordante silenzio delle gerarchie vaticane di fronte al pericolo costituito per la legalità democratica dalla destra italiana. Per la verità, mi pare che questo stupore sia del tutto immotivato: l'atteggiamento attuale è, infatti, assolutamente coerente con quello tenuto di solito dal Vaticano nei confronti dei regimi autoritari di destra. Di seguito, qualche esempio tratto dalla storia del secolo scorso, cominciando col fascismo che, riguardandoci più da vicino, merita un'attenzione particolare.

In Italia nel 1922 Mussolini è appena arrivato al potere e mostra subito le sue intenzioni autoritarie proclamando alla Camera che poteva "fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco di manipoli". La cosa non allarma il Vaticano, anzi il cardinale Gasparri, segretario di Stato, trova motivi per compiacersene e confida all'ambasciatore del Belgio presso la Santa Sede: "avvertire la Camera che resterà in funzione due anni, o solo due giorni, a seconda che si mostrerà ubbidiente o indisciplinata, è il colmo dell'audacia. Ma Mussolini ha terminato il suo discorso pregando Dio di assisterlo per portare a buon termine il suo arduo compito. Dal 1870 non si era più intesa, dalla bocca di un sovrano o di un ministro italiano, alcuna invocazione alla Divina Provvidenza. I liberali ... non si curavano della religione ... ed è un rivoluzionario convertito a dare l'esempio di un ritorno alle pratiche religiose. La Provvidenza si serve di strani strumenti per fare la felicità dell'Italia. Da parte mia, non rimpiango certo il parlamentarismo italiano, quando vedo Mussolini tendere risolutamente verso un governo conservatore".

Pochi mesi dopo, nella sua prima enciclica, Ubi arcano Dei, Pio XI, mettendo in guardia contro le agitazioni sociali e le ribellioni alle legittime autorità, sente il bisogno di sottolineare che esse sono più frequenti nei Paesi in cui è in vigore un regime basato sulla rappresentanza popolare, per il quale il papa pare non nutra particolare simpatia: "le forme di governo rappresentative, sebbene non condannate dalla dottrina della Chiesa (come non ne è condannata forma alcuna di regime giusto e ragionevole), pure è a tutti noto quanto facilmente siano esposte alla malvagità delle passioni". Non si può certo dire che con queste parole il papa abbia incoraggiato le forze politiche che si opponevano alla nascente dittatura.

Quando nel 1924, dopo l'assassinio di Matteotti, il fascismo sembra sul punto di crollare travolto dall'indignazione dell'opinione pubblica, tra i parlamentari popolari (privi del loro segretario, don Sturzo, già nel 1923 costretto dalle pressioni vaticane a dimettersi a causa della sua opposizione al nuovo ministero) e quelli socialisti si intavolano trattative per la formazione di un governo che possa succedere a Mussolini. Ma Pio XI coglie l'occasione di un Discorso agli studenti universitari cattolici per deplorare il possibile accordo: con una simile innaturale alleanza, infatti, i cattolici popolari porterebbero al potere il partito socialista, dichiaratamente favorevole alla detestabile separazione tra Stato e Chiesa, contrapponendosi per di più ai cattolici che si riconoscono nel partito fascista, e sarebbe "davvero penoso al cuore del Padre vedere buoni figli e buoni cattolici dividersi e combattersi a vicenda".

L'anno seguente, nell'enciclica Quas primas, Pio XI afferma che i governanti legittimi comandano per mandato di Cristo Re e conclude che, quanto più i cittadini saranno consapevoli che l'autorità viene dall'alto tanto più saranno pronti ad obbedire, e quindi si consoliderà una società ordinata e pacifica: "ancorché, infatti, il cittadino riscontri nei principi e nei capi di Stato uomini simili a lui, o per qualche ragione indegni e vituperevoli, non si sottrarrà tuttavia al loro comando qualora egli riconosca in essi l'immagine e l'autorità di Cristo". É appena il caso di ricordare che questo richiamo all'obbedienza valeva anche per quei cattolici italiani che ritenevano indegno e spregevole un capo di governo come Mussolini, che alcuni mesi prima in un discorso alla Camera si era assunto la responsabilità politica, morale e storica del delitto Matteotti.
Superato, quindi, il momento critico e messe definitivamente a tacere le opposizioni, Mussolini intensifica i rapporti col Vaticano, riuscendo nel 1929 a chiudere la questione romana. La Conciliazione tra Stato e Chiesa è indubbiamente un grosso successo per le due parti: da un lato rafforza il regime e dall'altro riconosce al cattolicesimo uno statuto privilegiato. Tralasciando gli aspetti più noti dell'accordo, può essere utile soffermarsi su quello economico. Da anni le finanze vaticane erano ridotte in condizioni disastrose e Mussolini aveva sempre mostrato grande sensibilità per questo problema: già nel 1924, e di nuovo nel 1925, aveva considerevolmente aumentate la rendita dei vescovi e la congrua dei parroci. Ma ora l'Italia versa alla Chiesa addirittura un miliardo in titoli e 750 milioni in contanti, e inoltre restituisce alcuni edifici ecclesiastici di enorme valore da tempo incamerati, esenta da ogni tributo le retribuzioni dovute a salariati e impiegati della Santa Sede e rinuncia ad imporre dazi doganali sulle merci importate dalla Città del Vaticano.
Non è necessario essere volgari seguaci di una concezione materialistica della storia per supporre che anche queste vantaggiose clausole finanziarie abbiano influito sull'entusiastico giudizio che sul Concordato appena firmato Pio XI espresse parlando ai professori e agli studenti dell'Università cattolica del Sacro Cuore: "Forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare, un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale, per gli uomini della quale tutte quelle leggi ... erano altrettanti feticci ... tanto più intangibili e venerandi quanto più brutti e deformi. ... [Con lui siamo riusciti] a concludere un Concordato che, se non è il migliore di quanti ce ne possano essere, è certo tra i migliori".

In effetti, che Mussolini sia libero da scrupoli di tipo liberale è certo, e infatti ha già instaurato in Italia un regime totalitario, che ora si può consolidare con le elezioni plebiscitarie tenute proprio poche settimane dopo la firma dei Patti Lateranensi. Difficile negare che l'atteggiamento del Vaticano abbia aiutato il fascismo a mettere radici in Italia, tanto più che è un fatto riconosciuto dallo stesso Pio XI quando, in seguito alle violenze di stampo squadristico scatenate contro le associazioni dell'Azione cattolica, nell'enciclica Non abbiamo bisogno del 1931 accusa Mussolini di scarsa riconoscenza: anzi, vera ingratitudine "rimane quella usata verso la Santa Sede da un partito e da un regime che, a giudizio del mondo intero, trasse dagli amichevoli rapporti con la Santa Sede, in paese e fuori, un aumento di prestigio e di credito che ad alcuni in Italia e all'estero parvero eccessivi, come troppo largo il favore e troppo larga la fiducia da parte Nostra".
E tuttavia, neanche nel corso di questa crisi, che costituisce il momento di massima tensione col regime, e con questo documento, che è considerato la più chiara presa di distanza da esso, il papa ha intenzione di rompere col fascismo. Infatti dichiara che le sue critiche riguardano singole scelte, certamente gravi e detestabili ma che possono e debbono essere corrette, e conclude l'enciclica con la rassicurazione che "con tutto quello che siamo venuti finora dicendo, Noi non abbiamo voluto condannare il partito e il regime come tali".

In effetti, i buoni rapporti permangono anche quando nel 1935 Mussolini inizia la conquista dell'Etiopia. Si tratta con ogni evidenza di una guerra coloniale, e quindi ingiusta per la morale cattolica. All'estero tutti la giudicano così, ma Pio XI sembra dar credito alla propaganda governativa che la presenta come una guerra difensiva e, rivolgendosi a duemila infermiere, afferma: "Noi non crediamo, non vogliamo credere a una guerra ingiusta. In Italia si dice trattarsi di una guerra giusta: infatti, una guerra di difesa per assicurare le frontiere contro i pericoli continui e incessanti, una guerra divenuta necessaria per l'espansione di una popolazione che aumenta di giorno in giorno, una guerra intrapresa per difendere o assicurare la sicurezza materiale a un Paese, una tale guerra si giustificherebbe da sola". Così, quando gli Italiani, facendo uso anche di gas asfissianti, conquistano Addis Abeba e Mussolini proclama Vittorio Emanuele III imperatore d'Etiopia, in tutte le chiese si canta un Te Deum di ringraziamento.

E persino nel 1938, quando sono appena state approvate le leggi razziali, fortemente discriminatorie nei confronti degli ebrei, Pio XI sembra ritenere che il merito di aver approvato i Patti Lateranensi, di cui è ormai prossimo il decennale, possa coprire tutti i demeriti di Mussolini, a cui esprime sincera gratitudine in occasione di un discorso al Sacro Collegio: "Occorre appena dire, ma pur diciamo ad alta voce, che dopo che a Dio, la Nostra riconoscenza e i Nostri ringraziamenti vanno alle eccelse persone - cioè il nobilissimo Sovrano e il suo incomparabile Ministro - cui si deve se l'opera tanto importante, e tanto benefica, ha potuto essere coronata da buon fine e felice successo". Del resto la Chiesa, se rifiuta un antisemitismo di carattere razziale, ha per secoli coltivato un antigiudaismo di carattere religioso. Nel 1924, per citare un solo ma significativo esempio, padre Agostino Gemelli, fondatore e rettore dell'Università cattolica del Sacro Cuore, scriveva: "se morissero tutti i giudei che continuano l'opera dei giudei che hanno crocifisso Nostro Signore, non è vero che al mondo si starebbe meglio?".

Con la Conciliazione Mussolini ha acquistato un merito indelebile anche per il nuovo papa. Nella Summi pontificatus del 1939, la sua prima enciclica, Pio XII infatti ricorda ancora con animo grato che dai Patti Lateranensi "ebbe felice inizio, come aurora di tranquilla e fraterna unione di animi innanzi ai sacri altari e nel consorzio civile, la pace di Cristo restituita all'Italia".

Della politica concordataria papa Pacelli è in effetti un convinto sostenitore, e già nel 1933, come segretario di Stato, aveva firmato il concordato con Hitler. Le trattative avviate dal Vaticano col governo tedesco inducono i vescovi, che avevano in precedenza espresso un giudizio fortemente negativo nei confronti del regime nazista, a modificare il proprio atteggiamento. Essi ricordano ora ai loro fedeli che debbono "adempiere con coscienza i propri doveri di cittadini, rifiutando per principio ogni comportamento illegale o sovversivo". La politica di Pacelli, letta in Germania come un avallo dato al nazismo, ha quindi provocato il disorientamento di milioni di cattolici tedeschi, che rinunciano ad ogni forma di opposizione, e la crisi del Partito del Centro Cattolico, che addirittura arriva all'autoscioglimento.

Deludendo le aspettative del Vaticano, Hitler non rinunzia però alle violenze contro i cattolici ma le proteste della Chiesa sono ormai inefficaci. L'enciclica di Pio XI del 1937, la Mit brennender Sorge, in cui il papa, accusando il governo tedesco di tollerare e addirittura favorire gli attacchi alla religione cristiana per sostituirla con la deificazione della razza e dello Stato, ribadisce che "il credente ha un diritto inalienabile di professare la sua fede e di praticarla in quella forma che a essa conviene" ma dichiara tuttavia di non avere perduto la speranza che finalmente il concordato possa trovare attuazione, può tutt'al più irritare Hitler ma non può certo mettere in difficoltà il regime. Del resto, il tono deciso delle parole del papa poco si accorda con l'atteggiamento conciliante mostrato nei mesi successivi in privato dal suo segretario di Stato, tanto che l'ambasciatore tedesco presso il Vaticano può comunicare al suo governo: "Pacelli mi ha ricevuto in modo decisamente amichevole e mi ha enfaticamente assicurato, nel corso della conversazione, che relazioni amichevoli e normali si sarebbero ristabilite il prima possibile".

Così il governo nazista continua a proclamare la religione del sangue, a perseguitare sacerdoti e sciogliere organizzazioni cattoliche, a imprigionare e uccidere ebrei, distruggendone case e sinagoghe: tutto ciò non induce il Vaticano a una condanna ufficiale. Anzi, divenuto papa nel 1939, nel comunicare a Hitler la propria elezione, Pacelli dà l'impressione che tutto in Germania vada per il meglio: "Noi stimiamo dovere del nostro ufficio dare notizia a Lei, come Capo dello Stato, dell'avvenuta nostra elezione. Al contempo Noi desideriamo assicurarla, fin dall'inizio del nostro pontificato, che restiamo legati da intima benevolenza al popolo tedesco affidato alle sue cure ... Nella cara memoria dei lunghi anni durante i quali, come nunzio apostolico in Germania, tutto abbiamo messo in opera per ordinare le relazioni tra Chiesa e Stato in mutuo accordo ed efficace collaborazione a vantaggio delle due parti ... Noi indirizziamo particolarmente in quest'ora al raggiungimento di tal fine l'ardente aspirazione che ci ispira e ci rende possibile la responsabilità del nostro ufficio".

Le atrocità commesse dal regime hitleriano negli anni successivi non sono sufficienti a convincere il papa ad abbandonare le ambiguità del linguaggio diplomatico. Solo nel giugno del 1945, quando la Germania sarà stata definitivamente sconfitta, Pio XII formulerà, in un'allocuzione al Sacro Collegio, quella chiara condanna che invano tante vittime della barbarie nazista avevano atteso nel corso della guerra: "Nutriamo fiducia che il popolo tedesco possa risollevarsi a nuova dignità e a nuova vita, dopo avere respinto lo spettro satanico esibito dal nazional-socialismo ". Peccato che queste parole siano state pronunziate con tanto ritardo!

Del resto, è ovvio che per il Vaticano non era facile rompere con i regimi fascista e nazista, di cui aveva negli anni precedenti appoggiata l'azione volta ad instaurare una dittatura di destra in Spagna. Nel 1936, infatti, il generale Franco, sostenuto da Germania e Italia, aveva dato inizio a una rivolta militare contro il Fronte Popolare che aveva vinto le elezioni. Ricevendo un gruppo di preti fuggiti dalla Spagna, Pio XI chiarisce subito da che parte sta la Santa Sede, mettendoli in guardia contro il pericolo di una possibile collaborazione dei cattolici con le sinistre, e invia la sua speciale benedizione "a quanti si erano assunti il difficile e rischioso compito di difendere e restaurare i diritti e l'onore di Dio e della religione", e cioè a coloro che si erano ribellati al governo legittimo.

É vero che in Spagna molti preti erano stati massacrati ad opera delle sinistre ma non pochi erano quelli massacrati dai militari ribelli. Eppure di questi ultimi Pio XI non sembra preoccuparsi, mentre nell'enciclica del 1937, la Divini Redemptoris, condanna senza mezzi termini il comunismo e le stragi perpetrate dai comunisti: "Il furore comunista non si è limitato a uccidere vescovi, migliaia di sacerdoti, di religiosi e di religiose ... Non vi può essere uomo privato che pensi saggiamente, né uomo di Stato consapevole della sua responsabilità , che non rabbrividisca al pensiero che quanto accade oggi in Spagna possa ripetersi domani in altre Nazioni civili".

Quando poi nel 1939 i legionari di Franco riportano la vittoria, Pio XII non perde tempo per esprimere con un radiomessaggio il suo entusiasmo e la sua fiducia nel nuovo governo: "Con immensa gioia ci rivolgiamo a voi, figli dilettissimi della cattolica Spagna, per esprimervi le paterne Nostre felicitazioni per il dono della pace e della vittoria ... I disegni della Provvidenza, amatissimi figlioli, si sono manifestati una volta ancora sopra l'eroica Spagna ... [Esortiamo i Governanti e i Pastori a insegnare i principi di giustizia contenuti nel Vangelo e] non dubitiamo che ciò avverrà: di questa Nostra ferma speranza sono garanti i nobilissimi sentimenti cristiani di cui hanno dato sicure prove il Capo dello Stato e tanti suoi fedeli collaboratori con la protezione legale accordata ai supremi interessi religiosi e sociali, in conformità agli insegnamenti della Sede Apostolica". Nelle carceri spagnole si trovavano allora oltre duecentomila prigionieri politici ma quei “nobilissimi sentimenti cristiani” non impedirono che ogni giorno a centinaia essi venissero portati davanti al plotone di esecuzione.

Anche in anni recenti l'opposizione al comunismo sembra agli occhi delle gerarchie vaticane un valore tale da permettere di chiudere gli occhi su illegalità, violenza e dittatura. Nel 1973, rovesciato il legittimo governo del socialista Allende, il generale Pinochet instaura in Cile la sua dittatura. Si tratta di un regime universalmente condannato per la sua ferocia dall'opinione pubblica democratica, eppure il papa Giovanni Paolo II non ha difficoltà, nel corso del suo viaggio in Cile del 1987, a presentarsi in pubblico a fianco di Pinochet, che dichiara che quando ha assunto la guida del Paese ha affidato "il successo della nostra missione a Dio e alla santissima Vergine del Carmelo". E nel 1993, in occasione del cinquantesimo anniversario del matrimonio del generale, il papa invia una sua foto con la seguente dedica: "Al generale Augusto Pinochet Ugarte e alla sua distinta sposa, signora Lucia Hiriarde Pinochet, in occasione delle loro nozze d'oro matrimoniali e come pegno di abbondanti grazie divine, con grande piacere impartisco, così come ai loro figli e nipoti, una benedizione apostolica speciale. Giovanni Paolo II". Ancor più calorosa la lettera del cardinale Sodano, segretario di Stato, che riconosceva negli sposi una coppia cristiana esemplare e rinnovava al generale "l'espressione della più alta e distinta considerazione". Come stupirsi quindi dell'intervento vaticano a favore di Pinochet presso le autorità inglesi e spagnole quando nel 1998 il sanguinario dittatore cattolico rischia di essere processato per i crimini commessi?

Non meno feroce la dittatura militare instaurata in Argentina nel 1976. Ma appena tre mesi dopo il golpe arriva la benedizione dell'allora nunzio apostolico Pio Laghi: "Il Paese ha un'ideologia tradizionale e quando qualcuno pretende di imporre altre idee diverse ed estranee, la Nazione reagisce come un organismo, con anticorpi di fronte ai germi, e nasce così la violenza. I soldati adempiono il loro dovere primario di amare Dio e la Patria che si trova in pericolo. Non solo si può parlare di invasione di stranieri, ma anche di invasione di idee che mettono a repentaglio i valori fondamentali. Questo provoca una situazione di emergenza e, in queste circostanze, si può applicare il pensiero di san Tommaso d'Aquino, il quale insegna che in casi del genere l'amore per la Patria si equipara all'amore per Dio". I generali colpevoli di genocidio, come Videla, Viola, Galtieri e Massera, tutti poi amnistiati dal presidente Menem, vengono ovviamente invitati dal nunzio apostolico Calabresi ai festeggiamenti ufficiali del 1991 per il tredicesimo anniversario dell'elezione di Giovanni Paolo II. E mentre Roma abbandona alla loro sorte vescovi come Angelelli, Gerardi o Romero, trucidati perché schieratisi con gli oppressi, gli ecclesiastici che per anni hanno mantenuto ottimi rapporti con gli aguzzini sono considerati in Vaticano degni di promozione: così monsignor Medina diventa vescovo castrense, monsignor Quarracino cardinale arcivescovo di Buenos Aires, e monsignor Laghi cardinale prefetto della Congregazione per l'educazione cattolica.Se questa è stata la politica della dirigenza ecclesiastica nel secolo scorso, non si capisce per quale ragione ci si dovrebbe attendere oggi una particolare sensibilità per i pericoli che corre la democrazia in Italia. Penso che i cattolici democratici farebbero bene, quindi, a proseguire nel loro impegno di difesa della legalità costituzionale senza preoccuparsi delle posizioni delle gerarchie vaticane, che hanno fermamente condannato i regimi totalitari comunisti ma non quelli fascisti. Se delle immani sofferenze provocate dai primi, da sempre combattuti, i responsabili della politica vaticana non portano il peso, di quelle provocate dai regimi autoritari di destra, di norma legittimati, essi sono senza dubbio oggettivamente corresponsabili. Somigliando, per quanto riguarda il campo politico, a ciechi che pretendono di guidare altri ciechi, questi uomini sono perciò da affidare alla misericordia del Padre, dato che spesso non sanno quello che dicono e che fanno.



Elio Rindone











emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...