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3.2.25

Paola Caridi Ricordare Gaza per raccontarla







Il testo è la trascrizione di una lectio tenuta da Paola Caridi all’Università per Stranieri di Siena il 22 gennaio 2025. Ringraziamo autrice e Ateneo.




Quasi nessun luogo al mondo viene chiamato con lo stesso nome da oltre 3500 anni. Gaza sì, e insieme al nome porta con sé un destino da cui non riesce a liberarsi: quello di terra eternamente contesa, scenario di troppe battaglie. Ricordarne la storia è l’unico modo per darle dignità, e auspicare un cambiamento
Non sono palestinese né voglio sostituirmi a uno sguardo palestinese. Conservo il mio sguardo altro, mediterraneo, che è forse la definizione che più mi assomiglia, e in cui più mi riconosco. E ringrazio il rettore dell’Università per Stranieri di Siena, professor Tomaso Montanari, per avermi fatto una richiesta che mi ha sorpreso e onorato. Tenere questa lezione inaugurale. Una lezione inaugurale che non può non essere dedicata, come chiede Suad Amiry che sarà qui il prossimo ottobre per ricevere la laurea honoris causa, a Gaza. Occorre ricordare Gaza, dice. Io andrei oltre, da mediterranea, italiana, europea. Occorre raccontare Gaza, luogo costretto, blindato, invisibile. E ora distrutto. Occorre, cioè, riempire un vuoto culturale la cui profondità è così chiara, palpabile – oggi – nell’incapacità di vedere, di comprendere cosa è accaduto in questi oltre quindici mesi.
Raccontare Gaza, dunque. Ma raccontarla come? Da quando? Da quando la più inimmaginabile delle guerre è cominciata, il 7 ottobre 2023? Iniziata con l’attacco, terroristico nei risultati, delle brigate Izzedin al Qassam (il braccio militare di Hamas) e delle brigate al Quds (legate al Jihad islamico) poco oltre il confine che aveva ristretto Gaza, nel 1948, in uno spazio inferiore ai 400 chilometri quadrati. E poi proseguita, la guerra su Gaza, con il bombardamento sistematico più imponente dai tempi della seconda guerra mondiale: decine di migliaia di tonnellate di esplosivo gettate dalle forze armate israeliane su quei meno di quattrocento chilometri quadrati per oltre un anno, costantemente. Per quindici mesi, per la precisione. Su una terra in cui erano costretti, sotto embargo, blindati, oltre due milioni di esseri umani. Palestinesi.
Le immagini delle distruzioni ci sono sempre state, sui social, grazie ai giornalisti palestinesi di Gaza. Una gran parte di loro, 205, ha sacrificato anche la vita per documentare ciò che sta avvenendo dentro il luogo più blindato del mondo. Ora, nella tregua più fragile del mondo, i droni – non i droni militari israeliani, ma i droni dei giornalisti palestinesi di Gaza – mostrano l’indescrivibile. La cancellazione di Jabalia, Beit Lahia, Beit Hanoun, dell’intero nord di Gaza, e di Rafah e di Khan Younis, e di quartieri interi di Gaza City, in un elenco infinito di azzeramento urbanistico, naturale, della memoria.
Potrei raccontarli, questi quindici mesi, dalla distanza in cui siamo tutti confinati. Come fossimo ancora durante il covid. Tutti dentro, mentre in un altro confino, dentro Gaza, si realizza quello che per molti – ora un elenco lunghissimo in cui anche io ho deciso di collocarmi – è un genocidio.
Vorrei, invece, dare a Gaza ciò che le è stato negato, da decenni. La sua storia. Una storia lunga, lunghissima. Sorprendentemente per molti, una delle più lunghe del Mediterraneo. Gaza è la città che da almeno 3500 anni porta lo stesso nome. Da sempre. Come gli alberi, le città fondano le loro radici. E quando vengono spostate – anche in questo caso dagli esseri umani – perdono i riferimenti, i punti cardinali, le prospettive. Gaza è sempre stata lì, ed è la stessa permanenza del nome a confermarlo.
La prima iscrizione con il nome di Gaza – dicono gli studiosi dell’Egitto antico – è addirittura di 1500 anni prima dell’era cristiana. Nuovo Regno, diciannovesima dinastia, in un tempio a Karnak, si parla di Gaza in una iscrizione dedicata al più grande faraone, Ramses II. Mai, o quasi, una città ha conservato il suo nome dalla sua creazione, oltre 3500 anni fa, sino a oggi.
Sembra incredibile, ne sono certa. Sembra così poco credibile che un luogo ignoto, dimenticato, invisibile com’era Gaza negli ultimi decenni, fino a 15 mesi fa, abbia così tanta storia, coperta oggi dalle macerie, dal cemento squarciato, frammentato dai bombardamenti.
È così, invece.
Anche allora, Gaza era al centro degli appetiti di chi dominava la regione. Basta aprire una mappa, di quelle antiche e di quelle di oggi, per comprenderne i motivi, almeno quelli cosiddetti politici e strategici. Di lì si doveva passare, sulla costa che per gli egizi era la via di Horus e poi, col tempo, divenne la Via Maris, la via costiera che dal Sinai passava – via Rafah, appunto – per Ashkelon e poi su a nord fino a Tiro. Il Mediterraneo orientale, tutto il Levante cominciava, sulla costa, da Gaza, e arrivava sino a Tiro e poi ancora più a nord. Fateci caso, sono tutti toponimi antichi, rimasti incistati nella terra sino alla storia contemporanea, sino alla cronaca di questi terribili, maledetti quindici mesi.
“Non sono palestinese né voglio sostituirmi a uno sguardo palestinese. Conservo il mio sguardo altro, mediterraneo, che è forse la definizione che più mi assomiglia, e in cui più mi riconosco”.
Dall’Egitto, le truppe agli ordini del sesto faraone della diciottesima dinastia, Tutmosis III, dovevano passare da Gaza per arrivare alla terra di Canaan. E quella terra, quella sabbia, quelle dune che dividevano la città di Gaza dal mar Mediterraneo, hanno visto nel tempo lungo della storia truppe di ogni tipo, eserciti sempre ben equipaggiati, sempre più equipaggiati, armati, sino ad arrivare agli ottomani e ai britannici che si son giocati anche a Gaza le sorti della prima guerra mondiale, in quello che – con definizione così coloniale e anacronistica – continuiamo a definire Medio Oriente. Medio rispetto a cosa? Rispetto all’impero britannico. Rispetto a Londra. A oriente medio di Londra. A oriente estremo rispetto a Londra.
Prima del 1948, e della reclusione di Gaza in una Striscia, in un nastro di 40 km da nord a sud, e di una manciata di km (dai 6 a un massimo di 13) da est a ovest, Gaza era stata dunque la terra delle tante battaglie. Così viene ancora definita. Eppure, nonostante questa sia la realtà, e cioè Gaza terra di passaggio per gli zoccoli delle cavallerie della lunga Storia, c’è qualcosa che manca e che non rende giustizia alla stessa complessità della storia. Rinchiudere – ancora una volta re-cludere – Gaza in un topos come la guerra, il bellicismo, il destino infame di una terra di conquista, dolore, e clangore di armi, non rende cioè giustizia alla Storia vera, quella inclusiva. La storia globale in tutti i sensi, la storia in cui umano e nonumano disegnano la loro relazione sulla terra.
C’è, ora più di ieri, il dovere di dare dignità e complessità al tempo lungo della Storia, e a tutti i suoi protagonisti. Non solo gli umani. Dare spessore e profondità, processo, cambiamento.
Edward Said, mai troppo nominato, mai troppo letto e studiato, lo spiegò in modo illuminante, in una intervista-documentario del 1998, diretta da Sut Jhally, a sua volta studioso di comunicazione, ora professore emerito all’università del Massachusetts – Amherst. Nato esattamente 90 anni fa a Gerusalemme, in perenne esilio tanto da dire che il posto dove si sentiva a casa era in volo su un aereo (il suo bellissimo Reflections on Exile ha Dante Alighieri sulla copertina), grande docente di letterature comparate all’università di Columbia (non è un caso che Columbia stata stata, nel 2024 e lo sarà anche ora, il centro delle manifestazioni contro il genocidio a Gaza), intellettuale tra i più coerenti e profondi, oppositore strenuo degli accordi di Oslo che considerava “la resa dei palestinesi” (e come dargli torto, oggi): questo era Edward Said, oltre a essere il padre della definizione di “orientalismo”, il nostro peccato originale. Ed è giusto ricordare Edward Said come un poliedro, come l’apeirogon, il poliedro a n-facce di cui scrive Colum McCann in uno dei più bei libri usciti sulla questione israeliano-palestinese.
Edward Said, dunque, parlava nella lunga intervista del 1998 di una “immagine senza tempo dell’Oriente”. “Come se – diceva – l’Oriente, a differenza dell’Occidente, non si fosse sviluppato, fosse rimasto sempre uguale”. Un oriente eterno, permanente, insomma, anche nei suoi topos. Come Gaza, appunto, terra di conquista, violenza, dolore, sangue, crudeltà. Ed è proprio questo, per Said, uno dei problemi dell’orientalismo: l’orientalismo “crea un’immagine al di fuori della storia, di qualcosa di tranquillo, immobile ed eterno, che è banalmente contraddetta dai fatti della storia. In un certo senso è una creazione, si potrebbe dire, di un Altro ideale per l’Europa”.
Un Altro, distante da noi, ideale per l’Europa proprio perché è costretto dentro una gabbia dell’immaginario, dentro una costruzione, culturale e politica. Come Gaza è stata costretta, dentro il topos della guerra, della violenza, e dentro una Striscia di 365 chilometri quadrati. Eppure Gaza, nella geografia culturale, economica, sociale dell’intera regione, è sempre stata – nel corso dei millenni – una delle città, dei centri più importanti. Nodali. Il crocevia dei percorsi commerciali, dei cammini, dei passaggi. L’esatto contrario del luogo recluso, blindato di cui è divenuta simbolo dal 1948 a oggi, da quando Gaza è stata rinchiusa nella Striscia. Prima della Striscia, prima del 1948, la regione di Gaza non era solo più grande ed estesa, ma incarnava una vivacità, un’apertura, una rilevanza culturale unica. Era il porto e la terra agricola alle spalle, un po’ com’era Jaffa, il porto da cui, nel 1948, i palestinesi dovettero scappare cacciati dall’embrione dell’esercito israeliano e dirigersi, in molti, proprio verso il porto di Gaza. Porto e terra, commercio e campi. A Gaza, poi, c’era acqua (difficile a crederlo, oggi), e grande produzione agricola, da sempre. C’erano i sicomori, e le palme. E gli ulivi, e le arance.
Gaza è nel meraviglioso tappeto di mosaico che riempie la chiesa bizantina di Santo Stefano, a Umm al Rasas, in Giordania, su un altro asse economico, commerciale, di relazioni nella regione. Terra di passaggi, terra di vie. Gaza è assieme a Gerusalemme e Cesarea, a Nablus e a Sebastia, tra le sette città palestinesi più importanti, assieme ai centri più a oriente, da Philadelphia a Madaba, in una mappa urbana imprescindibile per l’epoca. Gaza, nel mosaico meraviglioso, affascinante di Umm al Rasas, scoperto e curato da padre Michele Piccirillo, è raccontata attraverso i suoi edifici pubblici, ricchi di peso culturale, teologico, artistico. Il teatro, l’agorà. Patria del monachesimo dei primi secoli, di teologi (Procopio, la Scuola di Gaza) che hanno segnato la storia del cristianesimo tout court, e anche di quello orientale, Gaza è il passaggio, la cerniera, il crocevia. Non solo la terra da conquistare, o su cui passare in armi, calpestando la vita con gli zoccoli delle cavallerie.
Persino il cantore dell’anima palestinese, un poeta gigantesco come Mahmoud Darwish, mantiene – se si guarda con occhio superficiale – Gaza all’interno della fortezza, in attesa dell’ennesimo attacco, dell’ennesima guerra. Gaza “città del dolore e del valore”, scrive in uno dei suoi ultimi testi, “In presenza dell’assenza”, contenuto nella Trilogia palestinese pubblicata da Feltrinelli (traduzione di Elisabetta Bartuli). Testo complesso, una vera e propria autoelegia scritta nel 2006, due anni prima di morire. Morto ma mai dimenticato, Darwish racconta sé stesso, racconta di quando finalmente ha visto Gaza, “una fortezza circondata dal mare, dalle palme, dagli invasori, dai sicomori. Una fortezza che non s’arrende mai. Gaza è gloria orgogliosa del proprio nome, ininterrottamente aizzata dal silenzio del mondo davanti al proprio lungo assedio”.
Mahmoud Darwish ricorda il valore del nome, per Gaza, e inserisce, finalmente, dei protagonisti inattesi. O meglio, inattesi per il nostro sguardo, ma perfettamente all’interno della storia palestinese, una storia umana e nonumana assieme. Una storia, in questo senso, paradigmatica per una storia globale. Darwish inserisce le palme, e i sicomori. Le palme, il simbolo di Gaza, disegnate nell’intreccio di fili che compone il ricamo palestinese, tanto definito da essere esso stesso – il ricamo tradizionale, il tatreez – una vera e propria definizione geografica della terra palestinese. E inserisce i sicomori, altro nome antico, antichissimo, sacro perché persino i testi sacri ne riconoscono la presenza, il ruolo, il volume nel mondo.



Più di mille anni fa, per la precisione pochi anni prima dell’anno Mille, c’erano mille sicomori che segnavano, a destra e a sinistra, la strada che poco a nord di Rafah andava sempre verso settentrione, in direzione della città di Gaza. Mille fichi sicomori, enormi, i cui rami lunghi si toccavano. Ed erano talmente ampi, i sicomori, da segnare una strada lunga un paio di miglia.
Più di mille anni fa, come ci ricorda Muhallabi, ovvero Hasan ibn Ahmad al-Muhallabi, storico e viaggiatore, geografo arabo, esisteva una città che si chiamava Gaza. E un altro centro urbano, più piccolo, dal nome a noi, fino a 15 mesi fa, ancora più sconosciuto. Rafah.
I sicomori, che in arabo si chiamano jummaiz, non ci sono più sulla strada antica che da Rafah portava verso Gaza. Da molto tempo, da prima del 7 ottobre, da prima del 1948. I sicomori non ci sono più, e la loro assenza è parte integrante di una storia negata. Una storia in cui il pilastro sul quale costruire la narrazione lungo l’asse del tempo e quello dello spazio è la terra e le sue relazioni, il nonumano di cui l’umano è parte. Nella storia negata, i sicomori descrivono come pochi altri alberi – forse il carrubo, forse l’ulivo, forse, ma a un’altitudine maggiore di quella su cui era, è Gaza, il leccio – la relazione tra la terra e l’umano. Rompono, soprattutto, una narrazione dominante, considerata ormai paradigmatica. Non tanto la narrazione “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, costitutiva del sionismo. Quella narrazione ha avuto una sua egemonia, ma poi si è consumata sulla questione israeliano-palestinese, quando è stato evidente a tutti che i popoli erano due, e sulla stessa terra. E che i due nazionalismi non avrebbero fornito alcuna soluzione in dignità e rispetto ai due popoli, palestinese e israeliano.
Quella narrazione, la narrazione di “una terra senza popolo per un popolo senza terra” ne sottende invece un’altra, messa sempre da canto. Questa, sì, una storia negata. È la storia della terra, considerata a seconda dei tempi e delle circostanze il palcoscenico dei nazionalismi, la cartina su cui disegnare confini (vere e proprie ferite, coltellate inferte al suolo), la mappa catastale delle proprietà.
Negata, invece, è la storia della terra e delle sue relazioni. È qui, all’interno di questa storia, che gli umani agiscono in maniera diversa, nella relazione – appunto – con il nonumano. La questione israeliano-palestinese diventa, qui, la cartina di tornasole dei comportamenti, tutti incentrati su una differenza fondamentale. Appartenenza o possesso? Relazione o dominio? Dopo un quarto di secolo di vita trascorso a est e a sud del Mediterraneo, per me la differenza è chiara. I palestinesi dicono di appartenere, di essere parte. Gli israeliani declinano il loro rapporto con la terra come un rapporto di possesso, di proprietà. Omettendo cos’era quella terra, in cui a fiorire da secoli e secoli, prima della concettualizzazione e realizzazione del sionismo, erano nespoli e albicocchi, ulivi e sicomori, carrubi e lecci, e viti, mandorli, noci, e poi orzo e grano, e lenticchie e ceci. E gelsi, certo. Gelsi. Terra già fiorita, non deserto da far fiorire. Annullare questa storia lunga, di alberi e radici, significa possedere la terra e trasformarla perché diventi altro.
È qui, a mio parere, che si impantana anche la soluzione politica della questione israeliano-palestinese che considera la terra marginale, mero palcoscenico oppure, come si è visto a Gaza, su Gaza in questi 15 mesi, una lavagna su cui passare un cancellino per poter poi ridisegnare oggetti, case, villette, colonie, città, forse qualche albero come in un rendering.
I sicomori raccontano proprio la differenza tra appartenenza e possesso. I sicomori, per me il simbolo dell’albero-piazza, sono alberi comuni, pubblici, senza proprietari. Sono piazze, luoghi di raduno, di decisioni, di conversazioni. Sono alberi-ristoro, alberi-rifugio, alberi-ombrello contro il caldo, e alberi-dispensa per chi ha fame. I fichi dei sicomori, frutti che riempiono i rami spessi come tronchi durante tutto l’anno, sono frutti per tutti, ma solo se si mangiano sotto l’albero. Non si raccolgono, non si portano a casa, non si vendono al mercato, non diventano prodotti, commodity. Sono alberi per i viandanti, alberi anche per la preghiera, per la supplica, alberi su cui s’appendono pezzi di tela come ex voto o come fioretti. Sono gli alberi sacri accanto ai luoghi sacri costruiti dagli umani, oppure spesso sono gli edifici sacri a essere costruiti accanto a un sicomoro, che spesso – nella geografia palestinese – si trovava all’ingresso di un paese, di un villaggio.
È in parte così per gli ulivi, per i palestinesi: alberi che precedono gli esseri umani e la loro esistenza individuale, alberi che hanno vita nonumana così lunga da definire genealogie, generazioni, epoche storiche, vite di comunità. In questo contesto, gli esseri umani, come sono i palestinesi, nativi e indigeni, sono elementi che appartengono. Non al paesaggio, ma alla terra e al suo farsi e modificarsi. Gli esseri umani ne sono parte, parte del sistema, se si vuole dell’eco-sistema. La differenza tra appartenenza e proprietà è così profondamente politica da segnare la politica, o l’assenza della politica, di questi quasi 80 anni.
Appartenenza o possesso. La differenza la descrive Sarah Ali, scrittrice, studiosa di letteratura inglese, palestinese di Gaza, ora a Cambridge per il suo phd – appunto – in letteratura inglese, mentre la sua famiglia ha vissuto questi maledetti quindici mesi a Gaza. Alcuni anni fa, una decina di anni fa, tra una guerra e l’altra su Gaza, Sarah Ali ha partecipato a un’antologia di giovani scrittrici e scrittori palestinesi di Gaza, riuniti attorno a Refaat Alareer, poeta, studioso, docente universitario. Una figura iconica, per generazioni di studenti e poi studiosi. Refaat Alareer è stato ucciso nel dicembre del 2023 dalle forze armate israeliane, una delle centinaia di vittime tra docenti e studenti, all’interno di uno scolasticidio che ha completamente cancellato tutte le 11 università di Gaza.
Nel suo racconto Sarah Ali parla degli ulivi di suo padre.
“Che un soldato israeliano possa abbattere 189 alberi di ulivo sulla terra che egli sostiene essere parte della ‘Terra donata da Dio’ è una ‘cosa che non riuscirò mai a capire’. Non ha considerato la possibilità che Dio si possa arrabbiare? Non si è reso conto che quello che stava distruggendo era un albero? Se mai venisse inventato un bulldozer palestinese (lo so!) e mi fosse data la possibilità di trovarmi in un frutteto, ad esempio ad Haifa, non sradicherei mai un albero piantato da un israeliano. Nessun palestinese lo farebbe. Per i palestinesi l’albero è sacro, così come la terra che lo ospita”.
È un racconto costante, continuo, quello sull’appartenenza, ma solo se stimolato. “Non abbiamo bisogno di dirlo, di spiegarlo, è così”, mi hanno detto gli studenti del Master in cooperazione internazionale dell’università di Betlemme quando, qualche mese fa, ho incentrato una parte del mio corso sulla storia raccontata dagli alberi, e cioè su una storia globale di cui gli umani sono solo uno degli elementi. Di certo il più distruttivo e dominante. Ma uno solo degli elementi. L’idea di una storia raccontata dagli alberi, dalla terra, dal nonumano, è stata accolta – lì, a Betlemme – come una pratica normale, per nulla straniante. Anzi, come uno strumento per dare finalmente dignità a una storia biografica, familiare, comunitaria, perfino nazionale. Una storia di relazione continua, lungo gli assi del tempo e dello spazio.
Gli studenti dell’università di Betlemme mi hanno confermato che parlare di sicomori, alberi antichi che non suscitano più quasi memoria in ciascuno di noi, mentre è in corso quello che per molti – studiosi di genocidio, giuristi, associazioni di difesa dei diritti umani – è un genocidio, non è sviare l’attenzione dalla sofferenza indicibile verso qualcosa che è considerato appendice alla vita umana. Alla dimensione umana. E’ esattamente il contrario. Cercare di raccontare una storia lunga e inclusiva, globale non solo in senso geografico ma interspecie, è semmai il modo ormai necessario per riumanizzare ciò che è deumanizzato. Inserire l’umano in una dimensione globale, sistemica – come da sempre è – consente persino di riumanizzare quei pezzi della nostra storia e della nostra cronaca in cui disconosciamo l’umanità e la consideriamo una mera pedina sulla scacchiera del potere. La strada che gli umani hanno inserito tra i mille fichi sicomori, tra Rafah e la città portuale e commerciale di Gaza, testimonia di una storia sistemica e globale. Inserisce, per esempio, i palestinesi nel farsi di una terra ben oltre i miseri confini statuiti e imposti nel 1948. Traccia i percorsi, i raccordi tra terra e umani, tra regioni e mare, tra commerci e alberi. Allarga lo sguardo, e così facendo libera gli umani. Libera soprattutto Gaza da quei 365 chilometri quadrati in cui la storia recente ha rinchiuso una terra ampia, terra di passaggi e raccordi, e dà a oltre due milioni di palestinesi rinchiusi in una prigione a cielo aperto, completamente serrata, la dignità a cui hanno diritto.

6.12.24

Moshe Yaalon ex ministro israeliano ha detto che in Israele c'è un genocidio . Ci si inizia a rendere conto dei crimini che si stanno commettendo. Solo in Italia e in Usa qualcuno continua a dire che la parola "genocidio" sarebbe una bestemmia.

Le   risposte d'israele e  dei  suoi  seguaci   coerenti  e  banderuole   alle  critiche  ed  alle   accuse   per la  sua   condotta     dopo  il 7 ottobre    non  ha    , almeno  dovrebbe   avere ,  significato  d'antisemitismo  e  d'odio  verso  israele  in  quanto   un suo  stesso ex ministro della Difesa ha accusato Israele più  precisamente  il  governo  di «pulizia etnica»

leggo    su       https://www.ilpost.it  del  4\12\2024   che   

Moshe Yaalon ha detto che il governo di Benjamin Netanyahu sta «di fatto ripulendo i territori dagli arabi» In varie interviste nel fine settimana l’ex ministro della Difesa israeliano Moshe Yaalon ha accusato il governo di Benjamin Netanyahu di portare avanti una «pulizia etnica» nei confronti della popolazione palestinese.In una prima
intervista sabato Yaalon ha detto che ciò che stanno facendo il governo e l’esercito israeliano è «occupare, annettere e fare pulizia etnica», facendo espressamente riferimento alla zona settentrionale della Striscia. Ha anche sostenuto che Israele stia andando nella direzione di costruzione di insediamenti stabili a Gaza, come vorrebbero gli esponenti più radicali della maggioranza di governo, di estrema destra.
Quando poi l’intervistatore gli ha chiesto di chiarire se ritenesse che Israele fosse «sulla strada di compiere una pulizia etnica», Yaalon ha risposto:

Perché “sulla strada”? Cosa sta succedendo là? Beit Lahia [cittadina palestinese, ndr] non c’è più. Beit Hanoun non c’è più. Ora stanno operando a Jabalia. Stanno di fatto ripulendo il territorio dagli arabi.

Yaalon è stato prima capo dell’esercito, poi ministro della Difesa del governo di Netanyahu nel 2014, in un altro periodo di forte conflitto a Gaza. Le sue relazioni con l’attuale primo ministro si sono però interrotte nel 2016 e da allora è diventato molto critico nei confronti dei suoi governi In un’intervista successiva, domenica, Yaalon ha detto di temere che il governo stia esponendo i soldati israeliani al pericolo di azioni giudiziarie da parte della Corte penale internazionale (ICC), il principale tribunale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità: «Parlo a nome dei comandanti dell’esercito che stanno operando nel nord della Striscia. Mi hanno contattato per esprimermi preoccupazione per quello che sta avvenendo laggiù». Yaalon sostiene che l’esercito non sia responsabile di quanto sta succedendo, ma teme che gli ufficiali, seguendo le indicazioni del governo, «alla fine si ritrovino ad aver commesso crimini di guerra». Dieci giorni fa l’ICC ha emesso un mandato d’arresto contro Netanyahu, e contro l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, licenziato lo scorso mese da Netanyahu. La decisione dell’ICC è stata fortemente criticata da tutti i partiti politici israeliani e in generale le critiche degli esponenti politici al modo di condurre la guerra sono molto rare, cosa che rende quelle di Yaalon ancora più notevoli. Netanyahu e vari esponenti del governo hanno respinto le accuse di Yaalon, sostenendo che «colpiscono Israele e aiutano i suoi nemici».

17.11.24

l'attrice israeliana Noa Cohen, per interpretare Maria di Nazareth: furia dei pro-Pal contro il film “Mary” di DJ Caruso su netflix

 
Pochi giorni fa Netflix ha pubblicato il trailer (  io  prefrisco  chiamarlo  promo  ma  fa lo stesso ) del film “Mary”, un’epopea biblica di formazione che racconta la figura di Maria di Nazareth. La pellicola sarà disponibile sulla piattaforma a partire dal 6 dicembre, ma non mancano le polemiche  e  le proteste  di boicottaggio  . Il motivo? La decisione di affidare il ruolo della protagonista all’attrice  israeliana Noa Cohen, già conosciuta per “Silent Game” e “Infinity”.  Tale   Una scelta che ha scatenato violente proteste sui social da parte degli attivisti pro-Pal, che ora chiedono il boicottaggio del film diretto da DJ Caruso.

L’attrice chiamata a vestire i panni di Maria è finita nel mirino degli haters sia perché israeliana, sia perché ebrea. I social sono stati invasi da commenti antisionisti e antisemiti.  del tipo  :  “Una disgustosa ebrea ha ottenuto la parte”, “Gli ebrei hanno creato questo e gli attori sono ebrei. No grazie”. E ancora: “Metà del cast è israeliano, inutile dire che è meglio evitare il film come la peste”, "La protagonista doveva essere palestinese", "Netflix fa schifo".
Molti hanno puntato il dito sul  genocidio in corso a Gaza, invocando una rivolta.Oltre alla già citata Cohen nei panni di Maria, da quel  che  ho apreso in  rete  ,   il cast comprende molti altri attori israeliani come Ido Tako, Ori Pfeffer, Mili Avital, Keren Tzur, Hilla Vido. Nel cast anche il due volte premio Oscar Anthony Hopkins, che interpreta Re Erode. Il film è stato girato in Marocco e, complice la tematica religiosa così delicata, il regista ha confermato che la scrittura e la produzione di “Mary” sono state realizzate con “grande cura” per creare “una storia che sembrasse sia sacra che moderna”. Interpellato da Entertainment Weekly, DJ Caruso ha post l’accento “sull’importanza che Maria, così come la maggior parte del cast, venisse selezionata da Israele per garantire l’autenticità”.
Evidentemente   la  maggior  parte di noi  pro-Pal ha teorie diverse…  . 
Ora Cari  amici\che  pro palestina   capisco  il vostro  odio   verso  la  stato d'israele  e  quindi  verso   il sionismo  per  la  sua  arroganza  verso  i palestinesi   la  cui  origine etnica  è  la stessa  degli ebrei non sionisti Premetto che  no ha   ancora  visto  ne  il   trailler  \  promo  del film e  vedendo ora  per la  prima  volta  una  foto   d'esso   quindi  riporto   il   commento un po'  aprioristico  su  Msn.it  \  bing  di     Annamaria Franzese
basta non guardarlo, al consumatore è rimasto questo potere ... a giudicare dalla foto, le stoffe, la copertina del bimbo...  anche i costumi sono di qualità "verosimile" :) ... non merita, si presenta come polpettone/soap

e quindi      se  anche   se  fosse  un polpettone   e  c'è un attrice  israeliana   perchè si  deve impedire  a  gli altri  di guardarlo     come sembra  propongono  di farlo alcuni  di   voi  pro palestina ?
Ma qui ( chiedo   scusa   a  chi   dovesse aver già  letto il precedente post  
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2024/11/belluno-coppia-di-tel-aviv-rifiutata-da.html ) ripeto    che   non bisogna  mai confondere i popoli con i loro governanti e con gli errori degli Stati. Ciò vale per gli israeliani come per i palestinesi . Lo dico da critico del governo israeliano e  di , ovviamente  senza  generalizzare  ,  di   alcuni israeliani  i cosidetti coloni  . 

30.9.24

Cosa è il sionismo e perché essere critici? E poi quali sarebbero le idee di Segre e Crosetto da “odiare”?


A  volter  capita  , ed  è  questo uno dei casi   ,  che    un post  scritto  per    la  mia bacheca  di facebook   


  necessiti  di   un approfondimento .  Infatti  


Antonio Deiana
Cosa è il sionismo e perché essere critici?
E poi quali sarebbero le idee di Segre e Crosetto da “odiare”?
Proviamo  a    rispondere  

Il sionismo è un'ideologia politica il cui fine è l'affermazione del diritto alla autodeterminazione del popolo ebraico e il supporto a uno Stato ebraico in quella regione che, dal Tanakh e dalla Bibbia, è definita: "Terra di Israele".[Il sionismo emerse alla fine del XIX secolo nell'Europa centrale e orientale come effetto della Haskalah (illuminismo ebraico) e in reazione all'antisemitismo, inserendosi nel più vasto fenomeno del nazionalismo moderno.IL movimento tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo si sviluppò in varie forme, tra le quali il sionismo socialista, quello religioso, quello revisionista e quello di ispirazione liberale dei Sionisti Generali. Esso favorì a partire dalla fine del XIX secolo flussi migratori verso la Palestina, prima sotto l’impero ottomano e dopo la Prima guerra mondiale affidata all’amministrazione britannica dalla Società delle Nazioni, che rafforzarono la presenza ebraica nella regione e contribuirono a formare un Nuovo Yishuv. Il sostegno al sionismo crebbe in particolare nel secondo dopoguerra, successivamente all'Olocausto, e portò allo scadere del mandato britannico della Palestina, alla Dichiarazione d'indipendenza israeliana e alla nascita dello Stato di Israele nel 1948. I conflitti con il mondo arabo e l'esodo palestinese del 1948 provocarono il rafforzamento dell'antisionismo.


Parlo per me . lo contesto perchè lo reputo una ideologia politico \ religiosa utopistica la cui applicazione ha fallito sul nascere . Se proprio gli ebrei volevano , uno stato avrebbero dovuto farlo : 1) con chi già ci abitava , cioè ebrei non sionisti e estranei alla diaspora , arabi , inglesi . ., 2) in una terra deserta e disabitata emigrando li ., 3) se si voleva fare sulla divisione avvenuta nel 1948 non invadendo o tenendo dopo le guerre territori non suoi perchè secondo te quello che sta facendo israele che non permette neppure l'accesso agli aiuti umanitari non è genocidio ? o rifiutare d cessare l fuoco per poter liberare gli ostaggi ? la penso come lui

30.6.24

il delirante e vergnoso attacco choc di chef Rubio alla Segre dopo le sue dichiarazioni sull'inchiesta di fan page sui i giovandi di FdI .

 Estremo cortocircuito a sinistra sull'antisemitismo. A portarlo avanti è chef Rubio, che dai social nelle ultime ore porta avanti una guerra contro l'estrema sinistra ma, soprattutto, contro Liliana Segre. L'ex cuoco ha sferrato un attacco choc contro la
senatrice a vita dopo le sue parole in merito all'indagine svolta da Fanpage su Gioventù Nazionale, costola giovanile di Fratelli d'Italia. Giustamente  Liliana Segre aveva  dichiarato : << Credo che queste derive, chiamiamole derive, che sono venute fuori in quest'ultima settimana così in modo eclatante ci siano sempre state, nascoste, non esibite, ma che in parte ci siano sempre state e che con questo governo si approfitti di questo potere grande della destra, che del resto è stata votata non è che è rivoluzionaria, non ci si vegogni più di nulla>> Parole che, evidentemente, non sono piaciute all'ex cuoco televisivo in quanto  dette   da un ebrea  sionista  . <<  "Povera stellina, che pensa solo a sé, che tutela solo gli interessi del sionismo, che vuole la medaglia d'oro della sofferenza. Gli unici cacciati dalla loro terra, la Palestina occupata da 76 anni
dai coloni ebrei che supporti, sono i nativi semiti palestinesi. Vergognati", ha dichiarato Rubio.>>    Inevitabili le polemiche per queste parole di Rubio da parte degli utenti, che non ritengono opportuno l'atteggiamento dell'ex chef. "Fratello mio, ti posso chiedere perché vai ad insultare una scampata ad Auschwitz solo perché è ebrea? Non sarà mica colpa sua se Israele va a bombardare la Palestina no? Ti prego, da persona filopalestinese, non essere antisemita", ha scritto un utente. A cui  << L’antisemitismo non esiste se non nella mente dei sionisti che lo usano come scudo per continuare a delinquere. Ps sei discretamente analfabeta funzionale se ci leggi insulti>>, ha replicato lo chef, che rifiuta l'esistenza dell'antisemitismo. Ma non solo, perché lo stesso ha scagliato il suo attacco contro il Collettivo autonomo lavoratori portuali, un'associazione di estrema sinistra a cui dovrebbe rifarsi idealmente anche Rubio, che non riconosce però il ruolo del collettivo nel supporto alla Palestina. "La mafia sionista che vi cagate sotto di denunciare è fascismo La colonia ebraica d’insediamento sostenuta dalle comunità ebraiche e da Liliana Segre, è fascismo. Per espellere il fascismo dalle nostre vite non basta essere in piazza. Serve la Lotta quotidiana", ha dichiarato lo chef. Una posizione ancora più estrema rispetto a quella del Calp, che evidenzia però un cortocircuito netto e discordante tra le ideologie di sinistra.
Quindi   Spett Chef Rubio    qui  ha  vergognosamente   sconfinato varcato , andando  oltre     con questa  sua  imbelle    replica  ,  il  labile  confine   tra   antionisionismo  e  antisemitismo     di cui  ho parlato  in un post precedente  , in quanto pur essendo vero   che   molti \ e  lo  confondono  con l'antisionismo   e  l'usano   strumentalmente  per  zittire  coloro  che  criticano la  politica  israeliana  . Ma    l'antisemitismo esiste  eccome    ed  spesso  è mascherato  è  fuso   con l'antisionismo   come   in queste  sue  dichiarazioni   purtroppo  .

3.3.24

Nati e morti a Gaza durante la guerra: la tragica vita dei gemelli di 4 mesi Wissam e Naeem Sono stati uccisi in un raid israeliano su Rafah insieme al padre e undici parenti. Per restare incinta la madre 29enne si era sottoposta per dieci anni a cure per la fecondazione. Erano nati il 13 ottobre


chi mi segue o è fra i miei contatti conosce già il mio pensiero sul conflitto iraeliano-palestinese e storie come quel riportata sotto inieme alla lettura del libro ( un regalo d'amici )  dello storico israeliano ILan pappè    

Titolo originale:
The Biggest Prison on Earth. A History of the Occupied Territories Codice ISBN:9791259672483   Codice ISBN ePub:9791259673275 Data pubblicazione:
06-09-2022



da repubblica 03 MARZO 2024AGGIORNATO ALLE 17:58



I gemellini Wissam e Naeem Abu Anza, un bambino e una bambina, nati solo quattro mesi fa quando la guerra era già iniziata, sono morti la notte scorsa sotto le bombe vicino Rafah insieme a gran parte della loro famiglia.Lo riferisce il quotidiano internazionale arabo Asharq al Awsat

 raccontando il loro funerale testimoniato anche dalle immagini delle principali agenzie fotografiche internazionali presenti con i loro collaboratori nella Striscia che mostrano i due piccoli chiusi in sacchi neri, allineati a quelli di altri dodici parenti, prima di essere sepolti. Sono morti tutti - denuncia il media arabo - sotto un bombardamento israeliano che ha colpito una casa a Est della città, nel Sud della Striscia di Gaza.

"Il mio cuore se n'è andato", ha pianto Rania Abu Anza la mamma dei piccoli che nel raid ha perso anche il marito. La donna, racconta l’agenzia Reuters, si era sottoposta per 10 anni a tre cicli di fecondazione in vitro per rimanere incinta. I piccoli erano nati una settimana dopo l'inizio della guerra a Gaza. "Non abbiamo diritti", ha detto Rania. "Ho perso tutte le persone che mi erano più care. Non voglio vivere qui. Voglio andarmene da questo Paese. Sono stanca di questa guerra".

(afp)

Un attacco israeliano ha colpito sabato la casa della sua famiglia allargata nella città di Rafah, uccidendo i suoi figli, suo marito e altri 11 parenti e lasciandone altri nove dispersi sotto le macerie, secondo i sopravvissuti e i funzionari sanitari locali. Si era svegliata intorno alle 22.00 per allattare Naeim, il bambino, ed è tornata a dormire con lui in un braccio e Wissam, la bambina, nell'altro. Il marito dormiva accanto a loro. L'esplosione è avvenuta un'ora e mezza dopo. La casa è crollata.

"Ho urlato per i miei figli e per mio marito", ha detto Abu Anza, mentre singhiozzava e cullava al petto la coperta di un bambino. "Erano tutti morti. Il padre li ha portati via e mi ha lasciata indietro". Delle 14 persone uccise nella casa di Abu Anza, sei erano bambini e quattro donne, secondo il dottor Marwan al-Hams, direttore dell'ospedale dove sono stati portati i corpi.

Oltre al marito e ai figli, Rania ha perso anche una sorella, un nipote, una cugina incinta e altri parenti. Farouq Abu Anza, un parente, ha detto che nella casa alloggiavano circa 35 persone, alcune delle quali sfollate da altre zone. Ha detto che erano tutti civili, per lo più bambini, e che non c'erano militanti tra loro. Rania e suo marito Wissam, entrambi di 29 anni, hanno passato un decennio a cercare di rimanere incinta. Tre cicli di fecondazione in vitro erano falliti, ma dopo un terzo ciclo ha saputo di essere incinta all'inizio dell'anno scorso. I gemelli sono nati il 13 ottobre

20.10.23

[ Nè con Hamas nè com Israele ma ..... ]parte IIChe l’ odio verso gli ebrei non sia compensato dall’ odio verso i musulmani… e Tutte le fedi religiose diventano violente,quando escludono le altre…di Pierluigi Raccagni

pima di questo post dell'amico vorrei precisare per gli amici palestinesi e filo palestinesi la mia posizione  espressa nel post   : <<  nè  con israele nè  con hamas   ma per la pace   e  contro  la censura      come  quella  della  scrittrice  palestinese   Adania Shibli >> 

 il nemico non è l’israeliano o il palestinese, ma chi non vuole la pace e chi non vuole riconoscere i diritti di entrambi i popoli e dei palestinesi in primis .Temo che la manifestazione di Sassari possa in qualche modo giustificare l’inaccettabile violenza di Hamas, non condannandola esplicitamente. Come è assolutamente da condannare il crimine in atto contro i palestinesi di Gaza e contro i diritti dei palestinesi, violati da più di settant’anni. inoltre Sono assolutamente d'accordo. Anche se in questo momento di grande sofferenza per il popolo Palestinese verrebbe istintivamente voglia di schierarsi contro Israele, noi tutti sappiamo che è una strada che porta solo altra distruzione e dolore  . Dopo   questo   spiergone     vi  lascio   all'atricolo    a cui accenavo prima    dell'amico Pierluigi Raccagni un professore di storia e filosofia di liceo in pensione,  fondatore     insieme a Gianni Emilio Simonetti il mensile murale “Robin Hood – dalla Foresta di Sesto San Giovanni” (che si occupava di usi e costumi della sinistra rivoluzionaria). Corrispondente di testate della Svizzera italiana e tedesca. Alla fine degli anni ’80 ho partecipato ai comitati di base nella lotta per la scuola.Attualmente è volontario al carcere di San Vittore di Milano.  qui sul suo  interesantissimo  sito  La Storia sono Loro  il  suo   curriculum  

                                   Che l’ odio verso gli ebrei non sia compensato dall’ odio verso i                                                          musulmani…  

La strage all’ ospedale di Gaza City con centinaia di vittime,alla fine diventa il Male che Israele e Hamas invocavano: il primo per punire gli stragisti di sabato,i secondi per affermarsi in tutto il M.O come martiri della causa palestinese.



L” attentato di Bruxelles con due morti,rivendicato da un musulmano radicalizzato dell’ Isis, l’ attentato in Francia con l’ omicidio di un professore rivendicato da un giovane ceceno radicalizzato e poi gli arresti di Milano di due egiziani in odore di terrorismo seminano terrore anche in Europa.
Adesso stiamo entrando in quella fase che piace a fascisti e reazionari di casa nostra:vivere in un’ emergenza terrorismo giustificante il blocco dei migranti in genere, e poi far passare qualsiasi cosa a livello parlamentare.( Cfr il solito lego fascista Salvini)
Se la guerra santa di Hamas, iniziata sabato scorso ha già terrorizzato mezza Europa, l’ altra a est si contenta di contenere la guerra fra Russia e Ucraina.
Si torna al terrore di fonte islamica fondamentalista come ai tempi del Bataclan?
In questo modo l’Occidente europeo cerca di ritrovare una sua compattezza anti islamica, così come il governo sionista di Israele ( non la società civile),ferito a morte, ha ritrovato la sua unità,nella risposta ad Hamas.
Ma allora la caccia all’ ebreo deve trovare la compensazione nella caccia a tutti i musulmani?
È quello che sperano i dirigenti palesi o occulti della guerra santa.
Libano,ma soprattutto Iran,giocano la carta della sharia nazionalista strumentalizzando la questione palestinese.
L’ obiettivo è la corrotta società Occidentale,la difesa di questa da parte di Israele e Usa,viene considerata la riprova che gli infedeli hanno nelle loro mani il potere di vita e di morte su milioni di musulmani,non certo ricchi,ma soprattutto poveri.
Anche se nel Patto fondativo di Hamas nel 1987 c’era l’ avversione del movimento verso la rivoluzione francese e russa, gli ebrei sono descritti come strumento di Satana, le lobbies giudee avevano voluto anche la seconda guerra mondiale, come sosteneva il nazismo.
In queste ore a Gaza i bombardamenti a tappeto sulla popolazione civile che colpiscono la povera gente , hanno già causato secondo fonti istituzionali 1000 morti fra i bambini.
Le carneficine indiscriminate non colpiscono,sembra, le teste pensanti di Hamas che risiedono nel Qatar o nei quartieri residenziali dei vescovi sciiti di Teheran
La guerra degli ismi sta marchiando a fuoco le coscienze di chi sperava che la guerra in Ucraina fosse la madre di tutte le guerre.
Zelensky si arrende ,fine delle trasmissioni.
A Gaza, che ci sia una guerra per la Terra Santa nel nome di un Dio veterotestamentario, conferisce al tutto un quadro di tragedia indicibile.
Chi si schiera con i sionisti volendo massacrare i musulmani,compensa in questo orrore il massacro degli ebrei.
  
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                    Tutte le fedi religiose diventano violente,quando escludono le altre…

I manuali di storia in uso in licei e università convenzionano che dopo la Guerra dei Trent’anni,nel 1649 con la pace di Westfalia, cessò il periodo storico delle guerre di religione fra protestanti e cattolici in Europa nella modernità.
La carneficina che vide protagonisti luterani,calvinisti,anabattisti,cattolici dell’ Inquisizione definì i nuovi confini dell’ Europa e l’emigrazione forzata nel Nuovo mondo di una parte della variegata religione protestante.
In Medio Oriente,dove infiamma la guerra fra Israele e Hamas,Hezbollah libanesi,sciiti iraniani,la crisi di Gaza ha rinnovato non solo l’ Intifada,ma ha fornito il pretesto soprattutto ai gruppi della Jahad dì strumentalizzare il massacro israeliano di Gaza da parte di Israele in chiave religiosa radicale.
Chi continua a credere che Hamas sia un movimento che vuole solo la liberazione della Palestina commette un errore,perché applica categorie strettamente occidentali ad una vicenda di odio antico come quella dell’ ebreo palestinese chiamato Gesù di Nazareth.
Il sangue che scorre oggi rischia di diventare il solito fiume di rigetto dell’ illuminismo,del marxismo,del liberalismo che sono stati i punti fondanti del nostro modo di vivere per due secoli.
Che poi tutto ciò abbia voluto dire guerre mondiali,colonialismo,nazismo,fascismo etc non delegittima in senso assoluto l ‘Occidentalizzazione che il.mondo ha accettato come progresso delle libertà civili.
Il motivo religioso,confessionale,fondamentalista che riguarda l’ Islam radicale e il sionismo fascista,non riconosce nel suo estremismo le altre fedi.
(Il dialogo interreligioso di Papa Francesco ,a proposito ,non è un dettaglio qualunque).
Solo che Israele è uno stato laico,quello che l’ Olp voleva per la Palestina.
Lo stato laico e non teocratico in Occidente è stato anche l’ effetto della rivoluzione francese,russa,della rivoluzione scientifica che oggi avrà portato si alla globalizzazione dei consumi,alla materialità capitalistica del vivere,ma ha garantito l’ inverarsi di libertà che una volta non erano concesse.
La spiritualità,il rispetto della vita interiore,sono fonti di civiltà,( la filosofia), l’ estremismo religioso porta inevitabilmente al bagno di sangue.
Né capitalismo, né marxismo, ma soprattutto Allah,mi disse un ragazzo algerino accompagnandomi a visitare la casbah di Algeri cuore della lotta di liberazione dal colonialismo francese,prima della guerra civile degli anni novanta.
Il ragazzo,simpaticissimo,cordiale, aveva un desiderio nascosto: venire a Milano a fare shopping alla Rinascente.
Era il 1983.

15.10.23

nè con israele nè con hamas ma per la pace e contro la censura come quella della scrittrice palestinese Adania Shibli.


Prima  d'iniziare    il  post     vorrei dire    ,  come fa  lorenzo  tosa  ,   una volta per tutte ai “tifosi” della guerra, ai soldatini ed ai loro addetti stampa di casa nostra in camicia ed elmetto che trattano la guerra “come fosse una partita di calcio”. Ma soprattutto accusano chi prova ad essere obbiettivo antisionista o anti israeliano ,Dieci cose che SO e che molti di noi - credo - vorrebbero poter (ancora) pronunciare senza essere tacciati di partigianeria o, peggio, complicità unendo i due termini antiosnista con antisemita


1. Parlare dei diritti umani dei palestinesi sistematicamente violati non significa stare con Hamas o giustificarne le atrocità e gli attentati terroristici. È un diritto e un dovere per chiunque conservi un minimo di onestà intellettuale e un briciolo di umanità.
2. Chi tace sui crimini israeliani per "tifo"è complice. Chi nega i crimini di Hamas per "tifo " palestinese è complice e miope.
3. L’invasione russa in Ucraina non ha nulla a che vedere, né storicamente, né strategicamente, né politicamente, con la questione israelo-palestinese.
4. L’equazione Ucraina-Israele esiste solo nella testa di piccoli Luttwak ultra-atlantisti che decidono da che parte stare solo in base a dove è schierato l’Occidente, a prescindere da qualunque altra valutazione .Ma soprattutto significa non ammettere che anhe noi europei siamo responsabili delle cause e dell'evolversi di tale conflitto
5. Se proprio non resistete a fare un paragone, l’Ucraina, ovvero il popolo invaso e occupato da una potenza dieci, venti volte più forte militarmente, è quello palestinese, con la differenza che l’Occidente chiama (giustamente, ripeto, GIUSTAMENTE) quella ucraina resistenza e la sostiene in ogni forma, mentre i palestinesi vengono arbitrariamente associati a terroristi e tagliagole, senza alcuna distinzione.
6. L’equazione palestinesi-terroristi - e tutte le sue abominevoli conseguenze - è più o meno la stessa mentalità mostruosa con cui Hamas sequestra, ammazza e decapita innocenti civili israeliani in quanto tali.
7. Allo stesso modo, chi giustifica più o meno nascostamente gli abomini di Hamas in nome della “inevitabile” esasperazione dei palestinesi fa il più grosso favore possibile ad Hamas e il più grande torto ai palestinesi.
8. Parteggiare ciecamente per Israele o per la Palestina, questa è l'impressione che ho avuto ed ho tutt'ora ad alcuni incontri organizzati da noi della bottega del commercio equo e solidale sul problema israeliano palestinese i cui c'erano associazioni miste di arabi e israeliani , non ha alcun senso, perché non esisterà mai la pace in Israele finché un solo palestinese sarà oppresso e non esisterà mai la libertà in Palestina fino a quando un razzo cadrà su Israele.
9. I più grandi nemici della pace sono quelli che hanno tutto l’interesse a continuare la guerra: Hamas e Netanyahu. Due facce sporche della stessa medaglia.
10. “Voi in Occidente siete abituati a pensare che qui la situazione sia come in un film western in bianco e nero in cui i buoni lottano con i cattivi, a seconda delle simpatie. Qui la situazione è più complessa perché il male si allea col male e i buoni non si parlano” (Amos Oz).



Leggendo la storia    delle origini  del conflitto israelo- palestinese  o  arabo israeliano     e poi    quanto ha  dichiarato   Tom Friedman editorialista principe del New York Times, più volte Premio Pulitzer, si 

occupa  di tale  conflitto   ,   secolare  se  si  comprende   il periodo  precedente  al  1947\8  ,   da quasi cinquant’anni ,  dentro di   me vedo che anche l'autorità nazionale palestinese è sulla posizione della lotta fino alla vittoria. Le rivoluzioni non possono fermarsi a metà strada perché allora il sangue versato sarebbe davvero stato versato invano. Il mio cuore è spezzato ma ho la certezza che la questione palestinese non sarà risolta   da altri attori se non i palestinesi insieme al mondo arabo. Io sto con la Palestina e con quelli che agiscono per liberarla ma  allo stesso tempo non riesco   a   schierarmi    tra e due parti in lotta    ed  a fare una  Distinzione e proporzione   come  suggerito  dall'osservatore  romano   





<<  Ma l’Autorità Palestinese è un fantasma. «Non a questa ovviamente, corrotta e guidata da un signore ultraottantenne che non ha vinto un’elezione in venti anni, ma a un’Autorità Palestinese riformata. È il solo piano di lungo termine che abbia una chance di funzionare. Abbiamo bisogno dei migliori israeliani al governo di Israele e dei migliori palestinesi al governo della loro area, purtroppo abbiamo sperimentato i peggiori di tutti e due».>>

 Ora  molti mi  dicono   che   che  israele non ha  alternative      se  non  quella  d'attaccare  . Non sono un esperto  di politica  internazionale  ma  la  soluzione  esiste  si tratta  solo di metterla  in atto   e   doi  volerlo  .  Israele  e i loro seguaci  dovrebbe ro  smettere    d'idetificare  tutto il popolo  palestinese  con hamas  , smetterla  con le prepotenze  verso gli arabi  ed  i palestinesi   e  colabrare   con  loro  a  sradicare  hamas  ,   smettere  di farsi condizionare    dai  fanatici    ed  reazionari     e prendere  esempio  da persone come rabin o altri  , ed  tenere   fede  agli  accordi  firmati ed  alle  varie  risoluzioni dell'Onu .  E  poi e  qui non lo biasimo con  lui  che  sempre     DAL  CORRIERE  DELLA  SERA    DEL  15\\10\2023    TRAMITE  MNS.IT (   qui  l'articolo  in questione     ) <<  un’altra è quale sarà la struttura di potere che la sostituisce: c’è una sola cosa peggiore di Hamas che controlla Gaza ed è che nessuno controlli Gaza o che Israele controlli Gaza. C’è chi propone che a farlo siano i sauditi, gli Emirati, una forza di pace araba. Ma in quale pianeta vivono? Pensiamo veramente che Israele affiderebbe Gaza a una forza saudita o inter araba?>>

Alcuni dicono   che la soluzione due Stati due popoli, prevista  prima  dalla   divisione   del  1946   e poi  dagli accordi di Oslo, è finita   .
Allora   Qualcuno pro palestinesi  e  pro israeliani  o    per la  pace  fra i  due  popoli     mi indichi una soluzione migliore, io non ne ho ancora vista una. Se questi popoli non possono vivere , nonostante      ci  siano   sia  da  parte di organzzazioni israeliane      e    palestinesi  a  dialogare    ad  coesistere      in pace  ,uno accanto all’altro in due Stati, come si può pensare che possano farlo in uno solo ? .Soprattutto   : l'onu ,  gli  usa   con i  suoi alleati noi  compresi   fare pressioni   e  cercare    di mediare   con i paesi arabi  perchè  collaborino   alla pace  fra israeliani ed  palestinesi     ed  evitino   di fare  una politica   d'odio  come hanno  fatto   fin ora   nel  conflitto  Israeliano  - palestinese  .  Adania Shibli. Tra pochi giorni avrebbe dovuto ricevere un importante premio alla Fiera del Libro di Francoforte, ma la cerimonia di premiazione è stata prima cancellata e poi rinviata perché, per gli organizzatori, Shibli ha una colpa inemendabile: è palestinese.

   da 

Questa donna e scrittrice si chiama Adania Shibli. Tra pochi giorni avrebbe dovuto ricevere un importante premio alla Fiera del Libro di Francoforte, ma la cerimonia di premiazione è stata prima cancellata e poi rinviata perché, per gli organizzatori, Shibli ha una colpa inemendabile: è palestinese.Non so se ci rendiamo conto del livello di ipocrisia e fanatismo a cui siamo arrivati.Il suo romanzo, “Un dettaglio minore”, è pubblicato anche in Italia e racconta di una giovane donna palestinese rapita e ammazzata dai soldati israeliani nel 1949.Non solo si cancella la letteratura e le sue voci - già di per sé gravissimo - ma con questo gesto si cancella anche la Storia, perché di questo si tratta.Una buona notizia almeno c’è.Miglior regalo a Shibli non glielo potevano fare perché, cancellandola, l’hanno resa infinitamente più popolare di quanto lo sia mai stata e - c’è da augurarsi almeno questo - molto, ma molto più letta.

 

iniziativa di sensibilizzazione contro il revenge porn del gruppo www. seicomplice.org

Nei giorni scorsi    Roma , o almeno i posti più noti , sono stati tappezzati di volantini come Ma poi si scopre che ...