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26.11.24

culturamente mainate ha presentato Donna Fenice V – Crisalidi” di Barbara Cavazzana“

 




Ieri sera in occasione della giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne si è svolto presso il Centro Culturale Lena Lazzari di Malnate (Va) l’evento curato da  Barbara Cavazzana“Donna Fenice V – Crisalidi”. In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il 25 novembre, il Centro Culturale Lena Lazzari di Malnate ospiterà un evento speciale a partire dalle ore 21:00. Promosso da Pro Loco Malnate APS, Agedo Varese ODV e patrocinato dalla Città di Malnate, l’iniziativa si presenta come un momento di riflessione, arte e confronto.
Infatti  l
’evento, curato da Barbara Cavazzana,   come  confermato    da questo  spezzone   video riportato sotto per  la  gentile concessione di Cristian Porcino  ,  si propone di attraversare i “paesaggi calpestati dalla rabbia e dall’abuso”, restituendo luce e speranza attraverso l’arte e la parola. Un invito rivolto a tutti per affrontare un tema complesso con sensibilità e profondità. 


 Oltre  a Cristian   ha visto   la  partecipazione 
di numerosi ospiti che hanno contribuito   con le loro performance e testimonianze: Gianni Gandini  Roberto Capellaro  Roberta Barbatelli  Cristian Porcino
  • Italo Carloni  Paolo Martarelli  Cinzia Stracchi
Ogni intervento è stato  finalizzato a sensibilizzare il pubblico, offrendo uno sguardo sulle storie e sui percorsi di rinascita delle donne vittime di violenza. L’evento si concluderà con un dibattito aperto per favorire il confronto e la comprensione del fenomeno.In apertura dello spettacolo è stato proiettato un video ( qui riportato  )  contenente una  riflessione inedita del Prof. Cristian Adriano Porcino Ferrara sulla violenza di genere.






28.6.24

12 Frasi Sessiste Da Eliminare Dal Nostro Vocabolario e una informazione \ disinformazione di genere è una minaccia concreta ai diritti delle donne

 


leggi anche  
in particolare l'introduzione  con  i suoi link  e il primo articolo 



Con le parole ci esprimiamo e comunichiamo. Veicoliamo messaggi e la cultura della nostra società. Non sorprende che proprio le parole celino aspetti sociali che caratterizzano la società in cui viviamo, e questo avviene in positivo e in negativo. Ecco una lista di espressioni sessiste che dobbiamo smettere di pronunciare, o fermare gli altri dal dirle quando le ascoltiamo




. 1. “È un lavoro da uomini/un lavoro da maschi” 2. “Con chi è stata per ottenere quel posto?” 3. “Una donna con gli attributi” 4. “Una donna acida” 5. “Vestita e truccata così non esci” 6. “Cosa indossava?” 7. “Era ubriaca?” 8. “È una donna fortunata: ha un compagno che l’aiuta in casa” 9. “Auguri e figli maschi” 10. “Donna al volante pericolo costante” 11. “È una poco di buono” 12. “Dietro ogni grande uomo, c’è una grande donna
Questo in generale  . Ma  entrando ne dettaglio   ad  esempio    

Sul lavoro
Diverse espressioni utilizzate nel mondo del lavoro sminuiscono le capacità delle donne. Alcune espressioni trasmettono il messaggio che certe posizioni lavorative siano adatte solo agli uomini come nel caso di “Questo lavoro non è adatto ad una donna” e che il ruolo delle donne debba essere confinato alla cucina (“Datti ai fornelli”). Inoltre secondo alcuni modi di dire le donne possono arrivare in alto solo usando il loro corpo (“Con chi sei stata per fare questo lavoro?”). Quando poi una donna dimostra le sue competenze la si paragona a un uomo “Una donna con le palle”. Inoltre le donne sul posto di lavoro vengono talvolta considerate frustrate e acide: “La mia capa/collega è acida, avrà il ciclo” ne è solo un esempio appunto .

Anche  nei rapporti    sentimentali  in cui  L’amore come è possesso
Certe espressioni come “Se non stai con me, non puoi stare con nessuno" e "Perché non hai risposto subito al telefono?" possono sembrare espressioni di amore e preoccupazione, quando in realtà rivelano l'intenzione di avere il controllo sull'altra persona. Vi sono poi altre espressioni che più esplicitamente dimostrano l’intento di controllo, come “Vestita/truccata così non esci”.Esso   porta  anche ad Attacchi all’autostima .  Infatti  Spesso le donne che vivono una situazione di violenza hanno difficoltà ad uscirne perché il maltrattante le umilia al punto da distruggere la forza e l'autostima necessarie per lasciare la relazione tramite espressioni come "Zitta, a nessuno importa quello che dici", "Nessuno ti crederà" o ancora "Sei pazza, non è mai successo, ti inventi tutto". Oppure  a 

  • espressioni  di  minacce

Il timore per la propria incolumità e quella dei loro affetti scaturito da minacce e ricatti come "Se mi lasci, mi uccido", "Se lo dici, ti ammazzo", “Se provi a sentire ancora X (amico/collega), vedrai che succede” è uno dei motivi per cui molte donne rimangono in situazioni di abuso o evitano di denunciare i propri aggressori.

  • di vittimizzazione
Si ricerca spesso un movente o una giustificazione del reato nei comportamenti o nell’abbigliamento della donna. "L’hai provocato”, "Cosa indossavi?" e “Eri ubriaca” sono solo alcuni esempi.

  • Il delitto passionale e il ritratto dell’aggressore fatto dai media 
Gli eventi dall’epilogo più grave vengono narrati come “delitti passionali”, dei gesti folli dovuti al “troppo amore” o giustificati dalla gelosia come qualcosa che “acceca”. Inoltre, spesso l’aggressore viene ritratto come una persona per bene per suscitare empatia nei suoi confronti, ad esempio “Sportivo, credente e ottimo lavoratore: il ritratto di X”. "Crediamo che il linguaggio abbia un ruolo centrale nel cambiamento culturale necessario per avere uno sguardo diverso sul fenomeno della violenza di genere. Infatti Non parliamo di VITTIME parliamo di DONNE, in stato di temporaneo disagio. Il termine “vittima” infatti stigmatizza la donna in un ruolo passivo e ignora la forza di cui è portatrice quando intraprende il faticoso percorso di uscita dalla violenza” dichiara  Manuela Ulivi.



da https://facta.news/storie/








di Anna Toniolo


Nelle ultime settimane Greta Thunberg è stata al centro di una notizia falsa secondo cui l’attivista avrebbe affermato che se gli esseri umani vogliono continuare a combattere le guerre dovrebbero perlomeno usare «carri armati e armi sostenibili». Si tratta in realtà di un video manipolato. Ma l’attivista svedese non è l’unica donna che si è ritrovata, in tempi più o meno recenti, protagonista di notizie completamente false. È il caso per esempio di Elly Schlein, deputata e segretaria del Partito Democratico (PD), a cui sono state attribuite frasi che non ha mai pronunciato. O ancora Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione europea, che si trova da anni al centro di varie narrazioni della disinformazione.
Questi sono solo alcuni esempi di notizie false, satiriche o fuori contesto che riguardano donne che ricoprono posizioni di potere o ruoli pubblici, come scrittrici, giornaliste, artiste o esponenti della società civile che lottano contro le discriminazioni o la crisi climatica. Si tratta di un tipo di disinformazione non casuale, che segue pattern specifici e che si può definire “disinformazione di genere”. Un modus operandi che colpisce le donne online, ma che ha delle ripercussioni anche offline e, soprattutto, ha degli obiettivi ben precisi.
Cos’è la disinformazione di genere
Lucina Di Meco, esperta di uguaglianza di genere riconosciuta a livello internazionale e co-fondatrice di #ShePersisted Global, un’iniziativa per contrastare la disinformazione di genere e gli attacchi online contro le donne in politica, ha definito a Facta.news la disinformazione di genere come «la diffusione di informazioni e immagini ingannevoli o imprecise» contro donne leader politiche o donne che ricoprono incarichi pubblici. Secondo Di Meco, questo tipo di narrazione attinge dalla misoginia, dal sessismo e da stereotipi sessisti che dipingono le donne come «deboli, stupide e che mettono in risalto l’ossessione nei confronti della sessualità delle donne».
Il report A/78/288 delle Nazioni Unite sulla disinformazione di genere e le sue implicazioni per il diritto alla libertà di espressione, pubblicato il 7 agosto 2023, spiega che l’obiettivo generale della disinformazione di genere «è quello di minare i diritti umani, l’uguaglianza di genere, lo sviluppo sostenibile e la democrazia». Sempre nello stesso report si legge che, a differenza di altre forme di disinformazione, quella di genere non si basa solo su informazioni false, ma anche sulle narrazioni di genere esistenti per raggiungere i suoi obiettivi sociali e politici, «tra cui il mantenimento dello status quo di genere o la creazione di un elettorato più polarizzato».

Si tratta, quindi, di un tipo di narrazione coordinata che ha come obiettivo quello di diffondere notizie false sulle donne in posizione di potere, diffusa rafforzando stereotipi di genere già esistenti, caratteristica che contribuisce a rendere questo tipo di disinformazione ancora più difficile da contrastare. «Se un certo stereotipo esiste, questo viene rafforzato» ha spiegato Di Meco, «è molto difficile contrastarlo con dei mezzi puramente razionali e cognitivi» e le operazioni di fact-checking non bastano più.
L’obiettivo è silenziare voci e rivendicazioni
Nel suo rapporto del 2020 Demos, think tank britannico che conduce ricerche mirate al miglioramento della democrazia, ha presentato la disinformazione di genere come una serie di attività online che hanno obiettivi politici, sociali ed economici. L’anno successivo, invece, uno studio condotto da alcuni studiosi del Wilson Center, centro di ricerca che fornisce ai responsabili politici analisi imparziali sugli affari globali, ha evidenziato tre caratteristiche principali di questo tipo di disinformazione: falsità, intento maligno e coordinamento.
«L’obiettivo è quello di silenziare le donne ma anche, e soprattutto, silenziare alcune delle campagne che queste donne portano avanti» ha spiegato Lucina Di Meco, che ha aggiunto come attraverso il lavoro di #ShePersisted Global «quando noi vediamo che non tutte le donne sono silenziate allo stesso modo ci rendiamo conto che non si tratta solamente di misoginia, ma di un programma politico». In particolare, a essere più colpite sono le donne che si fanno portavoce di battaglie che riguardano, per esempio, il diritto di abortire, ma anche altre tematiche legate alla sessualità, come l’educazione sessuale, o l’accoglienza delle persone migranti.
Si tratta di uno schema d’attacco che accomuna le donne di molti Paesi quando si espongono e rivendicano diritti o sfidano i poteri costituiti. Per esempio, Di Meco ha raccontato che in Paesi dove sono presenti governi autoritari o leader populisti che stanno erodendo la democrazia, come la Tunisia o l’Ungheria,«abbiamo visto che le donne che fanno parte di movimenti in opposizione a queste figure politiche, sono ferocemente attaccate». L’obiettivo è, quindi, silenziare le donne e le loro battaglie, ma chi coordina campagne di disinformazione di questo tipo ha come intento anche un ritorno politico in grado di mantenere lo status quo.
La disinformazione di genere nel concreto
Gli esempi che si possono fare per comprendere come la gendered disinformation si concretizza online sono molteplici, ma ne bastano alcuni per inquadrare le caratteristiche di questo fenomeno.
Laura Boldrini, presidente della Camera dal 2013 al 2018 e oggi deputata del Partito Democratico (PD), è stata per anni al centro di campagne di disinformazione che cercavano di ridicolizzare e sminuire la sua persona. Le illazioni nei suoi confronti in riferimento a opinioni e disegni di legge da lei sostenuti sono state numerose, come ad esempio la proposta di legge sulle “misure per la prevenzione e il contrasto della diffusione di manifestazioni di odio mediante la rete internet”, da lei presentata nel 2021, e che l’ha messa nel mirino di offese che la accusavano di voler censurare la stampa e la libertà di espressione.
Boldrini è stata anche vittima di numerose narrazioni di disinformazione sul tema dell’immigrazione che miravano a descriverla come eccessivamente favorevole ai migranti e rifugiati, e allo stesso tempo indifferente e incurante nei confronti dei cittadini italiani. Un esempio è un’immagine falsa che nel 2021 accusava la parlamentare di aver chiesto all’allora primo ministro Mario Draghi «un reddito di dignità di 500 euro al mese per i migranti». La falsa notizia circolava dal 2016 e si trattava, invece, di un video decontestualizzato in cui in origine Laura Boldrini si riferiva al reddito di dignità per i cittadini europei.
Un altro esempio di campagne disinformative che coinvolgono le donne in Italia è quello che riguarda Maria Elena Boschi, deputata di Italia Viva. Le campagne di disinformazione online contro di lei hanno una forte componente sessista e misogina. Molte vignette, infatti, hanno messo in risalto il suo aspetto estetico puntando sullo stereotipo che associa, chiaramente in malafede, bellezza e stupidità e, quindi, una presunta inadeguatezza di Boschi alla politica. Nel 2015, per esempio, era stata diffusa online una foto di Boschi mentre leggeva una copia de L’Unità, storico quotidiano italiano, al contrario. In realtà si trattava di una foto modificata. L’originale era stata twittata dalla stessa Boschi in occasione del ritorno alle stampe del giornale.
Gender-trolling
Quelli appena citati sono solo alcuni dei moltissimi casi di disinformazione di genere che si scagliano contro le donne e contro le loro rivendicazioni. Spesso, però, notizie false, fuori contesto o addirittura nate con intento satirico generano veri e propri discorsi d’odio.
È in questo contesto che si inserisce un altro fenomeno che ha a che fare con la violenza online nei confronti delle donne, quello che Karla Mantilla, autrice ed esperta di studi femministi, ha chiamato Gendertrolling. Il trolling è un comportamento sociale, adottato dai cosiddetti “troll”, che punta a infastidire le persone online tramite insinuazioni che potrebbero avere un fondamento reale, ma che spesso sono, invece, completamente false.
Mantilla ha spiegato a Facta.news che «le donne subiscono una costellazione unica di molestie che io ho chiamato gendertrolling», ed è un fenomeno più feroce, violento, aggressivo, minaccioso, pervasivo e duraturo del trolling generico. Si tratta, sempre secondo Mantilla, di una strategia anche in questo caso rivolta alle donne che fanno valere le loro opinioni online, che vengono assalite da una serie di commenti a sfondo sessuale che includono minacce di stupro o di morte. «Attraverso questa pratica, le idee delle donne non vengono prese sul serio o vengono messe da parte e ignorate» ha spiegato Mantilla, «con il risultato che i contributi intellettuali delle donne al discorso pubblico vengono ignorati, scartati e cancellati».
Essere donne online, occupare posizioni di potere o, semplicemente, esprimere le proprie opinioni può quindi comportare una serie di conseguenze che comprendono campagne di disinformazione, violenza e insulti. Comportamenti che seguono uno schema preciso.
A questo punto sorge spontaneo chiedersi se campagne di odio come quelle citate possano avere conseguenze offline sulle vite delle donne. Sia Karla Mantilla che Lucina Di Meco concordano sul fatto che questo tipo di aggressioni hanno effettivamente ripercussioni sulle vite delle donne che le subiscono, che possono addirittura finire nel peggiore dei modi: portando ad attacchi fisici o alla morte.
La violenza digitale ha conseguenze sulle vite delle persone
In tutto il mondo molte delle minacce che derivano dalla narrazione disinformativa e violenta nei confronti delle donne portano con sé pericoli reali.
Per esempio, l’ex ministra dell’ambiente e dei cambiamenti climatici del Canada Catherine McKenna ha lasciato il suo incarico nel 2021, dopo essere stata bersaglio di campagne disinformative che avevano portato l’odio nei suoi confronti a un livello tale da essere fermata per strada insieme alla sua famiglia, ricevendo minacce. Accusata ingiustamente di diffondere notizie che esageravano le conseguenze dei cambiamenti climatici, McKenna era stata definita “Barbie del clima” da un collega e tale hashtag era stato poi ripreso e diffuso online migliaia di volte.
Un altro esempio da citare quando si parla delle conseguenze concrete che la disinformazione di genere ha sulla vita delle donne è l’assassinio di Jo Cox in Gran Bretagna. La deputata laburista è deceduta dopo essere stata ripetutamente colpita con un’arma da taglio il 16 giugno 2016, una settimana prima del referendum del 23 giugno sull’appartenenza del Regno Unito all’Unione europea (UE). Cox era una politica impegnata nella campagna per il “remain”, ovvero per restare all’interno dell’Unione Europea, nel periodo in cui nel Paese si discuteva della Brexit ed era stata più volte al centro di narrazioni di disinformazione che avevano generato una violenta ondata di odio nei suoi confronti. Mentre eseguiva l’attacco, il suo assassino aveva pronunciato frasi come «prima la Gran Bretagna» e «mantenere la Gran Bretagna indipendente».
Questo omicidio si inserisce in un contesto politico più ampio, in cui suprematisti bianchi e sostenitori del “leave”, quindi dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, hanno condiviso per mesi sui social una serie di informazioni false e teorie del complotto che hanno aumentato la rabbia nei confronti di chi sosteneva, invece, l’appartenenza all’UE.
Su Facebook e Twitter erano stati diffuse notizie false su temi come l’immigrazione, l’Islam e la politica estera. Il giorno prima che Cox fosse barbaramente assassinata, ad esempio, il leader del Partito per l’Indipendenza del Regno Unito Nigel Farage aveva diffuso un’immagine anti-immigrazione che mostrava migliaia di persone migranti, insieme al commento «L’UE ha fallito con tutti noi. Dobbiamo liberarci dall’UE e riprendere il controllo dei nostri confini». In realtà si trattava di una fotografia scattata in Slovenia nel 2015, quindi un anno prima, che mostrava migliaia di persone che avevano appena attraversato il confine con la Croazia e non aveva, quindi, niente a che fare con il Regno Unito. Secondo il deputato laburista Stephen Kinnock, prima della sua morte Cox aveva commentato indignata la diffusione di quell’immagine. Questo mix di odio, notizie false, complottismo e suprematismo ha, infine, trovato in Cox il capro espiatorio perfetto, portando alla più tragica delle conclusioni.
Ma non solo episodi sporadici e specifici, la disinformazione di genere che colpisce le donne può avere conseguenze anche più generalizzate, su tutta una categoria di giovani donne che si sentono intimorite da quanto accade online e dai rischi che comporta esporsi per una determinata causa. Secondo Lucina Di Meco questo ha delle conseguenze molto gravi: «di fatto noi sappiamo che le donne, in particolare le giovani donne, si auto censurano online sempre di più».
Tutto ciò è poi aggravato dalla diffusa assenza di una legislazione specifica per poter affrontare casi di disinformazione come quelli descritti e le piattaforme social, l’ambiente digitale in cui le campagne d’odio si dispiegano, non si sono ancora dotate di strumenti vincolanti e davvero efficaci per evitare che questo tipo di narrative riescano a diventare virali.
Una combinazione di fattori che mette a rischio la presenza delle donne online, la loro credibilità e le loro rivendicazioni, ma che ha anche delle ripercussioni sulle loro vite offline e sui sogni e le aspirazioni delle generazioni future. La disinformazione di genere agisce come un silenziatore per portare avanti dinamiche patriarcali che vedono le donne come soggetti che non possono occupare posizioni di potere ed escludendo di conseguenza un’intera parte della popolazione dalla vita pubblica. Una dinamica che, in ultima analisi, danneggia tutti e tutte.

29.8.23

il problema degli stupri specie quelli condotti da minorenni non va affrontato di pancia di Gennaro Pagano

 visto  che mi dice  che  esagero quado parlo  degli stupri  e dei femminicidio    che   siamo di fronte  ad  emergenza  culturale  ed  sociale  , lascio la  parola  ad  un esperto     che  ne   sà  più di  me 


Quanto accaduto a Caivano, come a Palermo, atterrisce. E atterrisce altrettanto gli opinionisti e i
tuttologi che sparano la soluzione mediatica ad alto impatto oppure che si limitano a descrivere l'evidente senza andare oltre. Il problema della sessualità, dell'abuso da parte di giovanissimi verso ragazze poco meno che coetanee, della violenza gratuita e bestiale è un problema complesso e che come tale va affrontato, analizzato, affrontato di pancia capito, andando oltre il politicamente corretto di uno sdegno sterile, tutto pancia e niente testa (la “pancia” è utile, necessaria e sacrosanta ma se non muove ad un pensiero capace di dirigere un’azione è socialmente sterile).In questo breve post voglio fermarmi su quattro parole chiave che meriterebbero un'analisi ulteriore. Condivido questi pensieri assolutamente non esaustivi per spingere a riflettere e ad andare oltre gli slogan :

1. Empatia. Spesso durante il mio servizio all’Ipm di Nisida e durante l’attività di psicoterapeuta mi è capitato di incontrare adolescenti "sotto anestesia"emotiva, completamente incapace non solo di elaborare ma anche di riconoscere le proprie emozioni e quelle della loro vittima. Negli ultimi anni vi è un "distanziamento emotivo" molto preoccupante e pericoloso, correlato senz'altro in molti giovani all'utilizzo smodato di social network, video, schermi e tastiere: non si tratta di "influenza" dei social, attenzione, ma di un vero e proprio mutamento di reti neuronali che nei nativi digitali sta avvenendo, come dimostrano numerosi studi avviati. Se a questo si aggiunge spesso la mancanza di mediazione e narrazione della realtà da parte del mondo adulto, tutto diventa più comprensibile.
2. Porno. Non se ne parla. Pare un discorso da bigotti e politicamente scorretto. Ma chiunque abbia esperienza di accompagnamento psicologico di adolescenti e ragazzi sa bene quanto l'esposizione pressoché quotidiana - che non di rado sfocia in una vera e propria dipendenza - a siti e video pornografici abbia delle ricadute importanti sulla concezione del sesso, delle pratiche sessuali, del rapporto e degli atteggiamenti da assumere. L'altra/o viene "cosificata", ridotta a merce da consumare e buttar via. Non si gode della relazione (anche sessuale) ma dell'oggetto da consumo che diventa il corpo dell'altro. Del porno e del suo effetto sugli adolescenti si parla poco: ricordiamoci che è una delle industrie più fiorenti di sempre. Ricordiamoci anche che ci troviamo dinanzi ad un inedito storico: mai l'accesso alla pornografia è stato così facile e potenzialmente continuo come negli ultimi venti anni. Questo vuol dire che chi liquida questo problema lo fa con superficialità e senza pensare.
3. Consumismo. Il "consumismo", parola che andava tanto di moda negli anni '80 e '90 , è diventato sempre più un concetto anche relazionale ed esperienziale. Non si tratta più di consumare merci e cose ma anche persone, corpi, relazioni. Non superando mai la fase infantile, narcisistica ed egocentrica, in cui l'altro viene concepito unicamente come funzionale al mio bene e, perché no, al mio piacere. L’altro non è più persona ma merce, cosa fa consumare. Anche sessualmente.
4. Povertà. Abusi e stupri possono avvenire ovunque come dimostra la storia e la casistica ma in alcuni casi, soprattutto in quello che vede protagonisti minori o giovanissimi, vediamo che avviene più spesso in contesti sociali o territoriali segnati dalla povertà educativa, dalla marginalità sociale, dal degrado morale. Questo significa che anche in quest'ambito i più poveri sono quelli che subiscono di più: nascere in una famiglia difficile, di un quartiere difficile di una realtà difficile espone maggiormente a traiettorie di vita deviate.
In tutti questi ambiti occorre lavorare con un metodo seriamente preventivo, transdisciplinare e di rete. E nonostante l'urgenza occorre essere preparati ai frutti che non arriveranno domani ma dopo domani: si tratta di cambiamenti della mente "sociale" e questo richiede tempo.E in questo tempo occorre lavorare con solerzia, coraggio, passione e senza protagonismi di sorta ad aiutare le vittime e ad evitare, vigilando, che ve ne siano altre.

28.8.23

DIARIO DI BORDO n°3 anno I .L'italia da un emergenza ad un altra . l'aumentare dei casi di strupro e di femminicidio che vedono come vittime e carnefici minori . il casi di Palermo ,Ottaviano , latina

 Dopo gli anni del terrorismo (  strategia della tensione/guerra non ortodossa e anni di piombo  ) e l'emergenza ambientale , c'è quella del femminicidio e della violenza di genere  che colpisce direttamente  (omicidi e stupri ) anche indirettamente ( bullismo e suicidi   come  la  storia  ripresa  sotto  ).  fatti   come  quelli  di Palermo e di Caivano solo per citare gli ultimi avvenuti cronologicamente sono aggravati oltre che da un sistema sociale vetusto e non a passo con i tempi ed le innovazioni etiche tecnologiche da un emergenza sociale e culturale .
 Infatti  a  Latina, minorenne sviene in spiaggia durante una festa: gli amici la filmano sotto la gonna e pubblicano il video su Instagram.  
Il video è stato rimosso in un secondo momento, ma ormai le condivisioni erano state migliaia
Sia  nella  storia   Amanda Michelle Todd ha sedici anni (    vedi sotto  )    C’è un problema serio. Anzi due.
Il primo è nella sessualità maschile capace di questi gesti vigliacchi, che hanno come filo comune “approfittare di una situazione di debolezza o incoscienza” (qui uno svenimento).
Il secondo è nella narrazione di questi fatti da parte di certa stampa, che definisce “amici”  [ anche  quando  effettivamente  lo  sono  ]  dei profittatori pavidi e crudeli, che svendono le ragazze appena sono in difficoltà. E le vendono al miglior offerente. E pensano sia questo essere forti. Vincenti.
Quelli non sono amici   [ ma  .....  mostri  ]. 
Uomini e giovani uomini che non siete come loro prendere parole, indagate, provate a spiegarci quale piacere ci può essere nell’approfittare della debolezza di una femmina. << È questione di coraggio. Quello vero.E futuro.  ( da  ,  eccetto  le  parentesi  ,   https://www.facebook.com/labodif

Infatti  mi  tocca  dare  ragione    a 

C'è una enorme differenza tra essere maschio ed essere Uomo. Un "Uomo" è un individuo finito, consapevole di se stesso, dei propri istinti, dei propri limiti e delle proprie facoltà, ma anche e soprattutto consapevole del fatto che la violenza, in nessun caso, è una soluzione. [ ... segue qui sul suo post ]



e  per    concludere   la  storia    in questione  riportata  dall'account  fb  dela  giornalistra  Angela Marino





Amanda Michelle Todd ha sedici anni, è carina ma non lo sa, è intelligente e sensibile, ma è ancora troppo giovane per apprezzare il valore di queste qualità. A scuola non è quella che si dice una ragazza popolare. Quando chiude la porta della sua camera per cercare, con le videochat, il contatto con qualcuno che le presti attenzioni e la faccia sentire bella, non sa che è come offrirsi vittima sacrificale alla crudeltà altrui. Uno dei suoi amici virtuali la convince a spogliarsi davanti alla telecamera. “Dai, tanto non ci vede nessuno”. Lei finisce per eseguire, ma non perché voglia farlo, solo perché non sa dire ‘no’. Ignora, Amanda, di essere caduta nel ‘capping’ uno dei tanti cybercrimini di oggi. Quando la foto è stata scattata, la vittima non ha altra scelta che obbedire alle richieste del suo ricattatore, altrimenti la foto viene pubblicata su internet. Da quel momento, Amanda obbedisce a tutte le richieste, credendo così di tenersi al sicuro. Poi il giorno di Natale si ritrova la polizia postale alla porta: “Signori, online ci sono foto intime di vostra figlia”. E così vengono a saperlo anche i suoi. Per Amanda, sola come non mai, sono arrivati due nuovi compagni di sventura: l’ansia e la depressione. Dopo quell’esperienza non riesce a mangiare a dormire, non è mai serena né si sente mai al sicuro. La situazione peggiora quando su internet spunta un account Facebook con il suo nome e la foto del suo seno come immagine del profilo. Qualcuno ha aggiunto i suoi compagni di scuola tra gli amici. E così Amanda scende di un altro gradino la scala del dolore. Ora è esposta al pubblico ludibrio, agli insulti e alle minacce dei suoi compagni, che trovano divertente isolarla e bullizzarla. A salvarla c’è un vecchio compagno di scuola, l’unico che le mostri affetto e comprensione. Amanda si prende una cotta, lui la invita a uscire, ma all’appuntamento la ragazzina trova tutti gli altri suoi compagni di classe. È solo uno scherzo, sono lì per prendersi gioco di lei. “Ma guardati, non piaci a nessuno!” sghignazzano. Poi passano alle violenze fisiche, la picchiano. Amanda rimane raggomitolata sul pavimento per un po’, è suo padre a trovarla. “Niente, papà, sono caduta”. E a casa beve la candeggina. Con il tentativo di suicidio i bulli guadagnano un’altra leva per farle del male. Cominciano a taggarla su Facebook con le foto di candeggina e acidi. Amanda va dallo psicologo, ma sta sempre peggio. Finisce in ospedale per abuso di farmaci. Quando sembra che non ci sia più niente da fare, si chiude nella sua stanza, accende la telecamera e racconta la sua storia di bullismo e abuso. È una richiesta di aiuto, un grido di dolore e rabbia, un sussulto di vita e dignità. Non funziona. Cinque settimane dopo la pubblicazione del video su Youtube chiude di nuovo la porta della sua stanza e si impicca. Dopo la sua morte il video diventa virale. Gli hacker di Anonymous rintracciano l’uomo che le estorse la foto con cui tutto è iniziato. Viene condannato per frode, aggressione sessuale e ricatto. “Grazie - dicono i genitori di Amanda - ma gli aguzzini di nostra figlia sono molti di più”.

4.5.22

la banalità del femminicidio di Patrizia Cadau


Ora Davanti all'ennesimo femminicidio , il terzo femminicidio solo nelle ultime 24 ore, dopo quello di Romina Di Cesare, ho difficoltà ,  visto che  essi  sono  come  un copione che si ripete da sempre identico, straziante e uguale a se stesso , a scrivere \ commentare qualcosa senza cadere cose retoriche ed ovvie, ma soprattutto a scrivere senza usare la pancia .
Per  questi motivi  preferisco lasciare  dunque la parola all'amica e compagna di strada  più esperta,visto che  per  le sue   le  sue vicende   personali  (   trovate la sua storia  nel  blog  ) lo  ha   ed o prova  sulla  sua  pelle , di  me   su tali tematiche      
Questa notte a Samarate, nel Varesotto, un mite e famoso architetto Alessandro Maja, ha preso un martello e ha ammazzato nel sonno la figlia Giulia, sedicenne, la moglie Stefania Pivetta, ha tentato pure di uccidere il figlio Nicolò 23 anni, ora in rianimazione con un trauma cranico. La banalità del mostro di casa.
È spesso un uomo affermato, mica uno zotico con la clava in mano: è un violento cresciuto tale ed educato peggio, un uomo sanissimo che per sadismo, sindrome del catso piccolissimo, deve infliggere dolore e miseria alla gente di casa sua.
Tanto, chi potrebbe credere che lui sia colpevole? Non scherziamo.
Poi del resto gli basterà accampare qualche scusa e scatteranno immediatamente le giustificazioni del caso.
"Lei voleva lasciarlo" "Era esasperato" "chissà cosa gli avranno fatto e così via".
Nel mentre, nel mentre che parliamo di questa storia, ci sono migliaia di donne che vivono spaventate, intimidite insieme ai loro figli, che soffrono il senso di colpa, e di cui domani leggeremo in cronaca come adesso. E quindi siamo tutti responsabili. Per essere disattenti, ignavi, irresponsabili, giudicanti e molto più sinteticamente perché non ce ne può fregare una mazza e lasciamo scorrere queste notizie e tutto quello che riguarda la prepotenza maschile in ogni sua declinazione come elementi di folklore. Invece sono fatti pubblici, su cui quasi nessuno si azzarda a fiatare.

Io  non riuscirei  a  scrivere  meglio  

L'ARRAMPIRARSI SUGLI SPECCHI DI ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA CHE INSISTE SULLA FALSA SUPEMAZIA DELL'OCCIDENTE

Scusate   se  riprendo   l'argomento affrontato    nei giorni  precedbnti   ma l’autore dell’incipit «solo l’Occidente conosce la storia...