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24.11.22

Genova, Mussolini fece confiscare il suo conto: dopo 70 anni fa causa alla banca e allo Stato

Piero Riccardo Pavia era solo un bimbo quando arrivarono le leggi razziali. I genitori gli avevano aperto un libretto - ritrovato solo poco tempo fa - al Banco di Chiavari che oggi gli offre 800 euro, lui chiede mezzo milione



Il signor Piero Riccardo Pavia oggi ha 81 anni. Ne aveva appena 3 quando il Governo fascista, con lo strumento delle leggi razziali e attraverso la prefettura di Genova, nel procedere alla confisca di tutti i beni degli ebrei e quindi anche di quelli della sua famiglia, si appropriò del libretto di risparmio numero 3142 che i suoi genitori gli avevano aperto all’allora Banco di Chiavari e che conteneva 11 mila lire. Era il 6 aprile del 1944. Oggi, 78 anni dopo, una giudice del tribunale di Genova deve decidere sulla richiesta di risarcimento depositata dal signor Pavia attraverso il suo legale, l’avvocato Mauro Frigerio.
Se Piero Riccardo Pavia si è mosso solo dopo così tanto tempo è perché lui neppure sapeva di quel libretto. Lo ha ritrovato di recente, rimettendo in ordine antichi ricordi, documenti e cimeli di famiglia. E quella carta antica e scolorita ha riportato alla luce angosce, sofferenze e una richiesta di giustizia ancora, dolorosamente, vive.
Molteplici sono le sfumature di questa vicenda storico-giudiziaria che ruota attorno ad una cifra, o meglio due. Da un lato gli 838,96 euro che il Banco Bpm (che oggi ingloba l’antico Banco di Chiavari e della Riviera Ligure) ha offerto al signor Pavia come rimborso per le 11mila lire “rivalutate dalla data del sequestro ad oggi”.

La sede dell'ex Banco di Chiavari oggi Bpm in via Garibaldi (bussalino)

Dall’altro la richiesta, in base a conteggi effettuati da consulenti, avanzata dal signor Pavia che ammonta a 420mila 748,68 euro. La citazione, in solido, riguarda, oltre a Bpm anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri, incarico in questo momento ricoperto da Giorgia Meloni, al quale, in gioventù, aderì al Msi, partito fondato da Giorgio Almirante, convinto fascista che della Repubblica Sociale Italiana fu un importante esponente. Un incrociarsi di vicende storiche e personali che riduce le distanze temporali.
Tornando alla somma richiesta come risarcimento, seppur importante, non è il cuore di questa causa sul tavolo della giudice Barbara Romano.
In tempi di revisionismo e omologazioni diffuse, sono utili, per capire lo spirito che permea questa causa, le parole che pronunciò Tina Anselmi nella sua veste di presidente della Commissione che tra il 1998 e il 2001ebbe il compito di ricostruire, e lo fece in 500 pagine, quella gigantesca rapina dello stato fascista che fu il decreto legislativo di Mussolini con cui si stabilivano le “Nuove disposizioni concernenti i beni posseduti dai cittadini di razza ebraica”.
Scrive Tina Anselmi: “Prima di essere un affare di denaro, la spoliazione è stata un persecuzione il cui obiettivo finale era l’annullamento morale e quindi lo sterminio”.
Un concetto che ribadisce il signor Pavia: “Vede, sicuramente a differenza di tante altre famiglie ebree e non solo, la mia è stata anche più fortunata, tocca dire così di fronte all’orrore di quanto accaduto. Noi venimmo derubati dallo stato fascista e per salvarci, con un viaggio rocambolesco non privo di sofferenze e umiliazioni riuscimmo a raggiungere la Svizzera. Ma quelle confische furono il primo atto concreto di aggressione e credo sia un mio dovere, oggi, chiedere un risarcimento che non può essere solo simbolico ma contenga in sé una sorta di monito rispetto alle leggi razziali”
La causa è già stata avviata e il primo febbraio del 2023 ci sarà un’udienza decisiva poiché la giudice dovrà decidere se vada accolta la richiesta dell’Avvocatura di trasferire il processo a Roma dove aveva sede l’Egeli, ovvero “Ente di gestione e liquidazione immobiliare” al quale Mussolini aveva affidato la criminale classificazione e reimpiego dei beni delle famiglie ebraiche italiane.
Ma quel che più conta è che un giudice dovrà dire se il signor Pavia abbia solo diritto a recuperare quegli 800 euro come se il suo caso sia omologabile a una negligenza, un errore, una frode nel peggiore dei casi, o se invece le 11 mila lire di quel bimbofossero solo il primo, barbaro passo compiuto da una dittatura per sterminare un intero popolo ed appropriarsi, come l’ultimo dei briganti, dei loro beni.

23.12.18

Ludovico Spròcani, detto Vico, il ragazzo che s'oppose alle leggi razziali italiani



di Alessandro Marzo Magno

L'eroe del liceo Marco Polo, il ragazzo che si oppose alle leggi razziali, riemerge dalle brume della storia. FinalmenteLudovico Spròcani, detto Vico, ha un volto e una storia. D'altra parte niente di strano che i suoi familiari non sapessero nulla di cosa fosse accaduto all'esame di maturità classica del 1939: da uomo riservato qual era, non l'aveva mai raccontato. L'ebrea veneziana protagonista di quell'episodio era Giuliana Coen, che dopo aver sposato Guido Camerino ed esser divenuta una stilista, sarebbe diventata famosa come Roberta di Camerino.Nel suo libro di memorie, R come Roberta, pubblicato nel 1981, spiega com'era andata: «Quella mattina entriamo in classe e assisto alla prima sorpresa. Tutti i banchi sono in fila, come sempre. Ma ce ne sono due in un canto, un po' scostati. Io faccio per sedermi a caso, quando mi arriva alle spalle un professore e mi dice: No, laggiù per favore, e indica uno dei banchi messi da parte. Quasi nessuno si accorge di quel che sta accadendo perché c'è il solito trambusto, gli amici cercano di stare insieme, c'è chi cambia idea all'ultimo momento, chi baratta il suo con un altro posto. Alla fine siamo tutti seduti. C'è un attimo di silenzio, finalmente. Ed è in quel momento che, da un banco centrale, si alza un ragazzo. Non è bianco, è un mulatto. Alza la mano, per poter parlare. È il figlio di una principessa eritrea e d'un generale italiano. Volevo sapere perché quei candidati son tenuti da parte. Ha una voce sonora, un accento romanesco, ma elegante. Il professore ha un momento d'imbarazzo, ma si riprende. Sono privatisti. Il mulatto sorride. Certo: privatisti. Ma perché sono ebrei, non è vero?. Questa volta l'imbarazzo del professore è più evidente. Se è per una questione di razza, nemmeno io sono ariano, come certo non vi sarà sfuggito, non è vero? Perciò, con il suo permesso.... Ma non aspetta il permesso di nessuno. Prende l'ultimo banco della fila, che era vuoto, e lo spinge verso i nostri, di lato. Allora accade l'imprevedibile, davvero. Tutta la classe si alza, prendono anche il mio banco. In un niente la classe è tornata normale: tutti i banchi tornano in tre file, noi siamo con gli altri. Il giovane mulatto, prima di sedersi a sua volta, fa un rigoroso inchino al professore. C'è un attimo di silenzio. L'insegnante è turbato. Si leva gli occhiali, passa una mano sugli occhi. Poi, quasi parlando a se stesso, ma lo sentiamo benissimo dal posto, si lascia scappare un: Vorrei abbracciarvi tutti quanti».
IL PROTAGONISTA
Il ragazzo mulatto che si alza per primo e scatena una reazione da Attimo fuggente è Vico Sprocani; il registro della maturità dice che è nato a Cheren (colonia eritrea) oggi Keren e che viene promosso a settembre dopo aver ridato l'esame di matematica e fisica. Giuliana non è l'unica Coen a dare l'esame: c'è anche Lilla (sua grande amica, ma non parente) e un'altra privatista ebrea si chiama Nelly Basevi.
Di Sprocani non si sapeva altro, se non che nel dopoguerra diventa direttore a Venezia di un giornale dell'Uomo Qualunque, la formazione politica che ebbe grande successo nelle elezioni del 1946, e poi si trasferisce a Gallarate con la moglie veneziana. Ora, grazie a un articolo su internet e a un messaggio su Facebook, è possibile ripercorrerne la vita.
Sprocani durante la guerra è ufficiale di cavalleria e va a combattere in Russia. Quando torna si laurea in giurisprudenza a Padova e va a fare pratica nello studio legale Dian, di fronte al teatro Goldoni. Conosce quella che diventerà sua moglie, Adalgisa Cendali, zia di Giancarlo e Andrea Faccini, ovvero coloro che hanno rintracciato chi scrive e che raccontano la storia del congiunto. Nel frattempo Vico era rimasto orfano di madre e poco prima di sposarsi perde anche il padre. Dopo il matrimonio, siamo all'inizio degli anni Cinquanta, si trasferisce a Gallarate dove fa l'agente di commercio. Giancarlo Faccini, che diventa direttore acquisti della Coin, lo incontra quando va per lavoro a Milano (poi si trasferirà a Monza con la famiglia).
IL LEGAME CON VENEZIA
Vico e Adalgisa rimangono legati ai loro parenti veneziani: d'estate vanno in vacanza al Lido, d'inverno a Falcade, dove acquistano una casa. Come spesso accade alle coppie senza figli, si affezionano moltissimo ai nipoti. Andrea è il primo nato tra i nipoti e ricorda le partite a briscola con lo zio che amava giocare a carte, mentre non amava affatto perdere.
Era un uomo affabile, generoso, riservato, istruito, di portamento quasi aristocratico (un vero ufficiale di cavalleria, si potrebbe dire), amava lo sport e praticava il tennis. Parlava poco di sé: oltre a non aver mai detto nulla dell'episodio del Marco Polo, l'unica cosa che raccontava della campagna di Russia era il pericolo dei gatti selvatici che attaccavano in branchi (ma non costituivano l'unico rischio per i soldati in Russia). I vecchi amici di Gallarate lo ricordano alto, elegante, e sottolineano che la moglie era una donna bellissima. Fumava sigarette svizzere.
Gli piaceva socializzare e odiava le discriminazioni. Mantiene per sempre il vizietto di intervenire per evitare i soprusi. Sprocani era un convinto monarchico, disprezzava Vittorio Emauele III, mentre apprezzava moltissimo Umberto II che considerava «il suo re» e andava tutti gli anni a trovarlo a Cascais, in occasione del compleanno. Proprio durante uno di quei viaggi, mentre si trovava a tavola con l'ex sovrano esiliato, Vico Sprocani muore all'improvviso. Era il 1983. La moglie va in Portogallo per riportarlo in Italia e seppellirlo nella tomba di famiglia, nell'isola di San Michele. Poco tempo dopo la vedova lascia Gallarate e si trasferisce a vivere con la sorella a Mestre, dove muore nel 2015.
IL RICORDO
Sprocani non aveva discendenti diretti e i parenti della moglie oggi vivono tra Monza, Mestre e il Lido di Venezia. Nessuno di loro conosceva la storia della maturità del 1939, tra l'altro Giuliana Coen Camerino nel suo libro non faceva il nome dell'eroico compagno di scuola. Chi scrive l'aveva intervistata nella sua casa di Lugano nel marzo del 2009 poco più di un anno dopo è morta e la stilista aveva rivelato il nome del giovane; l'allora preside del Marco Polo aveva recuperato i verbali di quella maturità. Ora, quasi dieci anni più tardi, il cerchio si chiude e il «ragazzo mulatto» ha un nome, un volto e una storia. E tutti dovremmo ringraziarlo per quello che ha fatto

Soprattutto in periodo  , in italia  ,  dove   nessuno o  quasi  s'oppose   .  in quanto la maggior pare  rimasero  zitti  ed  indifferenti  

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...