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31.10.25

il patriacarto non vive solo negl uomini vive in chi lo giustifica in chi chiude gli occhi in chi chiama rispetto quello che è paura

 Rispondo    con questo   titolo  provocatorio  a  chi mi dice   che  ancora  non è  il 25 novembre    e  che  ho troppa fretta nel giocare  d'anticipo .,  e che  le  femministe   e  le nazi femmiste  mi hanno     fatto il  lavaggio del cervello  con la  teoria   del  patriarcato  .  Lo so che   è  un titolo  provocatorio, perchè non tuttti gli  uomini   e  tutte  le  donne    sono  impregnate  di tale  cultura    , ma  molto spesso  le  provocazioni  ,   come  in questo caso, mettono    o dovebbero in luce una verità spesso trascurata: il patriarcato non è solo un sistema imposto dagli uomini, ma può essere perpetuato da chiunque lo giustifichi, lo minimizzi o lo mascheri da rispetto.  Viviamo in una società che spesso si illude di aver superato il patriarcato, ma la verità è che esso non si manifesta solo nei gesti violenti o nelle parole offensive. Il patriarcato vive anche nei silenzi, nelle
giustificazioni, nelle complicità invisibili. Vive in chi chiude gli occhi davanti alla violenza, in chi chiama “rispetto” ciò che è solo paura. Vive persino in chi, pur non esercitando direttamente il potere, lo difende per convenienza, per abitudine, o per ignoranza.
Questo post nasce dalla necessità di smascherare le forme più subdole di patriarcato: quelle che si nascondono dietro l’indifferenza, dietro le donne che insultano altre donne, dietro chi minimizza il femminicidio o lo trasforma in cronaca sterile. Perché il patriarcato non è solo un sistema maschile: è una cultura che ci attraversa tutti, e che possiamo scegliere di interrompere.



Quindi  smontiamo io  lo  faccio    riportando    un video  so l’indifferenza, la violenza non necessariamente fisica ( vedere video emozionale sopra )  scelto  e riportato perchè racconta    se  pur  rielaborati   episodi in cui il patriarcato è stato difeso o ignorato da chi non lo subisce direttamente.Ma  soprattutto   dovrebbe  far  riflettere su come certe forme di “rispetto” siano in realtà forme di controllo  ed   invitare   a rompere il silenzio, a riconoscere le complicità involontarie e a promuovere una cultura del rispetto autentico l’idea che il patriarcato sia solo maschile, sottolineando che anche donne, istituzioni, o società nel suo complesso possono alimentarlo.denunciamo l’ipocrisia di chi finge di rispettare certe regole sociali, quando in realtà è spinto dalla paura o dalla sottomissione.Invitiamo  alla responsabilità collettiva, perché il patriarcato sopravvive anche grazie all’indifferenza e alla complicità silenziosa.Infatti   esso  è un sistema culturale che si manifesta anche attraververso   l'indiifferenza  , la violenza   psicologica  non necessariamente  fisica  tra  donne  , e la giustificazione di comportamenti oppressivi.

27.9.25

perchè s'uccide e miei dubbi quando chiamarlo femminicidio o omicidio


Rompo la mia  astinenza ( non  significa  che  sia  indifferente  a  tali  fatti )   sul recente  omicido \  femminicidio   ai danni  di  una   donna , colpito da  uno  dei  pochi  scritti intelligenti  e non sbilanciati sul  carnefice come la maggior parte dei media  o di gogna  mediatica   colpevolizzazione  della vittima .

Perché si uccide? E perché siamo così assetati di conoscere, di classificare, di incasellare in fretta la vittima e il carnefice? Perché, se l’assassino è extracomunitario, proviamo rabbia e rancore, mentre se è bianco e benestante iniziamo a cercare possibili scenari che – senza giustificarlo – finiscano comunque per annacquare il gesto?
Un ricco bianco che commette un delitto era “alterato”: ma che significa? Aveva bevuto? Era drogato? Vittima di un raptus religioso? E se fosse stato povero e straniero? Non aveva forse lo stesso “diritto” a bere o drogarsi?
E la vittima? Diventa subito eroina, martire o – peggio – una donna con una vita “travagliata” alle spalle. Salite, inciampi, cadute: etichette già viste, già sentite, che rischiano di strappare un sorriso amaro se non fosse che c’è da piangere.
Ieri, durante una trasmissione di Videolina, ho apprezzato l’intervento di Cristina Cabras che, da studiosa esperta di delitti “rapaci”, ha ricordato che è troppo presto per delineare un quadro psicologico e sociale del presunto assassino. Ma nell’era delle quick news non c’è tempo per l’attesa. Servono verdetti in cinque minuti, condanne esemplari, cuoricini, lacrimucce e un bel “R.I.P.”, prima di passare a un’altra storia.
Il caso di Cinzia Pinna è esemplare. La ragazza scompare, iniziano le ricerche: le forze dell’ordine capiscono subito che non si tratta di un allontanamento volontario. Le indagini si concentrano su un giovane molto conosciuto ad Arzachena. Dopo due settimane, il caso si chiude: il ragazzo confessa, il corpo di Cinzia viene ritrovato, la stampa costruisce la notizia. Ma resta un problema: come presentarla?
Forse un tentativo di stupro? Ma cosa c’entra la pistola? Lei era salita in macchina “consenziente”? Su questo presunto consenso si innesta una trama che è ancora tutta da dimostrare, ma che mostra come le storie vengano spesso raccontate più dai narratori che dai giornalisti. E allora bisogna spiegare il gesto del rampollo agiato: era un bravo ragazzo, forse egocentrico, ma buono; gran lavoratore, allegro. Sì, è vero, dopo l’omicidio ha preso l’elicottero per andare al compleanno della madre, ma – si dice – i figli so’ piezz’e core.
Il nonno, il padre, lo zio sindaco: tutto finisce nel racconto. Ma cosa c’entra la parentela illustre con l’aver sparato a una donna indifesa? Che nesso c’è tra il femminicidio e l’amicizia del nonno con l’Aga Khan?
La vera domanda è un’altra: dov’è Cinzia in questo racconto? Perché non parliamo di lei, del fatto che si è fidata di un “bravo ragazzo” che a un certo punto ha impugnato una pistola – legittimamente detenuta? qualcuno l’ha chiesto? – e ha sparato come se davanti a sé avesse un nemico da abbattere?
Queste sono le domande che contano. E, nel tempo, forse troveranno risposta. Ma state certi: poco hanno a che fare con il nonno potente o con il padre imprenditore. Quella è solo cornice. E i giornali, troppo spesso, ci raccontano solo la cornice, dimenticando il quadro. Come se, davanti alla Gioconda, ci limitassimo a descrivere l’intaglio della cornice senza guardare lo sguardo enigmatico del dipinto.
Se vogliamo davvero rispettare la memoria di Cinzia Pinna e restituirle la dignità che merita, dobbiamo riavvolgere il nastro e mettere al centro le domande scomode:
perché l’ennesimo femminicidio? Dove sbagliamo, e perché continuiamo a sbagliare? Come è possibile che, nonostante campagne pubblicitarie, formazione, sensibilizzazione, ci siano ancora uomini – bianchi, neri, ricchi, poveri, credenti o atei – pronti a puntare una pistola contro una donna? Perché?

Non concordo con lui e con chi definisce tale fatto un femminicidio in quanto perche , almeno allo stato attuale delle indagini , non ci sono gli elementi che lo costituiscono e ne sono alla base cioe : rapporti non consensuali , controllo fisico e psicologico e/o altre dinamiche di potere e di abuso . Con questo non lo sto né difendendo non sono ne amico , parente , il suo legale nè sminuendo il crimine , perche di crimine si tratta , ovvero omicidio . Tant'è che La magistratura ha formalmente contestato l’omicidio volontario aggravato, e il termine “femminicidio” è stato usato da media, attivisti e anche da figure religiose e civili che hanno organizzato fiaccolate e appelli contro la violenza sulle donne. Come ha detto don Pietro Denicu, promotore della fiaccolata a Castelsardo:

“La morte violenta di una giovane donna è l’evento più tragico e doloroso che la vita umana possa conoscere. Non possiamo permettere che l’indifferenza cancelli Cinzia e con lei tutte le altre vittime, mai più”.

In sintesi per loro , chiamarlo “femminicidio” non è solo una questione terminologica, ma un atto di riconoscimento del contesto culturale e sociale in cui è avvenuto. È un modo per dire che la violenza contro le donne non è un fatto isolato, ma parte di un problema sistemico.IL  che  è giusto ma   un termine      che  va  saputo usare a temo e  a  luogo  ed   in questo caso  non lo  è  

25.9.25

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco DAL SETTIMANALE GIALLO ( con mie aggiunte ) + video puntata n L : SE QUALCUNO VI SEGUE, ENTRATE IN UN NEGOZIO puntata n

N.B . le parti in eretto e in corsi vo sono miei suggerimenti \ aggiunte  +  un video   riassuntivo alla  fine  

IMMAGINE CREATA CON 
https://www.meta.ai/
 State camminando e avete l’impressione che qualcuno vi stia seguendo. Visto che da sempre vi ripetiamo che la prevenzione è la cura più e$cace e che è fondamentale dare retta al proprio istinto, eccovi alcuni segnali che possono confermarvi che effettivamente qualcuno vi sta seguendo. Cambiate direzione più volte: girate prima a destra, per esempio, poi a sinistra, o attraversate la strada. Se la persona copia i vostri spostamenti e se la distanza tra voi e lui è sempre la stessa, allora potrebbe non essere soltanto una vostra impressione. Verificate se effettivamente si ferma quando vi fermate voi e se vi osserva con una certa insistenza. Ancora, cercate di ricordare se lo avete visto anche in altre
occasioni, magari in contesti diversi da quello in cui vi trovate in quel determinato momento.
Riuscendo cosi  a  distigure  se  s'è   la prima volta   o lo fa    spesso  oppure se  magari   vi sta  scambiando  per  un altra   oppure  è  un tuo  contatto o uno che  ti segue  sui  social  e  non sa   se sei tu  o  non sei  tu Senza cadere nella paranoia, provate a fare un piccolo giro fuori programma: entrate in un negozio e uscite poco dopo, per esempio. Oppure fingete di salutare qualcuno\a o di aspettare un conoscente. In alternativa, fermatevi per guardare una vetrina o per controllare il cellulare. Se la persona che credete vi stia seguendo ripete i vostri movimenti e anche le vostre pause, prendete il telefono e chiamate qualcuno di cui vi fdate, scandendo ad alta voce il luogo preciso in cui vi trovate, in modo che anche il potenziale malvivente possa sentire che state chiedendo aiuto. A questo punto verifcate la sua reazione. Nel caso in cui la persona non si allontani e continui in qualche modo a farvi sentire a disagio, è arrivato il momento di mettere in atto un piano di sicurezza.Provate  se   siete  in un luogo affollato  o  se  c'è  gene  nelle  vicinanze   a  chiederli   in modo  calmo e  tranquillo  (  almeno  che  non sia   la  prima  volta   che   vi   segue )     cosa  vuole  e   in cosa  potete  esserli utile  . Se  è un semplice  molestatore   diventerà  rosso  per  la  figura  di 💩🙄  e se  n'andrà  rimanendo  senza  parole  . Se invece    s'irrigidisce     se vi è possibile, chiedete aiuto a passanti o a negozianti, o  se avetril cellulare  chiamate  le  forze del'ordine (    anche  se  scappa ,  ma  meglio   cosi    che    rischiare  conseguenze peggiori  ) ed evitate di trovarvi in una situazione di isolamento, che potrebbe esporvi a un rischio di aggressione maggiore. Ricordatevi che è sempre opportuno ascoltare le proprie sensazioni, soprattutto quando si tratta di disagio e paura. Se “sentite” che qualcosa non va, non esitate a interpretare la percezione come reale e comportatevi di conseguenza. Uno scrupolo in più salva la vita

Come capire se qualche malintenzinato ti segue per strada? E cosa fare in quel caso? Come riuscire a scampare l pericolo?

4.9.25

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata XXXVIIIIX : - ARMI NON NON VIOLENTE \ ANCHE IL FISCHIETTO PUÒ FAR DESISTERE UN AGGRESSORE! -


Per  i non praticanti ed conoscitori di arti marziali o tecniche di autodifesa   ci sono  anche   delle  armi non violente cioè 

Le armi non violente si possono definire in due modi: da un lato, come oggetti per la difesa personale che non causano danni letali, come lo spray al peperoncino o le pistole a proiettili di gomma; dall'altro, come principi filosofici e politici che rifiutano l'uso della violenza per raggiungere obiettivi di trasformazione sociale, come il movimento nonviolento.

e la prevenzione .Infatti Antonio Bianco nellultima  puntata  della sua  guida     sul settimanale    giallo    afferma   che  


Non importa con quale marca o modello di borsa voi usciate.Quello che conta è quello che scegliete di portare con voi, anche e soprattutto per sentirvi al sicuro quando siete fuori casa. Non basta quindi controllare di avere preso le chiavi, il portafoglio, i documenti e il cellulare. Perché per le donne la borsa può e deve trasformarsi in una sorta di “cassetta degli attrezzi”, al cui interno inserire tutto quello che può farvi sentire più libere e più sicure di voi stesse. Il primo oggetto che non può mancare è il cellulare. Verificate che sia sempre carico, in modo che lo possiate usare in caso di emergenza, e portate con voi un powerbank, in modo da scongiurare il pericolo di rimanere senza bateria. Ancora, portate con voi un fischietto oppure un allarme personale acustico, che potrebbero bastare a scoraggiare le ca!ive intenzioni di un potenziale aggressore. È consigliabile inserire in borsa anche uno spray al peperoncino, purché conforme alla normativa, prezioso come deterrente, ma anche come strumento di difesa. Per chi preferisce non impiegare lo spray, non mancate di portare con voi torce tascabili ad alta intensità, che sono in grado di accecare soltanto temporaneamente un possibile malintenzionato dandovi la possibilità di guadagnare del tempo prezioso per mettervi al riparo. Ci sono poi oggetti che di per sé non sono considerati degli strumenti di difesa, ma che potrebbero fare la di$erenza. Pensiamo per esempio a qualche moneta o a qualche banconota di piccolo taglio, che potrebbero essere utili a chiamare un taxi, nel momento del bisogno. Infine, non dimenticate di portare con voi la prudenza e la consapevolezza. La prudenza sta nel camminare in posti bene illuminati e nell’informare una persona a voi cara del tragitto che vi accingete a compiere una volta usciti di casa. La consapevolezza, altre!anto preziosa, sta invece nell’avere programmi chiari e ben de#niti, con un margine di imprevisto minimo e facile da arginare, e nel conoscere i propri limiti.

21.8.25

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco . - puntata n puntata XXXVII ANCHE LA RESPIRAZIONE PUÒ ESSERE UN’ARMA DI DIFESA

l'articolo    sull'ultimo n  di Giallo   di Antonio Bianco   

Quando ci si trova in situazioni di pericolo, come per esempio un’aggressione, il corpo umano reagisce
avviando quello che viene chiamato “sistema di attacco o fuga”. Questo comporta che in pochi secondi il cuore acceleri, i muscoli si tendano e la mente si focalizzi sull’unica cosa
che conta, vale a dire sopravvivere. In tutto quessto, spicca un elemento cruciale, che può fare la differenza tra il panico e il controllo, ed è la respirazione. Respirare in modo controllato e soprattutto consapevole è il primo passo per avere il comando della propria mente e del proprio corpo. Quando si è vittima di un’aggressione, si tende a trattenere il respiro o a respirare in modo rapido, quindi superciale. Questo tipo di respirazione peggiora la tensione dei muscoli, alimenta lo stato di confusione mentale e fa lievitare il senso di paura. Rallentare la frequenza del respiro, invece, è utile per ridurre l’ansia, mantenere un maggiore livello di lucidità e reagire in maniera più efficace. Per riuscirci, una delle tecniche più effiaci è quella della respirazione con il diaframma,che prevede di inspirare lentamente con il naso contando fino a 4, tra"enere il $ato per un paio di secondi, e poi espirare lentamente attraverso la bocca. Questo tipo di respirazione è in grado di stimolare il nervo vago e di abbassare la frequenza cardiaca, andando a inviare al cervello un senso di sicurezza. Ci aiuta a pensare con una maggiore chiarezza, anche quando ci si trova nel caos.Senza contare che respirare bene non signifca soltanto ossigenare il corpo in maniera adeguata, ma anche prepararsi mentalmente a scegliere la strategia più efficace e più sicura per la nostra incolumità. Ecco che in qualche modo la respirazione diventa un’arma di difesa, perché, pur non bloccando la paura, la rende in qualche modo più gestibile e quindi meglio affrontabile. Per non trovarsi impreparati nel malaugurato caso in cui si sia vittime di un’aggressione, è fondamentale allenarsi a respirare nel modo corretto anche in condizioni di stress. Del resto, chi controlla il respiro controlla anche se stesso.
  trovano  conferma da  quanto  ho  trovato    sul web  in un Ecco un "vademecum" pensato per le partecipanti al corso InDifesa, organizzato dall'associazione Lei.Si tratta di una serie di suggerimenti pensati per gestire al meglio eventuali situazioni aggressive in cui potreste essere coinvolte:più precisamente su : Quest articolo del Centro Ànemos - Lesmo (MB) il quale oltre agli argomenti già trattati òrecedentemente e ripresi dal link sopracitato ( che puo essere consultato per chi fosse interessato e non vuole fare un viaggio a ritroso a cercare le ostre puntate precedenti della guida ) e in particolare sule tecniche non violente come quell a della Descalation , Utilizzare un comportamento assertivo, ecc
 
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Controllare la respirazione

Quando ero bambina si faceva un gioco “stupido” e pauroso … ma spesso i bambini vanno alla ricerca delle sensazioni di paura: metterle in atto rappresenta un modo per inscenarle, quasi per esorcizzarle. E così i bambini più grandi si nascondevano in vari punti delle cantine del mio condominio, che erano un una specie di labirinto, ed il malcapitato, solitamente i bambini più piccoli, dovevano attraversarle e subire gli agguati dei “mostri” nascosti. Solitamente accadeva che i bimbi attraversassero la cantina di corsa, col cuore in gola, in preda ad una vera e propria sensazione di panico.

Io prendevo per mano mio fratellino più piccolo e gli dicevo di respirare piano e di non correre, ma di attraversare la cantina camminando, respirando piano e con calma … il semplice calmare il respiro e controllare il tono muscolare, l’interrompere la reazione di fuga, trasformava quel gioco in qualcosa di divertente, quantomeno di più gestibile, e non più in qualcosa di terribilmente spaventoso (c’erano bambini che si facevano pipì addosso ed io non volevo che succedesse anche a mio fratellino). Ora, indubbiamente io lo facevo in maniera inconsapevole, il mio cervello si era “ingegnato” in maniera istintiva. 

-Aggiungo qui una piccola curiosità: sapete perché il mio cervello si era così ingegnato? Perché dovevo “proteggere” il mio fratellino. Lo sapete che il cervello delle madri -o comunque di chi si deve prendere cura di un individuo che percepisce come più debole- cambia? Ci sono esperimenti (vedi Ammaniti) che dimostrano come i neuroni del cervello delle madre diventino più grandi e che se alcune topoline-cavie vengono messe in un labirinto, le prime a trovare la soluzione per uscire sono priprio le topoline gravide, le quali hanno come un cervello “amplificato”, che deve pensare al benessere di due persone e non più solo di una. 

In questo caso cosa si osserva? Che il cercare di controllare delle reazioni fisiologiche, che nella fattispecie erano quelle relative alla risposta di fuga, riuscivano a fare mantenere una certa capacità di controllo sulla situazione.

Tra le varie cose che è efficace tenere monitorato c’era la RESPIRAZIONE.
Fattore che sembrerà banale, ma in realtà importantissimo. Abbiamo visto prima che tra i vari effetti dell’adrenalina sul corpo si osserva anche un’alterazione della respirazione. Che si può avere in 2 modi: 

Respirazione accelerata o affannosa: l’organismo mette in atto la risposta di attacco/fuga, quindi il cuore batte più forte, il sangue viene spinto nei muscoli degli arti per sostenere la reazione “attiva” ed i polmoni accelerano per sopperire all’aumentato fabbisogno di ossigeno. Una reazione di questo tipo può portare a conseguenze quali iperventilazione e, in casi estremi, allo svenimento.

Respirazione irregolare o interrotta: alcune persone, di fronte al pericolo, tendono a trattenere il respiro, e questo è ancora una volta in linea con il percorso evolutivo: il cervello arcaico mette in moto il meccanismo di difesa primitivo per cui trattenere il respiro è funzionale al fingersi morto/mimetizzarsi/nascondersi/stare immobili. Questo tipo di reazione è chiaramente disfunzionale, ci fa restare in apnea, riduce l’apporto di ossigeno ed in casi estremi porta allo svenimento, alla perdita dei senso o ad eccessiva rigidità muscolare.Queste modalità di respirazione entrano in gioco in maniera involontaria, sollecitate dall’adrenalina, impattano negativamente sulla capacità di autocontrollo, di coordinazione e sul Sistema Nervoso in generale (la respirazione infatti è correlata ed in grado di REGOLARE il nostro SN), MA POSSONO ESSERE CONTROLLATE. 

Quindi, se è vero che il nostro Sistema Nervoso può influenzare la nostra respirazione, è altrettanto vero che esercitare un controllo cosciente sulla nostra respirazione può influenzare il nostro SN e quindi il rendimento psicofisico. 

Entrambi i tipi di respirazione disfunzionali sono caratterizzati dell’essere centrati nel petto (l’apnea trattiene il respiro ingrandendo il petto, l’affanno è caratterizzato da evidenti e frequenti movimenti di questa zona del torace). L’esercizio da fare è quello fatto nella prima parte del nostro incontro: portare il respiro nella pancia.

Il respiro nella pancia è in grado di calmarci psicologicamente, di diminuire notevolmente la frequenza cardiaca, di diminuire la sudorazione. Il respiro nella pancia è tipico del meccanismo n° 3, del sistema vagale mielinizzato, attivo durante gli stati di quiete e di interazione sociale, quindi portare il respiro nella pancia permette di disattivare i meccanismi di difesa arcaici e disadattivi promuovendo l’intervento del sistema più evoluto, che ha a che fare con l’autocontrollo e la consapevolezza.

È importante quindi respirare con la pancia evitando i grandi respiri di petto tipici di coloro che hanno paura/terrore o di chi ha fatto un grande sforzo; inspirare profondamente cercando quasi di spingere lo stomaco verso il basso, fare una piccola pausa, e poi espirare lentamente (solitamente l’espirazione dovrebbe durare più dell’inspirazione). Tenendo una mano sul petto ed una sulla pancia, quella sul petto dovrebbe rimanere piuttosto ferma e quella sulla pancia invece muorsi. 

È possibile esercitare questa pratica, magari inizialmente a casa in tranquillità, facendo 12 respiri profondi di pancia prima di dormire. E poi anche in tutte quelle situazioni di panico o paura che affrontiamo nella vita quotidiana. 

Anche qui aggiungo un piccolo aneddoto: ho provato ad esempio questo metodo durante l’arrampicata. Situazione tipo: ho paura dell’altezza, entro in panico, la respirazione diventa più veloce ed affannosa. Riconosco i sintomi, agisco un controllo sul pensiero, mi calmo grazie alla respirazione, mi riapproprio dell’autocontrollo.

Si tratta di un metodo antistress e antipanico rapido ed efficace: non avevo molto tempo per pensare, dovevo agire in fretta per muovermi e procedere. 

Riconoscere i "sintomi della paura"

Come spiegato nel precedente articolo, saper riconoscere i segnali dell'adrenalina (occhi sbarrati, movimenti rapidi degli occhi, respirazione alterata, ecc), che colpiscono non solo aggredito, ma anche l'aggreossore, aumenta la sensazione di padronanza di noi stessi e permette di riconoscere in tempo l’imminenza di un attacco, per poter predisporre una reazione efficace.





per approffondire   
Traduzione, riadattamento e ampliamento, a cura di Bruno Carmine Gargiullo e Rosaria Damiani di “Neurocriminology: implications for the punishment, prediction and prevention of criminal behaviour”, di Andrea L. Glenn & Adrian Raine, 2014, volume 15, Nature, Macmillan Publisher.

26.6.25

lotta della famiglia di Michela Murgia per la verità

 di   solito      quando  riporto  , e    chi  mi segue  lo  sa  ,   fatti di cronaca  di nera  e  femminicidi    ,  non commento se  non  in maniera  critica   o riporto articoli che lo  fano per  me  . Ma   in  questo  caso   merita    sia    d'essere    commentato    oltre  che raccontato    perchè   la  storia  dela  povera  Manuela  Murgia     ,   un omicidio a  sfondo sessuale   avvenuto  30anni  fa  ,  è  anche  la lotta     dei  familiari sia le sorelle   con cui è  cresciuta  ,  sia  ( vedere  post  sotto   )    che  il fratello    nato  qualche  anno dopo il  brutale evento      hanno e stanno lottando   come  fecero i.  familiari di peppino impastato  . per  evitare  che  sia    visto    come suicidio ed avere   giustizia . 
Lascio  la  parola    alla  storia   di Gioele  raccontata   dalla  pagina   facebook  di ww.storiedeglialtri.it


 Lui è Gioele. Nasce nel 2000 a Cagliari, in una famiglia ferita. I suoi genitori si mostrano forti e sorridenti, ma lui capisce ben presto che la loro è solo apparenza. A volte, da bambino, vede la mamma piangere davanti alle foto di una ragazza che lui non ha mai visto. Sente le sorelle abbassare il tono della voce quando lui entra nella stanza. C’è qualcosa di strano, in famiglia. Una mancanza sempre presente. L’impressione, quasi impercettibile, che a tavola ci sia un posto vuoto.A sedici anni, Gioele inizia a capire. Scopre che la ragazza nella foto è sua sorella Manuela. Trovata senza vita cinque anni prima che lui nascesse, nel canyon di Tuvixeddu, a Cagliari. Era il 1995, e Manuela aveva solo sedici anni. Gioele è sconvolto. Ma almeno può dare un nome al vuoto che lo tormenta. Si documenta, ma le notizie che trova sono poche. Tutti dicono che Manuela si è tolta la vita.Tutti, tranne la sua famiglia. Convinta che in realtà sia stata uccisa, e che per questo lotta da tempo per far riaprire il caso. Ora, anche Gioele vuole mettere tutto se stesso nella ricerca della verità. Apre pagine social dove parla del caso di Manuela Murgia, con un solo obbiettivo. Fare rumore, tenere vivo il ricordo di sua sorella. E così succede. In breve tempo i media tornano a parlarne. Gioele e le sorelle creano un gruppo composto da ingegneri, avvocati, criminologi. Grazie alla loro determinazione, dopo trent’anni il caso viene riaperto. La nuova perizia presentata dimostrerebbe che Manuela è stata violentata, investita e uccisa. Il suo ex fidanzato dell’epoca viene iscritto nel registro degli indagati.Dopo anni di lotta, Gioele inizia a vedere uno spiraglio di luce. E sente ancora più forte la mancanza di quella sorella mai conosciuta. Un giorno, sdraiato sul letto, fissa il soffitto e si commuove. Alza il volume della musica per soffocare i pensieri, e quella vocina che non lo lascia in pace. Se ci fosse anche lei, qui con me, come sarebbe la mia vita?Può solo immaginarlo. Manuela oggi avrebbe 46 anni, sarebbe zia, e avrebbe un fratellino. Che si chiama Gioele, e le vuole bene. E che non smetterà mai di lottare per lei.

18.6.25

non sempre l'uccisione di una donna non sempre è femminicidio

 Un ragazzo di 21 anni uccide sua madre dopo averla minacciata varie volte, la gente sui social si indigna, non per l’accaduto, ma per il tag #femminicidio. come  dice @karavalentinamazara di
thereads. Certo  cìè  un uso improprio  del termine  femminicidio  ma  sempre  su 
www.threads.com





 

C'è anche qualche persona "intelligente" che colpevolizza la madre per aver cresciuto un figlio così, oppure afferma che evidentemente la donna era una rompiscatole, e il figlio non sopportandola più la ha ammazzata. Siamo a questi livelli di disagio. Non ci meravigliamo se ci si indigna più per un'etichetta che per il gesto in sé.Ovviamente "intelligente" era ironico

Quindi semplicemente non è un femminicidio. Non è stata uccisa in quanto donna ma per motivi strettamente dovuti a dissidi familiari  si chiama matricidio se proprio dobbiamo dirla tutta ed è molto peggio di un femminicidio 

 

9.6.25

incredibile ma vero . Uccide la moglie e si spara, i parenti scelgono un unico funerale. Il parroco: «Nonostante il dolore celebriamo l’amore» .

  dopo   tale  notizia   del femminicido  di castel  vetrano  ( qui  i fatti 



per    il quale  , l’avvocato Lorenzo Rizzuto, legale e portavoce della famiglia Campagna coinvolta nell’omicidio-suicidio di Castelvetrano (Trapani) dei coniugi Mary Bonanno e Francesco Campagna, invita la stampa «a trattare la vicenda con la massima discrezione, evitando la spettacolarizzazione e la diffusione di particolari non essenziali e non accertati, al fine di tutelare la memoria delle vittime e il diritto delle famiglie a vivere questo momento di immane dolore nel raccoglimento e nella riservatezza». «Pur riconoscendo il diritto di cronaca e la rilevanza sociale della corretta informazione – scrive l’avvocato – la continua esposizione mediatica, la diffusione di dettagli privati e la pubblicazione di notizie non sempre verificate e veritiere rischiano di amplificare la sofferenza delle figlie, dei familiari, dei parenti e degli amici, nonché di ostacolare il sereno svolgimento delle indagini in corso». «Inoltre – prosegue il legale – in occasione della cerimonia funebre, chiediamo formalmente di astenervi dall’effettuare riprese video, fotografie o filmati all’interno del luogo di culto durante lo svolgimento della funzione religiosa. Riteniamo che il rispetto della dignità delle persone coinvolte debba prevalere su ogni altra considerazione, in linea con la normativa vigente in materia di protezione dei dati personali, nonché con i principi deontologici della professione giornalistica e i limiti previsti dal diritto di cronaca».
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eccone  un  altra  strana  .  


Uccide la moglie e si spara, i parenti scelgono un unico funerale. Il parroco: «Nonostante il dolore celebriamo l’amore»

Saranno celebrati insieme nella chiesa parrocchiale di Cene, in provincia di Bergamo, i funerali di Elena Belloli e Rubens Bertocchi, moglie e marito morti giovedì pomeriggio nella loro casa di via Fanti, quando l'uomo l'ha uccisa con diversi colpi di pistola calibro 22 regolarmente denunciata e poi si è suicidato
Lo ha annunciato il parroco, don Primo Moioli: «Ringrazio le famiglie - ha detto don Primo - che con

questa scelta hanno dato il più grande segno di fede. Quel funerale è amore: nonostante le fatiche e il dolore che abbiamo nel cuore, celebreremo l'amore. Che Dio gliene renda merito». È una comunità smarrita e attonita quella di Cene, ma, come è stato più volte ricordato nella Messa pregando in particolare per i due figli, «questo è il tempo del silenzio e della preghiera». E il parroco ha chiesto «allo Spirito Santo, nella solennità della Pentecoste, di illuminare e scaldare con il suo soffio queste ore tragiche».
Il delitto giovedì scorso nel tardo pomeriggio a Cene, comune di poco più di 4 mila abitanti della valle Seriana, in provincia di Bergamo. A trovare i corpi di Elena Belloli e Rubens Bertocchi, di 51 e 55 anni, sono stati i vigili del fuoco, allertati dal figlio ventenne della coppia che non riusciva ad entrare in casa. Impiegata lei, guardia giurata lui, la coppia viveva coi due figli in un appartamento di un edificio a tre piani. Sul posto sono intervenuti i carabinieri della Compagnia di Clusone e del Nucleo investigativo di Bergamo, a cui sono state delegate le indagini coordinate dal sostituto procuratore Giampiero Golluccio. I militari hanno perquisito l'abitazione, messa sotto sequestro, alla ricerca di eventuali scritti che possano spiegare la tragedia, per ora senza un apparente motivo. Bertocchi, poco prima di togliersi la vita e dopo aver sparato alla moglie sei colpi, di cui due l’hanno raggiunta al petto, ha inviato un messaggio al cellulare di un amico comune della coppia, il cui senso era: «L'ho uccisa e ora mi sparo». Nel messaggio l'uomo avrebbe fatto riferimenti alla scoperta di un rapporto extraconiugale della moglie, anche se al momento gli inquirenti non avrebbero trovato conferma a questo aspetto e non è escluso che si sia trattato di una convinzione sbagliata del marito.
L'uomo, ex commerciante di generi alimentari e che ora lavorava come portinaio di un palazzo a Bergamo, aveva regolarmente detenuta la pistola calibro 22 per uso sportivo.

La gogna vergognosa che sta subendo in queste ore Simone Leoni, dà la misura esatta della barbarie morale raggiunta dalla destra-destra.

     

 La gogna vergognosa che sta subendo in queste ore questo ragazzo qui, Simone Leoni, dà la misura esatta della barbarie morale raggiunta dalla destra-destra.In pratica, il neo segretario di Forza Italia giovani ha osato criticare dal palco l’ex generale Vannacci dicendo semplicemente che è vergognoso discriminare donne, migranti, omosessuali e ricordando che ci sono ragazzi che per certe parole violente si tolgono la vita.Apriti cielo. In un amen Leoni è diventato il bersaglio numero uno di orde di fascisti, sovranisti, vannacciani, leghisti, meloniani.“Il
Tempo” è arrivato al punto di riesumare il padre biologico con cui Simone non ha mai avuto alcun rapporto dalla nascita e che rispunta dal nulla con una lettera violentissima nella quale lo accusa di “non essere nemmeno degno di spolverare gli anfibi al generale”.Usare un padre inesistente per screditare chi ha avuto il coraggio di esprimere un’idea dignitosa e rispettosa è davvero uno dei punti più bassi, miserabili mai toccati in un dibattito pubblico.La miglior risposta l’ha data il diretto interessato, con parole davvero esemplari:“Pur avendo sofferto molto, ancora oggi non provo rancore per Silvio Leoni, con il quale non ho condiviso nulla dei miei 24 anni. E lo perdono per avermi attaccato senza conoscere me e i mie valori”.Solidarietà a Simone nonostante le sue idee siano agli aantipodi dalle mie , per la dignità con cui le ha difese, senza rispondere alle accuse, uscendone da signore, a testa alta.Ma anche alla famiglia di Leoni. Di cui quest’uomo non fa e non ha mai fatto parte, a dispetto del sangue e del cognome.Quanto avrebbero da imparare da questo ragazzo i Vannacci, i Salvini, il padre e chiunque usi la parola per discriminare invece di includere.

7.6.25

e poi dicono che devono denunciare . l'unica l'arma sono la fuga o l'autodifesa il caso di Lucia Regna, pestata a sangue dal suo ex marito. Lei lo denuncia dopo 90 giorni di ospedale, ma lui non si è fatto un giorno di carcere…

 eventuale   replica    (  vedere  post  precedente  )  a  chi mi  dice     che   bisogna essere   esperti     per  parlare  di femminicidio  

  da     Lorenzo Tosa


Questa donna si chiama Lucia Regna, ha 44 anni, è finita così dopo che il suo ex le ha sbattuto la testa contro il marmo e, una volta a terra, l’ha riempita furiosamente di calci.Si è ritrovata per tre mesi in ospedale con 21 placche di titanio sul volto e il nervo oculare distrutto, solo l’ultimo episodio dopo 17 lunghissimi anni di maltrattamenti.Non è bastato denunciarlo più volte. Non è bastata neppure la condanna a un anno e mezzo, perché l’uomo era libero, libero di raggiungerla e ridurla in questo stato.E oggi a “La Stampa” Lucia si sfoga con parole che dovrebbero aprire i telegiornali.“Perché ci dicono di denunciare se poi quello che viene dopo, da parte dello Stato, è uno schiaffo morale che fa più male delle botte? A cosa serve il Codice rosso? A niente. Io mi sono pentita di averlo denunciato. Adesso può continuare a fare del male. A me. O alla prossima”.La possiamo girare come vogliamo.Sentire una donna vittima di violenza che dichiara di essersi pentita di aver denunciato è una sconfitta dello Stato.A Lucia tutta la mia vicinanza e solidarietà, per quel pochissimo che vale.Ma l’unica solidarietà che ha un qualche valore è ascoltare le sue parole. Pretendere che servano.


da https://www.cronachedallasardegna.it/

La donna nelle scorse ore ha raccontato in un’intervista a La Stampa quello che le è accaduto”Mi ha preso la testa e l’ha sbattuta contro il marmo. Quando ero a terra mi ha spaccato la faccia a calci, mi sono risvegliata in ospedale», racconta la donna.



Per ricostruirle il volto i medici hanno usato 21 placche di titanio. Lucia è dovuta restare ricoverata in ospedale per tre mesi ed ha una lesione permanente al bulbo oculare.

Ma soprattutto tanta rabbia visto che ha denunciato il suo aggressore, che non si è fatto neanche un giorno di carcere dopo averla quasi uccisa.
Lucia dopo novanta giorni di ospedale, si reca a formalizzare la denuncia, convinta che così facendo avrebbe salvato se stessa ed i suoi figli da quel bruto. “Suo marito quella sera aveva bevuto? Aveva fatto uso di droghe? Se ha reagito così, avrà avuto i suoi cinque minuti”, le dicono in caserma.
Lucia sentendo quelle frasi, resta senza parole.
«Perché ci dicono di denunciare se poi quello che viene dopo, da parte dello Stato, è uno schiaffo morale che fa male più delle botte? A che cosa serve il codice rosso? Io mi sono pentita di averlo denunciato».
L’uomo è stato condannato ad un anno e mezzo, ma è sempre rimasto a piede libero. Libero di raggiungerla, di pestarla ancora o farle di peggio.
“Adesso può continuare a fare del male. A me. O alla prossima”, aggiunge Lucia.
La donna è rimasta anche senza un lavoro a causa di ciò che le è successo. Ha fatto richiesta di invalidita` alla Asl per essere iscritta nelle liste di collocamento speciale, ma la commisione le ha riconosciuto per solo il 20% e per entrare in quelle liste occorre il 46%.
Lucia si trova dunque con dei figli da mantenere, una vita distrutta, una salute precaria. Solo perché al suo ex marito sono venuti i “cinque minuti”. E sempre da cronache della sardegna e non   di 
Maria Vittoria Dettoto : « denunciare non serve a niente, il Codice rosso non serve a niente se poi i responsabili di queste violenze non vengono puniti come dovrebbero essere.Tanti auguri Lucia. Sei una donna forte che merita solo il meglio dalla vita.»
Foto: Lucia Regna dopo il pestaggio dall’ex marito e come era prima.

31.5.25

femminicidio o non , sempre di violenza sulle donne si tratta il caso del delitto dell'autostrada ma le donne si lamentano per come ne parlano i media ma senza proporre alternative per parlarne

Lo so che dovrei smetterla di riportare scritti di altri\e su tali argomenti e scrivere le mie opinioni in merito a tali argomenti ma : 1) non riesco ad andare oltre l'ovvio e l'indignazione .,mi abbasserei a loro stesso livello di odio con il rischio di scadere nella morbosità o enlla polemica proprio come il commento lasciato nel titolo ad un intervento fatto da una vittima ( perchè anche se non muori , ma subisci violenze fisichè e morali lo si è ) ed ancora nonostantre la condanna del reo subisce la condanna da parte della società solo perchè ne uscità viva e ha denunciato ., 2) di non essere obbiettivo completamente     .
Infatti ,scusate la polemica ma molte persone la maggioranza , sottoscritto compreso  non hanno armi oltre l'indignazione per combattere ed insegnare \ educare figli o nipoti seriamente non solo a parole tali  problematiche 
Ma soprattutto non sono cosi bravo come parole come gli attori ed sceneggiatori questo video




 per dire con parole mie lo stesso concetto quando apprendo notizie del genere e in particolare questa di cui s'accena nel post d'oggi

 


E certo, il processo di beatificazione dell'uomodimmerda che ha lanciato la moglie dal cavalcavia è già cominciato.
Andrea Favaro avrebbe ucciso perché aveva paura di non poter più vedere suo figlio (cosa che evidentemente dal carcere gli riuscirà benissimo).Così cominciamo a leggere in stampa la prima rivittimizzazione della vittima, il giustificazionismo cieco, l'insinuazione che quindi, se questo povero padre aveva questa paura, allora la vittima era responsabile, magari lo aveva già messo in guardia sulla possibilità di una denuncia, anche perché col senno di poi, anche lo avesse pure messo in guardia, avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo a voler proteggere il figlio.Ma letta così, il sottotesto è "Poverino, era esasperato, aveva paura di non vedere il figlio, e quindi la colpa è certamente della madre". Non ne usciamo. O si cambia il linguaggio o non possiamo uscirne.E poi basta, con queste foto insieme, vittima carnefice, che sono rivittimizzanti, offensive, lesive di chi non c'è più e anche di chi sopravvive.Basta, sono anni che lo diciamo, che è una comunicazione profondamente sbagliata.



Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...