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9.3.25

per una relazione non tossica e onesta prima di tutto + Manuale di autodifesa puntata XXI I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco SE AVETE BISOGNO DI AIUTO INVIATE LA POSIZIONE e dite sempre dove state andando e mandate la posizione sul cellulare


puntata precedente  post  del  1  marzo





1 ONESTÀ PRIMA DI  TUTTO.  

guardarvi dentro e di essere   onesti con voi stessi. 

 2 CHIEDETE AIUTO. 

Se da  soli non riuscite a essere  obiettivi nella valutazione, e  comunicare  fatevi   aiutare da un professionista che  possa guidarvi in un percorso di  autoconoscenza.

 3 SI PUÒ CAMBIARE. 

Ricordate che la “tossicità”  non è    sempre una caratteristica  intrinseca e inamovibile della  nostra personalità e, per questo, può essere cambiata o meglio  trasformata in quyalcosa di  costruttivo 

 4 ANALIZZATE LE  CONSEGUENZE. 

Cercate   di analizzare le conseguenze  che il vostro comportamento ha sugli altri, in particolare sulle persone cui volete bene. Il risultato principale è quello di  provocare ansia e stress  costanti in se stessi e negli altri.

 5 ASCOLTATE IL PROSSIMO.

 Mettetevi in  ascolto degli altri e  se  ci  riuscite  delle loro  esigenze  \ bisogni  \  spazi . Evitate di creare con liti inutili, di fare critiche poco costruttive e di reagire sempre in maniera altamente difensiva o aggressiva.



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Dite sempre a qualcuno di fiducia dove state andando, soprattutto se avete un incontro con una persona sconosciuta o chiaccherata . Impegnati ( ed  ossessionatìi  )come siamo a difendere la nostra privacy, a volte dimentichiamo che ci sono abitudini che potrebbero tornare utili in caso di pericolo. Una di questa è condividere la propria posizione. Naturalmente, se usato in maniera equilibrata e non come uno strumento di controllo per verificare dove si trova e cosa sta facendo la persona che “controlliamo”, questo stratagemma può risultare molto utile. È importante sapere che per rilevare la nostra posizione e quindi comunicarla a terzi in caso di necessità, è possibile usare Google Maps, che solitamente è preinstallato su qualsiasi smartphone. Prima di tutto occorre attivare  la localizzazione Gps del proprio cellulare. Una volta fatto,  sul nostro smartpone comparirà un pallino sulla mappa  che indica la nostra posizione. Tenendo premuto per qualche secondo il dito sul pallino, in alto nella barra dove digitiamo gli indirizzi comparirà una  serie di numeri, che corrispondono  alle nostre coordinate Gps, rilevabili anche quando siamo in modalità offlne, quindi senza connessione  dati. A questo punto possiamo copiarle e incollarle in un messaggio  da inviare con un semplice sms a chi  vogliamo sappia dove ci troviamo  Se invece vi trovate in una zona coperta dalla connessione dati e potete navigare su Internet liberamente, è ancora più facile comunicare la posizione. Ormai le piattaforme di  messaggistica più di&use consento￾no di condividerla anche per più ore. Pensiamo a WhatsApp,  per esempio, applicazione difusissima. Senza che sentiate  violata la vostra privacy, è possibile condividere anticipatamente (senza aspe"are che si presenti necessariamente il pericolo) la vostra posizione, in modo che chi la riceva pos￾sa monitorarvi e intervenire in caso di bisogno. 

1.2.25

I GIUDICI GIUSTIFICANO UNO SPIETATO KILLER il caso di La condanna a 30 anni di Salvatore Montefusco per il brutale duplice omicidio della moglie e della "gliastra, Gabriella e Renata Trafandir

Sarà pure un personaggio mediatico  e  permaoso  ma  Robertàa  Bruzzone  stavolta    ha ragione 

La condanna a 30 anni di Salvatore Montefusco per il brutale duplice omicidio della moglie e della figliastra, Gabriella e Renata Trafandir, ha innescato una scia di polemiche condivisibili. A sconcertare è il punto di vista che sembra essere stato accolto dai giudici,cioè quello dell'assassino, che permea l'intero impianto motivazionale. Manca in maniera sorprendente una lettura critica dellaevidente asimmetria di




potere, soprattutto economico, tra l'assassino e le due vittime. Madre e figlia dipendevano economicamente dall'uomo che le ha uccise. L'omicida ha utilizzato quella dipendenza in una logica ritorsiva e rica!atoria, con intimidazioni continue, impedendo loro di lasciare la casa in tempo per salvarsi. E allora una domanda sorge spontanea: qual è il concetto di  libertà femminile che trova applicazione nei Tribunali italiani ? Dove viene posto il confine tra controllo e violenza?
  Infatti   secondo  l'analisi   di  Marilisa D’Amico  Ordinaria di diritto costituzionale all’Università Statale di Milano


IL MOVENTE   DELLA VIOLENZA  NON È MAI UNA GIUSTIFICAZIONE


Nella recente  sentenza per il  duplice femminicidio di Gabriela  Trafandir, e della figlia Renata si è parlato della ‘comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il reato’. Occorre però sottolineare che il movente di un delitto non può essere mai considerato ‘comprensibile’. La giustificazione di un omicidio è una visione pericolosa e inaccettabile che dà solo adito alla 
vittimizzazione secondaria, che si verifica quando la persona offesa viene ulteriormente danneggiata 
dal sistema giudiziario, dai  media o dalla società, attraverso atteggiamenti che minimizzano la gravità del crimine o giustificano l’azione di chi ha commesso il reato. Le cause che portano a un femminicidio, 
come la gelosia o il desiderio di controllo, sono spesso presentate come ‘motivi comprensibili’, ma queste non devono essere considerate delle giusti!cazioni per un qualsiasi atto di violenza (tanto meno per quelli che portano alla morte). Tali giustificazioni rischiano di normalizzare la violenza di genere e di creare un ambiente in cui le donne sono ulteriormente vulnerabili ad altre violenze”.

29.12.24

Diario di bordo n 94 anno II . odio gratutito verso cecilia strada da destra e dal Chef rubio ., i topi di fogna con marce svastiche si preparano al 7 gennaio ricordo ei fatti di acca larentia ., il dramma di una coppia di genitori di Orbassano (Torino), Alessandro e Cristina .,

In queste ore i soliti miserabili (  metaforicamente  parlando  ) stanno infettando   i social e non solo purtroppo  (specie sotto certi giornalacci e siti  di destra extraparlamentare   come  il   ink  citato  nerlle  righe   successive  )  sbavando bile, ignoranza e cattiveria pura contro la giornalista Cecilia Sala, imprigionata da otto giorni in un carcere iraniano.
“Se la tengano pure”.“Si sta facendo le vacanze di Natale in carcere per scrivere il libro”.“La Boldrini
indossi il burka e vada a farla liberare”“ , Diamogli la Salis in cambio”, Fatele fare quello che chiedeva per i Marò in India” Cecilia Sala, mentre frigna dalla prigione, spuntano i suoi post infami che scrisse contro i nostri militari . E poi via delle solite sciocchezze da bar vomitate sotto le decine di notizie sull’arresto. “Cosa ci faceva in Iran?”
Lavorava. Come tutti noi. Di mestiere fa la giornalista. E all’Iran ha dedicato libri, podcast, inchieste.
“Perché andare in un Paese dittatoriale? Se l’è cercata”.
Perché è questo che fanno gli inviati di guerra e nei teatri più pericolosi: documentare le dittature e le violazioni dei diritti umani e farle conoscere. Si chiama giornalismo.
Non doveva, non poteva immaginare che accadesse quello che è accaduto?  Ma certo: le tante Cecilia Sala che nelle zone più tormentate del mondo, vanno, cercano di capire e raccontare quello che vedono e apprendono, lo devono mettere in conto. Come l’avranno senz’altro messo in conto Domenico Quirico e Daniele Mastrogiacomo, Giuliana Sgrena, i tanti – una lunga lista – che ci hanno rimesso la vita.
Cosa ci sono andati a fare, in Iran, in Afganistan, in Somalia, nella ex Jugoslavia, in Cecenia? Cosa ci andavano a fare Antonio Russo, Maria Grazia Cutuli, Marcello Palmisano, Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Marco Luchetta, Dario D’Angelo… Ma anche cosa ci andavano a fare, pur senza andare troppo lontano, i giornalisti uccisi dalla Cosa Nostra e dalla Camorra, i cui anniversari celebriamo ogni anno e ricordiamo con affetto?
Mesi fa a New York una bella mostra di fotografie di Gerda Taro, la fotografa morta stritolata dai cingoli di un carro armato nei giorni della guerra civile in Spagna. Che c’era andata a fare? A realizzare quelle immagini che ancora oggi si guardano con commozione e dolore, documenti della tragedia di un popolo la cui libertà e i cui diritti venivano soffocati da Francisco Franco, Adolf Hitler e Benito Mussolini.Il suo compagno, Robert Capa, che ci andava a fare anche lui in quella Spagna, e poi durante la Seconda guerra mondiale in Nord Africa, lo sbarco in Normandia, la liberazione di Parigi… e ancora la guerra arabo-israeliana del 1948, la guerra d’Indocina del 1954, fino a morire dilaniato da una mina a Thau Binh ? A centinaia, migliaia di reporter, fotografi, cineoperatori, si potrebbe rivolgere la stessa domanda: che ci siete andati a fare ?Se si risponde: per farvi sapere, forse se la replica sarà una scrollata di spalle. Gli indifferenti, gli “struzzi” ci sono ovunque, sempre ci saranno come sempre ci sono stati. C’è però un’altra possibile risposta: se noi si fosse iraniani, afgani, russi, ucraini, tibetani, appartenenti a uno dei cento popoli che devono subire e patire guerre, dittature, oppressioni, vorremmo o no che il mondo libero sapesse delle nostre tragedie, sofferenze e persecuzioni? Ci conforterebbe o no sapere che qualcuno sa della nostra resistenza, della nostra volontà di poter vivere liberi di sognare e di forgiare il proprio destino? Se la risposta a queste domande è sì, ecco che cosa ci sono andati a fare, che cosa ci vanno a fare, in Iran e in altri paesi che Dio sembra aver dimenticato. Ecco perché a tutti loro occorre dire grazie per quello che hanno fatto e cercano di fare.
“Dove sono ora le femministe?”
Dove sono sempre state e dove saranno sempre (quelle vere): ad alzarsi in piedi contro un regime liberticida e brutale contro le donne e a sostenere la liberazione di Cecilia Sala.
“E adesso chi paga?”
Nessuno. Donne e uomini di Stato sono al lavoro (giustamente in silenzio) per riuscire a liberarla con ogni mezzo e canale diplomatico. Ma, se fosse necessario, sarei ben felice che le nostre tasse fossero utilizzate per riportare in Italia una giornalista la cui unica colpa è quella di fare il proprio mestiere.
Non c’è cifra, invece, che possa ripagarci di tanta miseria  umana     come  ,  oltre  quella    già citata    dello chef  Rubio .  Infatti egli ha   scritto  « Lunga vita all'Iran e a chi resiste alle ingerenze imperialiste Miracolate sioniste e spie con la passione dei viaggi non dovrebbero essere compiante, ma condannate »  .  Ha  già  detto tutto  mentana  un miserabile  idiota



....... 


In questi giorni centinaia di notissimi topi di fogna della Storia si stanno organizzando alla luce del sole per “commemorare i camerati caduti” ad Acca Larentia, come ogni 7 gennaio.
Questo abominio non nasce col favore delle tenebre in qualche riunione clandestina ma in post pubblici sui social, dichiaratamente e orgogliosamente, senza che nessun organo pubblico o di governo alzi un


dito o muova un sopracciglio. 
Quando, il 7 gennaio, ci sveglieremo anche quest’anno con duecento o più camicie nere con 

( ....  ) 
marce svastiche e federali
sotto i fanali
l'oscurità
e poi il ritorno in un paese diviso
nero nel viso
più rosso d'amore
( ....   ) 
che urlano “Presente” a braccia tese,lo sdegno ipocrita e la finta sorpresa della destra destra, sappiate che tutti sapevano tutto, ma nessuno è voluto intervenire.

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  concludo  questo  numero     con un   classico   post \  commento  a mente    fredda  .  

Infatti    è  proprio   a    freddo   , dopo  qualche  giorno dalla sua  diffusione sui media  , che riesco  a  riportare  una  storia triste     come questa  .
Questa non è una storia di mostri e nemmeno di orchi ma di esseri umani capaci di orrori indicibili e di altri esseri umani che, di fronte a quell’orrore, non riescono a trovare una qualche forma di salvezza terrena.
È la storia di una coppia di genitori di Orbassano (Torino), Alessandro e Cristina, lui medico, lei
farmacista, che si sono tolti la vita insieme, come gesto estremo di rifiuto a una vita a cui non riuscivano più a dare un senso, un verso  dopo  la  tragedia  che  gli  ha  colpiti  .
Due anni prima la figlia di 28 anni Laura (nome di fantasia) si era impiccata in seguito a dei traumi indelebili per le violenze e gli abusi subiti da un parente (deceduto da tempo) quando era bambina.
Laura non si è suicidata, non è corretto, avevano raccontato a chi glielo aveva chiesto.  «Chi pone fine alla sua vita a causa di una violenza è vittima di un omicidio psichico e il suo aguzzino è un assassino. Ora noi siamo soltanto ombre  ».Anche il loro gesto è figlio e conseguenza indiretta di quell’omicidio in vita, in una catena familiare di dolore che Alessandro e Cristina non sono riusciti a spezzare in altro modo.  Ha  ragione    Lorenzo tosa  



Questa storia ti annichilisce, ma racconta anche moltissimo di Noi .          Vicino con ogni cellula intima e personale a questa famiglia, sperando che serva almeno in parte per riflettere sulle conseguenze del dolore, sui muri di omertà che circondano la famiglia come costrutto sociale e la società intera. Voglio ricordarli così, in un momento di felicità, come tanti ne avranno vissuti. Riposino in pace, ora.


Ecco  perchè è necessario  introdurre   fin  dagli asili \  ed  elementari una  cultura  non  violenta  e   lezioni  d'educazione : all'affettività  e alla  sessualità , al rispetto e  ala convivenza \  coesistenza  , alla  legalità . Ma  soprattutto    ricominciamo   ad  introdurre   nelle  scuole il medico  e  lo  psicologo scolastico.  Tutti elementi  che  i  precedenti  governi hanno smatellato .   

8.12.24

“IL FEMMINICIDIO NON PUÒ ESSERE GIUSTIFICATO DA FATTORI GENETICI di Marlisa d'amico


Durante il processo per l’omicidio di Viktorija Vovkotrub uccisa a Brescia nel 2020 la difesa di Beriša Kadrus, kosovaro di 62 anni, ex compagno di Viktorija, avevaparlato di ‘gene guerriero’.
Si tratta di un’idea basata su teorie non del tutto accettate dalla comunità scientifica. Queste teorie mirano a dimostrare che alcune persone potrebbero essere più inclini alla violenza a causa di un fattore biologico, come un gene specifico. Spesso questa teoria viene usata per cercare di giusti!care comportamenti violenti.
Tuttavia la maggior parte degli esperti ritiene che il comportamento umano dipenda da una combinazione di fattori genetici ambientali, psicologici esociali, e non solo da un singolo gene. Nel caso di Viktorija Vovkotrub, la difesa di Kadrus Berisa ha usato questa teoria, ma ciò ha suscitato molte polemiche, poiché potrebbe far sembrare che la violenza fosse inevitabile a causa di una predisposizione biologica. Secondo il diritto, però, un crimine come il femminicidio non può essere giusti!cato da una causa genetica o biologica. Pertanto, a nulla dovrebbe valere invocare il‘gene guerriero’per escludere l’applicazione della pena a carico dell’uomo violento”. 

                      Marilisa d'amico Ordinaria di diritto costituzionale all’Università Statale di Milano

20.11.24

raccontare i femminicidi di oggi parlando di quelli del passato il caso Beatrice cenci

 Per  il 25  novembre oltre  post  di riflessione   anzichè raccontare  le  recenti   storie di femminicidio \  d'amore criminale  che   in una società sempre  più anestetizzata ( o quasi  )  ed  un informazione sempre  più  veloce  dove  dopo tre  giorni (  salvo ecezioni )    sono già  dimenticati o  strumentalizzati vedere le  news  riportate   nel  post  precente ,racconterò un  femminicidio  e  una   violenza  di  genere  insieme    del passato . Si tratta di Beatrice Cenci , alla cui condanna a morte vi assistente e trase ispirazione per una delle opere


 più belle e cariche di pathos nonche la secondo alcuni Il capolavoro più sanguinoso ,  Caravaggio. 


Beatrice Cenci (Roma, 6 febbraio 1577 – Roma, 11 settembre 1599) è stata una nobildonna italiana giustiziata per parricidio e poi assurta al ruolo di eroina popolare, per essersi difesa dal padre violento e depravato.

[---- ] da Beatrice Cenci - Wikipedia

Il parricidio

Esasperata dalle violenze e dagli abusi sessuali paterni, si dice che Beatrice giunse alla decisione di organizzare l'omicidio di Francesco con la complicità della matrigna Lucrezia, dei fratelli Giacomo e Bernardo, del castellano Olimpio Calvetti[6] e del maniscalco Marzio da Fioran, detto il Catalano.
Per due volte il tentativo fallì: la prima volta si cercò di sopprimerlo con il veleno ma l’uomo, assai diffidente, fece assaggiare cibo e bevande alla figlia prima di consumarle così questa proposta fu scartata; la seconda con un'imboscata di briganti locali che però, scoperte le possibili conseguenze, si rifiutarono. La terza volta Francesco, stordito dall'oppio fornito da Giacomo e mescolato a una bevanda, fu assalito nel sonno: Marzio gli spezzò le gambe con un matterello, Olimpio lo finì colpendolo al cranio e alla gola con un chiodo e un martello.
Per mascherare l’omicidio, Olimpio cercò di rompere il pavimento di un balcone per far precipitare il cadavere al suolo, ma non ci riuscì. Così demolì il ballatoio per tentare quindi d'infilarci il cadavere ma la cosa era impossibile: il foro era troppo piccolo. Decisero allora di gettare il corpo dalla balaustra della Rocca, sperando che tutti credessero al cedimento della struttura. Il 9 settembre 1598, Francesco fu trovato in un orto ai piedi della Rocca. Dopo le esequie il conte fu sepolto in fretta nella locale chiesa di Santa Maria. I familiari, che non parteciparono alle cerimonie funebri, lasciarono il castello e tornarono a Roma nella dimora di famiglia, palazzo Cenci, nei pressi del Ghetto.

Beatrice Cenci in prigione. Quadro di Achille Leonardi, XIX secolo

Le indagini

Inizialmente non furono svolte indagini, ma voci e sospetti, alimentati dalla fama sinistra del conte e dagli odi che aveva suscitato nei suoi congiunti, indussero le autorità a indagare sul reale svolgimento dei fatti.Dopo le prime due inchieste, la prima voluta dal feudatario di Petrella, duca Marzio Colonna e la seconda ordinata dal viceré del Regno di Napoli don Enrico di Gusman, conte di Olivares, lo stesso pontefice Clemente VIII volle intervenire nella vicenda.La salma fu riesumata e le ferite furono attentamente esaminate da un medico e due chirurghi che esclusero la caduta come possibile causa delle lesioni. Fu anche interrogata una lavandaia alla quale Beatrice aveva chiesto di lavare lenzuola intrise di sangue dicendole che le macchie erano dovute alle sue mestruazioni ma la giustificazione, dichiarò la donna, non le sembrò verosimile. Gli inquirenti furono insospettiti, inoltre, dall'assenza di sangue nel luogo ove il cadavere era stato rinvenuto.I congiurati furono scoperti e imprigionati. Calvetti, minacciato di tormenti, rivelò il complotto. Riuscito a fuggire, fu poi fatto uccidere da un conoscente dei Cenci, monsignor Mario Guerra,[senza fonte] per impedirne ulteriori testimonianze. Anche Marzio da Fioran, sottoposto a tortura, confessò ma, messo a confronto con Beatrice, ritrattò e morì poco dopo per le ferite subite. Giacomo e Bernardo confessarono anch'essi. Beatrice inizialmente negò ostinatamente ogni coinvolgimento indicando Olimpio come unico colpevole, ma la tortura[7] della corda[8] ne vinse ogni resistenza ed ella finì per ammettere il delitto.Acquisite le prove, i due fratelli Bernardo e Giacomo furono rinchiusi nel carcere di Tordinona,[9] Beatrice e Lucrezia in quello di Corte Savella.[10]

Prospero Farinacci, difensore di Beatrice. Da Crasso, Ritratti d'huomini letterati1666

Il processo

Il processo fu affidato al giudice Ulisse Moscato ed ebbe un grande seguito pubblico. Nel dibattimento si affrontarono due tra i più grandi avvocati dell'epoca: l'alatrense Pompeo Molella per l'accusa e Prospero Farinacci per la difesa. Farinacci, nel tentativo di alleggerire la posizione della giovane, accusò Francesco di aver stuprato la figlia, ma Beatrice, nelle sue deposizioni, non volle mai confermare l'affermazione del difensore. Alla fine prevalsero le tesi accusatorie di Molella e gli imputati superstiti vennero tutti giudicati colpevoli e condannati a morte.Cardinali e difensori inoltrarono richieste di clemenza al pontefice ma Clemente VIII, preoccupato per i numerosi e ripetuti episodi di violenza verificatisi nel territorio dello Stato, volle dare un severo ammonimento[11] e le respinse: Beatrice e Lucrezia furono condannate alla decapitazione, Giacomo allo squartamento. Solo per Bernardo il pontefice acconsentì alla commutazione della pena: di soli diciotto anni, non aveva partecipato attivamente all'omicidio, venendo condannato unicamente per non aver denunciato il complotto; per la sua giovane età ebbe risparmiata la vita, ma gli fu imposta la pena dei remi perpetui, cioè remare per tutta la vita sulle galere pontificie, e fu obbligato, inoltre, ad assistere all'esecuzione dei congiunti legato a una sedia. In aggiunta, la notizia della commutazione della pena gli fu deliberatamente nascosta e comunicata solo poche ore prima della scampata esecuzione. Solo alcuni anni più tardi, dopo il pagamento di una grossa somma di denaro, riottenne la libertà.

Castel Sant'Angelo: luogo dell'esecuzione
Esecuzione di Beatrice Cenci

L'esecuzione

L'esecuzione di Beatrice, della matrigna e del fratello maggiore avvenne l'11 settembre 1599 nella piazza di Castel Sant'Angelo gremita di folla. Tra i presenti anche tre artisti: CaravaggioOrazio Gentileschi e la figlia di costui, la futura pittrice Artemisia. La giornata molto afosa causò il decesso di alcuni spettatori per insolazione (che risultò fatale anche al giovane romano Ubaldino Ubaldini, famoso per la sua grande bellezza, come ricorda Stendhal nelle sue Cronache italiane); altri rimasero uccisi nella calca e qualcuno invece scivolò nel Tevere, morendo annegato.La decapitazione delle due donne fu eseguita con la spada[12][13]. La prima a essere uccisa fu Lucrezia, seguì poi Beatrice e infine Giacomo, che fu seviziato durante il tragitto con tenaglie roventi, mazzolato e infine squartato

           [....] 

non  so  che altro dire   alla  prossima


18.11.24

il discorso di Valditara alla Fondazione per Giulia Cecchettin : «Il patriarcato è finito. Violenze in aumento per l’immigrazione illegale» se stava zitto faceva più bella figura


«Occorre non far finta di vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e devianza, in qualche modo discendenti da immigrazione illegale». Così il ministro dell’Istruzione,Giuseppe Valditara, nel suo videomessaggio trasmesso durante la presentazione alla Camera dei deputati della Fondazione Giulia Cecchettin, in presenza del pare Gino. Di solito  non  mi    meraviglio di  niente , ma  stavolta   anch'io    : ‹‹ Trovo francamente sconcertante ›› come   Irene Manzi,  del Pd  ‹‹ che il Ministro dell’Istruzione, davanti alla famiglia di Giulia Cecchettin e nel giorno della nascita di una fondazione che meritoriamente vuole lavorare con le scuole sul tema dell’affettività e della violenza, sulla qualità delle relazioni e sugli abissi che ci interrogano, banalizzi (per non dire rovini) tutto con uno spot di inutile violenza ideologica, con molte falsità e trovando anche il tempo di additare il solito nemico esterno.Questa volta se lo sarebbe dovuto risparmiare »
Una frase che si è inserita, quasi come chiosa finale, in un discorso durato una manciata di minuti e che ha toccato vari altri temi. Dalla Costituzione italiana all’inesistenza, almeno come fenomeno giuridico , del patriarcato .
Non è mancata la replica di Gino Cecchettin che, a margine della presentazione, ha glissato così: «Le parole del ministro Valditara?.
L'intervento del ministro  è il classico  esempio  di come  rovinare  un buon  discorso . Infilandoci  gli
immigrati  coem  capro espriatorio  . IL  ministro   ingnora o magari loo  sa  benissimo  ma  pee  propaganda    nasconde    che secondo i dati ISTAT e del Ministero dell'Interno aggiornati al 2023, gli stranieri rappresentano il circa 32-33% degli arresti per reati di violenza sessuale e molestie. Gli italiani rappresentano circa il 67-70% dei responsabili dei reati sessuali, che rimane una maggioranza significativa. Gli italiani sono inoltre più spesso soggetti a processi per reati di violenza sessuale domestica o in ambito lavorativo, aree meno denunciate per gli stranieri​. Ci sono anche differenze nel trattamento legale: Gli stranieri hanno meno accesso a misure alternative alla detenzione, il che aumenta la loro visibilità nelle statistiche carcerarie.Pregiudizi: Esiste una tendenza, confermata da studi sociologici, a denunciare più frequentemente crimini attribuiti a stranieri.Quindi  qualcuno può dire a Valditara che l'80% dei femminicidi è ad opera del compagno/ex compagno e che non è un fenomeno etnico ma sociale? Vogliamo parlare del "denunciate donne che tanto poi tornate a casa da sole", del codice rosso o di come funziona male il braccialetto elettronico che avvisa la vittima di stalking? IL patriarcato  c'è ogni volta che negate che esiste il problema o date altrove la colpa di quanto sta accadendo. Voi non avete paura quando uscite la sera, non sapete cosa vuol dire vedere donne adulte dire: "Ma l'importante è che non lo contraddico quando ha una giornata storta" ai corsi di difesa personale.Inoltre  si contraddice   in quanto si.  è vero    dal  punto  di vista legale il  patricarto  è stato    abolityo  per  legge  con  il nuovo  diritto  di  famiglia del  1975  che ha sostituito alla famiglia fondata sulla gerarchia la famiglia fondata sulla eguaglianza.  ma   esistono    ancore  le scorie    culturali  come   ammette Valditara, «nel nostro Paese ci sono ancora residui di maschilismo, diciamo pure di machismo, che vanno combattuti». Si tratta di quelli che «portano a considerare la donna come un oggetto, una persona con minore dignità, che deve subire». E questo maschilismo “moderno” «si manifesta in tanti modi»: dalle discriminazioni lavorative, al catcalling fino alla violenza vera e propria» . Ecco  quindi che  il discorso partito bene  è  stato  rovinato  dall''affermazione   che esiste un legame tra violenza sessuale e immigrazione senza uno straccio di dato, evidenze, prove, ha un solo nome: razzismo. Ovvero, discriminazione e ideologia (a proposito) allo stato puro.Il ministro chieda scusa a quest’uomo coraggioso, Gino Cecchettin, alla famiglia di Giulia, alle cento donne morte ammazzate ogni anno per mano di uomini spesso mariti, compagni, conviventi, fidanzati ITALIANISSIMI. Questa è pura propaganda per fomentare odio, oltre che grave ignoranza relativa al problema di cui si parla senza conoscerlo. Ed è grave da parte di una figura istituzionale  ch ha  in mano  il ministero dell'istruzione .In pratica  è   Il solito e ampiamente sfruttato riflesso di riportare sempre ogni argomentazione al flagello degli immigrati irregolari oramai é automatico nei discorsi di questi figuri. Ma tant' é. Evidentemente ad un certo elettorato queste deformazioni della realtà piacciono. Che tristezza !

13.11.24

A VOLTE PER RIFLETTERE SUI FEMMINICIDI MEGLIO IL RUMORE CHE L'IPOCRITA MINUTO DI SILENZIO . LA BELLISSIMA INIZATIVA PER GIULIA CECCHETTIN

I movimenti studenteschi, compatti, avevano chiesto di organizzare un minuto di rumore in occasione dell’anniversario della morte di Giulia Cecchettin.Sapete chi è che ha rifiutato questa proposta di civiltà? Il Preside del Tito Livio, ovvero proprio il liceo di Padova che aveva frequentato Giulia.
“Niente rumore, serve silenzio, ma ognuno a casa sua, magari con una candela accesa sul balcone di casa.”
Questa la sintesi della allucinante circolare del preside Luca Piccolo, ovviamente uomo. 
Un preside che affossa l'iniziativa dei ragazzi è    a mio aviso  non dovrebbe ricoprire quel ruolo perché significa che non ne capisce l'importanza.Infatti ormai qualunque esperienza collettiva sembra sovversiva, mentre c'è un bisogno enorme di partecipazione e appartenenza, specie tra i giovani. Si può pregare e accendere candele sul proprio balcone, naturalmente, ma se i compagni di scuola si sentono di fare un piccolo gesto di memoria non mi pare proprio il caso di vietarlo  . Ecco quini che   la risposta più bella è arrivata dai ragazzi, dagli ex compagni di scuola di Giulia, che sono rimasti fermissimi sulla propria volontà.
“Il Preside non vuole? E noi lo facciamo lo stesso.” Hanno applicato quella che una volta si chiamava disobbedienza civile, ed è qualcosa che raramente si impara e s'apllica sui banchi di scuola.
Altro che silenzio, questi ragazzi ci stanno dicendo, anzi urlando, che abbiamo bisogno di rumore per Giulia e le quasi cento donne ogni anno vittime di femminicidio. Abbiamo bisogno di alzare la voce, di “far casino” se necessario. Mai tacere.E' questo che ci hanno voluto dire dando una grande lezione a chi dovrebbe insegnare loro.

1.6.24

L’OMICIDIO-SUICIDIO NON È UN FINALE TRAGICO, MA IL GESTO DI UN CODARDO di Marilisa D'Amico, pro-re"rice Unimi e del Sito internet: ovd.unimi.it


come  ho   spiegato nel  post precedente sempre sul femminicio \ violenza di genere   riporto  o  rielaboro  intrerventi    non miei   su  tali argomenti  .
L'artiolo  di  questione  è come specificto  nel titolo  della  dottoressa  marialisa  D'amico  .

  
 fonte   il   Giallosettimanale    



In uno degl ultimi casi (  almeno  fin ora  )  femminicidio \ violenza  di genere   si verifica   la dinamica dell’omicidio-suicidio . Essa  in particolare quando si parla di femminicidio, riflette una profonda incapacità da parte dell’uomo di accettare l’autonomia e le scelte della propria partner .
 Questo tipo di scenario mette in luce un elemento che, come è ormai noto, rappresenta una costante nei casi di femminicidio: il controllo dell’uomo verso la donna. Il marito, come molti altri uomini che si sono trovati in situazioni simili, ha percepito la perdita di controllo sulla moglieo  sul partner come un affronto insopportabile, reagendo con violenza estrema. L’atto di uccidere la propria compagna e poi togliersi la vita non è assolutamente un segno di disperazione romantica. Piuttosto, una simile decisione può essere interpretata come un’estrema manifestazione di egoismo e di codardia, ovvero un modo per sfuggire alle conseguenze legali e morali del proprio gesto. La tendenza ad attribuire una dimensione tragica a tali eventi distoglie l’attenzione dal vero problema, cioè il forte radicamento culturale di tutte le forme di violenza di genere. Per questo motivo diventa fondamentale cambiare il modo di documentare questi episodi e riconoscere che dietro ogni femminicidio c’è un retaggio di disuguaglianza di genere e di percezione della donna come proprietà dell’uomo. Questa distorsione culturale deve essere affrontata attraverso l’educazione, la sensibilizzazione e adottando politiche pubbliche più mirate, volte ad assicurare una sempre maggiore protezione delle donne vittime di violenza domestica. In de!nitiva, il femminicidio-suicidio di Piossasco non dovrebbe essere visto come un episodio di amore disperato del marito !nito in tragedia, ma come l’ennesima dimostrazione dell’incapacità di alcuni uomini di saper riconoscere il ruolo paritario della donna nell’ambito della relazione affettiva. Riconoscere questo ruolo è il primo passo per affrontare e prevenire la violenza di genere, promuovendo una cultura di rispetto e di uguaglianza”.

24.11.22

il 25 novembre dev'essere tutti i giorni perché non sia solo lava coscienza e una giornata delle ipocrisia

 Domani   è  25  novembre  ovvero la  giornata   sul  femminicidio e  violenze    sulle  donne  un problema    che    va  o  almeno dovrebbe     andare  al di  là  delle idee     politiche  \  culturali   di ciascuno  di noi     visto  che  

«La violenza di genere è un fenomeno criminale complesso, una piaga sociale, una grave violazione dei diritti umani. Sbaglia chi pensa sia questione di donne, è questione di uomini perché tocca agli uomini porre rimedio», sottolineando tra le altre cose che «i casi di violenza sono aumentati del 19% l’anno scorso».

                                                    Ignazio  la  Russa   


 e  come  ogni anno   mi   pongo  il problema   che  cosa  dire   e scrivere  che  non si  retorico o  ipocrita   ,   soprattutto     che  non generi equivoci  qual ora  dovessi  esprimere  , come  ho  fatto di   recente  , nel  mio  sfogo   contro  l'istituzione   (  non contro   l'argomento  si badi bene  )   del  giornata  obbligatoria  . La  risposta  a questo mio  assillante  dubbio   viene   dal botta  e  risposta    avuto   su Facebook   e  di cui  ho parlato nel post  precedente    ,  soprattutto  nelle  ultime  righe  . Posso dire   che  esso  è ormi un emergenza  endemica   dovuto alla mancata  prevenzione   e all'affrontarlo solo ed  esclusivamente  , peraltro applicandole  male  ,  legislativo  \  repressivo . Infatti   è  assodato che  le  manifestazioni ,  convegni  ,   campagne di sensibilizzazione     e  spot   non bastano  o  sono solo inutili   quasi  propagandistici   se  non s'affronta  (  salvo pochissimi casi  d'insegnanti coraggiosi  )   a livello educativo   nelle  scuole    e  negli oratori     o altri centri  d'aggregazione    giovanile  .  Quindi posso dire    da  ex stalker   che  non basta  una  giornata   per  dire  NO  al  femminicidio  \  violenza  di genere , il NO  dev'essere  continuo  perché  mica  le  discriminazioni   ed  le  sopraffazioni   avvengono un  solo   giorno  all'anno  .  Concludo questo  mio  post   raccontando , le  storie  spesso  sono più  efficaci  di mille  bla  ... bla  ....  , la storia  di Lea Garofalo  ,  riporta dall'amica  \  Compagna  di strada   ed  utente del nostro blog  Daniela  Tuscano  


24 novembre 2009: barbara uccisione di Lea Garofalo.
Il 24 novembre ricorre l’anniversario della barbara uccisione da parte della 'ndrangheta di Lea Garofalo, figura di donna coraggiosa che ha saputo dire di no alla mafia. Lea decise di testimoniare sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno Carlo Cosco.
Parlò della "bestia nel cuore" in casa sua. Lea Garofalo, che aveva 35 anni, fu rapita e poi strangolata a Milano, in un appartamento di Piazza Prealpi, dopo che il marito le aveva dato appuntamento all’Arco della Pace. Il corpo venne bruciato per tre giorni in un campo a San Fruttuoso affinché di lei fosse cancellata ogni traccia. La figlia Denise, che allora aveva 17 anni, rimase ad aspettare il ritorno della madre. Poi andò a fare denuncia accusando il padre. La scelta di Lea fu raccolta da Denise, che ha testimoniato nell’Aula del tribunale, con grande coraggio, sapendo che sul banco degli imputati c’erano suo padre, suo zio e il suo ex fidanzato. Ricordava Don Ciotti: “ Abbiamo un debito con Lea Garofalo. Il problema è chi tace e chi lascia fare. Ci sono troppi cittadini a intermittenza, troppa gente che si commuove ma non si muove. Ne usciamo solo con un grande appello e chiamata alla responsabilità civile”.
Roberto Cenati - Presidente Anpi Provinciale di Milano
per non sapesse o non ricordasse chi era e la sua vicenda

 
“Di me si parlerà quando non ci sarò più” aveva confessato al suo avvocato. E così è andata.
Lea Garofalo è stata una delle primissime donne ad aver avuto il coraggio di ribellarsi alla propria famiglia di ‘ndrangheta.
Aveva incominciato a parlare nel 2002, in cambio della protezione dello Stato per sé e per la figlia Denise.
Per lei sognava un destino diverso da quello che le era toccato in sorte, voleva che studiasse, perché sapeva che solo la scuola ti può far alzare la testa e dire di no.Per questo aveva raccontato tutto: lo spaccio, le faide, gli omicidi. Per questo, una volta abbandonato il programma di protezione, il 24 novembre 2009, esattamente 13 anni fa, è stata raggiunta a Milano dal suo ex compagno, uccisa e il suo corpo dato alle fiamme. Aveva 35 anni. Per il suo omicidio quattro membri del clan sono stati condannati all’ergastolo, tra cui anche il suo assassino. Solo allora, su richiesta della figlia, il 19 ottobre 2013 Milano l’ha salutata per l’ultima volta in una piazza Beccaria gremita all’inverosimile, con le parole della figlia Denise. “La mia cara mamma ha avuto il coraggio di ribellarsi alla cultura della mafia, la forza di non piegarsi alla rassegnazione e all’indifferenza. Il suo funerale pubblico è un segno di vicinanza non solo a lei, ma a tutte le donne e gli uomini che hanno rischiato e continuano a mettersi in gioco per i propri valori, per la propria dignità e per la giustizia di tutti".Alla donna straordinaria che è stata, al suo coraggio, al suo esempio. Mai dimenticarla.


proprio mentre finivo di scrivere questo post che su mio Facebook come ricordo è comparso questa mia condivisione di qualche anno fa




quindi  ecco perchè    continuerò  a parlarne    cercando     di  non   scendere    nel   retorico   e nell'ipocrisia  













emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...