Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
11.3.25
5.1.25
diario di bordo n 96 anno III . Un chirurgo ha contratto il cancro da un paziente che stava operando: un caso unico nel suo genere .,Nazarena Savinoha una malattia neurologica grave da non saper nè leggere né scrivere, però ha preso la terza laurea: «L'arte è la mia cura, dedicato ai miei familiari»., Girano il mondo per 14 anni portandosi dietro un bebe
casi umani assai rari di trasmissione materno-fetale per difetti genetici nel feto (sono stati documentati appena 17 casi di trasmissione materno-fetale in oltre un secolo). Ciò rende la storia del chirurgo, dettagliata in un rapporto pubblicato nel 1996 sul New England Journal of Medicine, un caso assolutamente singolare.
Cosa sappiamo del chirurgo che ha contratto il cancro dal paziente che stava operando
Il chirurgo, un uomo tedesco di 53 anni, stava eseguendo un intervento chirurgico di asportazione di un istiocitoma fibroso maligno dall’addome di un paziente, un tipo di sarcoma caratterizzato dalla presenza di istiociti, delle cellule immunitarie che migrano in tessuti dove non dovrebbero, in cui formano escrescenze tumorali. Durante l’operazione, il chirurgo si ferì accidentalmente alla mano, tagliandosi alla base del dito medio del palmo sinistro, mentre cercava di posizionare un drenaggio nel paziente. La ferita venne disinfettata e fasciata immediatamente, ma cinque mesi dopo, il chirurgo notò che, in quello stesso punto della mano in cui si era ferito, si stava formando un piccolo nodulo. Visitato da uno specialista della mano che rilevò “un rigonfiamento duro,circoscritto, simile a un tumore di 3 cm di diametro”, il chirurgo fu quindi operato e il tessuto rimosso venne analizzato.L’esame istologico rivelò che si trattava di un istiocitoma fibroso maligno, lo stesso tipo di tumore maligno che il chirurgo stava rimuovendo al momento della lesione alla mano. Ulteriori analisi rivelano che le cellule cancerose erano geneticamente identiche a quelle del cancro del suo paziente, per cui il team medico concluse che le cellule maligne dovevano essersi trasferite nel momento in cui il chirurgo si era ferito. “I due tumori erano entrambi degli istiocitomi fibrosi maligni del sottotipo storiforme-pleomorfo – si legge nel rapporto – . Utilizzando metodi molecolari, abbiamo poi dimostrato che i sarcomi del paziente e del chirurgo erano geneticamente identici”. Nel rapporto, il team descrive il caso come un “trapianto accidentale” di un istiocitoma fibroso maligno del paziente, precisando che si tratta di una circostanza molto insolita perché, solitamente, un tessuto trapiantato che differisce geneticamente dal tessuto dell’ospite viene preso di mira e distrutto sistema immunitario dell’ospite, portando al rigetto. Questo è il motivo per cui, durante i trapianti di organi, vengono utilizzati farmaci immunosoppressori. Il chirurgo aveva infatti sviluppato un’infiammazione intorno al taglio ma, evidentemente, quella risposta immunitaria non è riuscita a impedire alle cellule cancerose di proliferare. Secondo il team, quelle cellule potrebbero aver eluso il sistema immunitario
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Nazarena Savino, 26 anni, si conferma un esempio straordinario di determinazione e resilienza. Pur affrontando le sfide legate alla sua disabilità, ha conseguito la sua seconda laurea magistrale - anch’essa con 110 e lode - in Storia dell’Arte, presso UniSalento. Già laureata in Archeologia e Storia Greca (triennale), Nazarena - originaria di Erchie, in provincia di Brindisi - è stata anche insignita del Premio
L’ aprile del 1980 montano in sella alle loro biciclette. Partono da Lione, all’avventura. Vogliono stare in giro almeno tre anni. Pedalano per chilometri, affrontano salite, vento, pioggia e sole cocente. Attraversano deserti, foreste, montagne e continenti. Dal cuore dell’Europa si spingono fino ai confini più remoti del pianeta. Non si fermano mai, tranne quando un paesaggio o un incontro li cattura.
Nel 1984 hanno attraversato già mezza Asia, e vanno in Australia. Vivono col minimo indispensabile, vendendo reportage dei loro viaggi alle riviste locali. E lì, in un angolo sperduto, Françoise scopre di essere incinta. In quel momento devono fare una scelta, fermarsi o continuare. Rimontano in sella, ripartono. E Manon nasce in Nuova Zelanda. I genitori la avvolgono in una coperta, la mettono in un piccolo rimorchio agganciato alla bicicletta, e via.
Viaggiano per i successivi sei anni, Manon cresce esplorando il mondo prima ancora di imparare a camminare, tra lingue e culture diverse. Impara a sorridere a chiunque incontri. La bimba dorme mentre le ruote girano, si nutre del mondo che la circonda.
Nel 1994 la coppia torna a Parigi. Sono passati quattordici anni, hanno percorso 150 mila chilometri attraverso 66 Paesi nei cinque continenti. Hanno forato 503 gomme, consumato 90 pneumatici e fatto innumerevoli incontri. Claude e Françoise sono tornati cambiati, ricchi di storie e di umanità. Manon ha sei anni, e porta già con sé una vita intera di avventure e ricordi.
18.11.24
non sempre è necessario abortire la storia di laura malata di oloprosencefalia alobare, una malformazione congenita del cervello
20.10.24
gli italiani filmano le tragedie gli straniero salvano vite il caso di Angela Isaac, ha 28 anni, nigeriana, ieri ha letteralmente salvato un uomo travolto dall’onda di piena a Catania.
13.10.24
«Mamma Calabria», c’è molto da cogliere e raccogliere corriere della calabria 11\10\2024 di emiliano morrone
Buongiorno per tutto il giorno. Oggi su LA LENTE parliamo di giovani rientrati in Calabria dal Centro-Nord, di restanza, di promozione del patrimonio di natura e cultura della regione. Lo facciamo raccontando una bella iniziativa promossa a San Giovanni in Fiore dal gruppo "I spontanei". E chiediamo alla politica di ascoltare le istanze dei ragazzi che lavorano per mostrare una Calabria diversa. Leggete e condividete, è servizio pubblico del Corriere della Calabria.
Grazie per l'attenzione e cordiali saluti.
Emiliano Morrone
«Mamma Calabria», c’è molto da cogliere e raccogliere
Una serata organizzata da “I spontanei” a San Giovanni in Fiore ricca di spunti di riflessioni e belle storie di Calabria
di Emiliano Morrone
L’appuntamento è stato promosso dall’associazione “I spontanei”, che da qualche anno propone incontri e dibattiti sull’esigenza di ridurre l’emigrazione giovanile, di creare impresa, lavoro e progresso partendo dai punti di forza e debolezza dell’area silana: suggestiva ma in parte isolata e sconnessa, bucolica ma ancora periferica, ispiratrice di slanci creativi ma in un contesto socioculturale alquanto condizionato da invidia, rassegnazione, attendismo, doppiezze, mancanza di coraggio.
La Sila ha una storia di peso – dalle utopie di Gioacchino da Fiore alla Riforma agraria del ’47, dalla vecchia emigrazione operaia a quella intellettuale del presente –, oggi più che mai minata dal capitalismo dell’era digitale, che cancella le identità locali, uniforma storie, usanze e posizioni, struttura e impone il mercato assoluto delle merci.
«Mamma Calabria» è anche il motivo comune degli interventi di quattro giovani che, durante la presentazione del volume di Frontera, hanno raccontato le loro storie di restanza oppure di rientro dal Centro-Nord nel periodo drammatico della pandemia. La mamma è per statuto naturale riferimento e rifugio, richiamo e modello; è la figura che, anche nella dimensione simbolica, alimenta, cura, compatisce; è il genitore che induce all’esperienza fuori dallo spazio domestico e intuisce i problemi, i bisogni della prole.
Così, la metafora «mamma Calabria» è valsa a inquadrare, a chiarire il legame di ciascuno degli intervenuti con i luoghi delle origini: forte, continuo, vitale; capace di riaccendere la luce della speranza in un clima oltremodo tormentato, di riaprire il campo delle possibilità, di sostituire le illusioni con le motivazioni personali. Si tratta di quattro ragazzi che provengono da esperienze diverse ma affini: Anna Stefanizzi ha inventato il Cammino dei monaci florensi; come “Esperiandanti”, Luigi Candalise mostra su prenotazione i posti della Sila, in bici, a piedi, a cavallo; Ivan Ariella organizza festival d’arte e richiamo; Maria Costanza Barberio porta, con il collettivo “Fiori florensi”, la ludopedagogia nelle piazze e nelle istituzioni, fra bambini e rispettive famiglie. Questi giovani hanno più di 30 anni e meno di 40, indole ambientalista, una dote d’idealismo proveniente dal loro vissuto nel mondo analogico, una robusta volontà di ritagliarsi spazi autonomi in Calabria, intanto professionali e sociali.
Sono giovani che parlano un linguaggio poetico fuori del tempo; che leggono romanzi intramontabili, diari di viaggio e saggi sulla conservazione della memoria; che con video, post e immagini evocative sanno comunicare le loro attività e trasmettere emozioni, divulgare buone pratiche ed esempi positivi. E sono giovani che, come accade altrove nel pianeta, rivendicano le ragioni della propria terra, cercano di collegare la tipicità locale con l’universalità umana, chiedono ascolto alla politica e impegno per la sostenibilità, l’eguaglianza, i diritti irrinunciabili. «Facciamo politica con il gioco, abituando i bimbi alla libertà di espressione e di giudizio», ha detto Maria Costanza. «La Calabria ha tre Parchi nazionali e uno regionale, noi dobbiamo credere nelle nostre radici, nelle nostre potenzialità», ha osservato Luigi, che ha aggiunto: «Da fuori iniziano a guardarci con altri occhi». Ciò perché diversi giovani calabresi hanno espresso talento e capacità; perché da un pezzo la narrazione dominante, ferma al tragico, a lamenti e semplificazioni di comodo, è contrastata da racconti di vicende edificanti, che iniziano a piacere, a diffondersi, a generare interesse, apprezzamento, consenso. «Per restare in questa terra, ognuno deve fare un cammino dentro di sé», ha osservato Luigi, che ha sottolineato: «Il 30 per cento della biodiversità europea è nelle nostre montagne. Se devo fare dei sacrifici, preferisco farli a casa mia». «Siamo quello che camminiamo», ha chiosato Anna. Stefano “Intour” Straface – che a Torino insegnava nella scuola pubblica e ha scelto di rientrare per promuovere via social eventi e prodotti calabresi – ha infine posto l’accento sulla «necessità che gli imprenditori siano formati per capire quanto valga l’impatto nel web, quanto esso sia utile a lavorare in tutti i mesi dell’anno e non soltanto d’estate o nelle vacanze di Natale». È un altro tema che merita ampia riflessione nelle sedi della politica, in parte assente rispetto alle istanze di giovani che lavorano con la cultura, l’arte e gli strumenti tecnologici.

Nelle parole di questi ragazzi c’è molto da cogliere e raccogliere, ma il punto è che la politica, non tutta, non ne comprende la complessità, la finalità, l’utilità. Però, ha obiettato il fotografo e regista Emilio Arnone, instancabile sperimentatore di linguaggi artistici d’avanguardia, «bisogna smetterla con impostazioni sfacciatamente celebrative, serve equilibrio e uno sguardo d’insieme». È sempre l’autenticità, secondo l’intellettuale, che fa la differenza. Insomma, ovunque ci sono storie illuminanti, quindi bisogna stare attenti a non cedere, come capita sui social, a lusinghe facili, «all’apologetica d’ufficio» di certa pubblicistica.
Diventa difficile costruire reti di collaborazione, se non ci sono basi e contenuti comuni, hanno concluso Alessandro, Anna, Luigi, Ivan e Maria Costanza. E spetta alla politica, che dovrebbe affinare lo sguardo e ampliare gli orizzonti, favorire il compito e la collaborazione dei ragazzi che raccontano l’altra Calabria, quella della bellezza, delle tradizioni, del grande patrimonio culturale e ambientale. (redazione@corrierecal.it)
5.9.24
Paraolimpiadi, il gesto che ha conquistato i cuori, Lukasz Mamczarz getta via le stampelle e salta con una gamba sola e la detterminazione di Carlotta Gilli, la malattia e il record di medaglie: «Tre anni complicati, dopo i Giochi devo tornare in ospedale»
Nonostante abbia scritto : un post d'elogio e di gioia quando ho appreso che ieri ( adesso sono 48 ) la nazionale paraolimpica ha superato quella olimpica in numero di medaglie mi rendo conto vista l'impresa di Lukasz Mamczarz , che nostante il settimo posto nella gara di salto in alto, è diventato un’icona delle Paralimpiadi di Parigi che più delle medaglie sono : la detterminazione ed il coraggio quello che conta . Infatti è grazie a un gesto di forza e volontà che ha conquistato il pubblico blico.Vedendo il video ( vedere sotto ) o la sequeza fotografica di queste immagini ci rendiamo che troppo spesso ci fermiamo davanti ad un ostacolo pensando che sia impossibile da superare, ma nella realtà è soltanto un limite che ci poniamo. Complimenti a questo meraviglioso Atleta. Infatti
da https://www.msn.com/it-it/sport/other/
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Il salto che ha conquistato i cuori
Alle Paralimpiadi in corso a Parigi, il 36enne polacco Lukasz Mamczarz ha dimostrato che, più delle medaglie, sono la determinazione e il coraggio a rendere un atleta memorabile. Mamczarz, che ha perso la gamba sinistra in un incidente motociclistico nel 2009, ha partecipato alla gara di salto in alto nella categoria T63 e T42, riservata agli atleti con amputazioni sopra il ginocchio. Nonostante non abbia conquistato un posto sul podio, classificandosi settimo con un salto di 1 metro e 77 centimetri, il video del suo salto ha fatto il giro del mondo, totalizzando milioni di visualizzazioni sui social.
Il filmato
mostra Mamczarz che, con due stampelle, si avvicina alla pedana e poi le getta via, chiedendo il sostegno del pubblico. Con un’incredibile rincorsa sulla sola gamba destra, il polacco stacca e supera l’asticella, tra gli applausi entusiasti del Stade de France.
Una carriera di successi e ispirazione
Nella competizione vinta dall’americano Ezra Frech con un salto di 1,94 metri, Mamczarz era l’unico atleta senza protesi, il che lo ha reso ancora più straordinario agli occhi degli spettatori. La sua performance ha ricordato i successi della sua carriera: Mamczarz aveva già rappresentato la Polonia alle Paralimpiadi di Londra 2012, dove vinse il bronzo nel salto in alto (T42). Ha conquistato altri riconoscimenti, tra cui due bronzi ai Mondiali di atletica paralimpica e due ori agli Europei nel 2014 e 2016.
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da corriere dela sera tramite msn.com
Carlotta Gilli, la malattia e il record di medaglie: «Tre anni complicati, dopo i Giochi devo tornare in ospedale»
Carlotta Gilli, la sua Paralimpiade si chiude con cinque medaglie, come a Tokyo. Che sensazioni ha?
«Sapevo che Parigi 2024 sarebbe stata una grande sfida, diversa da Tokyo 2020, forse anche più difficile e questo ha reso tutto più straordinario».
Perché più difficile?
«Dopo l’ultima gara ho voluto prendermi del tempo e mi sono fermata a pensare agli ultimi tre anni, che sono stati complicati. Ho spesso interrotto la preparazione per girare fra ospedali, interventi, visite».
Cosa è successo?
«Mi hanno trovato un osteoblastoma alla colonna vertebrale, molto vicino all’osso, poteva essere pericoloso, anche intervenire. Ho ancora una operazione da fare nelle prossime settimane».
Non ha pensato di rinunciare? Lei ha 23 anni, a Los Angeles sarà nel pieno della maturità sportiva.
«La vita mi ha insegnato a non fermarmi davanti agli ostacoli e ho fatto il possibile per esserci. Volevo godermi le emozioni che solo il nuoto sa regalarmi».
Quindi queste medaglie pesano più di quelle di Tokyo?
«Alla vigilia nulla era scontato. Per questo, quando ero sul podio con quell’ultimo oro mi sono passati davanti questi tre anni, mi è sembrato di essere sulle montagne russe, fra cadute e risalite».
Eppure a Parigi la vasca è stata sua, non solo fra coloro che sono ipovedenti come lei: sempre a medaglia, ha vinto l’oro nei 100 farfalla e 200 misti, l’argento nei 400 stile libero, il bronzo nei 100 dorso e nei 50 stile.
«Potersi confermare con cinque medaglie è stato bellissimo, anche più che a Tokyo perché, oltre ai problemi che ho avuto, c’era il pubblico, gli amici, la famiglia. Per esserci si sono strette a me tante persone, ci terrei a dirlo».
É giusto, prego.
«La Federazione mi è sempre stata vicina. Il mio allenatore Andrea Grassini e il mio preparatore Pier Carlo Paganini mi hanno aiutato in piscina. Il personale dell’Ospedale Molinette a Torino, il professor Berguì, i dottori Martorano e Ravera lo hanno fatto dal punto di vista sanitario».
E poi c’è nonna Rina.
«Sempre presente alle mie gare. Mi dice: se ci credi, prova».
C’era tutta la sua famiglia a Parigi, e non solo. Con mamma Tiziana a papà Marco, tanti suoi amici e amiche.
«Dedico a loro quell’ultimo oro, ma anche a chi mi vuole bene mi segue da casa. Se sono riuscita a fare quello che ho fatto è anche grazie a loro, perché la vita dell’atleta non è per niente facile».
I momenti più difficili?
«La prima operazione che ho fatto nel 2022. Entri in una sala operatoria e non sai come esci. Ho capito una volta di più le priorità della vita, quanto conta la salute. Poi ne ho fatta una ad aprile dello scorso anno e a giugno avevo i Mondiali».
Vinse una medaglia d’oro, una d’argento e un bronzo.
«Mi sono detta: ho fatto un miracolo».
Parigi l’ha ripagata.
«Non solo per le medaglie e le vittorie. Anche le soddisfazioni per la Nazionale: siamo tutti amici, condividiamo tutto, anche le sconfitte. É stato come chiudere il percorso di questi anni difficili».
29.3.24
La storia di Antonella, mamma studentessa: di notte partorisce sua figlia Gaia, il mattino dopo si laurea con 110 e lode
Antonella, una giovane studentessa torinese iscritta al corso di progettazione delle aree verdi e del paesaggio presso l’Università di Genova, ha dimostrato che i limiti sono fatti per essere superati. La sua storia, narrata dal Quotidiano Piemontese, si è svolta tra le mura di un ospedale a Torino e l’aula virtuale dell’università, raccontando un doppio successo: la nascita di sua figlia Gaia e la conquista della laurea magistrale con 110 e lode.Il 26 marzo, in una giornata che resterà impressa nella memoria di Antonella, si sono intrecciate la vita nuova di sua figlia e il culmine del suo percorso accademico. Originariamente prevista per una discussione di tesi in presenza, Antonella ha dovuto rivedere i suoi piani a causa di un’imprevista accelerazione dei tempi del parto, che ha portato al ricovero anticipato presso l’ospedale Sant’Anna il 21 marzo. La nascita di Gaia, avvenuta alle 3.21 del mattino e pesante 2 chili e 300 grammi, non ha fermato Antonella. Nonostante le circostanze, ha informato tempestivamente l’Università di Genova, che ha prontamente organizzato un collegamento online per permetterle di sostenere l’esame di laurea. Così, dopo poche ore dal parto, Antonella si è presentata virtualmente davanti alla commissione, dimostrando non solo la sua competenza accademica ma anche un’incredibile forza d’animo.
17.1.23
Lisa Camillo regista di Balentes - i coraggiosi : una donna determinata contro le servitù militari
Cercando fonti d'ispirazione per la mia intervista alla coraggiosissima Lisa Camillo Satta ho recensito qui in << Ci vuole passione per raccontare una storia degna di essere raccontata è il caso del libro e poi documentario Balentes - I Coraggiosi di Lisa camillo satta >> ho trovato quest'articolo Rivista Donna ( certi articoli non hanno salvo reazioni dei politicanti che rispondono a monosillabi o demagogicamente , cronologia fissa ) .
Lisa Camillo: una donna determinata
I veleni e i segreti delle basi NATO in Sardegna, l’inquinamento radioattivo e il silenzio delle istituzioni
Dopo il documentario “Balentes”, il libro inchiesta “Una Ferita Italiana”
Valutare un libro è operazione articolata e molto soggettiva. Quello di Lisa Camillo lo considero senza troppi giri di parole, un capolavoro nel suo genere.
Un’inchiesta preziosa e pertinente che ogni sardo di coscienza, dovrebbe leggere senza remore. E soffermarsi per riflettere a fondo, pagina dopo pagina, sulle problematiche meticolosamente raccontate, che da sempre avviluppano l’isola con i suoi enigmi che, come sottolinea l’autrice, pongono a repentaglio l’ambiente e la salute dei suoi abitanti.
Lo sento mio questo libro, legittimato a farlo unicamente per l’amore che nutro per quel territorio tanto bistrattato. E avallo l’indignazione crescente nell’animo, così come è successo a Lisa agli arbori del suo progetto, con la concretizzazione del documentario “Balentes – i coraggiosi” prima, con la pubblicazione “Una ferita italiana – i veleni e i segreti delle basi NATO in Sardegna: l’inquinamento radioattivo e l’omertà delle istituzioni”, poi.
Lisa Camillo è regista, scrittrice, produttrice, antropologa e criminologa italo-australiana.
Ha lavorato nelle collettività aborigene e ha riscosso diversi premi per i suoi progetti con il Ministero della Salute australiano. Laureata alla Sydney Film School, ha diretto, prodotto e scritto film e cortometraggi che hanno girato il mondo. Tra questi, Live ThroughThis, che ha conseguito vari riconoscimenti ed è stato selezionato fra i finalisti in dieci festival internazionali.
Con questa pubblicazione, Lisa ha affrontato un percorso severo, con una determinazione senza pari, ha combattuto in prima linea per l’isola facendo domande, spesso scomode, per porre in luce le questioni top secret divenendo portabandiera di pace e giustizia per i sardi, anche per quelli che in questi lunghi lustri trascorsi, hanno taciuto per spavento e reticenza, assecondando il “male” per mille ragioni, ben spiegate nel libro.
Ha combattuto Lisa per i militari che hanno perso la vita, moltissimi, colpiti da patologie terribili provocate dall’inquinamento bellico sia in Sardegna che nei campi di battaglia all’estero dove si sono recati in soccorso dei popoli colpiti dalla guerra.
Tornata dall’Australia, dove ha vissuto per quindici anni, per realizzare un documentario sulla Costa Smeralda, Lisa Camillo, percorrendo la Sardegna ha scoperto luoghi divenuti terra di conquista: coinvolgimenti economici immorali e servitù militari hanno totalmente sconvolto una delle Regioni più belle d’Italia. Poligoni sperimentali, industrie chimiche in un tessuto economico sofferente. Zone interdette, spiagge seviziate dalle bombe, missili distesi sul fondo marino. Storie mormorate di feti deformi, tumori, leucemie, capi di bestiame dalle fattezze mostruose. Il dramma dei militari malati e delle loro famiglie; le patologie dei soldati contaminati dall’uranio impoverito in Bosnia. I processi, l’omertà dei vertici militari, l’assenza dello Stato. Insomma, il delirio.
Lisa ha costruito il suo lavoro anche grazie al prezioso contributo di quei sardi che non capitolano e difendono la propria terra: procuratori, giornalisti, attivisti e semplici cittadini, interpreti di una storia di resistenza ignorata, ma che dura da decenni. L’autrice realizza uno straordinario documentario “Balentes – i Coraggiosi”, distribuito in diversi paesi con ampio riscontro di pubblico e di critica. E’ stato girato con maestria e con una fotografia di altissima qualità che presenta uno spaccato dell’isola attraverso il suo sguardo originale e diretto, rivelandone il paradosso riscontrato tra la sua bellezza incontaminata ed i mutamenti tormentati che la stanno insidiando.
“Balentes”, in sardo sono i valorosi, i temerari. Il documentario sociale di speranza e denuncia è un lavoro che ricerca sentenze e pone domande a coloro che sono imputabili delle morti e del disastro ambientale. Un film che ha fatto il giro dei cinema nel mondo ed ha partecipato ai mercati dei festival più importanti, come Berlino e Venezia.
E poi il desiderio di mettere nero su bianco con un cammino flessibile per testimoniare il rientro a casa, in una Sardegna molto diversa da quella della sua infanzia.
Il cambio repentino di percorso dai progetti originari si è insinuato rabbiosamente nell’animo sconvolto di Lisa alla scoperta con dispiacere di un’isola per nulla positiva. Si è spezzato l’incantesimo delle reminiscenze di bambina fatte di sogni e colori. Un libro che racconta la Sardegna più intima, fra orgoglio e paura, coraggio e bassezza, verità spaventose e bugie criminali. È la storia di una ferita italiana. Un’offesa che ancora sanguina. Un’inchiesta che incalzerà l’irritazione di tutti attraverso questioni che il solo menzionarle infonde trepidazione: l’uranio impoverito, il torio, le nanoparticelle, i pascoli malati, i mari contaminati, le deformazioni genetiche, le malattie dei militari, i casi nascosti, l’attivismo, l’informazione, la resistenza di cui nessuno parla. E testimonianze, documenti, foto che smascherano le bugie del governo italiano.
Niente è stato tralasciato: il caso infinito sui veleni di Quirra per esempio. Il Poligono Interforze nato nel 1956, a disposizione di tutte le potenze NATO, non solo all’Esercito Italiano.
Da subito diviene un punto di riferimento per le prove missilistiche. Nei decenni a Quirra e nella parte ‘a mare’ di Capo San Lorenzo viene brillato di tutto. Cosa, di preciso, non lo sa nessuno. Già nel 2000 l’allora sindaco di Villaputzu, Antonio Pili, denuncia l’insorgenza di tumori e neoplasie nella popolazione in una proporzione fuori dalla norma. L’inchiesta della Procura di Lanusei inizia nel 2011. Una parte del poligono viene sequestrata. Nel 2012 il procuratore Domenico Fiordalisi, in seguito alle risultanze delle analisi svolte, che avevano portato alla luce dati allarmanti sul poligono, indaga 20 persone con l’ipotesi di omicidio plurimo e di omissione di atti d’ufficio per mancati controlli sanitari. Su diverse salme riesumate, viene riscontrata la presenza di torio radioattivo. Oggi l’accusa è per imperizia, si ‘insinua’ cioè i comandanti della base di aver lasciato militari e civili a contatto con sostanze pericolose senza prendere precauzioni.
Il caso della vicina Escalaplano centro di 2.600 abitanti con numerosi bambini nati con gravi malformazioni. Episodi tutti concentrati negli anni Ottanta. Numeri che facevano impazzire le statistiche. Il clima politico in quei mesi era torrido: il “caso Quirra”, con l’impressionante serie di morti per tumori del sistema emolinfatico, aveva acceso i riflettori dell’attenzione nazionale su questo lembo obliato di Sardegna. Le analogie con la “sindrome dei Balcani” portarono a sospettare che la causa delle malattie, l’agente-killer, fosse nascosto all’interno dell’immensa area del poligono interforze. Si cominciò a parlare di armi all’uranio impoverito, di esperimenti misteriosi, di onde elettromagnetiche. La Difesa negava con ostinazione. In questo scenario incandescente, incredibilmente il “caso Escalaplano” venne ignorato e cancellato.
Ma c’è tanto altro nel libro di Lisa Camillo: come il teatro di guerra intorno a Capo Teulada, seconda installazione militare più grande d’Europa e ai suoi attori protagonisti, ovvero i missili Milan. O la storia d’omissioni, bugie intorno all’incidente del 2003 al sottomarino a propulsione nucleare Hartford con l’antica ferita della mancanza di trasparenza sull’attività della base dello Zio Sam nell’arcipelago maddalenino.
Tanti i “balentes” che hanno accompagnato la nostra Lisa in questo viaggio e lo hanno fatto procurando informazioni e contribuendo con le loro documentate ricerche. Il libro di Maddalena Brunetti e Carlo Porcedda “Lo sai il vento” proprio incentrato sullo scempio militare e industriale in Sardegna. Non più solo l’isola di spiagge blandissime, alberi millenari e natura selvaggia, ma anche quella dei poligoni militari che hanno portato nel cuore del Mediterraneo l’incubo della contaminazione da polveri di guerra. Un tragitto dal Sarrabus al Campidano, dal Sulcis-Iglesiente sino a Porto Torres e l’arcipelago de La Maddalena, che dà voce a chi contro le guerre simulate e gli abusi industriali ha manifestato una pacifica lotta. Perché il vento gira e ogni tanto spira dalla parte dei vinti, di chi ostinato non vuol dimenticare. O come Massimiliano Mazzotta e il suo documentario-denuncia “Oil”: morte e inquinamento intorno alla Saras della famiglia Moratti, con la complicità dello Stato e del silenzio di televisioni e giornali. La raffineria di Sarroch, sulla costa a Sud-Ovest di Cagliari, è una delle più grandi del Mediterraneo per capacità produttiva (15 milioni di tonnellate all’anno, pari a 300 mila barili al giorno) ed una delle più avanzate per complessità degli impianti.
Mauro Pili ex deputato ed ex Presidente della Regione Sardegna, balentes ad honorem per le sue battaglie quotidiane in difesa principalmente del territorio sardo e dei diritti dei sardi ha ragguagliato Lisa su quanto nel tempo è riuscito a scoprire. Come Domenico Leggiero pilota militare e qualificato Ispettore C.F.E. (Control Force Europe), inserito nei pool internazionali per il controllo degli armamenti, attuazione e rispetto dei trattati internazionali per la riduzione degli stessi. Consulente in tre commissioni parlamentari d’inchiesta sul fenomeno dell’uranio impoverito, dal 2005 continua la battaglia per i militari malati come Responsabile del Comparto Difesa dell’Osservatorio Militare Centro Studi di cui lui stesso fu cofondatore nel 1999.
Un lavoro eccezionale quello di Lisa che ha voluto così raccontare le incognite dell’isola cercando di trovare anche le possibili soluzioni per il futuro. Smembrare un sistema degenerato per dare origine ad uno pulito, insieme al popolo sardo che ottimizzi l’ambiente ossequiando il territorio. Il libro è l’ipotesi genesi per plasmare stimoli alle nuove generazioni che devono rimboccarsi le maniche e creare un domani migliore considerando l’immenso patrimonio culturale, umano, archeologico, eno-gastronimico e tecnologico a disposizione.
La chiusura ci riporta a quanto accadde nel 1969 a Pratobello: esattamente 50 anni fa. Aneddoti sono presenti nel libro di Lisa che riferisce anche di come sia riuscita a coinvolgere nel suo progetto gli abitanti di Orgosolo. Quell’anno fu affisso dalla autorità una comunicazione in cui s’invitavano i pastori, che operavano nella zona, a trasferire il bestiame altrove perché, per due mesi, quell’area sarebbe stata adibita a poligono di tiro e di addestramento dell’Esercito Italiano. Da lì i cittadini di Orgosolo intrapresero la mobilitazione; la popolazione del paese si riunì in piazza e dall’assemblea scaturì la decisione di attuare una forma di protesta non violenta occupando pacificamente la località di Pratobello. Dopo alcuni giorni, durante i quali non si verificò alcun episodio di violenza, l’esercito rinunciò alle esercitazioni e si ritirò.
Lo spirito giusto per rimarginare le ferite oggi, per sentirsi tutti insieme balentes domani.
Massimiliano Perlato
20.12.22
cosa resterà di questi mondiali parte II


il bellissimo gesto d'umiltà e d'onore della squadra giapponese che Dopo l’eliminazione dai Mondiali, sconfitti ai rigori agli ottavi di finale dalla Croazia, i giocatori e lo staff della nazionale giapponese non smettono di stupire. I “Samurai blu” hanno pulito tutto lo spogliatoio, raccogliendo tutta la spazzatura, ripiegando gli asciugamani e pettorine, lasciando sul tavolo 11 gru origami come segno di gratitudine e spirito di squadra.
L’unica squadra ( corruzione o distrazione ? ) che può vantarsi di aver battuto i Campioni del Mondo di Qatar 2022 è quella dell’Arabia Saudita. Lo scontro tra i numeri 10 ha visto perdere il miglior giocatore della competizione, Leo Messi, e fatto brillare la stella Salem Al-Dossari (Salem Al-Dawsari).
Stephanie Frappart è stata la prima donna ad arbitrare in un Mondiale di calcio. ( contentino al mondo occidentale o apertura ? secondo me la prima visto che "da cafoni" non gli hanno stretto la mano ) Il debutto è avvenuto durante la partita tra Germania e Costa Rica, affiancata dalle guardialinee Karen Diaz Medina e Neuza Ines, tutte donne a parte il quarto uomo Said Martinez.
La gioia irrefrenabilee l'inflessibilità arbitrale . Dopo il goal al Brasile, l’attaccante del Camerun Vincent Aboubakar festeggia togliendosi la maglia e viene ammonito dall’arbitro. Per lui, purtroppo, è il secondo cartellino giallo: espulso . ma poi L’arbitro Ismail Elfath si congratula con l’attaccante del Camerun prima dell’amonizione che gli costerà l’espulsione. Per la squadra di Vincent Aboubakar rimane la gioia della vittoria contro il Brasile di Neymar.
Infatti Dopo l’arresto a Teheran del giocatore Voria Ghafouri, e le presunte minacce da parte del regime, i membri della nazionale iraniana cantano l’inno prima della partita contro il Galles. Bocca semi aperta e a bassa voce, dimostrando poca convinzione. L’unico a non cantare è stato il difensore del Bayer Leverkusen Sardar Azmoun.
Gli Stati Uniti battono per la prima volta nella loro storia l’Iran e accedono agli ottavi di finale. Nonostante gli scontri geopolitici tra i due Paesi, a fine partita non sono mancati gli abbracci e il sostegno degli americani nei confronti degli avversari iraniani.
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