Roma: 10 km di coda sulla Pontina per la Pasqua.
Registrati 10 km di coda sulla Pontina a causa della Pasqua: non è questo momento di allentare la corda.
Nella giornata di oggi sono state avvistate centinaia di macchine per la strada provenienti da Roma presso il litorale: ciò ha causato 10 km di coda lungo la Pontina e ciò ha richiesto l’intervento delle forze dell’ordine per cercare di contenere al massimo gli spostamenti.
Questi spostamenti si deduce siano dovuti all'imminente festività di Pasqua che però, in un momento di emergenza sanitaria come questo, non può e non deve essere un motivo di spostamento.
Chiara Ruocco
Ora ciò mi fa ..... soprattutto leggendo storie come quella sotto . Capisco che la quarantena ed la voglia d'uscire avere contatti umani , ti provino . Ma che ..... vogliono rendere inutile il sacrificio di gente come quella sotto vogliamo continuare a morire ed a piangere morti ?
Da 5 anni lavora in Pronto soccorso e ora ha scelto la Covid Unit del Fatebenefratelli di Milano
DI PINO CORRIAS
MILANO - «All’inizio avevo paura. Ora no. Ti abitui alle regole di un ospedale in guerra, ti abitui a vivere nel terremoto che non smette di tremarti intorno, a essere frastornata dalle emergenze, a prendere una decisione al minuto, compresa la più terribile, chi puoi salvare e chi no. Io l’ho fatto e devo conviverci ogni notte».Anche oggi Claudia Gabiati, quarantenne d’acciaio, ma con gli occhi verdi, gastroenterologa, 5 anni di Pronto Soccorso, altri 6 anni in corsia, scenderà nella Covid Unit del Fatebenefratelli, detta anche: la Trincea. Impiegherà venti muniti a spogliarsi, immunizzarsi, indossare la doppia tuta, la cuffia, i calzari, la mascherina, gli occhiali, la visiera, i doppi guanti, tutto quello che serve per entrare in sicurezza nel nuovo mondo, respirare la stessa aria del virus che ci ha cambiato la vita, seminando morte. E in quel mondo, coperta di plastiche, sudare sino a fine turno.
"Il mese più difficile della mia vita"«Marzo è stato il mese più terribile della mia vita. Fronteggiavamo davvero l’invisibile. E l’invisibile ogni giorno, ogni notte, ci accerchiava di ammalati e morti. I letti di terapia intensiva non bastavano mai. L’ospedale all’inizio ne aveva trenta. Ne abbiamo aggiunti sedici dopo la prima settimana, buttando giù pareti in un tempo zero. Poi altri quaranta. Poi altri ventinove, cancellando la Pediatria. Ma non bastavano mai. E così capitava che dovendo scegliere tra un paziente settantenne, obeso, pieno di complicanze, e un altro che poteva farcela, sceglievi di intubare il secondo, lasciando andare il primo. Non è facile come dirlo. Ti consulti coi colleghi, rifai cento volte i calcoli, ragioni, litighi. Ma alla fine decidi. E quando hai deciso devi chiamare i familiari e raccontargli tutta la verità che possono sopportare».
«Nel mondo di prima, ogni paziente aveva una moglie, figli, genitori, c’era un rapporto che faceva bene a tutti. Oggi di loro sappiamo solo i nomi scritti sulla scheda. Vediamo a malapena le facce, infilate dentro i caschi che li isolano nel rumore costante della ventilazione. Sono soli. Catapultati dentro un mondo sconosciuto dove noi ci aggiriamo vestiti da astronauti, irriconoscibili. Ci guardano con gli occhi spalancati. Hanno paura. Una tremenda paura di non riuscire a fare il prossimo respiro. La loro paura ci contamina. La loro solitudine è la nostra».
Il virus veloce«Il Covid è un virus velocissimo e cattivo. In tanti anni non ho mai visto infezioni polmonari così. Chi dice che è simile a tante altre influenze non sa di cosa sta parlando. Nei pazienti di prima le lastre mostravano uno o due addensamenti nei polmoni e il decorso era lento. Le polmoniti da coronavirus sono un’altra cosa, l’infezione è una macchia di inchiostro che cade e si diffonde. Ho visto pazienti che respiravano con qualche affanno e dopo un’ora non ci riuscivano più, completamente desaturati, in pericolo di vita. Mai vista una instabilità del genere».
«La verità è che ancora oggi non sappiamo bene come curarli. Non sappiamo quale farmaco funziona e quale no. Quello che facciamo è supportare le loro funzioni vitali in corsa contro il tempo. Li facciamo respirare. Li idratiamo. Li nutriamo. E intanto proviamo con gli antivirali, gli antimalarici. Magari con il cortisone. Magari con certi antibiotici. Ma la realtà è che chi ha la forza di guarire, guarisce, chi non ce la fa, muore. È tutto qui, per ora. Per questo è così importante la prevenzione, stare chiusi in casa, lavarsi, usare ogni cautela. Chi parla di riaprire tutto è matto».
"Dormo 4 ore a notte"«Da otto settimane dormo quattro ore per notte. Come tutti al Fatebenefratelli, medici, infermieri, paramedici. Non so neanche se sogno o non sogno. Entro nei reparti alle sette e mezza, esco alle dieci di sera. A marzo ho fatto 160 ore di turno, più 114 ore di straordinari. Durante il turno non mangi, non bevi, parli a gesti e se devi fare pipì perdi mezzora a svestirti, lavarti, rivestirti, quindi te la tieni». «Tutti noi del reparto abbiamo colleghi e amici morti, oppure in terapia. Penso che più o meno tutti siamo stati infettati. Io credo di essermi ammalata a metà marzo. E di essere guarita dopo certi dolori alla schiena. Il tampone dice che sono negativa. Ma quando ci sarà tempo di fare le analisi degli anticorpi, scoprirò se l’ho avuta oppure no».
Resistere«Questo è il tempo che ti tieni tutto dentro. Resisti. Ho la fortuna che a casa Luca, mio marito, cucina tutti i giorni per me. Prepara pesci e torte. Un amore. Solo che da due mesi viviamo, respiriamo e mangiamo a un metro di distanza, dormiamo in letti separati. L’ultima cosa che voglio è metterlo a rischio, non me lo perdonerei». «Da una settimana il terremoto ha rallentato. Lo spiraglio è che vediamo qualche letto libero. Ma la ricostruzione del mondo di prima sarà lentissima, un anno e anche di più. E quando arriverà il vaccino ci sarà l’intero mondo a mettersi in fila».
«Ho visto al telegiornale che ci applaudono dai palazzi. Mi ha commosso. Vorrei tenere questi applausi per il futuro e spenderli quando al Pronto soccorso ci urleranno, ci insulteranno. Oppure quando i prossimi governi ci taglieranno i reparti, gli ospedali, i corsi di laurea. Specie qui in Lombardia, dove per anni tutto andava alla sanità privata e le briciole a quella pubblica. Oggi ci chiamate eroi, benissimo, evviva, pero segnatevela ‘sta cosa e riparliamone quando ci sarà tempo».