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27.11.25

Giulio de plano «I miei 100 anni? Un lungo, splendido giro di giostra» I suoi intrattenimenti viaggianti nelle sagre di mezza Sardegna



unione sarda 27\11\2025
 




Cent’anni compiuti da poco, metà dei quali passati a fare volteggiare la sua giostra a catene nelle piazze delle feste paesane del sud dell’Isola, con una roulotte itinerante per casa. Giulio Deplano, natali di Oristano, vive a Serramanna da mezzo secolo e, per dirla con il simbolo della particolare attrazione da luna park popolarmente nota anche come “calcinculo”, ha staccato il nastro del secolo di vita. La festa nel suo paese adottivo, che gli è valsa l’omaggio del sindaco Gabriele Littera e della presidente dell’associazione “Anni D’Argento” Maria Grazia Cossu, è stata l’occasione per tornare con la memoria ai lunghi anni di giostraio girovago, durante i quali ha azionato chissà quante volte la leva del reostato elettrico che dava forza centrifuga alla giostra facendo librare in aria i seggiolini.
Con i nonni
«Ho seguito fin da molto piccolo i miei nonni negli spostamenti con il luna park, le nostre giostre», ricorda chiacchierando nella sala da pranzo della casa di una nipote con la quale vive. Sua madre, prosegue, di cognome faceva Duville, storica famiglia che nei primi del ‘900, dalla Francia, portò in Sardegna le attrazioni e gli spettacoli viaggianti cui era dedita: da lì la vocazione di Giulio per quella che, più che una professione, è stata – dice il centenario – «un’avventura».
In proprio
«Quando sono cresciuto – riprende – mi sono messo in proprio, portando in giro la giostra nelle feste della provincia». Il mestiere gli ha regalato le chiavi della felicità dei ragazzini, affascinati dall’ebbrezza della spinta con i piedi al seggiolino che proiettava nell’aria lo spericolato: una volta lanciati, ci si doveva allungare all’inverosimile per riuscire a staccare il nastrino appeso. Quel nastro valeva un biglietto per il giro successivo. Ma bisognava tenerlo saldamente: «Se il nastro, dopo essere stato afferrato, cadeva a terra – precisa tziu Giulio – il premio era vanificato».
Divertimento o famiglia?
«Prego, prendere posto: si gira». La frase di rito riecheggia nelle parole, e soprattutto nei pensieri del giostraio centenario, che per decenni ha detenuto la leva per la gioia di ragazzi e adulti.
«Nei paesi, a parte il cinema, c’era poco», ricorda: «I luna park, durante le feste, erano una grande attrazione, un grande divertimento».
Un divertimento che ha privato Giulio Deplano della gioia di una famiglia propria: «Le donne – sospira – non mi volevano: le spaventava la vita da girovago che facevo, e rifiutavano la mia domanda».
Tutti a caccia del nastro
Una semplice giostra a catene, un pugnometro e poco altro: bastava questo perché le feste paesane si colorassero di magia. Santa Maria a Serramanna, Santa Greca a Decimomannu, Santa Vida a Serrenti e Villasor, San Lussorio a Nuraminis: ecco il suggestivo elenco delle festività, salomonicamente ripartite fra le diverse ramificazioni dei Duville. «Mia nonna – ricorda il centenario – è stata la prima in Sardegna ad avere la classica giostrina coi cavallini disposti su un palco girevole: arrivava dalla Francia e, dato che qui non c’era ancora l’elettricità, girava grazie al traino di un asino, rigorosamente bianco».
Da quel gioco d’altri secoli ai classici intramontabili dei parchi più moderni, come gli autoscontro e i dischi volanti: col tempo i luna-park dei Duville si sono arricchiti di attrazioni sempre più sofisticate e tecnologiche. Giulio invece è rimasto sempre fedele alla semplice, ed economica, giostra a catene. «Prego, prendere posto: si gira», ripete oggi il giostraio, che al prezzo di 100 lire a biglietto regalava a piccoli e grandi tre o quattro minuti di volo («Quando c’era molta gente, però, facevo durare il giro un po’ di meno», confessa). Tutti sulla sua giostra a catene, cercando di afferrare e tenere stretto il nastro rosso che dava diritto al giro gratis.

24.11.25

Il Supramonte visto dai “Cuiles”, l’ultimo avamposto dei pastori di Luciano Piras


la  nuova  sardegna   22 novembre 2025 21:46





Da Dorgali a Baunei, da Oliena a Orgosolo e Urzulei: un libro di Leo Fancello censisce 263 ovili e raccoglie le testimonianze dei protagonisti


Dorgali «La domenica, le famiglie dei pastori si riunivano in un pinnettu per giocare a tombola o a carte, seduti sopra dei sacchi riempiti d’erba». Così raccontava tzia Michela Mandoi, dorgalese classe 1932, scomparsa pochi mesi fa. Raccontava, lucida e felice, di quei pochi momenti di svago, di quell’unico giorno settimanale consacrato al riposo, anche se poi si lavorava comunque, perché negli ovili, in fondo, c’è sempre qualcosa da fare, persino di domenica. «Nel cuile – aggiunge tziu Nanneddu Fronteddu Berritta, pure lui di Dorgali, dov’è nato del 1933 – producevamo formaggi e salumi che vendevamo in paese a negozianti ed albergatori. I maiali venivano comprati da pastori di Desulo. Generalmente, secondo l’abbondanza di pascolo, le capre producevano tra i 50 e i 70 litri di latte al giorno, dai quali ricavavamo tre, quattro formaggi».
Bastano queste poche pennellate, questi pochi passaggi rubati al nuovo libro di Leo Fancello, “Cuiles. Storie e tradizioni del Supramonte”, appena pubblicato dalla Edes di Sassari, per immergersi in un mondo che ormai sta scomparendo, vinto dai tempi, dimenticato dai social eppure ancora benedetto da madre natura, regina indiscussa nelle cime più impervie di Baunei, Dorgali, Oliena, Orgosolo e Urzulei.




Il regno dei cuiles: «Le antiche dimore di chi in quei monti ha duramente lavorato per lunghi anni, allevando capre e maiali» spiega Fancello. Professione geometra, speleologo, guida ambientale e turistica, profondo conoscitore di ogni sentiero e anfratto del Supramonte. È qui, in questi labirinti carsici che dalle zone interne guardano al Mar Tirreno, che Leo Fancello ha censito ben 263 insediamenti umani, dove «svettano le superbe capanne di abitazione, i pinnettos, che ricordano da vicino le capanne nuragiche» spiega l’autore di questo libro frutto di oltre trent’anni di escursioni, incontri, interviste, rilievi, studi, fotografie. Oggi sono soltanto due, forse tre le famiglie che ancora vivono e lavorano nei cuiles: a Buchi Arta, ai confini tra il cielo e il mare, tra i ginepri di una pietraia che si affaccia su Cala Luna e una falesia che squarcia l’orizzonte infinito.
Di ogni cuile individuato, Fancello presenta una scheda tecnica, ne descrive le condizioni attuali, misura la quota altimetrica, segnala la presenza o meno di recinti per animali o di siti archeologici. Fancello va oltre: accanto alle tecniche di costruzione e alle caratteristiche architettoniche, differenti da paese a paese, da zona a zona, raccoglie le testimonianze dirette, i racconti in prima persona dei protagonisti e delle protagoniste che hanno vissuto i cuiles di un tempo: pastori, caprari soprattutto. Storia e storie dei Supramontes. «Ciascuna secondo la propria singolare identità ma nel quadro antropologico della comunitaria cultura pastorale» evidenzia Bachisio Bandinu nella presentazione del saggio, una guida sicura nell’ambiente naturale di questa porzione di Sardegna, un viaggio nel passato che porta dritto dritto al futuro, dalla conformazione geologica all’etnografia, dalla preistoria alla tecnologia, dai metodi di allevamento alla tradizione orale. Persino alla poesia. Leo Fancello ci aggiunge anche la narrazione: uno stile tutto suo, che intreccia parole e immagini, suggerimenti e constatazioni, dati analitici e generali, documenti, sogni, speranze e cruda realtà.




Perché se oggi i cuiles sono tappe di un percorso alla scoperta delle meraviglie del Supramonte, non bisogna mai dimenticare che quelle stesse capanne sono state croce e delizia di generazioni di uomini e donne che hanno dovuto lavorare sodo per tenere in piedi la famiglia. Un mondo raso al suolo, letteralmente, dall’arrivo della petrolchimica, devastante per le campagne del Nuorese. Molto più del banditismo, la piaga tanto temuto allora, quando era facile negli ovili fare a tu per tu con chi era alla macchia. L’ospitalità era sacra, non poteva essere negata a nessuno, come in mare aperto non può essere negata una ciambella galleggiante a chi rischia di affogare. «Questo libro non rappresenta solo il ricordo di un tempo passato che non si ripeterà mai più – chiude Angelo Capula nella postfazione del volume –. Non è soltanto il racconto di vite vissute ma è un messaggio per l’attuale generazione e quelle future. In questa prospettiva il Supramonte, con i suoi cuiles carichi di storia e storie millenarie, è un bene unico, di inestimabile valore, un’importante opportunità e anche una sfida che gli amministratori pubblici devono saper affrontare». «È stata una corsa contro il tempo e, probabilmente – saluta Leo Fancello –, siamo arrivati un po’ tardi. Sono rimasti pochi uomini e donne in grado di raccontare quel mondo, e molti cuiles, fra non molti anni, saranno ridotti ad informi cumuli di macerie». La speranza ultima è che questo patrimonio non vada mai perso.
Il glossario Dalla A di “ae”, che in italiano significa “aquila reale”, e di “ae trina” che sta per “aquila del Bonelli”, alla Z di “zumpeddu”, “sgabello basso, di sughero, legno o ferula”. Leo Fancello ha pensato bene di inserire nel suo libro “Cuiles. Storie e tradizioni del Supramonte” anche un piccolo “Glossario” che raccoglie i vocaboli sardi dorgalesi che ruotano attorno al mondo degli ovili. Poche pagine utilissime per i lettori che si avvicinano per la prima volta a questo spaccato di Sardegna. Intanto, una precisazione: “cuile”, singolare di “cuiles”, viene detto anche “coile”, “coiles”. Indica l’ovile, l’insediamento pastorale. “Cuile ‘e monte” è l’ovile di montagna. “Cuile ‘e settile” è l’ovile d’altipiano. “Cuile d’eranu” è l’ovile utilizzato dalla primavera all’autunno. “Cuile pesau” dae terra è la capanna con le travi che partono dal suolo. “Cuile a muridina” è la capanna con le travi che poggiano sul muro perimetrale. Poi ci sono i “culuminzos de cuile”: le travi principali della capanna di abitazione. Il riparo per i capretti prende il nome di “edile” mentre la capra che ha un’età compresa tra i tre mesi e un anno si chiama “gargazza”. “Su camu” è il morso di legno per svezzare i capretti. E via discorrendo, passando per “mandra” o “corte”, il recinto per gli animali, per “secotiana”, capra che figlia da febbraio in poi, fino a “taschedda”, piccolo zaino di pelle, e “teracu ‘e pè”, servo pastore con gregge proprio. Scorrere l’ordine alfabetico del glossario è un modo per ricapitolare quanto svelato da questo “Cuiles”, nuovissima fatica letteraria di Leo Fancello, già autore di altre pubblicazioni sul tema andate esaurite da tempo. Sua la guida pratica ai sentieri dei Supramontes “Trekking dei cuiles”, ormai introvabile.

17.5.25

Sassari chiude l'antica ferramenta Losa ( attiva dal 1870 ) ., porto torres Alberto Ruzzeddu, artigiano del vetro da 70 anni ora insegna l’antico mestiere al nipote di Gavino Masia

 non  ho  voglia  di traferirlo  in  testo normale   fonter  la  nuova  sardegna





L’allarme
Chiusura Ferramenta Losa, Confcommercio: «Serve un piano di rigenerazione urbana»
di Luca Fiori

Il presidente Alberto Fois punta il dito verso vendite online e centri commerciali: «però gli imprenditori non devono essere lasciati soli»
16 maggio 2025

Sassari Sulla chiusura della storica Ferramenta Losa di largo Cavallotti interviene il presidente della Confcommercio. «Purtroppo come rappresentante di Confcommercio e come cittadino queste notizie fanno male – commenta Alberto Fois – il segno tangibile dei tempi che viviamo in cui sia le vendite online che i grossi centri commerciali stanno decretando la fine di tante piccole attività. Noi come Confcommercio siamo fermamente convinti che un freno a questo declino si possa mettere solo con un piano attento di rigenerazione urbana – aggiunge Fois – che riporti le persone ad abitare e animare il centro della città e di conseguenza dia agli imprenditori il coraggio di aprire e tenere aperte attività, nei tanti locali commerciali in stato d’abbandono. Inoltre dobbiamo assolutamente puntare su “Sassari città turistica”- conclude Fois – perché è quello che ci affascina di più in quanto la città ha tutte le caratteristiche per crederci. Oggi i dati Istat ci dicono che un turista lascia mediamente 120 euro sul territorio che lo ospita».






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Alberto Ruzzeddu, artigiano del vetro da 70 anni ora insegna l’antico mestiere al nipote
di Gavino Masia


Il racconto del decano dei vetrai di Porto Torres: dalla bottega al quartiere con dedizione e passione
16 maggio 2025 



Porto Torres
Da oltre settant’anni Alberto Ruzzeddu porta avanti il mestiere del vetraio e lo fa con un processo di creazione e della ricerca della perfezione. Lavorando con la sua delicatezza quel materiale fragilissimo, che ha amato sin da giovanissimo e a cui ha dedicato tutta la sua vita.
Oggi, nella bottega di via Balai, il vetraio turritano, 85 anni, insegna l’antico mestiere al nipote. «Ho cominciato dall’età di 8 anni a frequentare la bottega del vetraio – “La Vetra, in via Carso a Sassari – racconta – poco lontano dal quartiere sassarese di Sant’Apollinare dove sono nato: il mio primo compito è stato quello di sistemare e ripulire il laboratorio di via Carso, poi pian piano ho imparato il mestiere e sono andato alla ricerca di un lavoro stabile fuori dall’isola. A 19 anni sono partito con destinazione Milano e con la valigia di cartone sono approdato a Porta Genova, in una grossa vetreria. In quel luogo la mia formazione è stata fondamentale, perché ho imparato il mestiere in tutto e per tutto».
Per dieci anni Alberto Ruzzeddu si è stabilito nella capitale della Madonnina, formando anche famiglia, poi la nostalgia di casa e degli affetti hanno affrettato il rientro in Sardegna. «Durante il ritorno a Porto Torres, a bordo della nave non si parlava altro che dell’industria che era nata nella zona della Marinella – ricorda – e la nostra decisione fu subito quella di trasferirci nella città turritana che in quel momento stava vivendo il cosiddetto boom industriale. Tracciando un bilancio finale da allora, quella scelta si era rivelata giusta sin da subito e di questo devo ringraziare la comunità che mi ha ospitato. A riprova di ciò, nel 1970 abbiamo aperto la nostra prima bottega, in via Pacinotti, e qualche anno dopo ci siamo trasferiti nel quartiere Satellite».
Nei primi anni Ottanta nasce anche il Centro diurno anziani nella popolosa periferia, in piazza delle Regioni, e Alberto Ruzzeddu fu uno dei più attivi nel far funzionare la struttura, aprendola a riunioni, feste e ricorrenze.
«In quel periodo era davvero forte il senso di comunità – aggiunge il vetraio – e nel 1981 si concretizzò, con il grande supporto di don Salvatore Ruiu, anche l’idea di fondare una società di calcio giovanile con i ragazzi del quartiere: nacquero così le squadre dei Quartieri Riuniti, di cui sono stato presidente per diversi anni, e tanti giovani hanno avuto la possibilità di crescere e poi militare in società professionistiche e nelle squadre dilettanti».
Tra quelli che hanno calcato i campi di serie A ci sono stati Gianluca Hervatin e Antonio Langella (anche la Nazionale) e nella ex C2 Franco Frau. Alberto Ruzzeddu ha vissuto da dirigente tutti i periodi di gloria sportiva dei Quartieri Riuniti e soprattutto l’evoluzione del quartiere dove stavano nascendo altri impianti sportivi. «Sono bei ricordi da conservare – conclude – perché tra quei ragazzi era forte l’amicizia e la voglia di divertirsi difendendo i colori della loro città e del quartiere. Era stato attivato anche un gemellaggio con una cittadina francese, grazie ad un emigrato, e per anni i ragazzi hanno partecipato ai tornei all’estero. Il mio lavoro, che ho sempre amato, dal 1997 è proseguito nella vetreria in via Balai: gli amici mi possono trovare ancora lì, a 85 anni, che aiuto mio nipote Marco – che nel frattempo ha preso le redini dell’attività – portando avanti la nostra bottega».

17.4.25

l'ospedale delle bambole ,"Europol e Frontex non si scambiano dati per non violare la privacy dei trafficanti" , cameriere robot licenziato ma ancora richiesto dal pubblico

Ecco  le storie    e  non  solo    di questo numero   .

La  prima  è di come   nonostante  il paese  sia  svenduto  ( è notizia  di questi giorni  della  vendita e   della : <<  Bialetti venduta, il made in Italy delle caffettiere ora parla cinese >>  di   Wired Italia >> )  A  napoli   c'è  un ospedale  per gli antichi giocattoli non solo bambole   .Un laboratorio bambole orsetti e tanti giocattoli d’infanzia, così stropicciati e feriti dal tempo, riprendono luce. Pezzo per pezzo, cucitura dopo cucitura li restituiamo ai proprietari emozionati, in un attimo di nuovo bambini. Utilizziano antiche tecniche di restauro per recuperare porcellana, legno, cartapesta, plastica, latta; recuperiamo stile, acconciature (parrucche sintetiche, mohair, prodotti specifici) e vestitini di una volta perché non perdano la loro storia (riproduciamo merletti, tessuti e modelli dall’800 ai giorni nostri.) Curiamo anche teneri peluche! Lavaggio, sarciture, imbottiture, trapianto occhi, trapianto nasi, sostituzione di vero pelo. Nel reparto trapianti abbiamo raccolto negli anni braccia, gambe, occhietti e voci diverse per curare tutte le bambole che ci vengono affidate.Sembra retorico affermare che dal 1800 ad oggi, attraverso quattro generazioni, l’Ospedale delle Bambole prosegua un discorso artigianale nato dall’amore per il bello, per tutto ciò almeno che bello era ma che il tempo e altro hanno sconvolto e che proprio in virtù di questo amore ritorna ai fasti di un tempo. Infatti come dicono le proprietarie << Il restaurare oggetti, Santi, pastori bambole diventa nell’ospedale artigianato di qualità, diventa arte proprio perché le quattro generazioni citate si sono tramandate, oltre a tutti i segreti del mestiere, l’amore, la passione e il desiderio di restituire il sorriso a chi in fila, davanti alla porta di questa singolare bottega attende, come in un ambulatorio il proprio turno; ci sono adulti, bambini, tutti per lo stesso motivo: ritrovare nei propri oggetti lo splendore perduto.>>( da Ospedale delle Bambole  il  sito dell'attività  )  


dalla loro pagina  fb https://www.facebook.com/OdBNapoli


Una storia antica, una storia di emozioni,ricordi e oggetti preziosi, di memoria e tradizione



la seconda di  Astrusità della legge  sulla privacy  che   protegge  i criminali   e  punisce   gli onesti   o  peggio   se  tu  pubblichi  un numero  di cellulare   passi  casini  mentre   i trufattori  ma  anche n  ti  possoo  chiamare  da matina  a sera  .  

 da il giornale  tramite   msn.it  

"Europol e Frontex non si scambiano dati per non violare la privacy dei trafficanti"


L'ultima follia europea venuta alla luce è la difesa ad oltranza della privacy dei trafficanti di uomini e dei clandestini a discapito della sicurezza dei cittadini. Frontex ed Europol, le due agenzie che dovrebbero cooperare per contrastare criminalità e immigrazione illegale, non comunicano questi dati personali dal 2022. Il responsabile è il polacco Wojciech Wiewiorowski, garante europeo per la privacy, che pure per questo sta perdendo la fiducia di popolari e conservatori nel Parlamento europeo. «Ci diamo la zappa sui piedi da soli, il garante avalla con le sue decisioni l'assurdità che la tutela della riservatezza di potenziali criminali o clandestini prevale sulla sicurezza dei cittadini europei. È una follia da scardinare» denuncia Sara Kelany al Giornale, deputata e responsabile del dipartimento immigrazione di Fratelli d'Italia. La sospensione della condivisione dei dati fra le due agenzie europee scaturisce da due pareri emessi dal garante per la privacy del 7 giugno 2022 nei confronti di Frontex. Il risultato è che l'agenzia per la difesa delle frontiere esterne respinge diverse richieste di Europol, che lotta contro la criminalità organizzata compresi i trafficanti di uomini. L'assurdo è che sia stata bocciata pure una generica richiesta di dati riguardanti i flussi migratori lungo la rotta dell'Africa occidentale verso le isole Canarie. Non solo: il garante polacco ha avviato un'indagine contro Frontex sul trattamento dei dati personali di delinquenti ed illegali. Due anni dopo ha concluso l'inchiesta «censurando» l'agenzia, la sanzione meno grave, perché Frontex aveva subito interrotto la trasmissione dei dati, cruciali per indagini ed incroci investigativi. Kelany, che fa parte della delegazione della Camera al Gruppo di controllo parlamentare congiunto su Europol, è decisa a dare battaglia e ha presentato un'interrogazione. «Abbiamo ricevuto conferma che lo scambio tra Frontex ed Europol di dati personali relativi a soggetti sospettati di aver commesso reati transfrontalieri, in particolare connessi alla immigrazione illegale, è stato interrotto a seguito dei pareri emessi () dal Garante europeo», riporta il testo. «Non sono stati indicati i tempi per la definizione di un accordo in materia tra Europol e Frontex - continua l'interrogazione - né è stata fornita dal Garante una valutazione sulla opportunità di interventi legislativi volti a bilanciare la protezione dei dati personali con altri interessi pubblici, quali la lotta alla criminalità e la sicurezza». La domanda chiave è «quali iniziative Europol intende assumere () affinché lo scambio dei dati personali () riprenda in maniera sistematica e regolare?». Anche Alessandro Ciriani, Nicola Procaccini e Giuseppe Milazzo, eurodeputati dell'Ecr, il Gruppo dei conservatori europei, hanno presentato un'interrogazione alla commissione di Bruxelles. Il garante polacco, bocciato in gennaio nella Commissione Libertà civili del parlamento europeo a favore dell'italiano, Bruno Gencarelli, rischia il posto. Nel frattempo guai a scambiare i dati di potenziali criminali transfrontalieri, trafficanti di uomini e clandestini.


e   per  finire    sempre  sulle nuove tecnologie  

  a  msn.it

Cameriere robot “licenziato” dal bar di Treviso dopo soli 4 giorni. «Vengono ancora a chiederci di lui»





TREVISO - Quella mattina di un anno fa, in Piazza dei Signori, sembrava l'inizio di una piccola rivoluzione. Al bar Signore&Signori, storico locale nel cuore del centro, era arrivato Bob: non un nuovo cameriere in carne e ossa, ma un robot. Moderno, operoso e silenzioso, programmato per portare con precisione piatti e bevande ai tavoli, aveva destato curiosità e simpatia tra i clienti ancora prima di servire il suo primo caffè.
Peccato che il suo servizio sia durato appena quattro giorni: tra la pavimentazione irregolare e la calca degli avventori, Bob ha dovuto issare bandiera bianca. Eppure, a distanza di più di un anno, qualcuno continua a chiedere di lui, spinto dalla curiosità per quella particolare parentesi hi-tech. «Vengono ancora a chiederci del robot – racconta il titolare Luca Marton –, anche la settimana scorsa qualcuno l’ha nominato».
L’idea era semplice: non sostituire il personale, ma alleggerirne il lavoro, rendendo il servizio più veloce e, nelle intenzioni, anche più efficiente. Per il titolare Luca Marton, Bob era "un aiuto concreto, non un rimpiazzo", una sorta di compagno di squadra metallico che avrebbe permesso ai camerieri di concentrarsi di più sui clienti, risparmiando loro le corse dalla cucina alla sala. Il robot, dal valore di 20mila euro, era stato presentato con entusiasmo: mappatura autonoma del locale, velocità fino a 20 km/h, programmazione personalizzata. Insomma, tutto faceva pensare a un perfetto connubio tra tecnologia e ospitalità. E invece, dopo soli quattro giorni di prova, l’avventura si è interrotta.
 DIFFICOLTÀ
Il motivo? A tradire Bob non sono stati i circuiti, ma i sampietrini. «Qui faceva fatica perché il terreno è accidentato» racconta oggi Marton, con un sorriso tra l’amaro e il divertito. Piazza dei Signori, con la sua antica pavimentazione irregolare, si è rivelata un ostacolo insormontabile per il robot cameriere, che se la cava egregiamente, invece, sulle superfici lisce e lineari. Il bar, poi, vive di un’umanità disordinata: gruppi che si spostano all’improvviso, clienti che si alzano e si siedono, tavoli disposti a seconda delle esigenze. Bob, abituato a seguire un percorso prestabilito, era incapace di districarsi tra avventori in continuo movimento. «La domenica qui sembra di essere a Roccaraso» scherza Marton, riferendosi alla folla che riempie il locale nei giorni più gremiti. Con quel via vai, anche il robot più evoluto si ritrovava spaesato. E così, dopo quattro giorni di tentativi, il piccolo cameriere è stato messo da parte.
IL FUTURO
Nonostante la breve esperienza, Marton non ha dubbi: «Quella tecnologia è il futuro, è già una realtà nei locali con spazi più adatti. Al Sud queste macchine vanno a ruba», osserva. Nel frattempo, al Signore&Signori, il personale è tornato a servire senza aiuti meccanici: quattordici dipendenti in carne e ossa, una squadra che, tra pioggia, sole e gruppi di turisti, continua a fare il suo lavoro con l’elasticità e l’intuito che, almeno per ora, le macchine non possono replicare. Ma a quanto pare, la memoria di Bob continua a vivere nei ricordi dei clienti: «Vengono ancora a chiederci del robot – racconta il titolare –, anche la settimana scorsa qualcuno l’ha nominato». La storia del piccolo cameriere finito a riposo dopo appena quattro giorni fa sorridere, ma solleva anche uno spunto profondo: la tecnologia, per quanto brillante, non sempre può sostituire l’esperienza umana. Soprattutto in luoghi dove a contare non è solo la velocità, ma anche la capacità di adattarsi al momento, agli imprevisti e a quell’atmosfera viva che rende un bar come Signore&Signori un piccolo pezzo di comunità. Bob, intanto, aspetta tempi (e pavimenti) migliori.

11.6.18

tutto il passato vive nel presente


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https://it.wikipedia.org/wiki/Stazzo



Lo so che dopo una certa età ( a volte precocemente ,ed ė questo il mio caso, dopo i 40 ) la nostalgia inizia ad essere canaglia cioé malattia . Vero ma a volte per poter andare avanti e vivere il presente e vivere meglio ( ovviamente senza esagerare vedere post precedente soprattutto la prima parte l'articolo di Daniela Tuscano ) é necessario non perdere la memoria ed il proprio passato /identità .
Dopo  questo   " spiegone " ecco il mio parziale reportage   e della  tappa  tempiese   dell'edizione intinerante  de  la sesta edizione della “Primavera in Gallura“, meglio conosciuta come “Stazzi e Cussogghj“, manifestazione itinerante che nasce per riscoprire le tradizioni e gli usi, i saperi e i sapori dell’antica civiltà contadina della Gallura dellaquale trovate qui calendario degli eventi dal 26 maggio al 25 giugno 2018. Anche perché, come ci ricordano vari studi le usanze e le tradizioni dei galluresi sono diverse da quelle del resto della Sardegna, perché diversa è la loro storia, la loro cultura, il loro rapporto con il paesaggio e la natura. Per aggiornamenti degli eventi e non solo Contattate la segreteria organizzativa dell’ Associazione culturale Stazzi e Cussogghj c/o Agriturismo “Il Muto di Gallura” – loc. Fraiga, 07020 Aggius (OT) – Tel. 340.0764618 – 340.6686202. Potete anche sfogliare l’opuscolo dedicato alla “Primavera in Gallura 2018” con spiegate, una ad una, tutte le tappe della manifestazione.


  sottto  una  mia  foto   di una  scorsa edizione
L'immagine può contenere: una o più persone e spazio al chiuso    ed il programma  di quest'anno

il  programma   e un reportage     completo  da   http://www.galluranews.org  più  precisamente   qui 


Nessun testo alternativo automatico disponibile.

il sughero estratto per  essere lavorato

L'immagine può contenere: spazio all'aperto
preparazione del carbone

10.8.17

A 25 anni Gianluca Floris, di Villacidro, gestisce l'azienda zootecnica di famiglia dopo aver perso tragicamente i genitori pochi mesi fa.



L'Unione Sarda.it » Cronaca »

"La mia vita da pastore scelta per mamma e papà", la storia di Gianluca Floris

Oggi alle 13:35 - ultimo aggiornamento alle 14:10

                                              Gianluca Floris

La forza di rialzarsi subito forse gliel'hanno data proprio i suoi angeli custodi: mamma, Sebastiana Gioi, e papà Giovanni che hanno costruito un'azienda con oltre 1000 pecore, suini e un minicaseificio (avrebbe dovuto aprire proprio nel periodo dell'incidente stradale).
Gianluca continua ad occuparsene con amore anche se ora il carico sulle sue spalle si è fatto più pesante.
Sveglia alle 4, poi di corsa a mungere le pecore, svolgere le prime attività della giornata, controllare i terreni e poi la contabilità e i clienti fino alle 21.
Lo aiutano due dipendenti, più gli stagionali.
"Solo ad agosto - ammette il giovane allevatore - mi concedo un riposino dopo pranzo. Lo considero un po' come le ferie. Da ottobre a luglio invece si lavora solo con una pausa di un'ora per pranzo. Arrivo a fare 20 ore di lavoro al giorno".
Non è troppo?
"Non posso fare diversamente. Le pecore devono mangiare tutti i giorni. In campagna non ci sono pause. Ho delle responsabilità di cui mi sono fatto carico".
Non vorrebbe un'altra vita, più semplice?
"Mi piace tantissimo il mio lavoro altrimenti non avrei potuto reggere nemmeno un giorno. Non mi pesa così tanto fare sacrifici. Quando posso, dopo il lavoro vedo gli amici come qualsiasi altro ragazzo. La vera difficoltà è il periodo di crisi del settore".
Quali sono i problemi?
"Non c'è più un margine di guadagno. Ormai lavoriamo senza coprire nemmeno i costi. In altre nazioni, a differenza dell'Italia, si è riusciti a creare un meccanismo che permette di stabilizzare i prezzi. Da noi questo non succede. Se oggi il latte viene pagato 60 centesimi al litro e io ne spendo circa 70 al giorno per il fabbisogno alimentare di ciascuna pecora cosa mi resta? Ecco perché le aziende sono in rosso e i ragazzi abbandonano le campagne".
Non c'è guadagno?
"Non so quanti, come me, possono resistere con un reddito netto di 500 euro al mese. Io le altre risorse devo reinvestirle in azienda. Piuttosto che fare il pastore molti fanno le valigie. Io resto per salvare tutti gli insegnamenti che i nonni e i miei genitori mi hanno lasciato. Spero di averli resi orgogliosi. Magari dal cielo mi stanno guardando".
Stefania Pusceddu

1.11.12

patria e radici

continuando il discorso del post precedente sul  4  novembre    ,  non è  assolutamente  vero che io  odio il mio paese   ecco la mia  concezione  di patria 

versione degli "Stornelli d'esilio" di Pietro Gori, interpretata da Franco Trincale nel vinile "Canti per la libertà". 

Dedicato di cuore a tutti i VERI anarchici.





le altre due  non abbiano bisogna  di spiegazione   e presentazione  , ma  comunque trovate qui  qualcosa  

invece riprendo il tema  delle radici   gia  trattato  nei post precedenti di questo  blog   lascio la  parola a Gianluca Medas   e ad un pezzo  del suo spettacolo    tenuto  a  tempio  al festival dei sapori ( 15-21 ottobre   2012  )   vedere   post  precedenti  .

Gianluca Medas -- voce narrante
Andrea Congia -- chitarra classica

È un'alleanza stretta da tempo immemore quella dell'uomo con il Vino, e in omaggio  per celebrare la storia dello squisito nettare: Lunedì 15 Ottobre, alle ore 19:00,  Gianluca Medas  ha raccontato  di quando Dioniso danzava sulla terra rivelando ai mortali il segreto dell'inebriante bevanda  .Nel 
Reading letterario si è parlato della Storia del Vino, dietro la quale sono  (  cosi come  tutti  gli antichi 


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sapori  e mestieri    raccolti il lavoro e la cultura dell'uomo, proponendo la rievocazione dei miti e delle leggende che riguardano questa tradizione e appoggiandosi all'accompagnamento musicale della chitarra classica di Andrea Congia.
dalla rete 
Un Racconto che si arrampica su per i tralci arricciolati, seguendo la sinuosa curva degli acini per tuffarsi nelle fini nervature delle foglie a cuore: una storia che nasce nella notte dei tempi e che rivela come la preziosa coltivazione della Vite, in Sardegna, abbia preceduto persino l'arrivo dei fenici. Bevanda euforizzante, avvolgente, inebriante, il Vino rinvigorisce l'uomo, educandolo alla moderazione: chi voglia realmente possedere lo spirito di questa bevanda divina, sentiero che apre all'uomo la strada al rapimento estatico, non può concedersi eccessi, pena la perdizione e lo smarrimento. 
Il Mito, le Leggende, gli Dèi: echi di un mondo antico raccolti e raccontati da Gianluca Medas per riscoprire un sapore e un profumo della nostra Terra, l'aroma di un patto millenario sancito con la Natura rievocato in una Storia accompagnata dal suono di una chitarra stuzzicata dal tocco di Andrea Congia.

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