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18.7.23

VIA D'AMELIO 1992 -2023 MIO RICORDO PERSONALE

 



Non ho   appreso ,  a  differenza  di quella  di   capaci  ,  in diretta la  notizia   della  strage di via  d'amelio  . Ma il ricordo   del  fatto e  di cosa stessi  facendo quel giorno e  di come  appresi la  notizia   è  ancora  vivo in me   dopo  31  anni . Cosi come   sono  impressi     gli eventi  successivi  .Infatti ricordo   che  era  con mio padre  e mio fratello a  raccogliere   bacche    di mirto  per  farne  delle piante . La macchina  era  lontana  e la radio era  spenta  .  Quando  tornati    a  casa dei nonni  materni       vedi  in  tv le immagini    della  edizione    straordinaria  rai  . Rimasi  scioccato , sgomentato ,  e mi misi a piangere  Era come   se  fossi   li  sul  luogo      della  strage  descritto   in maniera  ottimale   nella  6 puntata  del podcast  del Fatto quotidiano   Mattanza. Cosi  come   ricordo  , man mano  che   ascoltano   le  puntate  del podcat prima citato  ,  i depstaggi  ,  gli occultamenti  ed  i retroscena  dela  strage  di stato 


19.7.19

Strage di Via D’Amelio. Il coraggio di Emanuela Loi


Guance piene, chioma fulva e aria da ragazzina spensierata: Emanuela Loi aveva in effetti poco meno di venticinque anni quando rimase uccisa nell’attentato di Via D’Amelio in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino.Originaria di Sestu, vicino a Cagliari, Emanuela sognava in realtà di diventare maestra; ma per qualche strana ragione a volte si fanno scelte che condannano il proprio destino, e la giovane, ispirata dalla sorella maggiore, tenta insieme a lei il concorso in polizia, superandolo – a differenza della sorella – a pieni voti.
Nel 1989 Emanuela entra perciò, quasi per caso, nella Polizia di Stato, spostandosi a Trieste per l’addestramento e iniziando la serie di trasferimenti che la porteranno lontana dalla famiglia e dalla sua terra.  Due anni dopo, infatti, invece di rientrare in Sardegna, viene trasferita a Palermo, dove le vengono affidati i piantonamenti a casa Mattarella, la scorta alla senatrice Masaino e la guardia al boss Francesco Madonia. E così, oltre al dispiacere della lontananza da casa, si aggiunge la paura, perché la Sicilia tra gli anni Ottanta e Novanta è martoriata di stragi mafiose che uccidono indifferentemente magistrati e agenti di polizia. A Palermo, inoltre, Emanuela deve fronteggiare anche gli sberleffi degli adolescenti, che scherniscono le donne in divisa.È il luglio 1992. Solo due mesi prima, la strage di Capaci ha ucciso il giudice Giovanni Falcone insieme Quel tremendo attentato ha scosso profondamente tutti i poliziotti, anche Emanuela, che come i colleghi non si sente più sicura.
È il luglio 1992. Solo due mesi prima, la strage di Capaci ha ucciso il giudice Giovanni Falcone insieme a quasi tutta la sua scorta. Quel tremendo attentato ha scosso profondamente tutti i poliziotti, anche Emanuela, che come i colleghi non si sente più sicura.Non servono le rassicurazioni alla famiglia e al fidanzato che non le sarebbe successo nulla: Emanuela sa di rischiare la vita per quell’incarico, molto più pericoloso dei precedenti; a darle coraggio, il pensiero di fare scrupolosamente il suo lavoro, e soprattutto di fare ritorno a Sestu, nella sua Sardegna, per un periodo di ferie.Ma Emanuela non ne avrà il tempo.Il secondo giorno di scorta a fianco di Borsellino, alle 16.58 del 19 luglio 1992, in via D’Amelio, dove il giudice si era recato per un saluto alla madre, una Fiat 126 esplode proprio nel momento in cui i due scendono dall’auto, uccidendo insieme a loro anche gli altri membri della scorta Walter Eddie Cosina, Agostino Catalano, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli.Emanuela avrà il triste primato di prima donna poliziotto a morire in servizio. In Sardegna la aspettavano a fine mese mamma Alberta e papà Virgilio, la sorella Claudia, il fratello Marcello e il fidanzato, ma a Sestu tornerà solo il suo corpo dilaniato dall’esplosione. Claudia, 26 anni, quella sorella di cui Emanuela voleva seguire le orme e che invece era diventata parrucchiera, oggi tiene vivo il suo ricordo nell’associazione contro le mafie “Libera”.Emanuela era una ragazza solare e sorridente, che amava la vita e il suo lavoro, a cui ha sacrificato anche se stessa.Gli ultimi istanti della sua vita sono raccontati in un bellissimo libro per ragazzi di Annalisa Strada, Io, Emanuela, agente della scorta di Paolo Borsellino, che dipinge il coraggio di questa giovanissima poliziotta, per restituirle almeno sulla carta i sogni che quel giorno di luglio le ha spezzato troppo presto.

19.7.12

Via d'Amelio 19 luglio 1992-19 luglio 2012 [c'era una volta 1992-1994 puntata VII] + intervista esclusiva ad uno dei pochi giornalisti che non credono alla trattiva tra stato e mafia Enrico tagliaferro


Da oggi  16  luglio   inizia  il rituale celebrativo per il 20° anniversario di Via d'Amelio . Strage \attentato di stampo terroristico-mafioso messo in atto il pomeriggio del 19 luglio 1992 a Palermo in cui persero la vita il giudice antimafia Paolo Borsellino e la sua scorta. L'agguato segue di due mesi la strage di Capaci, in cui fu ucciso il giudice Giovanni Falcone, segnando uno dei momenti più tragici nella lotta alla mafia Da quei pochi ricordi diretti , viste che non vidi subito in diretta come quelle per capaci ( vedere miei post del 22 e 23 maggio che potete trovare qui ) ero a raccogliere  bacche  di mirto per  farne  talee  con mio padre  e mio fratello  .  
foto ansa
Dai quei pochi ricordi dell'epoca, aveva  16 anni,fu  un attentato di stampo 
terroristico-mafioso messo in atto il pomeriggio del 19 luglio 1992 a Palermo in cui persero la vita il giudice antimafia Paolo Borsellino e la sua scorta :   1)  Agostino Catalano il  capo scorta  ., 2)  Emanuela Loi prima donna a far parte di una scorta e a cadere in servizio, Vincenzo Li Muli,Walter Eddie Cosina ed infine  Claudio Traina.
L'unico sopravvissuto   fu  Antonino Vullo, risvegliatosi in ospedale dopo l'esplosione, in gravi condizioni. L'attentato segue di due mesi la strage di Capaci, in cui fu ucciso il giudice Giovanni Falcone, segnando uno dei momenti più tragici nella lotta alla mafia.
Essi sono ricordi  basati  su immagini tv (  vedere  video sotto  )  che vedemmo appena   rientrammo a  casa  di nonna  materna   


                       film e  documentari sull'eccidio 





 L'esplosione, avvene in via Mariano D'Amelio dove viveva la madre di Borsellino e dalla quale il giudice quella domenica si era recato in visita, avvenne per mezzo di una Fiat 126 contenente circa 100 chilogrammi di tritolo sui  dubbi espressi   da  gli agenti di scorta, via d'Amelio era una strada pericolosa, tanto che era stato chiesto di procedere preventivamente ad una rimozione dei veicoli parcheggiati davanti alla casa, richiesta però non accolta dal comune di Palermo, come rilasciato in una intervista alla RAI da Antonino Caponnetto.
Fin qui i   ricordi misti .
Questo    fino a  che   s'inizio  a parlare  della trattiva  tra mafia e stato  che  appresi da trasmessi  come Blu notte di Lucarelli e  siti  come  http://www.misteriditalia.it  . Ora  inizialmente  c'era lo stesso proposito   , per  chiarire e  chiarirmi  meglio  alcuni  aspetti   della trattativa  (  verità assoluta ed indiscutibile secondo alcuni  ,  verità  con critica  come il  sottoscritto  , presunta   secondo alcuni  , inesistente o bufala  secondo altri  ) ,  dei post  su  capaci   cioè  il non parlare   del contrastato argomento  ,  e lasciare parlare solo  i ricordi diretti o indiretti che fossero  . Ma  visti  i classici fiumi  d'inchiostro  e  di bit   e tutta  una serie  d'articoli  trasmissioni  ,tv  , dvd  , libri ,ecc   a senso  unico  cioè pro trattativa  , i  miei dubbi  su quello che  gli stessi fautori  d'essa definisco  basilare    cioè il pappello  di  Vito Ciancimino   e le  dichiarazioni  del figlio  Massimo Ciancimino    , ed [  SIC  ] il svincolare  ( come il  caso  di  Adriana  stazio delle agende  rosse )  o  il non rispondere ( motivi di salute o paura  d'essere messi in discussione   , Salvatore  Borsellino spazio facebook  e email al sito http://www.19luglio1992.com/.  
Il mio  intento  era intervistare   sia  i Trattatisti  (   sono sempre  a  disposizione per  repliche  ed eventuali richieste di rettifiche    che  questo post   dovesse potare  )  sia  gli anti  o i dubbiosi \ negazionisti   . Ora  Sono riuscito  nel secondo ,  intervistando  via  facebook  il maggiore  dei rappresentati  Enrico Tagliaferro , riprendendo le  domande (  qui il testo originale  )  fatte dall'amica Antonella Serafini  (  di www.censurati .it )  al d Antonio Ingroia  ovviamente  modificandole per  renderle  più comprensibili  a  chi non legge i giornali ( se  non quelli sportivi  )  o  vede  solo programmi demenziali  ,  insomma  agli analfabeti di  ritorno  
Egli  è un blogger noto sul web come “il Segugio” ( indirizzo del blog: http://segugio.daonews.com/ ), autore nel 2010 di un libro autoprodotto dal titolo “Prego, dottore!”, acquisito agli atti del processo “Mori-Obinu”, a Palermo, in quanto latore di argomenti piuttosto convincenti in relazione alla dubbia autenticità di alcune carte prodotte dal teste Massimo Ciancimino, in un periodo in cui lo stesso Ciancimino era considerato un’icona dell’antimafia non essendo ancora incappato nel malaugurato incidente che gli costò l’arresto con un’accusa di calunnia per la falsificazione di un documento.
Tagliaferro in questi ultimi anni insieme ad altri blogger giornalisti come Antonella Serafini (censurati.it) o Anna Germoni, ha seguito le vicende siciliane che hanno visto i Reparti Operativi Speciali dei carabinieri al centro di accuse molto gravi, studiando scrupolosamente le carte e le testimonianze, e proponendo quindi un’analisi critica del lavoro della magistratura che ha sollevato nei suoi lettori, come pare, più di un dubbio in relazione alle ipotesi accusatorie formulate a carico di uomini come il capitano Ultimo (Sergio De Caprio) e il generale Mori.
Tagliaferro in particolare, con le sue documentate inchieste, ha acceso i riflettori su indizi di dubbia autenticità e su testimonianze incongrue, in relazione a questa triste storia.
Purtroppo il nostro sistema dell’informazione da ben poco spazio a chi non si accoda alle “verità” ufficiali.

Abbiamo così deciso di proporgli alcune domande.



1) Con riferimento alla perquisizione del febbraio 2005 della casa all’Addaura di Massimo Ciancimino, tu non vedi forse un’incongruenza fra quanto riferito dal testimone a proposito della cassaforte “volontariamente non perquisita” dai carabinieri, ed il fatto che vi sia stata una contestuale perquisizione, da parte degli stessi carabinieri, di un magazzino, persino facoltativa in quanto non disposta nel mandato del magistrato, in cui venne repertato il famoso pizzino strappato, meglio noto come “lettera di Provenzano a Berlusconi”, oltre che a copiosa documentazione manoscritta di don Vito? E come si conciliano le due versioni date dal teste, una in cui Ciancimino per telefono dalla Francia suggerisce al suo impiegato di consegnare ai carabinieri la chiave della cassaforte, e l’altra in cui dice di aver parlato con il suo dipendente solo “a perquisizione avvenuta”?
Tu hai già posto l’accento, nella tua domanda, su alcune visibili incongruenze. Ma ce ne sono molte altre, su quel fatto. Massimo Ciancimino dapprima racconta che i carabinieri, durante quella perquisizione nel 2005, rinunciarono ad aprire la sua cassaforte, nonostante questa contenesse il preziosissimo “papello”, quello poi da lui consegnato in fotocopia e che oggi noi conosciamo. Successivamente uno dei carabinieri che parteciparono alla perquisizione, affermò invece in aula che un suo collega ritrovò il papello nascosto in una controsoffittatura, se lo portò in copisteria per fotocopiarselo (ma senza porre la fotocopia agli atti del sequestro), e quindi lo ripose nuovamente dove l’aveva trovato.
Tutte queste narrazioni possono lasciare, in chi le recepisce, perplessità, e come un senso di sconcerto, di mistero. Io invece credo che tutto diventi più chiaro e meno misterioso, se si guarda sotto un’altra luce, vale a dire tenendo in considerazione in primis che il “papello” di Ciancimino, già rinviato a giudizio per aver falsificato, reo confesso, un altro documento, contiene un evidente anacronismo, tale da indurre a dubitare anche di quella fotocopia, e che il secondo testimone è un carabiniere non proprio dei primi della classe, già condannato in primo grado per falso materiale, avendo falsificato la firma del suo comandante in calce ad una dichiarazione scritta, ed essendo quindi fisiologicamente ostile verso i propri comandi dell’epoca.
Ci troviamo quindi di fronte ad incongruenze o fatti sconcertanti scaturiti dalle testimonianze di due probabili falsari. Tenendo in conto questo, forse tutto quadra meglio, e si spiegano le incongruenze.

 2 ) Parliamo della trattativa fra lo stato e la mafia. Secondo la teoria dei magistrati, questa avrebbe avuto origine da un contatto, realizzato a questo scopo, fra i carabinieri del ROS e don Vito Ciancimino. Ti pare forse un’iniziativa logica, quella di impiegare due ufficiali dei carabinieri, già distintisi per un’attività senza tregua contro la criminalità e per aver arrestato molti pericolosi latitanti, come ad esempio Ciccio Madonìa, e proprio in quel momento concentrati in un’inchiesta sulla mafia e sugli appalti in Sicilia, come emissari della “trattativa”, quando era disponibile, ad esempio, il famoso “signor Franco” il quale, a sentire le testimonianze, era un rappresentante delle istituzioni che nel contempo aveva contatti molto più diretti dei carabinieri con Cosa Nostra?

Le istituzioni con cui Cosa Nostra avrebbe dovuto trattare, erano forse rappresentate dai due carabinieri, Mori e De Donno, e da loro soltanto?
L’idea di un’iniziativa del “signor Franco” intesa come migliore e più logica opportunità, per intavolare una trattativa fra lo stato e la mafia, rispetto a quella assunta da due nemici giurati (non solo metaforicamente) dell’organizzazione criminale, quali erano Mori e De Donno, è logicamente sostenibile di per se stessa,  ma irrealistica e non ipotizzabile, in quanto non solo il sottoscritto, ma anche, ad esempio, i magistrati di Caltanissetta dubitano che questo sig. Franco possa configurarsi veramente come un’entità appartenente al mondo reale. Comunque, pur prescindendo  da ogni termine di paragone,anche in senso assoluto mi pare evidente che se veramente qualcuno nello Stato, volendo piegarsi ad una trattativa di natura “concessoria” con Cosa Nostra, avesse deciso di affidare, anziché a qualcuno dei molti “contatti” possibili con la mafia (magari selezionato nell’ambito delle molte contiguità e collusioni che certamente esistevano), l’incarico a due segugi da caccia grossa, capaci di mille trucchi pur di catturare la preda, quali erano Mori e De Donno, e conosciuti dai mafiosi come tali, beh… non mi pare che potrebbe considerarsi una brillante idea, se questa fosse riferita ad un fatto vero. Infatti io sono convinto che le cose non stiano a quel modo. Cosa Nostra sapeva benissimo che il Generale Dalla Chiesa era stato come un padre ed un fratello, per il colonnello Mori, così come lo stesso Mori lo era stato per il maresciallo Giuliano Guazzelli, ucciso pochi mesi prima (aprile 92) dagli assassini di Cosa Nostra. Avete mai visto un assassino che, per intavolare una trattativa finalizzata ad ottenere qualche vantaggio, accetta fiducioso, quale interlocutore, il fratello oppure il padre, o comunque un compagno d’armi delle proprie vittime? E’ chiaro che non esiste al mondo un interlocutore più inopportuno ed inadatto di quello, potendo egli come obbiettivo primario, anche per ragioni personali, sempre e soltanto la cattura degli assassini.
Ma questa è soltanto una, fra le tante incongruenze di questa fantastica ricostruzione storica, quella della trattativa.



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