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28.11.21

Insegna l’italiano a una compagna arrivata dal Marocco: la piccola Aya premiata al Quirinale La dodicenne, nata in Sardegna, ha aiutato una coetanea appena arrivata, permettendole di integrarsi. Mattarella l’ha nominata Alfiere della Repubblica




Insegna l’italiano a una compagna arrivata dal Marocco: la piccola Aya premiata al Quirinale
La dodicenne, nata in Sardegna, ha aiutato una coetanea appena arrivata, permettendole di integrarsi. Mattarella l’ha nominata Alfiere della Repubblica

La piccola Aya (Foto concessa)





Aya è nata in Sardegna, il papà e la mamma sono marocchini e vivono a Marcalagonis. Oggi ha 12 anni e il 14 dicembre, assieme ad altri 29 premiati in tutta Italia (compresi alcuni sardi), riceverà l'attestato d’onore di "Alfiere della Repubblica" dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Aya Jedidi parla l’arabo e l’italiano. Durante l’anno scolastico ha aiutato Hayears, una coetanea arrivata dal Marocco e che non conosceva una parola d'italiano. La dirigente scolastica dell'Istituto Manzoni di Maracalagonis, Emanuela Lampis, ha subito promosso un progetto di studio con l'insegnante Francesca Congiu, dove Aya è stata la vera protagonista.
Ha iniziato a seguire l'amichetta appena arrivata in Sardegna, le ha insegnato le prime parole di italiano, poi tanto di più, facendo anche lezioni a distanza alla connazionale durante la chiusura della scuola per la pandemia.

La professoressa Congiu (Foto concessa)

"Aya è una ragazzina straordinaria - ha detto la professoressa Lampis - una ragazzina altruista, bravissima, seria, umile, capace di interagire con tutti. Così anche Hayears, arrivata da noi senza parlare una parola di italiano, si è inserita a scuola, ha trovato l'amicizia di tutti. Una storia bellissima, straordinaria. Una lezione per tutti. Questa è la scuola vera, una scuola soprattutto di vita”.

La preside Lampis (Foro concessa)

La bella notizia è stata anche commentata dal sindaco Francesca Fadda: “Aya, grazie ai suoi gesti, al suo altruismo, alla sua bontà è diventata un ponte prezioso per i docenti e per i compagni, sempre pronta a offrire chiarimenti o spiegazioni, nei contesti didattici come in quelli ricreativi. Col suo slancio di solidarietà attraverso gesti spontanei e gentili ha conquistato i compagni e per questo è riconosciuta come un modello di buoni comportamenti”.

2.1.16

Un Uomo Senza Braccia E L'amico Non Vedente Hanno Piantato Insieme Più Di 10 Mila Alberi ed altre storie



due storie curiose  che certamente  saranno  vecchie  ma  ed  alcuni portali \  siti magari  le  riciclano e  le riusano  , ma che  importanza  ha  alla   fine  ? .
 La prima di come l'unione di coloro che hanno un handicap possano creare un opera d'arte che è anche d'aiuto per i  normali " ( lo che non dovrei usare come mi suggerisce la lettura di -- regalatomi per natale -- del libro Mi girano le ruote di Angela Gambirasio , questo insulso termine e discriminatorio verso chi ha un handicap perchè fa delle distinzioni inappropriate fra chi è o lo è diventato dalla nascita e noi che non lo siamo , ma non ne trovo altri ed quindi che lo metto fra virgolette )


La storia di amicizia di Jia Haixia e Jia Wenqi ha davvero dell'incredibile. Hanno 53 anni, vivono in Cina e le loro vite si sono incrociate a causa delle disabilità che entrambi possiedono: Haixia è nato con una cataratta congenita che gli ha tolto la vista ad un occhio. La crudeltà della vita spesso non ha limiti, ed è rimasto completamente non vedente dopo aver subito un incidente sul lavoro all'altro occhio.Wenqi invece ha subito l'amputazione di entrambe le braccia a tre anni, in un tragico incidente.
Entrambi alla ricerca disperata di un lavoro a causa della loro situazione difficile, si sono incontrati nel 2000 e da quel giorno si aiutano a vicenda per esplorare il mondo.
La loro storia di amicizia incredibile non è tutta qui, perché i due hanno piantato oltre 10 mila alberi in dieci anni, in tutto il territorio cinese.


"Io sono le sue mani, lui è i miei occhi", afferma Haixia. "Siamo un'ottima squadra".

La coppia si incontrò nel 2001 quando entrambi erano alla ricerca disperata di un impiego, difficile da trovare a causa delle loro disabilità.
immagine: yzdsb.com

Non trovando un lavoro non si sono arresi e l'hanno inventato: hanno iniziato a piantare alberi.

Il loro non è solo un lavoro ma un impegno per la comunità: hanno affittato più di un ettaro di terreno e si sono messi al lavoro.

immagine: queqiaoba.com

Haixia e Wenqi si alzano ogni giorno alle 7 di mattina e iniziano ad interrare i fusti. Per arrivare al loro terreno devono attraversare un fiume. Wengi porta l'amico dall'altra parte, mentre lui lo guida con gli occhi.

immagine: epaper.yzdsb.com

Il guadagno non è grande, ma ormai sono spinti da un'idea molto più importante. Sono decisi a rimboscare la loro terra. Non potendo acquistare nuovi alberi, tagliano da quelli già grandi dei rami che poi interrano.

immagine: epaper.yzdsb.com

Quando bisogna arrampicarsi per tagliare i germogli, Wenqi dirige attentamente dal basso Haixia con i suoi occhi.


Il lavoro richiede molta fatica e pazienza perché i risultati non sono visibili nell'immediato. Ma veder crescere lentamente i piccoli alberi è già abbastanza per portare nelle loro menti un senso di pace.

"Ce la caviamo da soli", dice Wenqi. Nonostante il lavoro sia logorante, sono orgogliosi e felici della loro impresa.

immagine: epaper.yzdsb.com


Molte persone, dopo aver conosciuto la storia di Wenqi e Haixia hanno devoluto denaro ad un fondo creato per garantire ai due una casa e cibo. Sono stati raccolti anche dei soldi per poter operare Haixia, in modo da restituirgli parzialmente la vista. L'amicizia tra i due è meravigliosa così come la loro missione è senza dubbio esemplare. 



la seconda storia , sempre dallo stesso sito , riguarda   un   gatto  salvato  da  un cane durante  un alluvione  . Essa

21.1.14

aiuto reciproco e solidarietà fra gli ultimi Sassari, mendicante “adotta” l’amico malato

 da  la nuova   edizione sassari del 20\1\2014  

Sassari, mendicante “adotta” l’amico malato

Roberto è stato operato alla bocca dopo un tumore e non può più chiedere l’elemosina. Mirko, nonostante le difficoltà e due figli da mantenere, tende la mano anche per lui
di Daniela Scano



SASSARI. Quando è arrivato in Italia in cerca di lavoro, vent’anni fa, Slawomir Jacek Sieminiec ha capito che con quel nome impronunciabile non avrebbe mai fatto fortuna. Così ha deciso che si sarebbe fatto chiamare Roberto, ma la sorte con lui è stata avara lo stesso. L’unico che ancora continua a chiamarlo con il suo vero nome è Mirko, un connazionale polacco conosciuto nel 2002 e che che dal 2011 divide con lui il lavoro, quando c’è, e il marciapiede quando la crisi toglie anche quelle poche giornate in nero.
Oltre l’elemosina, Mirko e Roberto non hanno mai chiesto niente a nessuno. Ora però Roberto è molto malato e Mirko chiede per lui: «Qualcuno lo aiuti, non voglio che muoia». Nell’attesa se lo è portato nella sua
baracca e gli ha ceduto il letto dei suoi figli di quattro e due anni, che si sono gioiosamente trasferiti nel letto dei genitori. Tutti i giorni Mirko si alza all’alba e va a faticare per tutti e quattro: tende la mano al semaforo di piazza Santa Maria, quando gli capita accetta qualche lavoretto. Lui dice che è il contrario: «Lavoro tutte le volte che posso e se non ce la faccio chiedo l’elemosina». «Manovale, bracciante agricolo – elenca con orgoglio –, ma sono stato anche guardia giurata. Abitavamo ad Alghero, stavamo bene, poi è arrivata la crisi e ho perso tutto». Se prima si preoccupava di mettere insieme il pranzo con la cena, oggi Mirko deve organizzare numerosi pasti in più. Roberto, al quale a causa di un tumore quattro mesi fa è stato asportato un pezzo di mandibola e un frammento di lingua, deve alimentarsi con piccoli pasti, ma frequenti.
Questa è la storia di un appello e di una grande amicizia germogliata tra gli “ultimi”. Un fiore prezioso, però non raro nel mondo degli invisibili. Mirko e Roberto non li conosce nessuno e tuttavia sono volti noti in città. Non c’è automobilista che non sia passato loro accanto al semaforo. In tanti, distrattamente e senza guardarli in faccia, avranno allungato la mano per dare l’elemosina, facendo attenzione a non abbassare troppo il finestrino. Ora si sa che da quattro mesi quegli spiccioli alimentano, goccia dopo goccia, l’oceano di umanità che Mirko e sua moglie sono riusciti a creare pur di aiutare il loro amico malato a tenersi a galla. «Quando gli hanno diagnosticato una grave forma di diabete e il cancro alla bocca – racconta Mirko –, ad agosto Roberto mi ha detto che non si sarebbe fatto operare. Pensava non ne valesse la pena e, a soli 49 anni, di essere arrivato alla fine. Ci ho messo tanto a convincerlo che la vita ha sempre un senso. A settembre si è fatto ricoverare». Da quando è uscito dall’ospedale, Roberto è un altro uomo: non può più fare sforzi, ha perso decine di chili. «Mia moglie ed io facciamo quel che possiamo per aiutarlo – continua Mirko –, ma non è facile». Roberto-Slawomir si è rivolto ai Servizi sociali ma ancora non ha ottenuto risposta. Mostra la cartella degli appuntamenti che gli hanno consegnato il 25 settembre, dicendogli: «La chiameremo noi». In alto c’è il suo cognome, subito sotto quello dell’assistente sociale che dovrebbe occuparsi del suo caso, e poi più niente. Il foglio delle convocazioni è rimasto in bianco. Mirko non lo trova giusto ed è per questo che per la prima volta da quando è arrivato in Italia, quattordici anni fa, solleva il velo sulla sua esistenza fatta di miseria e di fatica. E dice: «Non chiedo niente per me, non l’ho mai fatto, e continuerò comunque a occuparmi di Slawomir. Tuttavia non posso evitare di pensare che cosa sarebbe accaduto al mio amico se non avesse potuto contare sul sostegno mio e della mia famiglia».
Forse oggi qualcuno risponderà all’appello di Mirko. Per trovarlo basta andare sul suo posto di “lavoro”, in piazza Santa Maria, e per una volta guardare quel mendicante negli occhi. Slawomir Jacek Sieminiec lo ha fatto tanti anni fa e ha visto un uomo. Lui, che pensava di essere solo al mondo, ha scoperto che l’amicizia attecchisce ovunque. E dà sempre buoni frutti.

9.12.13

generalmente si parla male di facebook e dei social ma ciò che è successo in Via Fondazza, la prima ‘social street’ italiana è nel centro di Bologna


Via Fondazza, la prima ‘social street’ italiana è nel centro di Bologna



da ilfattoquotidiano


A due mesi dalla creazione del gruppo Facebook, sono oltre 500 gli iscritti alla prima social street d’Italia, quella di via Fondazza, nel centro di Bologna. Il progetto ha preso piede velocemente e ora molte idee sono già realtà. Dalle lezioni di pianoforteofferte da una ragazza residente al numero 79, all’aiuto tra vicini nei piccoli impegni quotidiane, come la spesa o il bucato. “L’importante è ricreare quel senso di comunità che nelle città si è perduto” spiega Federico Bastiani, giornalista, residente e ideatore del progetto. Sala piena domenica 17 novembre per la presentazione ufficiale, a cui ha partecipato anche l’economista Loretta Napoleoni: “Il modello può avere molto futuro, anche in altre città d’Italia. A patto che ci sia l’iniziativa”

 di Giulia Zaccariello
 
 sempre  dalla stessa  fonte  

Social street Bologna, in via Fondazza l’economia solidale tra vicini di casa

L'esperienza unisce i residenti del centro storico e nasce da un'idea di Federico Bastiani, giornalista e papà. Nata da un gruppo Facebook, ora è una realtà concreta dove cittadini offrono servizi in cambio di aiuto e condivisione

Social street Bologna





di Alex Corlazzoli | Bologna | 11 novembre 2013

Fino a qualche settimana fa era una delle tante affascinanti strade di Bologna con i portici, qualche osteria e le vecchie botteghe, ora è la strada più famosa d’Italia. Altro che via Gluck: via Fondazzaè diventata la prima social street d’Italia. L’idea è nata a un residente, Federico Bastiani, giornalista, esperto di comunicazione e papà: “Mi sono accorto che non conoscevo nessuno dei miei vicini nonostante da qualche anno abitassi in questa strada. Ho deciso di aprire un gruppo su Facebook e di stampare una cinquantina di volantini per coinvolgere anche chi non fa uso della tecnologia”.
Tempo qualche giorno e i residenti hanno reso realtà l’economia condivisa mettendosi a disposizione l’uno con l’altro: ad oggi sono più di 350 gli iscritti al gruppo “Residenti in via Fondazza”. Sabato 10 novembre è andata in scena la prima social dinner: chi abita al civico nove ha ospitato quelli dell’87. C’è chi come Federica sulla pagina Facebook si è messa a disposizione dei vicini più anziani: “Un piccolo ma importante aiuto potrebbe essere portargli la spesa a casa”. Nicola domanda ai vicini dove trovare un buon gommista per cambiare le ruote della macchina e Antonio si offre per fare ripetizioni per i ragazzini della scuola primaria e secondaria di primo grado.
Da un giorno con l’altro si è scoperta la solidarietà grazie alla rete. Gilberto ha postato la foto del campanello di casa con il post-it “Auguri vicino” e commenta: “Queste sono davvero bellissime emozioni”. C’è anche chi ha messo a disposizione la lavatrice per gli studenti che cercavano una lavasecco a gettoni e chi è pronto ad organizzare laboratori musicali per i bambini. “Siamo diventati un vero e proprio caso di studio. Non si è tirato indietro nemmeno il cinema che per i residenti stacca biglietti con lo sconto insieme al bistrot che ha pensato ad una promozione per i “fondazziani”. Al gruppo Facebook si sono iscritti antropologi e sociologi che stanno esaminando quanto sta accadendo in via Fondazza. Da altre città – ci spiega Bastiani entusiasta dell’iniziativa – ci hanno chiamato perché vogliono far nascere altre social street. Abbiamo già un sito,www.socialstreet.it per mettere in rete tutte le esperienze”.
A Ferrara si sono già messi in moto in via Pitteri, a Milano ci sono i residenti di Parco Solari che sono pronti a portare avanti l’iniziativa nata a Bologna e a Roma l’idea sembra aver preso piede in via Tripoli. Sul sito si trova anche un bigino per fondare la social street in quattro mosse: creare un gruppo Facebook, pubblicizzarlo, alimentare la pagina con album fotografici, creare hashtag della propria strada e passare dal virtuale al reale. In via Fondazza ci sono riusciti e sono pronti a mettere in scena una serie d’iniziative che permetteranno d’incontrarsi, di guardarsi in faccia: il 17 novembre sarà tra loro Loretta Napoleoni definita l’economista del “mutuo soccorso” e a dicembre è già in cantiere un flash mob che coinvolgerà tutti i fondazziani.
Un’esperienza, quella lanciata da Bastiani, contagiosa. A Bologna l’idea di tornare alle buone maniere con il vicinato ha iniziato a mettere radice anche in altre strade: nel quartiere Santo Stefano, storica zona borghese della città, nei giorni scorsi hanno cominciato ad incontrarsi per organizzare il primo pranzo social. “Siamo andati dagli anziani del circolo del Baraccano – spiegano gli organizzatori – a chiedere lo spazio e ci hanno accolto a braccia aperte. A gennaio coinvolgeremo tutto il quartiere: ognuno porterà due piatti. Uno da condividere e uno, la specialità di famiglia, da donare agli altri. Sarà la prima di una serie di iniziative che stiamo pensando di promuovere per uscire dall’individualismo, per conoscerci anche in una città dove ormai non si sa più nemmeno chi abita nel proprio palazzo

13.9.13

Nuoro Benefattore senza volto in chiesa: «Venni sfamato dalla Madonna»


unione sarda DEL 13\9\2013
Il parroco don Francesco Mariani: «Rivelare la cifra donata svilirebbe l'importanza di un messaggio altamente educativo e volutamente silenzioso».


NUORO «Un'offerta consistente». Quanto? «È il gesto, non l'importo che conta». Taglia corto don Francesco Mariani, parroco di San Giuseppe che richiamando l'obolo della vedova del Vangelo di Luca ( «Costoro han deposto come offerta del loro superfluo, questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere») invitando i fedeli a riflettere. Perché ci sarà pure, come accade in qualche altra città sarda, chi per vergogna o apparire generoso dona pubblicamente durante la messa bottoni o banconote false, ma a Nuoro non manca chi è capace di piccoli-grandi gesti.
BENEFATTORE SCONOSCIUTO Don Mariani l'altro giorno ha notato nel cestino depositato ai piedi dell'altare un foglio bianco piegato in quattro che custodiva una o più banconote. Diciotto righe scritte in bella e ordinata calligrafia con un finale che potrebbe fare da titolo: «Io ho già». Raccontano un episodio che dimostra quanto sia radicata la solidarietà di poveri tra poveri. Una mamma che, «molti anni fa», chiedeva aiuto alla Madonna per sfamare i suoi bambini. Andò a fare la sua comunione e, tornata al posto, si accorse che qualcuno durante la sua assenza aveva depositato cinquanta lire nella borsetta.
BONTÀ SENZA VOLTO Una benefattrice o un benefattore sconosciuto, con i puntini di sospensione che portano a una Divina Provvidenza travestita da uomo o donna «che ancora una volta ci aveva sfamati». E quel gesto di «tanti anni fa», assolutamente anonimo, ha voluto riproporre il donatore, scrivendo un messaggio semplice quanto importante che piacerebbe anche a Papa Francesco: «Io non ho molto, ma forse anche oggi c'è bisogno di pane e latte e io ho già». Il parroco di San Giuseppe ha letto il messaggio dall'altare senza fare commenti: «Ho pregato per quella mamma - si limita a dire don Francesco Mariani - sapendo che a Dio non servono i nomi e, anzi, come dice il Vangelo, la tua elemosina resti segreta e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».
CARITAS POTENZIATA Un segreto che presuppone soprattutto il silenzio, ribadisce il sacerdote, «ogni parola rischia di rovinare la bellezza e l'importanza di questo gesto bello e importante perché semplice». Oltre che nella sua parrocchia, il direttore di Radio Barbagia e fondatore della cooperativa sociale Il Mandorlo, conosce molto bene i bisogni anche come direttore della Caritas diocesana impegnata, «silenziosamente», su molti fronti: «Su sollecitazione del vescovo monsignor Mosè Marcia stiamo finalmente concretizzando un progetto riorganizzativo che sarà ufficializzato nei prossimi giorni», conclude don Francesco Mariani anticipando solo che a Nuoro nei giorni scorsi sono arrivate tre suore vicenziane.
IL VESCOVO Si punta a moltiplicare l'impegno verso coloro che - come ha detto monsignor Marcia nella sua omelia del Redentore - «più hanno bisogno e, per pudore, non tendono neanche la mano». Un pudore che, per fortuna, contagia anche i benefattori.

Michele Tatti

21.5.13

guida su come sopravvivere alla crisi prima puntata "Aiutarsi come durante una guerra "



riprendo qui l'inchiesta di repubblica e in alcuni punti , a voi scoprire quali , ci aggiungono del mio e mia esperienza 


Co-housing ovvero vivere insieme, co-working ovvero lavorare uniti. E ancora gruppi di acquisto solidale che raggruppano fino a sette milioni di persone, mercatini del baratto e una miriade di orti collettivi nella grandi città. Così sta crescendo un movimento silenzioso che fa fronte alle difficoltà di questi anni 
Generazione Co. E questa volta a finirci dentro non sono solo i giovani ma proprio tutti, o almeno chiunque è costretto a fare i conti con budget sempre più ridotti. Perché, ora, in piena crisi economica, un modo per sopravvivere è coalizzarsi, stare insieme, collaborare, condividere. E per farlo si formulano nuovi stili di vita. Si punta sul co-working, per spartirsi le spese d'ufficio, sul co-housing, perché nei condomini solidali ci si aiuta e si tagliano e di molto i costi. Ma anche l'automobile gestita da più famiglie, il car-sharing, affascina sempre più persone. Partecipare a gruppi di acquisto solidale con parenti o colleghi, non è solo vantaggioso ma alla fine anche stimolante. 
E nel cerchio che stringe sempre più i consumi riducendoli ogni giorno un po' ci finiscono anche parole come riciclo o scambio. E c'è chi punta agli orti metropolitani oppure a prepararsi in casa cibi come yogurt, pane e conserve: un popolo sempre più numeroso secondo il Censis che nell'anno che si è appena chiuso ha contato 11 milioni di nuovi adepti. Mentre i modelli produttivi tradizionali sono in difficoltà (nel manifatturiero si registra il 4,7% di imprese in meno tra il 2009 e oggi), crescono le cooperative tanto che le imprese, in questo settore, sono aumentate del 14% tra il 2001 e il 2011. 
Una nuova era? "Non proprio ma sicuramente più solidale di quanto si pensi - per lo psicoanalista Lucio Della Seta, autore di Debellare l'ansia e il panico, Mondadori, pp. 114, euro 16 - . L'essere tutti più poveri unisce. Sta succedendo, seppur con delle inevitabili variazioni, quello che accadeva durante la guerra o subito dopo: le persone, oggi, si associano in mille modi differenti. Cercano insieme una via d'uscita. Si è meno soli paradossalmente di quando l'economia viaggia ad alti livelli. E automaticamente l'ansia diminuisce perché l'attenzione si sposta su altro: sul problema del mangiare, dormire, andare avanti. Non è un caso che ci sono, oggi, persone che hanno ripreso a coabitare. Stare insieme, fare gruppo è un sentimento arcaico che toglie la paura. Quella stessa paura che alla fine genera gli attacchi di panico".

Come aiutarci
di GAD LERNER

Consumi, sempre più giù
Quando l'economia va male, la condivisione può essere una soluzione. I gruppi di acquisto sono in crescita. Ma le persone tagliano anche gli sprechi. Oggi i consumi sono crollati e sono ritornati ai livelli del 1997. L'83% dei nuclei familiari ha riorganizzato la spesa alimentare cercando offerte speciali e cibi meno costosi (dati Censis). Dal 2007 al 2011 la crisi ha alleggerito di 7 miliardi di euro la borsa della spesa alimentare delle famiglie italiane (dati Fipe-Istat). Ad altri due miliardi ammontano i tagli nei consumi alimentari fuori dalle mura domestiche. Secondo il Censis il 73% degli italiani va a caccia di offerte e alimenti poco costosi. E ci sono 7 milioni di persone che partecipano ai Gas, i Gruppi di acquisto solidale.
In calo l'abbigliamento
Con la crisi gli italiani rinunciano anche agli articoli di abbigliamento o alle calzature (secondo il Censis il 40% a rinunciato a questa spesa). Si compra meno anche perché per una famiglia rinnovare il guardaroba è diventata un'impresa. Un esempio? In un grande magazzino vestire un bambino di 6-8 anni può alleggerire e non poco le tasche. Per una tuta con maglietta si spendono circa 30 euro. Aggiungendo un giubbotto da 40 euro e un paio di scarpe economiche di altri 40 si superano i 100 euro. Ma in uno dei tanti mercatini dello scambio i vestiti dei propri figli ormai cresciuti, si possono barattare gratuitamente o per pochi euro. 
La seconda vita di abiti e scarpe
Le persone studiano soluzioni alternative. Un cappotto rimasto sepolto in un armadio per anni, scarpe abbandonate, borse inutilizzate: sono tutti oggetti che ora possono tornare utili. Aumenta la condivisione fra persone. Il passa parola fra amiche può essere utile per comprare a prezzi stracciati capi o per partecipare agli swap parties, dove si scambiano giacche o pantaloni. "Gli swap parties vengono organizzati per scambiarsi degli abiti o oggetti che noi non usiamo più. È anche un pretesto per incontrarsi. Un modo per stare insieme e scambiarsi quei capi che non servono e sono spesso di valore - spiega Edoardo Amerini, presidente di Conau, consorzio abiti e accessori usati - . E poi ci sono le bancarelle e i negozi dell'usato. In passato erano meno diffusi, mentre oggi sono in crescita".
Caro benzina
Fra i costi fissi c'è anche quello dell'automobile. Se una volta molte famiglia consideravano normale averne più d'una, oggi le cose sono cambiate. Secondo l'ultimo rapporto Censis, il 62,8% degli italiani limita gli spostamenti in macchina o moto per risparmiare sulla benzina. A dicembre le immatricolazioni sono diminuite del 22,5% rispetto al dicembre 2011. Nell'intero 2012 il saldo è negativo del 19,87%. Sono cvalate addirittura anche le patenti mentre in due anni sono state vendute, 3,5 milioni di biciclette. Il più delle volte si rinuncia anche anche ai viaggi (42%), un lusso in piena recessione. Anche per i trasporti si punta a dividere le spese con altre persone. Mai più macchine vuote, con una sola persona al volante, per andare in ufficio. Prende piede il carpooling che permette di usare una sola macchina e condividere le spese. Roberto Dell'Omo è un ingegnere milanese che si sposta da Milano a Roma tutte le settimane con questa soluzione: "Oltre a risparmiare si crea una comunità di viaggiatori su quattro ruote che in alcuni casi si frequenta anche oltre il singolo viaggio. Dalla drag queen al gruppo di tango argentino, posso dire che in questi due anni ho viaggiato e conosciuto persone di tutti i tipi". 
Casa
Si risparmia su tutto, ma sulla casa non è facile. Diminuisce il numero di persone che riescono a comprarla: secondo l'Istat, rispetto al secondo trimestre 2011, le compravendite di immobili a uso residenziale diminuiscono del 23,6. C'è chi però decide di scommettere sull'acquisto condiviso di un edificio, per tagliare anche i costi di gestione. "La solidarietà non si misura solo con l'aiuto materiale ma anche con un 'avvicinamento" di tipo relazionale delle persone che vivono in strutture di questo tipo - dice Lorenzo Allevi dell'impresa sociale Sharing, che a Torino ha dato vita all'albergo condiviso - . Nel nostro albergo sociale questa solidarietà è sentita. Ci sono persone che mettono a disposizione il proprio tempo per organizzare delle serate a tema con i bambini. Oppure associazioni che tengono gratuitamente corsi di italiano per stranieri. In molti organizzano delle feste e invitano tutti. Ci aiutiamo tra di noi e facilitiamo le occasioni d'incontro".

Lavoro
Sempre più precario e con meno tutele, anche il lavoro cambia quando circola meno danaro. Così è aumentano le esperienze di co-working, il lavorare insieme. Si può spendere per una scrivania, internet, fax, sala riunioni ed altro dai 25 euro al giorno, ai 250/350 euro al mese. In alcuni co-work sono attive anche forme di baratto. Una persona mette a disposizione la sua professionalità e in cambio ottiene un'altra cosa. È un modo per essere autonomi sul lavoro, condividendo servizi, e per evitare che il lavoratore si senta isolato. Perché in tempi di crisi e meglio non rimanere soli.

4.10.12

francia Il vit dans un mobil-home, ses voisins lui construisent une maison

mi viene il dubbio che siano stati leghisti oppure consiglieri della regione Lazio    voi  che  dite  ?


Il vit dans un mobil-home, ses voisins lui construisent une maison

C’est une histoire comme on en voit dans les émissions de téléréalité, sauf que la télé n’est pas venue. Une histoire de solidarité et de proximité qu’on peut lire, aussi, comme un contre-pied à la crise. L’histoire d’un père de famille vivant seul dans un mobil-home d’un autre âge et à qui ses voisins vont construire une maison. Une vraie maison en ossature de bois et aux normes "bâtiment basse consommation", avec trois chambres, 90 m2 de surface au sol et un poêle canadien au milieu. Sauf imprévu, la masure se dressera à Noël à la sortie du village de Saint-Martin-des-Fontaines (Vendée), à l’endroit même où Fred –l’homme ne souhaite pas voir apparaître son nom – a acheté un terrain pour se rapprocher de la mère de ses quatre enfants dont il est séparé.

Fred, devant son mobil-home © Théophile Trossat
Fred a 47 ans, une jolie paire de bacchantes et est originaire de l’Oise, où il exerçait le métier d’électromécanicien avant que tout bascule. C’était en 2006: un divorce l’éloigne de ses enfants dont il obtient la garde un week-end sur deux. Deux ans plus tard, son ex-épouse décide d’aller vivre en Vendée. Presque au même moment –"malheureusement et heureusement", dit-il –, il se fait licencier de l’entreprise où il était chargé de l’entretien des machines-outils. Il suit le mouvement, direction le bocage, pas le choix : "En restant dans l’Oise, je n’aurais vu les enfants qu’une fois par an", explique-t-il. Si l’aîné, aujourd’hui âgé de 23 ans, vit sa vie de chauffeur routier, les autres – deux garçons et une fille de 8 à 14 ans – ont besoin de leurs deux parents. Et réciproquement.
Les trois premiers mois, Fred les passe dans un camping-car installé dans la cour de la maison de son ex-femme, dans le village d’Auzay. Comme le bonhomme a quelques économies, il acquiert un joli terrain de 3.600 m2 à 16 kilomètres de là, à Saint-Martin-des-Fontaines, 160 habitants. Le prix de vente – 32.000 euros – lui paraît tout à fait acceptable, pour lui "qui vient de Paris" comme on dit au village. Il est en réalité bien supérieur à la moyenne du marché… Peu importe, son idée est de "faire construire", ce qu’il a déjà fait deux fois dans le passé : "Venir ici était comme prendre un nouveau départ dans la vie. J’étais alors loin de penser que j’en arriverais là." Fred a oublié un élément essentiel : l’emploi est une denrée rare dans ce sud vendéen saigné à blanc par les fermetures d’usines (SKF en 2009, Plysorol cet été). Il trouve un job dans une entreprise de maintenance agricole, devient maçon, travaille dans une ferme, et vivote avec les Assedic entre deux CDD. Il achète également des poules et des moutons, pour sa consommation personnelle.
Fred possède six poules et neuf moutons © Théophile Trossat
Entre-temps, Fred a fait "rapatrier" sur place son vieux mobil-home, une antiquité de 27 m2 dans lequel il accueille ses enfants pendant le week-end. La vie y est heureuse mais spartiate, surtout les nuits de grand froid quand le poêle à bois peine à diffuser une chaleur constante en raison de l’absence d’isolation. Réglementairement, ce type de chauffage est interdit dans une habitation mobile. Tout aussi réglementairement, un mobil-home ne peut rester plus de trois ans au même endroit. Fred en est à son quatrième hiver sur place : il suffirait de pas grand-chose à une autorité vaguement sourcilleuse pour le faire expulser de son gourbi ambulant.
Sauf que voilà, Fred a des voisins. Des voisins pas comme les autres, sans doute. En face de chez lui, habite Bernard Anonier, un céréalier à la retraite, et quelques mètres plus loin Pierre-Alain Petit, un salarié de l’usine de briques située à l’autre bout du hameau. Le premier préside une association composée majoritairement d’agriculteurs ; le second tient en parallèle un bistrot appelé La Coussotte, où siège une autre association dont le but est d’organiser la brocante annuelle du village.
Bernard Anonier (à gauche) est président de l'Association des bassins versants de la grande fontaine © Théophile Trossat
Fred, qui a le contact facile, a sympathisé avec ses voisins. Ceux-ci vont lui rendre son amitié, en… s’inquiétant pour lui. Notamment en 2010 quand la tempête Xynthia fait décoller le bord de son mobil-home de plusieurs dizaines de centimètres. Idem lors du glacial hiver 2011-2012 : "En me levant le matin, la première chose que je faisais était de vérifier que son poêle était bien allumé", en tremble encore Bernard Anonier. Plusieurs fois, Fred utilisera son sèche-cheveux pour dégeler la porte de son logis de bric et de broc.
Ce même hiver, à Saint-Christophe-du-Ligneron, une commune du nord du département, un drame fait la "une" des journaux : un père et son fils périssent dans l’incendie de leur mobil-home. "Cela a été le déclencheur, poursuit Bernard Anonier.On s’est rendu compte qu’il y avait chez nous le même potentiel de catastrophe. Et même pire encore. Imaginez : un vieux mobil-home avec un poêle à bois et trois enfants dedans ! On était dans une situation de non-assistance à personne en danger." La dégradation de la situation financière de Fred – acculé par un découvert de 1.400 euros et plusieurs impayés – ne laissait entrevoir aucun espoir de changement, sinon radical : "Avec le risque d’expulsion qui pesait sur lui, il sentait bien que la prochaine étape serait la “boîte en carton”, comme il disait pour expliquer qu’il redoutait de devenir SDF."
Snoopy, le chien de Fred © Théophile Trossat
Pas d’hésitation : les deux associations décident de s’unir dans le but de construire une maison à Fred. La première, qui sommeillait depuis dix ans, a conservé un petit trésor de guerre (20.000 euros), reliquat de l’époque où elle organisait des championnats du monde de moissonneuses-batteuses. La seconde, en revanche, n’a plus un centime en caisse à cause de la pluie qui a gâché la brocante du village en 2011. Tout cela étant bien maigre, un dossier est envoyé à l’émission de TF1 "Tous ensemble", version française du programme américain "Les Maçons du cœur". "La production nous a appelés deux fois mais elle n’a pas donné suite", explique Bernard Anonier.
Privés de télé, la confrérie des voisins –une douzaine de personnes – va alors contacter des PME des environs, et miser sur la seule stratégie possible : le système D. Les débuts sont hésitants. Ici comme ailleurs, la crise est dans la bouche de tous les artisans et entrepreneurs dont la priorité est de maintenir leur niveau d’activité, pas d’aider quelqu’un qui galère. Mais certains vont jouer le jeu. Assez vite, tel fournisseur accepte d’offrir la structure en béton de la maison, et tel autre les planches d’épicéa nécessaires à la construction des parois. Un chef de chantier propose de superviser bénévolement les travaux, des peintres iront donner un coup de pinceau pendant le week-end. Une enseigne de Fontenay-le-Comte promet de livrer un plein camion de meubles et un paysagiste de planter 250 bulbes dans le jardin. Relayé par le quotidienOuest-France, le projet se transforme en chaîne de solidarité.
Au final, une cinquantaine de partenaires financeront en dons et en services 80% de l’opération dont le coût avoisine les 100.000 euros. "Curieusement, ce sont surtout de jeunes entrepreneurs qui ont mis la main au portefeuille, indique Bernard Anonier. Leur geste est très beau en cette période de crise. C’est à se demander si la solidarité n’est pas plus importante quand les temps sont difficiles."
Le plan de la future maison © Théophile Trossat
Tout, néanmoins, ne va pas être un long fleuve tranquille. Au village, Fred a aussi appris à composer avec les regards obliques. "Sa présence a créé une gêne. Comme un sentiment de honte devant quelqu’un en détresse qu’on ne sait pas comment soutenir", glisse une habitante. "Pourquoi l’aider, lui, alors qu’il n’est pas originaire du village" est une phrase qui a, semble-t-il, pas mal circulé dans le bourg. Mobil-home oblige, certains ont également vu en lui un membre de la communauté des gens du voyage. "Fred, c’est un peu le Rom du pays, dit Bernard Anonier. Les Roms, soit on les expulse, soit on les garde. Nous, on a décidé de le garder. Et ce que nous aimerions beaucoup, maintenant, c’est que d’autres personnes montent des projets similaires ailleurs. Car des gens en difficulté, ce n’est pas ce qui manque."
En juin, la mairie lui a proposé un logement, mais Fred n’a pas rempli le dossier, craignant de ne pouvoir assumer le loyer de 380 euros. Sa demande de permis de construire a en revanche été acceptée, mais le conseil municipal s’est opposé à payer le prolongement du tout-à-l’égout jusqu’à son terrain (5.600 euros). "Cela aurait créé un précédent, justifie le maire, Roger Hervé (sans étiquette). Des cas sociaux, il y en a d’autres sur la commune. Si on commence à donner à quelqu’un, tout le monde demandera la même chose. Nos moyens ne nous le permettraient pas."
Et Fred, qu’en pense-t-il, lui ? Derrière ses moustaches, le gaillard cache difficilement sa gêne : "Cette maison ne sera jamais la mienne. Ce sera celle de mes enfants et la “leur”, mais je laisserai toujours la porte grande ouverte", dit-il. Avant cela, il a fallu le convaincre, ce qui ne fut pas une mince affaire, comme s’en souvient Pierre-Alain Petit, l’autre cheville ouvrière du projet: "Fred est quelqu’un qui dit n’avoir besoin de rien et qui ne veut pas qu’on l’aide. Résultat : j’ai dû lui rentrer dedans !" C’était au comptoir de La Coussote, un soir de mars. "Tu es un dur, mais je te ferai chialer. Avant six mois, tu auras une grosse surprise", avait tonné le patron des lieux. Fred a fini par craquer, comprenant qu’on ne lui racontait pas d’histoire.
© Théophile Trossat
Les premiers travaux devraient commencer ces prochains jours et durer jusqu’en décembre. Le vieux mobil-home ne sera démonté qu’au dernier moment et jeté à la benne. Fred conservera son châssis métallique pour le recycler en barbecue géant. A Noël, cette année, ce sera méchoui pour tout le monde.
Pour prendre contact avec les deux associations de Saint-Martin-des-Fontaines: un.toit.pour.une.famille@gmail.com


emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...