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14.3.15

dal mondo del lavoro emigrare o non emigrare ? , la schifezza del jobs act , un figlio di 7a nni che trova lavoro al padre

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Iniziamo   dalla prima storia  che non è   altro che la continuazione ,  vedere   secondo url sopra  , della precedente .  La  storia  è tratta  da  http://www.napolitan.it/

Io, precario infelice in Italia e uomo realizzato in Danimarca

di / 0 Commenti / 44 Visite / 30 gennaio, 2015


10347720_10204394092504677_4667842167136343650_nI percorsi della vita portano su tante strade; si fanno scelte e ogni volta che si sceglie si rinuncia a qualcosa, perché la vita è così.
Ma ai sogni non si è capaci di rinunciare: li vedi calpestati e umiliati, si inizia a essere arrabbiati con il mondo intero, la sfiducia che scava dentro e sentirsi impotenti, per passare i giorni a dirsi di “non mollare che tanto prima o poi qualcosa accadrà“, ma il tempo è spietato e passa, non accade nulla, tranne che vedere quello che ti spetta rubato e solo per agganci giusti, persone giuste.
E tutto il tuo tempo per imparare e che a nessuno interessa.
Emanuele ha 30 anni e un diploma in grafica pubblicitaria. Nel suo paese del profondo sud, lavora in un bar, caffè su caffè, brioches e conti da far quadrare, l’amore che “deve” aspettare, perché non si può.
Sente per caso da un cliente che in Danimarca danno un sussidio di 2mila euro ai disoccupati e pensa di aver versato troppo cognac al cliente, ma è tutto vero, invece. In appena 3 giorni lascia il lavoro, compra il biglietto aereo e dice alla sua ragazza: “Aspettami.” Ma non sarà lei ad aspettare lui; lo farà Emanuele, quando andrà a prenderla in aeroporto, perché ha deciso anche lei di provarci, con pochi soldi, ma insieme, tanto è questo che conta. Hanno lasciato il sole della loro terra e si muovono in bici sotto la pioggia, si aiutano come possono e con il loro inglese scolastico, iniziano a cercare lavoro, vanno a una scuola serale per imparare il danese e fanno piccoli lavoretti a termine.
Pochi mesi dopo, la Danimarca diventa il loro paese e tra le nuvole il sole: lui contratto a tempo indeterminato presso un’agenzia di pubblicità e lei serve cappuccini in un pub che ha il sapore del Natale perché forse Babbo Natale esiste e ha la faccia di una sirenetta che guarda il mare.
Emanuele e il suo amore hanno realizzato un sogno che ha avuto un prezzo alto, ma ci hanno fatto capire che non si può rinunciare ai sogni e che si possono realizzare: non è coraggio…è crederci.

La  seconda   da www.unionesarda.it

Niente mutuo per gli assunti col Jobs act
Il sogno svanito di una coppia di Cagliari

Niente mutuo per gli assunti col Jobs act Il sogno svanito di una coppia di Cagliari                            Acquisto di una casa col mutuo - foto simbolo

Una cronista ha chiesto 100mila euro di mutuo offrendo come garanzia il suo contratto (con le nuove norme) e quello del compagno con l'articolo 18.
«Siete sicuri di voler comprare?». L'impiegato della Bnl abbozza un sorriso: «Entrerete nel mondo delle mucche da mungere». La battuta ha sfumature minacciose. Il primo tentativo è al Banco di Sardegna. Trentatré anni lei, cinque in più lui. «Il mutuo regionale fa al caso vostro». Ma il sogno svanisce in pochi minuti. È necessario avere redditi pregressi, anzianità, e un garante. La lista infinita di documenti da produrre finisce in fondo alla borsetta. Assieme al biglietto da visita.
Quattro giorni per bussare alla porta di dieci istituti di credito - italiani, tedeschi e olandesi - danno lo stesso risultato: una giovane coppia appena assunta col Jobs act non ha speranze. A meno che non trovi qualcuno disposto a garantire i suoi sogni. In questo caso abbastanza modesti: un bivano di ottanta metri quadri alla periferia di Quartu. Valore d'acquisto 140 mila euro, cento sono da finanziare.

da   http://www.nextquotidiano.it/

 ALMAVIVA: COSA HA FATTO IL JOBS ACT AI LAVORATORI DEI CALL CENTER

La storia l’ha raccontata qualche giorno fa il Manifesto: Almaviva chiede ai sindacati di “conseguire l’indispensabile sostenibilità economica delle attività”. Tutto parte dalla commessa appena ottenuta da Almaviva, con riserva, da Wind. La compagnia telefonica concederài l via libera solo se otterrà una tariffa al minuto inferiore del 14% a quella attuale. Per raggiungerla chiede ai 1500 lavoratori interessati di fare la propria parte, altrimenti sarà il loro posto di lavoro a essere messo a rischio.
La comu­ni­ca­zione è arri­vata diret­ta­mente dall’amministratore dele­gato di Alma­viva, Andrea Anto­nelli, nell’intranet azien­dale: siamo riu­sciti a otte­nere la com­messa Wind, quindi ci tro­viamo nelle con­di­zioni di sal­vare i 1500 posti a rischio, ma c’è un “ma”. La deci­sione del colosso tele­fo­nico, che pro­prio in que­sti giorni sta defi­nendo una fusione con la con­cor­rente 3, è legata a una «riserva»: viene richie­sta una tariffa al minuto infe­riore del 14% rispetto a quella attuale, e così il gruppo di Alberto Tripi butta la palla nel campo dei sin­da­cati. Si dovrà rag­giun­gere un accordo per «con­se­guire — parole dell’ad — l’indispensabile soste­ni­bi­lità eco­no­mica delle atti­vità», altri­menti non se ne farà nulla. La dead line per chiu­dere le trat­ta­tive è fis­sata per il 31 marzo.

L’azienda vuole legare i forti sconti ai salari, insomma:
In alter­na­tiva, Alma­viva potrebbe pro­porre di dimez­zare le ore di lavoro, così come in que­sti giorni sta chie­dendo un’altra azienda, la Info­con­tact, per con­ser­vare il posto ai suoi 1590 addetti cala­bresi. O, ancora, potrebbe acce­le­rare sul pedale degli esu­beri, met­tendo comun­que alcune cuf­fiette in cassa o addi­rit­tura in mobi­lità, visto che in ogni caso già da due anni i 9 mila dipen­denti del gruppo romano stanno in soli­da­rietà al 20% (pari a circa 1800 esu­beri strutturali).
L’allarme è scat­tato in tutti quei set­tori dove si opera per appalti: le aziende al cam­bio com­messa met­te­ranno in esu­bero i vec­chi dipen­denti, e potranno assur­merne di nuovi, molto meno costosi, gra­zie agli incen­tivi messi a dispo­si­zione dal governo con la legge di sta­bi­lità. I call cen­ter sono più che espo­sti: secondo la Cgil sono 7 mila i lavo­ra­tori ad altis­simo rischio di sosti­tu­zione nei pros­simi mesi, e per il momento pur­troppo non si vede nes­suna via d’uscita. Il conto è pre­sto fatto: nella sola Alma­viva rischia di sal­tare quasi la metà delle attuali 9 mila posta­zioni. Spiega Il Manifesto:
«Con il Jobs Act magari si mol­ti­pli­che­ranno le assun­zioni, gra­zie agli incen­tivi, e il pre­mier Renzi e il mini­stro Poletti potranno van­tar­sene — riprende Azzola, della Slc Cgil — ma noi chie­diamo al governo che fine faranno gli attuali dipen­denti, rite­nuti ormai non più “com­pe­ti­tivi”. E non par­liamo di stu­denti ven­ti­cin­quenni al primo impiego: sono ope­ra­tori qua­ran­tenni con fami­glia, figli e mutui a carico».

Nel mag­gior gruppo ita­liano, che si è impe­gnato a non spo­stare lavoro all’estero, i costi dei dipen­denti infatti si sono rive­lati troppo alti rispetto ai ribassi pos­si­bili gra­zie a Jobs Act/legge di sta­bi­lità e alle delo­ca­liz­za­zioni. E, spiega oggi il Fatto, con il Jobs Act la situazione potrebbe sensibilmente…peggiorare:
Qui, entra in campo, negativamente, il Jobs Act. “Siamo di fronte a un salto di qualità” spiega al Fatto Michele Azzola, segretario dello Slc-Cgil, perché lo sgravio contributivo fino a 8000 euro l’anno, previsto dalla legge di Stabilità, costituisce un forte incentivo a costituire nuove società e a sostenere gare al ribasso con sconti fino al 30-40% in una categoria in cui l’80% dei costi è dato dal lavoro”. Nuova commessa, nuova società, sgravio contributivo e andata a casa dei vecchi impiegati. Che non sono più i giovani precari dell’immagi – nario cinematografico ma uomini e donne tra i 30-40 anni, sposati e con figli, ormai dediti a un lavoro che vorrebbero stabile. E che, invece, sembra frantumarsi.


e per  finire un altra  storia   allegra   triste  ma  allegra  contemporaneamente   che dimostra  che   nonostante il crescente razzismo o simpatie  tali   del tipo non son razzista ma ....   esistono ancora degli anticorpi  che   riescono  a tenerlo a bada

il caso

Il figlio, 7 anni, trova un lavoro al padre rimasto disoccupato

Storia di straordinaria integrazione a Conegliano, protagonisti due scolari del collegio Immacolata. Il bambino si confida con l’amico del cuore, il quale chiede aiuto alla mamma, figlia di un imprenditore


CONEGLIANO. Due bambini di sette anni, compagni di scuola in seconda elementare al Collegio Immacolata di Conegliano, Gregorio e Gideon, danno un

10.3.15

gente che non emigra per lavorare ma resiste lavorando in italia . la storia di DAMIANA DIPASQUALE ASSUNTA CON IL JOBS ACT e di Luca NicolazziDottore in legge, 42 anni, che per vivere fa il tassista

 Entrambe  le  storie    sono  , prese  daprese  da  REPUBBLICA DEL 8\3\2015   da  repubblica  di Milano   la seconda 
Esse    testimoniano    come   c'è gente    che    scelgono  di non emigrare  ( come fece  anche  mio bisnonno    che andò  , non voleva debiti era  troppo orgoglioso  , ando  a lavorare in Argentina per  5   anni  )    come si faceva  allora  e fanno molti  oggi  . Gente    che    ha scelto    con il loro  gesto  di  ( vedere  sotto   il finale   di  in via  delle murate  c'è  uno scalino  di Sergio Staino  tratto  dal  volume   Bobo  Novecento  ) non lasciare   o  almeno provare   a lottare  il nostro paese   in mano    certi scemi 

Ma  bastga    partlare  io e lasciamo parlare le storie 

Io precaria domani firmo il nuovo contratto   felice sì ma fra 3 anni possono licenziarmi”

MILANO
Felice? Ovvio. Anche se mi resta un po’di amaro in bocca». Damiana Dipasquale ha 28
anni, una laurea in Scienze della Comunicazionee un impiego in un’azienda milanese di consulenza
e selezione del personale. Domani firmerà il primo contratto a tempo indeterminato  della sua vita. Ed è anche uno dei primi in senso assoluto nella versione  riveduta e corretta dal Jobs Act, il cosiddetto “a tutele crescenti”.
Che contratto aveva prima?
«Un tempo determinato, che mi  era stato fatto partire lo scorso settembre  e che scadeva a luglio. Che a  sua volta era stato il primo contratto  “serio” da quando lavoro».
E adesso?
«Venerdì scorso il datore di lavoro  mi ha chiamato nel suo ufficio e mi ha  dato la bella notizia. Ma io sinceramente  me lo aspettavo. Ci occupiamo  proprio di questi temi in azienda, quindi era evidente la convenienza dal punto di vista economico».
Come festeggerà?
«Non penso di farlo a dire il vero, ma di sicuro  il cuscino sarà un po’ più comodo...».
Cosa non le torna?
«Premesso che sono comunque contenta di  questo avanzamento, premesso che amo ciò che faccio e il mio ambiente di lavoro, a me rimane l’amaro in bocca».
Perché?
«Perché per tre anni, quelli dello sgravio fiscale,mi assicuro una crescita professionale in un contesto che mi piace. Però mi domando: e fra tre anni? Cosa succederà? Quando cioèll’aziendacosterò“davvero”? Insomma, metto inpreventivo che possa perdere il miolavoro.
La firma di lunedì (domani,ndr) mi dà la possibilità di stare tranquilla adesso, ma il dopo mi angoscia,devo essere sincera».
Faccio l’avvocato del Diavolo:lei non si accontenta mai.
«No, anzi. Però le cose stanno così,è evidente. L’azienda incassa il bonus iniziale e risparmia sulla  mia assunzione.Ora, non dico che sia umiliante,però sapere che un domani puoi essere liquidata con uno schiocco delle dita mi inquieta. Sono realista:questo è un passo avanti, ma ametà».
La sua è una riflessione legata a una concezione poco flessibile del mercato del lavoro? Ha il
mito del posto fisso?

«Ma no, sono flessibile da una vita.Ho avuto molti contratti con altre imprese, hofatto la cameriera e la barista con il classico contratto a chiamata. Poi i famosi contratti a progetto, tutti fasulli, in società di marketing. Appena finivano ti salutavano e ricominciavi daccapo. Non è un problema di cambiamento, la nostra è una generazione di camaleontici, sappiamo  cambiare, sappiamo cosasignifica la mobilità ».
E allora qual è il punto?
«La tutela della persona. La mia non è insoddisfazione,è che io do tanto, perché tu Stato o azienda non mi garantisci altrettanto? Io voglio  essere tutelata sempre e questo conviene a tutti: perché la crescita professionale è mia ma se ne  avvantaggia anche l’impresa. Il miglioramento  non può fermarsi qui. Aggiungo che sapere di
avere un futuro garantito nel tuo posto di lavoro  ti fa dare di più, ti fa sentire partecipe. Io la vedo  così».
Con il vecchio tempo indeterminato legato all’articolo 18 sarebbe stata più contenta  immagino.
«
Sì, quello che firmarono a loro tempo a mamma  e di papà. Diciamo che non ho potuto pensare  come loro, “adesso mi faccio una famiglia, tiriamo  su la nostra casa”, perché non è esattamente  la stessa cosa. E lo dico ben sapendo che  non era l’articolo 18 a risolvere i problemi, né lo  sarà il Jobs Act».
A proposito: ma i suoi genitori cosa dicono?
«Sono più tranquilli adesso. Mamma, da brava  siciliana, mi fa: “Intanto prenditi questo”».
Il suo stipendio rimarrà lo stesso?
«Credo di sì, non mi hanno parlato di aumenti. Ma comunque per la mia età guadagno bene».
Quanto?
«1.200 euro netti al mese».

Dottore in legge, 42 anni, vive a Milano: Luca Nicolazzi è un “adattabile”
Dopo diversi impieghi precari ha comprato una licenza: “Così sono autonomo”Il tassista laureato  che cita Pascal  “Ho cambiato vita  per avere un lavoro”

LA SCELTA
Luca Nicolazzi, 42 anni,è laureato in giurisprudenza. È  diventato tassista  suo malgrado. Dopo  anni di precariato ha comprato la licenza  a Milano per avere  un lavoro vero
 

MILANO
UNA mosca bianca su un taxi bianco, che guida morbido e tiene pulito come la stanza di una sposa. In un'ampia vaschetta sul lato passeggero, una quarantina di cioccolatini ben assortiti di cui si rifornisce da un eroico caramellaio superstite, in viale Toscana. «Gradisce?». Il conducente ha 42 anni, capelli e filo di barba entrambi molto curati, cita Pascal e Keynes, porta in giro per Milano il suo Bari 78, una 500L che sembra appena uscita di fabbrica, con la pacata rassegnazione di chi ha sognato altro, studiato per altro, ma che al momento ha accettato l'evidenza che questo altro non c'è, e quindi si adatta. La nuova Italia degli "adattabili", fratelli maggiori degli "sdraiati" di Michele Serra. Visto il tasso innaturale di disoccupazione e la massa crescente di quanti stanno scendendo la scala sociale, la mosca bianca sul taxi bianco è, se non altro, in nutrita compagnia. Ma il suo resta un caso piuttosto unico. Sul biglietto da visita, in cartoncino plastificato traslucido, c'è tutto in una riga, l'aspirazione mancata e la negazione, per quanto possibile, dello status presente: Dott. Luca Nicolazzi, seguono indirizzo e mail. La parola "taxista" non compare. Però è quello che lui fa da due anni e mezzo. Perché non lo scrive? «Perché sono dottore in Legge, 88/100 a fine corso con una tesi sullo sfruttamento della prostituzione, e guidare un'auto pubblica non è esattamente la mia aspirazione».
Dottore in Legge e quindi avvocato. «No, ce n'erano già troppi

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