questo dovrebbe essere il vero inno nazionale . Che descrive : tutte le sofferenze e dolori , le gioie , le diversità etniche ed linguistiche che ancora resistono nonostante sia unita politicamente dal 1861 ( secondo altri dal 1918 con l'acquisizione del trentino e del friuli ) linguisticamente dal 1954 ( con la televisione )
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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10.5.20
«Lettere dall’Italia», il brano cantato in tutti i dialetti . un nuovo inno nazionale
10.11.14
speriamo che con il centenario della grande guerra il 4 novembre sia giornata di memoria condivisa e sia ricordato senza becera retorica e a 360 gradi
In sottofondo l'esecuzione avvenuta Il 27 luglio 2009 a Forte Dossi Delle Somme di Paolo Fresu e Daniele Di Bonaventura de il brano "Del Soldato in Trincea" composto per il film di Ermanno Olmi "Torneranno i prati" al termine del concerto dedicato al centenario della Prima Guerra mondiale
Lo so che con questo post perderò amici\che , specie quelli che ancora sono legati << ai miti
eterni dea patria e dell'eroe ( cit. musicale ) >> e giudicano chi parla di queste cose come quelle di cui riporto sotto un disfatta o uno che non ha rispetto di coloro sono morti combattendo e menate varie .
da facebook |
Purtroppo la grande guerra anche questo è stato . Ed solo ricordando a 360 gradi che il 4 novembre smetterà d'essere solo qualcosa di retorico e vuoto ed diventerà una giornata condivisa . E sarà definitivamente identità collettiva e di tutti . E certi fatti come quello della prima storia sia recuperati dall'oblio Ma ora basta è veniamo alle storie del post d'oggi
da https://www.facebook.com/apibeco.milano |
La prima è quella del Comandante Giovanni Airaldi di Cuneo . la cui storia è raccontata in ( vedere copertina a sinistra ) Il caso Arialdi di Gerardo Unia |- Editore L'Arciere - 2002 - pp. 139 - ISBN 8886 398 913 .
Egli fu un Tenente Generale che si oppose allo scriteriato massacro dei suoi uomini.Giunto al fronte ad ottobre 1915 al comando della 23ª divisione, è costretto a mandare i suoi soldati all’attacco di forti posizioni austriache sul basso Carso: posizioni quali il monte Sei Busi e Vermegliano, vero e proprio baluardo difensivo imperiale sulla via per Trieste. A più riprese agli uomini di Airaldi sono richiesti attacchi all’arma bianca, alternati ad attacchi dimostrativi per “distrarre” il nemico da azioni su altri settori del fronte: azioni che costarono
Il Generale Airaldi scrisse così al suo superiore, il generale Guglielmo Pecori Giraldi, al comando del VII Corpo d’Armata, che non intendeva più mandare all’attacco le sue truppe per azioni dimostrative, a meno che non si volesse esporre le truppe ad inutile sacrificio. Airaldi fu uno dei pochi Autentici Ufficiali Generali a mettere in discussione gli ordini superiori, perché convinto che non fosse possibile effettuarli con successo neppure a prezzo dei maggiori sacrifici, mentre è ovvio che questi si possono e devono affrontare soltanto a patto che sia almeno probabile il conseguimento dei risultati voluti. Insomma, Airaldi vedeva la totale inutilità degli attacchi ordinatigli, ma soprattutto della morte dei suoi uomini.
La sua franchezza ed umanità, naturalmente, fu malvista: Airaldi fu destituito e messo a riposo, dimenticato da tutti fino alla sua morte, avvenuta nel 1935.
agli uomini delle brigate Trapani e Napoli perdite ingenti a cui si assommarono feriti e mutilati.
la seconda che può essere approfondita da questo due pagine http://www.cjargne.it/alpinortis_1.htm e per i successivi sviluppi http://www.cjargne.it/alpinortis.htm da cui è tratta la foto a sinistra del monumenti è fatta da due persone che lottano perchè nelle celebrazioni per il centenario della grande guerra ci sia << il REINTEGRO a pieno titolo dei fucilati del ‘15-’18 nella memoria nazionale.Vittime come gli altri.
Soldati che hanno sofferto come gli altri. il primo protagonista è il sostituto procuratore di Padova Sergio Dini, ex magistrato militare, che ha già chiamato in causa il ministro della difesa Pinotti. «Assistendo a luglio al concerto di Redipuglia, dove il maestro Muti ha radunato orchestrali di tutti i Paesi belligeranti, il presidente Napolitano ha fatto un passo importante di riconciliazione con l’ex nemico. Ora manca solo la riconciliazione con noi stessi, l’abbraccio ai ragazzi della mala morte. Le Forze armate dovrebbero capirlo, a meno che non vogliano negare che quelle esecuzioni — dal loro punto di vista — siano servite a qualcosa. Se i fucilati ebbero una funzione, essa sia riconosciuta. Non farlo sarebbe accanimento. Anche perché si fucilarono solo soldati semplici, povera gente. Vogliamo portarci dietro ancora. >>
Soldati che hanno sofferto come gli altri. il primo protagonista è il sostituto procuratore di Padova Sergio Dini, ex magistrato militare, che ha già chiamato in causa il ministro della difesa Pinotti. «Assistendo a luglio al concerto di Redipuglia, dove il maestro Muti ha radunato orchestrali di tutti i Paesi belligeranti, il presidente Napolitano ha fatto un passo importante di riconciliazione con l’ex nemico. Ora manca solo la riconciliazione con noi stessi, l’abbraccio ai ragazzi della mala morte. Le Forze armate dovrebbero capirlo, a meno che non vogliano negare che quelle esecuzioni — dal loro punto di vista — siano servite a qualcosa. Se i fucilati ebbero una funzione, essa sia riconosciuta. Non farlo sarebbe accanimento. Anche perché si fucilarono solo soldati semplici, povera gente. Vogliamo portarci dietro ancora. >>
Il secondo il sindaco Edimiro Della Pietra, Il primo a far erigere , il primo in anche il primo in Europa monumento ai fucilati. << È accaduto diciotto anni fa a Cercivento, sui monti della Carnia, sul luogo di una delle più ingiuste esecuzioni, il pra dai fusilâz, un prato che per decenni i valligiani rifiutarono di falciare in segno di protesta. Una memoria tenace, passata di bocca in bocca, che ha dato vita a un corpus di memoria orale ancora vivissimo e al quale nel ‘96 mettendosi contro le autorità militari rischiando una denuncia di apologia direato, ha voluto dar forma di monumento. >>
L'Italia riabilita i fucilati
Venerdì 31 Ottobre 2014 14:59 Tommaso Fiore
L’ultima ferita della Grande guerra
“L’Italia riabiliti i militari fucilati"
di Paolo Rumiz
REINTEGRO a pieno titolo dei fucilati del ‘15-’18 nella memoria nazionale.Vittime come gli altri. Soldati che hanno sofferto come gli altri. Manca questo riconoscimento perché possa dirsi completa in Europa la partecipazione dell’Italia alle onoranze ai Caduti della Grande guerra. I principali Paesi belligeranti— Francia, Germania, Inghilterra — ci hanno pensato da tempo, con atti politici, interventi presidenziali, monumenti, e l’aggiornamento delle liste dei Caduti. Quasi ovunque i condannati sono stati tolti dal ghetto della vergogna e della rimozione. Manca il nostro Paese, quello che ha fatto più largo uso della giustizia sommaria: 750 fucilati con processo,200 colpiti da decimazione per estrazione a sorte, e un numero incalcolabile di soldati uccisi per le vie brevi dai loro ufficiali o dai carabinieri per codardia, ribellione o episodi di pazzia.
«Se non ora, quando?», si chiede il sostituto procuratore di Padova Sergio Dini, ex magistrato militare, che ha già chiamato in causail ministro della difesa Pinotti. «Assistendoa luglio al concerto di Redipuglia, dove il maestro Muti ha radunato orchestrali di tutti i Paesi belligeranti, il presidente Napolitano ha fatto un passo importante di riconciliazione con l’ex nemico. Ora manca solo la riconciliazione con noi stessi, l’abbraccio ai ragazzi della mala morte. Le Forze armate dovrebbero capirlo, a meno che non vogliano negare che quelle esecuzioni — dal loro punto di vista— siano servite a qualcosa. Se i fucilati ebbero una funzione, essa sia riconosciuta. Non farlo sarebbe accanimento. Anche perché si fucilarono solo soldati semplici, povera gente. Vogliamo portarci dietro ancora questo anacronismo di classe?».
E dire che l’Italia è stata uno dei primi Paesia porre il problema con film (Uomini contro, di Francesco Rosi), con libri e ricerche storiografiche. Ed è stato anche il primo in Europaa erigere un monumento ai fucilati. È accaduto diciotto anni fa a Cercivento, sui monti della Carnia, sul luogo di una delle più ingiuste esecuzioni, il pra dai fusilâz, un prato che per decenni i valligiani rifiutarono di falciare in segno di protesta. Una memoria tenace, passata di bocca in bocca, che ha dato vita a un corpus di memoria orale ancora vivissimo e al quale nel ‘96 il sindaco Edimiro Della Pietra, mettendosi contro le autorità militarie rischiando una denuncia di apologia direato, ha voluto dar forma di monumento.
Quella di Cercivento è una storia che riassume le altre. È il giugno del ‘16. Gli austriaci stanno sfondando su Vicenza con la Strafexpedition. Nella zona del Monte Coglians c’è il battaglione alpini Tolmezzo, considerato infido dagli ufficiali «forestieri» per via dei cognomi mezzi tedeschi dei carnici arruolati e dei tanti di essi che hanno lavorato da emigranti in terra d’Austria. Hanno una perfetta conoscenza del terreno, ma gli alti comandi non si fidano a sfruttarla e insistono a ordinare azioni suicide. Quando viene deciso un attacco alle rocce della cima Cellon in pieno giorno e senza supporto di artiglieria, alcuni soldati suggeriscono di compiere l’assalto colfavore della notte. È quanto basta perché il comandante,un napoletano di nome Armando Ciofi, coperto dal tenente generale Michele Salazar, comandante della 26ª divisione, gridi alla «rivolta in faccia al nemico» e ordini la corte marziale.
Il processo si svolge di notte, in una cornice lugubre, nella chiesa che il prete di Cercivento, terrorizzato, è obbligato a desacralizzare. Sul processo incombono le circolari Cadorna, che chiedono «severa repressione»,diffidano da sentenze che si discostino «dalle richieste dell’accusa» e ricordano il «sacro potere» degli ufficiali di passare subito per le armi «recalcitranti e vigliacchi». Gli accusati sono decine, e ciascuno ha nove minuti per l’autodifesa.
Un’ora prima dell’alba, la sentenza. Quattro condanne alla fucilazione. Tutti carnici: Giambattista Corradazzi, Silvio Gaetano Ortis, Basilio Matiz e Angelo Massaro, emigrante in Germania che ha scelto di rientrare «perservire la patria». Mentre lo portano via grida: «Ecco il ringraziamento per quanto abbiamo fatto». Il prete, don Zuliani, confessa i morituri. È sconvolto, propone inutilmente disostituirsi ai soldati davanti al plotone. Dopo, non vorrà più rientrare nella chiesa «maledetta» e diverrà balbuziente a vita. La prima scarica uccide tre condannati, solo Matiz è ferito e si contorce urlando. Lo rimettono sulla sedia. Nuova scarica e non basta ancora. Perché sia finita ci vogliono tre colpi di pistola alla testa.
La gente assiste senza parole. Solo un vecchio grida: «Vigliacchi di italiani, siete venutia portare guerra! Con gli austriaci abbiamo sempre mangiato, e voi venite ad ammazzarci i figli!». L’ufficiale risponde secco: «Vecchio taci, che ce n’è anche per te». L’intero reparto sarà trasferito per punizione sull’altopiano di Asiago e lassù, un po’ di tempo dopo, il comandante Ciofi sarà fatto secco in zona non battuta da fuoco nemico, quasi certamente per vendetta. Settant’anni dopo, il nipote di Gaetano Ortis, un militare di carriera, chiederà la revisione del processo, ma il tribunale militare di sorveglianza di Roma risponderà con una beffa che resterà nella storia: la domanda non può essere accettata «perché non presentata dall’interessato».
Pure Caporetto sarà pagata da soldati semplici. L’allora vescovo di Treviso, Longhin: «Sei tedeschi saranno come questi nostri sciaguratiitaliani, cosa ci resterà? Qui si fucila senza pietà. Preghiamo». E intanto nessuno toccherài veri responsabili della disfatta, i generali Capello o Badoglio. Il secondo sarà addirittura promosso. Diversa la sorte di Andrea Graziani, noto per avere fucilato uno che l’aveva guardato con la cicca in bocca. A guerra finita sarà trovato morto lungo la ferrovia dopo il passaggio del suo treno. Ma molto piùa lungo si trascinerà nella memoria nazionale il senso di un’irrisolta ingiustizia.
Ed Grazie alle discussioni sul gruppo facebookiano prima guerra mondiale in merito alle fucilazioni dei soldati italiani durante il primo conflitto mondiale
Dai racconti del viaggio di Paolo Rumiz sui luoghi della Prima Guerra Mondiale pubblicati su repubblica e poi ripresi con extra n un DVD inedito ( vedere foto sionistra ) , .
Se sono passato a vedere il 4 novembre come giornata nel bene e nel male come giornata di ricordo e di memoria , attraverso due stadi . Il primo i festeggiamenti forzati ( nonno paterno e suoi fratelli , almeno quelli che ho conosciuto io , tutti fascisti che ti "obbligavano " in cambio delle paste ad andare , idem la scuola elementare anche se Dal 1977 in poi, a causa di una riforma del calendario delle festività nazionali introdotta per ragioni economiche con lo scopo di aumentare il numero di giorni lavorativi con la legge 5 marzo 1977 n. 54, è stata resa "festa mobile" che cadeva nella prima domenica di novembre. Nel corso degli anni '80 e '90 la sua importanza nel novero delle festività nazionali è andata declinando . Il secondo , ed in parte è ancora cosi . Infatti sono riandato per fare foto alla ricorrenza ma non sono andato nè alle funzioni religiose nè dopo la deposizione della corona al monumento cittadino , al rinfresco con le autorità ) , a vedere le celebrazioni ufficiali una cosa retorica fatta da << Geniali dilettanti in selvaggia parata >> ( da Linea Gotica - ex CSI qui il testo e le note storiche di questa canzone ) . E celebravo in silenzio ( e credo che continuerò a farlo per tutti gli altri 3 anni delle celebrazioni del centenario ) come antidoto alla retorica militaresca
e fuori da qualunque la morte di mio prozio materno un ragazzo del 1899 morto a 18 su una mina a caporetto , e sepolto ora nel cimitero ricordavo i racconti indiretti di mìo padre di un suo zio ufficiale medico sull'altipiano d'Asiago
1.11.12
patria e radici
continuando il discorso del post precedente sul 4 novembre , non è assolutamente vero che io odio il mio paese ecco la mia concezione di patria
versione degli "Stornelli d'esilio" di Pietro Gori, interpretata da Franco Trincale nel vinile "Canti per la libertà".
Dedicato di cuore a tutti i VERI anarchici.
le altre due non abbiano bisogna di spiegazione e presentazione , ma comunque trovate qui qualcosa
invece riprendo il tema delle radici gia trattato nei post precedenti di questo blog lascio la parola a Gianluca Medas e ad un pezzo del suo spettacolo tenuto a tempio al festival dei sapori ( 15-21 ottobre 2012 ) vedere post precedenti .
Gianluca Medas -- voce narrante
Andrea Congia -- chitarra classica
È un'alleanza stretta da tempo immemore quella dell'uomo con il Vino, e in omaggio per celebrare la storia dello squisito nettare: Lunedì 15 Ottobre, alle ore 19:00, Gianluca Medas ha raccontato di quando Dioniso danzava sulla terra rivelando ai mortali il segreto dell'inebriante bevanda .Nel
Reading letterario si è parlato della Storia del Vino, dietro la quale sono ( cosi come tutti gli antichi
da http://sardegna-del-sud.mondodelgusto.it/ in particolare qui dovete trovate maggiori news su tali collana |
sapori e mestieri raccolti il lavoro e la cultura dell'uomo, proponendo la rievocazione dei miti e delle leggende che riguardano questa tradizione e appoggiandosi all'accompagnamento musicale della chitarra classica di Andrea Congia.
dalla rete |
Un Racconto che si arrampica su per i tralci arricciolati, seguendo la sinuosa curva degli acini per tuffarsi nelle fini nervature delle foglie a cuore: una storia che nasce nella notte dei tempi e che rivela come la preziosa coltivazione della Vite, in Sardegna, abbia preceduto persino l'arrivo dei fenici. Bevanda euforizzante, avvolgente, inebriante, il Vino rinvigorisce l'uomo, educandolo alla moderazione: chi voglia realmente possedere lo spirito di questa bevanda divina, sentiero che apre all'uomo la strada al rapimento estatico, non può concedersi eccessi, pena la perdizione e lo smarrimento.
Il Mito, le Leggende, gli Dèi: echi di un mondo antico raccolti e raccontati da Gianluca Medas per riscoprire un sapore e un profumo della nostra Terra, l'aroma di un patto millenario sancito con la Natura rievocato in una Storia accompagnata dal suono di una chitarra stuzzicata dal tocco di Andrea Congia.
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