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27.6.24

Giovani sempre più boomer ? , stesse lamentele di mamma e papà: «Non voglio parlare con un robot quando chiamo il servizio clienti!»

premetto che no sono della milenianas  o della    generazione Z ma vicino ( se volete etichettarmi ) vista la mia età ai boomer . Chi ha scritto quest articolo è fazioso ed in malafede paragonare le due generazioni perchè le proteste \ lamentele dei giovani sono in parte giuste e comprensibili . Infatti con il voler semplificare troppo la vita si è perso ogni contatto umano e con il mondo reale ( e credo che se continuerà cosi l'unica attività umana che rimarrà sarà , sempre chje le macchine nonce la freghino , quella onanistica 😂😥) .




Giovani sempre più boomer, stesse lamentele di mamma e papà: «Non voglio parlare con un robot quando chiamo il servizio clienti

                                         di Hylia Rossi

Un ciclo continuo e inarrestabile. Un giorno sei parte dei "giovani", pronto a distruggere lo status quo, un cuore rivoluzionario che batte forte nel petto e il giorno dopo... ti svegli col pensiero di quel nuovo modello di lavastoviglie in cima alla lista desideri. La battaglia tra le generazioni è sempre diversa e sempre la stessa e non c'è nulla di cui sorprendersi, ma rendersi conto degli anni che passano e di somigliare sempre più ai propri genitori non è mai facile (anche se si guarda a mamma e papà come a degli eroi). Non è passato molto tempo dal trend che ha visto i social pieni di "ok boomer", due semplici parole usate da giovani e giovanissimi per sminuire le paternali e i commenti più conservatori dei baby boomer, vale a dire la generazione dei nati tra il 1946 e il 1964 (e che col tempo è stata usata nei confronti di un atteggiamento paternalistico, a prescindere dall'anno di nascita). E in questo poco tempo tanti di coloro che scrivevano "ok boomer" si sono resi conti di condividere e supportare tante lamentele proprio con i boomer che tanto criticavano. 

Gen Z e Millennial come i "boomer"

Più si va avanti con l'età e più frequentemente ci si rende conto di aver detto qualcosa che somiglia paurosamente a qualcosa che i più "grandi" dicono spesso. Le lamentele dei boomer, allora, diventano immediatamente più comprensibili. Lori ha chiesto su Twitter: «Qual è la lamentela più boomer che avete?» e sono arrivate migliaia di risposte, alcune delle quali hanno ottenuto tantissimi consensi. «Avere un hobby manuale, che non ha nulla a che fare con la tecnologia e il digitale, come lavorare il legno, cucire, disegnare e via dicendo, fa bene alla salute mentale. I social media stanno distruggendo questi hobby e spingono le persone a pensare che le uniche cose che vale la pena fare sono quelle che "vengono bene" in foto o in video e portano fama online», scrive qualcuno



Per quanto riguarda il fenomeno dei video tutorial, un utente commenta: «Il fatto che devi vedere un video per imparare a fare qualsiasi cosa anziché leggere il manuale di istruzioni mi fa bollire il sangue nelle vene. Voglio poter controllare il modo in cui entro in contatto con le informazioni e imparo, voglio poter saltare e andare alla parte che mi interessa».Ci sono poi lamentele molto più concise e che immaginiamo facilmente pronunciate da un anziano un po' burbero: «Le serie tv sono troppo scure, non si vede niente, il volume delle pubblicità è troppo alto, i fari delle macchine sono troppo luminosi», «Ci sono pubblicità ovunque. Ogni tre secondi. Pubblicità, spot, pubblicità... Basta!», «La musica di sottofondo nei ristoranti è troppo alta, non siamo mica in discoteca, vorrei riuscire ad avere una conversazione», «I bambini non imparano più a scrivere in corsivo!», «Odio i menu con il codice QR nei ristoranti, voglio quello cartaceo, fisico», «Smettetela di far uscire le serie tutte insieme! Voglio vederli piano piano, di settimana in settimana, insieme al resto del mondo, così che si possa discutere tutti insieme del nuovo episodio come si fa in una società come si deve!».


25.6.24

assurdità della moda La Generazione Z sta pagando centinaia di euro per scarpe da ginnastica sporche per mostrare la loro ‘atteggiamento indifferente’

 Va  bene      anare  in controtendenza    ed  mostrare  l'atteggiamento  d'indifferenza  alle  convenzioni   e  ai  suoi  canoni  che  ci  vogliano  tutti perfetti ed  uguali .
 Ma  qui  si finisce    per  essere  più conformisti  del  conformismo  che si  vuole   abbattere   oltre  ad essere,  come  si diceva  un tempo   più  realisti del re  ,   inglobati  e  schiavi   dello  stesso sistema  .  Tra  le  news   d'odierne    sfogliando  il  web  Leggo   sul portale   msn.com più  precisamente  su  lifestyle/notizie  che  

La Generazione Z sta riportando in auge una tendenza millenaria ormai morta.

La Generazione Z sta gravitando intorno alle scarpe Golden Goose: scarpe progettate appositamente per sembrare logore e sporche.Il rivenditore di moda Coggles ha spiegato che lo “stile pre-graffiato esclusivo… è stato creato per dimostrare un atteggiamento indifferente piuttosto che un’estetica trasandata”.
Sebbene le scarpe dall’aspetto sporco abbiano avuto il loro momento con la generazione Y, hanno iniziato a guadagnare popolarità tra la Generazione Z l’inverno scorso e sono decollate nel 2024.Le popolari scarpe Golden Goose partono da 565 dollari sul sito del marchio e possono arrivare fino a 2.350 dollari. I designer italiani Francesca Rinaldo e Alessandro Gallo hanno fondato il marchio nel 2000, ma le loro scarpe sono state lanciate nel 2007, quando il classico modello Super-Star è arrivato nei negozi. I Zoomer hanno ricorso a TikTok per “mettere fine alla calunnia delle Golden Goose”. Un utente ha giustificato l’acquisto di scarpe che sembrano sporche perché, quando si comprano scarpe pulite, inevitabilmente diventeranno sporche.“La bellezza delle scarpe Golden Goose è che arrivano già un po’ disordinate”, ha detto. “Quindi sono fatte per essere vissute, fatte per essere indossate. Non cammini in giro e ti senti in colpa per averle ammaccate. Non cammini in giro e ti senti in colpa per averle un po’ graffiate”. Qualcuno nei commenti ha argomentato che, in questo caso, avrebbe più senso comprare scarpe usate.E i genitori non sono esattamente entusiasti nel scoprire che i loro figli stanno spendendo così tanto denaro per scarpe che sembrano sporche.Un padre ha detto alla figlia che era “pazzesca” dopo averle detto quanto ha speso per le scarpe Golden Goose. Ma la Generazione Z non si stanca di loro – non importa cosa pensino i loro genitori.Il CEO di Golden Goose, Silvio Campara, ha detto al Financial Times a dicembre che le vendite hanno mostrato che i loro clienti erano principalmente giovani – e l’80% poteva essere classificato come Generazione Z o millennials.






Ora mi  chiedo ma anziche sprecare soldi , risorse naturali ed inquinare .Perchè non ottenere lo stesso risultato indossandarne un paio vecchie e sporchè invece di gettarle via ? oppure comprarne un paio usate ?

11.7.23

L' AMORE PER UN FIGLIO TI FA' COSTITUIRE E RITORNARE IN CARCERE A SCONTARE LA PENA LA STORIA DI PIERO BASILE

 di  solito  si  sente  parlare ,    vedere  i  lik  sotto  i  recenti  casi  di conaca   solo per  citare i più clamorosi 

di generazioni allo sbando o succubi  dei  like      . invece oggi propongo una storia , sarà una mosca bianca ma fa ben sperare,  di Piero Basile Pietro Basile, il 29enne latitante condannato a 16 anni di reclusione per l'omicidio del padre Franco, 42 anni, la notte di Capodanno del 2014 nella loro casa dopo l'ennesimo litigio in famiglia.


da la nuova sardegnas del 11\7\2023
«Pietro si è costituito per suo figlio»Nuoro Parla la compagna di Basile, il giovane che era latitante da 13 mesi Daniela Agus ha una voce serena: «Sono contenta che l’abbia fatto, che si sia deciso per il fi- glio. Finalmente il bambino potrà conoscere il padre».

Lei è la compagna di Pietro Basile, il giovane di Bitti che ha messo fine alla latitanza dopo 13 mesi, durante i quali è diventato padre. Basile si è consegnato ai carabinieri di Nuoro. Il giovane finiva di scontare la condanna a 16 anni per aver ucciso, nel 2014, il padre Franco. Sono contenta che l’abbia fatto, che si sia deciso per il figlio. Finalmente il bambino potrà conoscere il padre». Daniela Agus è la compagna di Pietro Basile, il giovane di Bitti che ieri ha messo fine alla latitanza dura- ta 13 mesi e 24 giorni, durante i quali è diventato padre. Basile, assente ingiustificato dal 24 maggio dello scorso an- no e poi latitante, ieri mattina alle 13 ha varcato l’ingresso del Comando provinciale dei carabinieri di Nuoro. Con lui il suo avvocato, Angelo Manconi, ad attenderlo il comandante provinciale Elvio Sabino Labagnara, quello del Nucleo investigativo Francesco Giola, il sostituto procuratore della Repubblica Giorgio Bocciarelli. C’era anche don Alessandro Muggianu, ex parroco di Mamone, dove Basile stava finendo di scontare la condanna a 16 anni per aver ucciso, nel 2014, il padre Franco, al ter- mine di vessazioni e violenze imposte dall’uomo a tutta la famiglia. La costituzione di ieri è il culmine di un percorso di riflessione di Pietro Basile: per la sua sorte si era temuto il peggio, dopo che si era letteralmente volatilizzato, non rientrando a Mamone dal quale era uscito per un permesso premio. 



Per sostenere gli esami di ammissione alla maturitàall’Istituto alberghiero Oggiano di Siniscola. Prove superate, avrebbe dovuto fare l’esame, ma qualcosa, nel meccanismo virtuoso di questo ragazzo, si era improvvisamente rotto. «Si è sentito sotto pressione, per lo studio, per la tensione, per il bimbo che stava arrivando. Ha pensato di risolvere con una fuga. Sbagliando», lo dice l’avvocato Man- coni al quale Basile si è rivolto nei giorni scorsi. Non ci sono versioni ufficiali, ma si capisce che il giovane è sempre stato nella zona di Bitti. Qualcuno, probabilmente i famliari stretti, lo ha aiutato in tutto questo periodo. Anche a riflettere su cosa ci fosse in gioco continuando in una latitanza inutile, arrivato pratica- mente a cento metri dal traguardo di una vita normale. Nel momento in cui si è allon- tanato aveva in tasca il biglietto per la semilibertà. Eppure. Un vissuto tormentato, un presente incerto e le incognite del futuro, la paternità. Ma alla fine è stata questa la chiave di volta che lo ha convinto ad affrontare tutto quello che la fuga, tecnicamente una vera e propria evasione, comporterà. «Voglio vedere mio figlio» ha detto all’avvocato, e evidentemente il passo successivo era costituirsi. Quindi, con il legale, ha cominciato a creare le condizioni per la costituzione. Ha avvisato la famiglia, e la famiglia ha chiesto che al momento giusto ci fosse anche don Muggianu, una figura importante per Pietro Basile negli anni a Mamone. Ieri mattina i due si sono parlati per pochi minuti, poi a Basile è stato notificato l’ordine di carcerazione ed è stato condotto a Badu ’e Carros. «C’è stata umanità, accoglienza da parte dei carabinieri», ha sottolineato l’avvocato Manconi. E il colonnello Labagnara ha specificato che «Abbiamo apprezzato il gesto della costituzione, non ci ha voluto dire altro ma comunque è stata una scelta corretta». Ora Pietro Basile dovrà finire di scontare la pena, allungando una conclusione che era a un tanto così nel mo- mento in cui si è allontanato, dicendo alla sua compagna che avrebbe fatto delle commissioni. Lasciando in casa il cellulare, il portafoglio, i documenti serviti per sostenere l’esame, tutto quanto rima- sto sul tavolo della casa che i due condividevano. Via senza neanche un cambio di ve- stiti. C’erano stati appelli, ricerche anche di volontari, e delle forze dell’ordine. Pietro non si trovava, nessuna voce dalle campagne sembrava indicare che fine avesse fatto. Nel frattempo, è nato il figlioletto. La riflessione ha porta- to Basile all’unica conclusione accettabile, tornare. Ora sarà processato per l’evasione. Ma riprenderà in mano i libri e la sua vita. E incontrerà il figlio. Finalmente.

14.9.21

Nel triangolo tra Freud, l'allievo suicida Tausk e una donna c'è il lato oscuro della psicanalisi Cosa unì e poi divise davvero Sigmund Freud e Paul Tausk. ., murales pubblicitari troppo belli e i cittadini chiedono di lasciarli ed altre storie



Nel triangolo tra Freud, l'allievo suicida Tausk e una donna c'è il lato oscuro della psicanalisi


Cosa unì e poi divise davvero Sigmund Freud e Paul Tausk. Perché un laureato in legge, giornalista e commediografo e solo dopo, grazie a Freud, alla seconda laurea, psicanalista, rischiava di oscurare il maestro. Quali erano le dinamiche del triangolo che legava i due a Lou von Salomé, amante di Tausk ma anche di Rielke e chiesta in moglie da Nietzche. Perché il brillante psicanalista allievo di Freud si tolse la vita povero e senza pazienti nel 1919. In "Fratello animale" (Rizzoli 1973) lo studioso di scienze politiche e docente a Harvard Paul Roazen ci aiuta scoprire alcuni punti oscuri all'origine della 'filosofia pratica' del Novecento: la psicanalisi 
Saggi e romanzi che non vengono più ristampati dei quali recuperare la memoria. Pagine importanti per capire il presente, da ripescare nelle biblioteche, nei mercatini dell'usato o dimenticati nello scaffale alto della libreria: libro vecchio fa buone idee



repubblica  12 SETTEMBRE 2021 

La street art incontra la pubblicità grazie ai grandi marchi che riempiono la città di opere che attirano lo sguardo per la loro bellezza e che conquistano anche i residenti dei quartieri da Garibaldi a Porta Romana

Venere di Botticelli in corso Garibaldi (fotogramma)



In corso Garibaldi una Venere con orologio e borsetta allunga lo sguardo sullo struscio dei passanti, in corso di Porta Romana si fermano tutti a fotografare una facciata alla Gaudì comparsa come per magia. In via Canonica, arrivando dall'Arena, è sbocciata una grande peonia rosa. E in via Spallanzani, da qualche giorno, si è accesso il dibattito su un palazzo completamente rivestito da un motivo a fiori bianchi e neri.
Che Milano si stia colorando di murales in ogni suo quartiere è noto ma, a guardarle bene, alcune di queste facciate dipinte nascondono (o mostrano) qualcosa di diverso: sono pitture pubblicitarie. È il cosiddetto mural advertising che sta via via rimpiazzando i vecchi cartelloni: si dice addio ai posteroni patinati ingabbiati nei sostegni di ferro, ma soprattutto si saluta la logica dello spot tradizionale. Che siano inserzioni mascherate dall'estro degli street artist o vere e proprie opere d'arte su commissione l'effetto non cambia: la promozione incontra la città senza deturparne le facciate, regalando a chi passeggia inediti arazzi urbani.
Secondo i registri del Comune ad oggi i murales pubblicitari sparsi per la città sono circa una ventina: la tendenza, iniziata qualche anno fa, è in crescita. Spuntano come funghi: alcuni sono la semplice trasposizione su muro della vecchia esplicita réclame, ma molti sono street art a tutti gli effetti. L'ultimo, comparso qualche giorno fa tra lo stupore di molti e il disappunto di alcuni, occupa tutta la facciata di un edificio dei primi del Novecento che svetta all'angolo tra via Spallanzani e viale Regina Giovanna. Quel "Feels like Prada" contornato di fiori stilizzati in bianco e nero ha scatenato il dibattito social. Così, mentre in tanti si sperticano in "bellissimo" e "meraviglioso" c'è anche chi non gradisce: "Questa ultima genialata toglie l'eleganza che possedeva questa zona", sentenzia Mirella su Facebook mentre per Rosamarina "sulla carta sarebbe bello il disegno ma su una casa mi pare di no". Non c'è niente di più scontato ma efficace per dare senso ai battibecchi sul web: i gusti son gusti.



Ammirata senza riserva è invece l'opera dello street artist Cosimo Caiffa, in arte Cheone: il suo "The Vision" che ricopre la facciata laterale di Casa Maiocchi, l'edificio che Piero Portaluppi ha firmato nel 1920 in corso di Porta Romana 111, è stato fotografato da chiunque e quelle sue finestre dai contorni ondulati che ricordano le case di Barcellona progettate da Antoni Gaudì, hanno fatto il giro di Instagram in questi mesi, dando al murale una visibilità che ha valicato i confini milanesi.
Fotorealismo e illusione ottica hanno rapito i residenti del palazzo e i commercianti della zona, che stanno chiedendo che l'opera non venga rimossa: sì perché sempre di inserzione pubblicitaria si tratta (il committente, che si mostra in maniera discreta sulle finestre del primo piano, è la Mv line group, società che produce tende) e come tale ha una scadenza. "Sappiamo che a fine settembre non ci sarà più e siamo molto dispiaciuti, anche perché è impossibile creare qualcosa di più straordinario di quest'opera", racconta Matteo Pescarzoli, condomino dello stabile. "È un'attrazione di grande valore per la nostra zona - gli fa eco Sabrina Frigoli, presidente dell'associazione dei commercianti di Porta Romana - un richiamo per tutte quelle persone che vengono qui apposta per fotografarlo". Da Clear Channel, la concessionaria dello spazio in facciata che ha altri due murales a Milano, la venere di Corso Garibaldi 81 sempre dipinta da Cheone, e un muro del Leoncavallo, non c'è alcuna chiusura: i vertici stanno ascoltando le richieste di tutti e si dicono disposti a trovare una soluzione condivisa qualora dal Comune partisse una richiesta ufficiale per salvaguardare il murale. "Sarebbe un regalo fantastico", sorride lusingato l'artista.
L'elenco stilato da Palazzo Marino è lungo: c'è la peonia mangiasmog di via Canonica 25 dipinta dagli Orticanoodles (il LifeGate Wall sul quale girano, a rotazione, diversi sponsor), piazza Santo Stefano e via Larga, via Casale 3 (dove ora c'è il gemello di via Spallanzani), via Pioppette 3, Largo La Foppa, varie pareti in Corso Garibaldi, via Gian Galeazzo 3, via Melchiorre Gioia, via De Castillia 24, via Lodovico il Moro 129, via Pietro Morselli 3, via Varese 1. Il meccanismo è identico a quello delle pubblicità tradizionali: stessi costi dei vecchi spot, per quanto riguarda i canoni comunali legati alle dimensioni del muro, cui si aggiungono le tariffe degli inserzionisti e i costi di realizzazione.
"Le aziende hanno compreso la potenza visiva della street art", spiega Mauro Ferraresi, professore di Sociologia della comunicazione all'Università Iulm: "Un tipo di comunicazione liquida, che argomenta meno di uno spot tradizionale ma che entra nella memoria visiva delle persone per rimanerci a lungo". La logica, precisa Ferraresi, "è legata al concetto di sponsorizzazione più che di pubblicità". Il messaggio, cioè, è semplice: "Goditi questo momento estetico che ti è stato offerto da me, azienda "illuminata". E funziona"

Ventisette anni, di Vetulonia, è quasi un alieno della musica italiana. Il suo primo disco è un “bestiario”: otto fiabe dedicate alla sua terra

repubblica  17 AGOSTO 2021

Bestiario musicale, il disco con cui Lucio Corsi ha esordito





Immaginiamo una festa di fine anno. A bordo piscina. Con il Martini, la burrata, il deejay set e purtroppo i fenicotteri rosa gonfiabili. Si festeggia la nuova musica italiana, quella degli enfant prodige maghi dell’algoritmo e della prosa, dei nativi digitali favorevoli alla decrescita felice e dei periferici che si sono arricchiti in un click.
Ci sono tutti, vincitori e vinti di Sanremo, X Factor, Amici, scalatori di classifiche di Amazon e Spotify: un parlamento rovesciato per età, ambizioni, colori, motti, sogni. Hanno tutti i capelli rosa, blu, verde elettrico, doppi tagli, tatuaggi, anelli, taglie sbagliate, extra large. Discosto, c’è un tipetto che sembra schizzato fuori dalla copertina di un disco degli Yes, The fool on the hill. Si chiama Lucio Corsi.
Ventisette anni, di Vetulonia, città etrusca in provincia di Grosseto, piena Maremma che lui descrive così: «Il farwest italiano, la Toscana brulla, dura e magica dove agirono briganti e butteri». È cresciuto in campagna, in un podere circondato da alberi che «fanno l’ombra vera», dove c’è «il buio vero, quello che non si ricava: esiste», e gli animali sono apparizioni fulminee ma costanti. Per questo, il suo primo disco è dedicato a loro, gli animali che per lui hanno sempre meno spazio e allora «i draghi sono diventati lucertole», perché le città si espandono indiscriminatamente – lui dice che sono «metropoli tentacolari»: parla come parlava Luciano Bianciardi, grossetano come lui, e come lui spaventato da Milano, fortemente scettico rispetto a quella che chiamava «la società divertentistica e copulatoria».
A gennaio del 2017, quando la nuova musica italiana era ancora l’indie, almeno per i giornali, Corsi pubblicava Bestiario musicale: otto tracce, ciascuna dedicata a un animale del bosco di cui faceva un ritratto e una fiaba. Il cinghiale era «terremoto delle zolle, uragano delle fronde»: in una diretta social dal Museo della Scienza di Milano, ha spiegato che con quel verso intendeva che i cinghiali hanno trasformato il paesaggio, smussato le colline «che si sa, un tempo erano quadrate», comportandosi come agenti atmosferici.
Poeta, cantastorie, aedo, musicante di Brema, folletto, stramba creatura: lo hanno definito in questi e cento altri modi, tutti giusti e insufficienti. Diciannove anni a Vetulonia, dove torna appena può perché solo lì riesce a scrivere, lo hanno reso impenetrabile al suo tempo, a ogni tempo: lui sta nello spazio, non nel tempo. La cosa più precisa che si può dire di lui è che non assomiglia a niente. Certo, richiama gli anni Settanta e certo, il film che gli ha cambiato la vita è Velvet Goldmine, e i dischi che lo hanno allevato sono di Rondelli, Gaber, Paolo Conte, Bowie, Graziani, Dalla, Flavio Giurato (il suo preferito). Ma non assomiglia a niente lo stesso, non ai rapper suoi coetanei, che ascoltano e amano altro, e non ai Maneskin che ascoltano quello che ascolta lui e amano molte delle cose che ama lui, chitarre incluse. L’approccio artigianale alla musica, che studia da quando aveva quattordici anni, è uno dei molti tratti che lo pone in attrito rispetto alla tendenza contemporanea. È un feticista della strumentazione, sul palco siede al piano con in bocca un’armonica.
Nella sua Gibson del ’74, dopo averla comprata, ha trovato l’esoscheletro di uno scarabeo: lo ha lasciato lì, anche se fa rumore. Gli animali, ancora: sempre.
Una delle ragioni per cui Lucio Corsi è così interessante e, sebbene unico, anche esemplare, è che incarna bene lo spirito ecologista della sua generazione. Quello spirito che è facile definire woke (woke è ciò che avantieri avremmo definito radical chic) e che certamente contiene svariate dosi di faciloneria adolescenziale e conformismo intellettuale, ma che è anche, soprattutto, il carburante di un’etica nuova, che nasce da un amore pragmatico e romantico per il mondo intorno. La solidarietà, concetto che agli adulti tardo novecenteschi pare tuttora buonista, per la generazione di Lucio Corsi è un fatto concreto, la condizione della relazione tra uomo e natura e, di riflesso, tra uomo e uomo. L’armonia con il creato, che noi più avvertiti siamo abituati a sbeffeggiare come rimpasto fricchettone, è per loro un fatto di solidarietà, intesa come vincolo, e quindi dovere, e quindi accesso al diritto: intesa come la intende l’articolo due della Costituzione italiana. Solidarietà e anarchia: «C’è un movimento punk nella foresta, gli alberi con i capelli verdi sulla testa, e le galline con le creste mal viste dalla guardia di finanza, che non si accorge del crimine che avanza». Che cantastorie fantastico. L’anno scorso, sul limitare del primo lockdown, Corsi era in tour con il suo secondo disco, Cosa faremo da grandi: ancora otto tracce, ancora un disco concepito alla maniera del Novecento, con uno sviluppo, un tema portante e decine di affluenti. Insomma, un’opera. Era già Lucio Corsi: famoso e adorato dai superstiti della nicchia indie e dai traditori di quella indie pop, cominciava a essere trasversale, iconico, televisivo (è stato anche ospite fisso de L’assedio di Daria Bignardi), ma mai social.
Nel disco parla di vento, conchiglie, mare, lampioni, tempo e della grande impresa che è la rinuncia, di come preluda al cambiamento e di quanto sia necessaria e salutare. «La mia canzone parla di un modo di affrontare la vita dove si festeggiano più le linee di partenza che i traguardi»: quando suona dal vivo, Corsi non manca mai di raccontare i retroscena e i perché delle sue canzoni, come faceva Tenco, convinto di doversi sempre spiegare.
Com’è stato possibile che un ragazzo così speciale avesse un successo tanto disarticolato da tutte le regole del successo? Una parte di merito è della casa discografica che lo ha accolto, appena arrivato a Milano, la Picicca, e del suo manager, Matteo Zanobini, che il suo lavoro ce lo racconta così: «Il mio obiettivo è saper indirizzare gli artisti senza snaturarli. Con un talento puro che ha una visione molto precisa del suo lavoro, come è Lucio Corsi, la prima cosa da fare è preservare la sua anima, accompagnarla e intervenire il meno possibile, come si fa in cantina con un vino naturale. Non si aggiunge niente e si aspetta che la natura faccia il suo corso. In un mercato così veloce, è una strategia rivoluzionaria».
Il resto, è il talento puro di un ragazzo che è una creatura, e certe volte sembra una pianta, magari un vitigno. E per fortuna c’è qualche altro ragazzo, un po’ più adulto di lui, che lo protegge. La concordia generazionale è migliore della rottamazione, no?

27.3.17

l'hipop e il rap non è solo fedez e J-Ax o bello figo in particolare . ecco le nuove leve : valentina ruibini ,lowlow, Master Sina


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Nell'ultyimo ventennio hip hop  \ raper  è  uscito da  genere  di nicchia   (    Csoa   \  . C.S.A. ed  altri spazi   occupati ) è diventato   di massa  e  ancora  di più che negli anni 90 il rap \ hip hop ha sempre più successo e i suoi esponenti sono sempre più giovani rispetto ai quelli della mia generazione ( vedi url sopra ) . Infatti   è variegato che  è dificile tenere  conto dei gruppoi    che   nascono , muoiono  e  risorgono  della carriere  soliste   o doppie .  Ecco  una   mia sintesi sulle nuove  leve  .  Per esere  agiornati  dei continui mutamenti   ,  trovate  sopra   alcuni punti di riferimento



La prima è Valentina Rubini ( forse la più originale ) che pur   si rifacendosi    come il rapper  \  hipop   italiano   al modello originale  americano  ., lo fa   criticamente  con   originalità  e  nel  solco  delle denunce  sociali     vedere sia il  video   sotto   sia  vegano intollerante  senza  scendere   nell'ovvietà e nell'odio  e  violento  , e  negli stereotipi   di quelli americani
qui  trova    maggiori informazioni  su di lei  https://www.facebook.com/valentinarubiniveg/






 la seconda
è lowlow, vero nome Giulio Elia Sabatello, classe 1993, cresciuto con i miti di Eminem e Muhammad Alì, lowlow si è affermato prima sulla scena romana - dove ha esordito tredicenne nelle battle di freestyle – ed è approdato in Sugar con in dote milioni di visualizzazioni su YouTube, due mixtape che hanno scalato le classifiche digitali e una serie di collaborazioni artistiche tra le quali Gemitaiz, Briga, Rocco Hunt, Mostro. È da poco on-line con “Ulisse”, il suo singolo digitale d’esordio






che anticipa l’album di inediti “REDENZIONE” in uscita il 13 gennaio 2017, prodotto da Fausto Cogliati, che ne è anche autore della musica: un flow fuori dal comune, testi raffinati e ricchi di riferimenti culturali trasversali, una capacità di creare immagini d’impatto, mai banali e fortemente cinematografiche sono le sue caratteristiche principali. “Ulisse” è un biglietto da visita che non lascia indifferenti, un brano di eccezionale impatto emotivo, rappresentazione esplicita di come si può essere indotti ad usare violenza spinti dall’ipocrisia del sistema, ma anche metafora di un malessere generazionale e di un torpore che lowlow tenta provocatoriamente di scuotere non solo nei suoi coetanei.Il videoclip vedere sopra diretto da Yuri Santurri & Daniele Tofani per Trilathera, ha superato 5 milioni di visualizzazioni nelle prime due settimane dalla pubblicazione.“Nelle mie canzoni parlo quasi esclusivamente di Me, il resto lo conosco poco. Niko sono Io, con più senso pratico in un altro mondo in cui non esiste il Rap per sfogarsi - racconta lowlow - Certe volte la rabbia ti trasforma, la paura diventa forza e lasci andare tutte le emozioni, ti esprimi e non importa quanto drammatiche saranno le conseguenze. Tratto da una Storia non Vera”.
Insomma acido e ribellione allo stato puro cher alterna il linguaggio dei becero populismo cioè salvinismo ed ala estremista di grillini con la denuncia  sociale  raffinata di Valentina rubini

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il   terzo  Master Sina  alias  di  Anis Barka ecco la  sua storia  dalla   repubblica  d'oggi 





REGGIO EMILIA. Scappò in Europa a 12 anni nascosto in un camion nella stiva di una nave e ora, che ne ha 28, è uno dei rapper più famosi in Tunisia. La sua canzone "Clandestino", molto autobiografica, ha fatto 31 milioni di visualizzazioni su Youtube, mentre "Bye bye" ne ha 34 milioni. Master Sina lo stanno aspettando in patria per un tour nei principali festival (Kef, da ventimila spettatori) e nelle discoteche di Tunisi, Djerba, Hammamet o Sousse, conteso da tutte le tv e radio nazionali: girerà anche una fiction.
Una vera popstar, a casa sua, dove cantano a memoria anche le strofe in italiano. Ha girato, a sue spese, videoclip a Miami, Costa Azzurra e Dubai: auto, donne, lusso, soliti stereotipi rap. Da noi, invece, a Reggio Emilia all'anagrafe fa Anis Barka e - dopo aver fatto di tutto: lavapiatti, muratore, imbianchino... - ha un ristorante arabo in centro che gestisce in prima persona, con l'aiuto del cugino, e vive con la famiglia in un decoroso appartamento di periferia. Ha la faccia buona come il suo rap, allegro, positivo e senza rabbia.
Da clandestino in Italia a star del rap in Tunisia: Anis canta 'Bye Bye'




Nel tempo libero va in sala di registrazione, a Parma, dove si sta autoproducendo il secondo album, in cui ospita alcuni rapper italiani molto noti. È uno che ce l'ha fatta, e anche se nei suoi testi in arabo e italiano avverte "non pensiate che qui sia un Paradiso" o "ho visto fratelli affogare, c'è chi si è salvato e chi non è tornato", resta convinto che ancora oggi valga la pena tentare il sogno italiano.
"Da piccolo vedevo quelli che tornavano dall'Italia con la macchina, vestiti bene. Accanto a casa nostra a La Marsa, a nord di Tunisi, - racconta - c'era una fabbrica di mobili e materassi. A 12 anni tagliai la tela di un loro camion e mi infilai dentro, sbarcando a Marsiglia due giorni dopo. I miei avvisarono un conoscente che viveva lì e che mi diede riparo. Mio padre venne a riprendermi, ma non ci riuscì. Anzi, rimase anche mio fratello, più grande di un anno, e dopo qualche mese ci trasferimmo a Parma, da uno zio che lavorava in un hotel alla stazione. Ho imparato l'italiano in terza media, poi basta scuola. Per mantenermi ho fatto di tutto. A 17 anni mi sono trasferito a Bologna, sempre con mio fratello, e anche lì di giorno facevo il lavapiatti o il macellaio alla Bolognina, e la sera iniziai a fare il pierre in discoteca e organizzare feste. Sì, sono finito anche in qualche giro sbagliato, ci passiamo tutti, lasciamo stare. Per qualcuno non c'è scelta, ma un'alternativa invece si trova sempre".
Sei anni fa un amico cuoco gli offrì un lavoro a Reggio in quel ristorante che poi Anis ha rilevato e ha continuato a organizzare feste e concerti hip hop o latinos (anche di Mtv Zone). Finché - senza saper suonare uno strumento, cresciuto solo a rap americano o francese più Pausini, Ramazzotti e Ferro - l'estate scorsa ha provato a rappare anche lui con gli artisti che ingaggiava, come il tunisino Balti e l'algerino Reda Taliani, ed è nata la sua "Clandestino", registrata in studio a Lione.
"Voglio diventare ricco - dice il refrain - faccio contenta la mamma senza andare a picco. Arabo in Italia, scappato dal paese sulla barca, mi sono arrangiato, ho sbagliato, sono cresciuto, ho pagato, non devo dire grazie a nessuno. Quando da piccolo ti portavano il regalo, io ero in giro a cercare denaro...".







emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...